Potenza, un’altra città è possibile

 

“Quelli del 17 gennaio”: questa è la frase coniata sui blog locali per ricordare l’assemblea cittadina “Un’altra città possibile”, che si è svolta a Potenza, presso il teatro Don Bosco, Sabato 17 gennaio, con la partecipazione inaspettata di circa cinquecento cittadini.

Questo evento, al di là della consistente presenza numerica, ha creato uno spazio reale di confronto democratico e di politica partecipata e può rappresentare il primo passo di un cammino verso quella “partecipazione di tutti alle cose

e agli atti della politica, ai problemi … gravi ed elementari…” (Calvino ne “La giornata di uno scrutatore”), verso un interesse e una cura “alle questioni universali più che alle private”, presupposto irrinunciabile per demolire la cultura della “città merce” e costruire quella della “città bene comune”.

 

Oggi, all’interno della “società liquida della globalizzazione”, anche i termini e i concetti più nobili assumono interpretazioni e significati mutevoli, prostituiti a strumenti per ottenere facili consensi, svuotati del loro significato autentico. Come tutto è diventato sostenibile: lo sviluppo, la guerra, la finanza, il nucleare, il petrolio, così ogni

piano, programma o azione sono orientati al “bene comune”: il lavoro “flessibile”, la distruzione del territorio e dei beni naturali in nome del progresso comune; la cementificazione delle città in nome di una presunta modernizzazione; l’elaborazione di piani urbanistici fondati sulla rendita fondiaria, sulle grandi infrastrutture e sui quartieri dormitorio della speculazione edilizia, e così via…

La città di Potenza si è sviluppata in questi decenni, in un’inquietante continuità amministrativa, secondo una strategia che ha privilegiato prevalentemente gli interessi privati, in particolare quelli delle lobbies di alcune famiglie e di alcuni costruttori, consegnandoci un agglomerato informe di palazzoni senza alcuna qualità architettonica e tecnologica, che hanno dato forma a quartieri privi di servizi adeguati, spazi di socializzazione, parcheggi, aree verdi e percorsi pedonali; tagliati da strade di attraversamento veloce dove le automobili si incastrano in code interminabili a ogni ora del giorno.

I recenti lavori per la realizzazione di svincoli, viadotti, gallerie e snodi complessi, in una folle corsa alla crescita della mobilità in automobile e dell’inquinamento, ha ulteriormente aggravato una situazione già disastrosa, rendendo questa città sempre più invivibile e malsana.

 

Qualcuno vorrebbe ridurre il tutto alla sistemazione di qualche marciapiede, alla costruzione di qualche piazza, aiuola o area parcheggio, ma la questione è molto più ampia e complessa: riguarda una visione della città e del mondo che sacrifica l’uomo alle macchine, che ha perduto il controllo sulla tecnica, nata come strumento per ottenere il miglioramento della vita dell’uomo e trasformata essa stessa nel fine ultimo di ogni azione.

Potenza è il risultato di una cultura (anche politica) che mira soprattutto, alle grandi infrastrutture e alla cementificazione del territorio, che non si cura dei cittadini come uomini (ma come elettori – consumatori), delle persone deboli e svantaggiate, del loro benessere materiale e spirituale.

 

Si costruiscono orribili condomini di speculazione in quartieri dormitorio, dove non è possibile incontrarsi, passeggiare, provare piacere per gli odori e i colori della natura che cambia con le stagioni, guardare un cielo di notte: l’ipermercato è diventato l’unico luogo di incontro affrettato, aggrappati ai carrelli delle merci tutte uguali e sempre più scadenti e dannose alla salute.

L’aggressione al benessere e alla salute dei cittadini ha trovato negli ultimi tempi nuovi alleati: antenne di ogni tipo e dimensione svettano dai tetti degli edifici; dominano minacciose sulle nostre case e sulle nostre teste; aggrediscono e feriscono le colline, le creste delle montagne, i boschi; ci bombardano di onde elettromagnetiche le cui conseguenze, ormai note, vengono taciute.

Incombe su questo territorio il rischio reale di un’area industriale (Tito), classificata tra le più pericolose d’Italia, dove sono depositati cumuli di fanghi chimici altamente pericolosi, come denunciato ripetutamente dalla Polizia Provinciale. Ma quello che si prospetta è ancora più preoccupante: estrazioni petrolifere alle porte della città, in zone ad alta naturalità (Frusci, Grancìa); inceneritori e discariche presentate come indispensabili, che palesano disinteresse e incapacità nell’affrontare nell’unico modo possibile i problemi, attraverso cioè la riduzione della produzione di rifiuti (imballaggi, contenitori, etc.) e quindi attraverso il riuso, il riciclo e la raccolta differenziata, verso i rifiuti zero.

 

Mentre Obama afferma con fermezza che la riconversione ecologica dell’industria, delle produzioni, delle politiche energetiche e sui rifiuti costituisce la soluzione al problema della disoccupazione, delle ineguaglianze, delle guerre per il petrolio, del degrado ambientale, dell’inquinamento e della distruzione dell’umanità, noi continuiamo il progetto folle di costruire città sempre più inquinate, degradate, malsane e ingiuste, dove il problema della sicurezza e del benessere dei cittadini viene risolto costruendo recinti ed erigendo muri (materiali e culturali), militarizzando le strade (magari anche con ronde notturne private) e invadendo ogni angolo di telecamere per controllare e osservare come un Grande Fratello: le nostre azioni, parole, vite quotidiane…

 

Oggi la Politica risulta uno spazio ampio ed estraneo agli interessi e all’azione della maggioranza dei cittadini. Quali che siano gli argomenti o la loro combinazione, il risultato è lo stesso: allontanare la gente dalla cosa pubblica, dall’interesse e dalla partecipazione alle decisioni politiche e dal controllo su chi governa. E in fondo, per vie diverse ed a volte persino contrapposte, il fatto è che la Politica è il feudo di pochi, la riserva privata di chi amministra i Pubblici uffici privatizzandoli al servizio di pochi. Rinnovare la Politica vuol dire restituirla alla gente, come un diritto fondamentale delle persone, ripulita dal torbido che oggi l’avvolge, per darle trasparenza e ampiezza, recuperandola come uno scenario sociale.

Si fa politica a partire dall’intervento della gente in sede decisionale e dal controllo che possono esercitare sulle autorità elette. Dalla selezione dei candidati, obbligati a render conto ai loro elettori e alle organizzazioni sociali quando esercitano il potere.

Sabato 17 gennaio, comunque vada, resterà nella nostra memoria come esempio di democrazia e di civiltà, di riappropriazione del diritto di cittadinanza e di partecipazione, e di speranza… speranza in una politica che non sia solo gestione di potere, concessione clientelare di favori e privilegi a chi mostra obbedienza e appartenenza, ma amministrazione della polis, secondo concetti di: trasparenza, partecipazione, interesse pubblico, etica della responsabilità, valorizzazione delle competenze e professionalità, solidarietà e accoglienza, giustizia sociale.

 

Per questa ragione, sospinti dalle sollecitazioni di quest’assemblea cittadina e dagli affollati incontri che si sono svolti nei giorni successivi, intendiamo proseguire il percorso intrapreso nei quartieri: per dibattere, ascoltare e proporre insieme un impegno formale nelle prossime elezioni amministrative e sognare una “città della comunità e del bene comune”: una città possibile!

 

Coordinamento Movimento UN’ALTRA CITTA’ POSSIBILE

Un commento

  1. Potenza e’ una citta’ sequestrata dal cemento ,dai cani randagi e dai cassonetti dei rifiuti stacolmi

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