In ogni caso, stop al consumo di territorio

Articolo di Gabriele Bollini pubblicato su Terra, quotidiano ecologista, del 5 gennaio 2012

Alcuni giorni dopo la pubblicazione del mio articolo “Se la Regione cede al cemento” (Terra del 22 dicembre) ho ricevuto, a nome e per conto della redazione di Terra, dall’Ufficio Stampa della RER, alcune precisazione da parte dell’assessore regionale all’agricoltura Tiberio Rabboni:

“Le cose non stanno così. I dati rilevati dai Censimenti generali dell’Agricoltura evidenziano una situazione diversa da quella descritta nell’articolo “Se la Regione cede al cemento” pubblicato, a firma da Gabriele Bollini, dal quotidiano Terra.  Il problema della riduzione della superficie agricola esiste, ma colpisce soprattutto le aree collinari e appenniniche, dove dal 2000 al 2010,  si e’ perso il 31% della sperficie coltivata a causa però non della cementificazione, bensì dell’abbandono del’agricoltura di montagna.  In pianura, dove la perdita di superficie agricola è invece largamente imputabile alla realizzazione di interventi infrastrutturali ed alla urbanizzazione di aree per insediamenti industriali e civili,  i dati più recenti evidenziano una netta inversione di tendenza:  se nel periodo 1990 – 2000 abbiamo avuto una diminuzione  dello 4, 25%  (pari a 31.942 ettari), nell’ultimo  decennio la  perdita   si decisamente ridotta ed è stata  dello 0,85%  ( pari a 5.966 ettari). Il problema  sicuramente permane ma le politiche messe in atto  dalla Regione nell’ultimo decennio, in particolare la legge urbanistica che privilegia la riqualificazione del costruito e la concentrazione dei nuovi insediamenti esclusivamente nei poli di carattere sovracomunale e provinciale, stanno dando importanti risultati. Quanto alla montagna, l’abbandono  dell’agricoltura è purtroppo un fenomeno generale, generato da molteplici cause tra le quali la più rilevante e’ sicuramente la bassissima redditività di quella agricoltura. In Emilia-Romagna abbiamo in atto un ampio programma di iniziative per il rilancio e la riqualificazione delle produzioni agricole tipiche  della montagna in stretta sinergia con l’offerta turistica ed ambientale, cui destiniamo oltre il 35% del miliardo e settanta milioni di euro del Programma regionale di sviluppo rurale.”

Non è facile avere dati attendibili e confrontabili sul consumo di suolo in Italia, perché le banche dati sono eterogenee e poco aggiornate e perché la pressione sul territorio è ampliata spesso da carenze di pianificazione e dall’abusivismo edilizio.

L’Osservatorio Nazionale sul Consumo di Suolo (ONCS), promosso dal DIAP del Politecnico di Milano, dall’INU e da Legambiente, ha calcolato, nel suo rapporto del 2009, il consumo di suolo in Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia e Piemonte. Secondo la medesima fonte – che utilizziamo per omogeneità dei dati – in Emilia-Romagna il territorio consumato tra il 1976 e il 2003 è stato di 80.964 ettari, circa 14 volte la città di Bologna, dato che corrisponde a 8,2 ettari al giorno, circa 12 volte Piazza Maggiore. In provincia di Bologna, nello stesso periodo, il territorio consumato è stato di 15.619 ettari, circa 2,6 volte la città di Bologna, il che corrisponde a 1,6 ettari al giorno, circa 2,3 volte Piazza Maggiore.

Cifre aride e desolanti che in ogni caso motivano la proposta di azzerare entro il 2050 l’occupazione di suolo non costruito, agricolo, (nel territorio nazionale ma anche regionale) passando per uno stadio intermedio di meno di un quarto dei consumi attuali entro il 2030.

La Germania ha stabilito la soglia di 30 ettari al giorno, pari a un quarto della tendenza in atto nel 2000 (129 ettari al giorno), alla quale limitare il consumo di suolo non urbanizzato entro il 2020, per poi giungere alla crescita zero entro l’anno 2050, quando ogni trasformazione di suolo da rurale o naturale a urbanizzato dovrebbe essere compensata dalla contemporanea naturalizzazione di suolo urbanizzato. Sono principi contenuti nella Strategia per lo sviluppo sostenibile del 2004, nel Codice per l’edilizia e nella nuova legge sulla pianificazione territoriale del 2008, oltre che in accordi promossi con i lander e gli enti locali.

Considerato che la superficie della Germania è più grande di quella dell’Italia, e che oltre il 50% del nostro Paese è montano, le tendenze italiane del 2011, se confrontate con quelle tedesche del 2000, risultano estremamente preoccupanti e rendono indispensabile un intervento immediato attraverso una politica nazionale di contenimento del consumo di suolo.

Come avviene in sede europea, il contenimento del consumo di suolo e il contrasto della dispersione insediativa devono diventare obiettivi prioritari delle politiche territoriali a tutti i livelli, in stretta connessione con il perseguimento di una migliore qualità del paesaggio e la tutela delle risorse naturali . L’utilizzo di suolo a fini insediativi e infrastrutturali deve essere consentito esclusivamente qualora non sussistano alternative di riuso e riqualificazione degli insediamenti esistenti, come già indicano leggi regionali approvate o in via di approvazione.

La Regione Emilia-Romagna, in applicazione alle proprie leggi e alla luce degli indirizzi contenuti nel PTR, dovrebbe promuovere e anticipare il processo nazionale attraverso un “Patto per il risparmio delle aree”, concordato tra regione, province, comuni e associazioni, come ad esempio è stato fatto qualche anno fa in alcuni lander tedeschi come la Baviera. Se si mantiene la proporzione con quello nazionale, l’obiettivo regionale potrebbe essere di 2 ettari al giorno e quello della provincia di Bologna, ad esempio, di 0,4 ettari al giorno entro il 2030.

Il Patto deve prevedere impegni precisi e condividere obiettivi concreti e monitorabili, da assumere attraverso lo strumento delle intese istituzionali e da declinare nei differenti strumenti di pianificazione.

Il Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Bologna, approvato nel 2004, ha indicato come obiettivi prioritari la riduzione della dispersione insediativa e del consumo di suolo. Ma, benché da quel momento le nuove edificazioni siano state in larga misura ricondotte agli obiettivi di localizzazione compatta, il tema del consumo di suolo rimane ancora un problema aperto, anche per la sovrapposizione tra le nuove previsioni dei PSC e la conferma dei residui dei vecchi PRG.

Si potrebbero assumere da subito impegni quantitativi per il contenimento del consumo di suolo da qui al 2030, ponendo le basi concrete per la sua attuazione nella strumentazione urbanistica comunale. In tal senso le attuali previsioni di sviluppo edilizio su suolo non urbanizzato nella provincia di Bologna risultano decisamente sovradimensionate (cfr. le relazioni al seminario di Laboratorio Urbano del 19 novembre 2010, sul sito www.laboratoriourbano.info). Esse andranno perciò valutate e riviste alla luce dei nuovi limiti fissati, degli obiettivi condivisi e dei nuovi impegni assunti in sede di Conferenza metropolitana, adottando regole identiche per tutti i comuni, affinché si possa andare oltre le generiche affermazioni di principio e si stabilisca concretamente come subordinare il consumo di suolo ad una valutazione di tutte le alternative possibili e come farlo rientrare entro criteri predefiniti di ambiti territoriali e di interessi collettivi da perseguire.

La politica di contenimento del consumo di suolo a tutti i livelli dovrà orientare in maniera decisa la trasformazione delle città e del territorio urbanizzato verso la riqualificazione urbana, anche a fini energetici ed ambientali.

Il recupero e la sostituzione edilizia, innanzitutto per l’efficienza energetica e la diffusione capillare delle fonti rinnovabili, è una grande occasione di rigenerazione per i tessuti urbani e di contenimento dei consumi, in tal senso deve diventare una priorità anche per il Piano energetico regionale (e nazionale, se ci fosse) e un’occasione per il settore dell’edilizia, uno dei più colpiti dalla crisi economica, che ha una significativa presenza a Bologna e nella regione.

Il contributo del settore edilizio tradizionale alla ricchezza materiale complessiva (PIL) nei sistemi economici forti è molto ridotto. In Italia, il settore delle costruzioni ha avuto, in termini di contributo al PIL, un peso decrescente tra il 9% della fine anni ’70 e il 6% dell’anno 2006 (fonte: ISTAT, 2007). Solo una riconversione del settore verso tecnologie innovative per la riqualificazione urbana può offrire nuove opportunità di sviluppo economico e occupazionale legate alle prospettive della green economy.

 

 

9 commenti

  1. MASSIMO BERTUZZI ha perfettamente ragione. I piani sulla carta esistono ma vengono sistematicamente ignorati. Del resto, non ci servono i dati. Basta guardarsi intorno per vedere aziende agricole chiudere in continuazione. Uno dei motivi è che c’è un lucro sfrenato nel prendere nuovo terreno e cementificarlo. A questo proposito basta frammentare il territorio in piccole porzioni che a loro volta sono pronte per essere “mangiate” dal cemento. L’altro motivo è che l’Unione Europea prima da sovvenzioni per togliere piante e poi le da per ripiantarle… Fare l’agricoltore in Italia è come giocare al lotto…

  2. Salve, pensate che nel mi piccolo paese (Piumazzo MO’) , hanno approvato un piano di escavazioni per l’estrazione di inerti di circa quattro milioni di metri cubi di ghiaia, ad una profondità di 15 metri e distanza di 200 dal paese, e calcolando che la profondità delle prime falde acquifere in quella zona è di -15 e -13 , sicuramente andranno a scavare direttamente in falda. Il tutto per trasformare un’area di 40 ettari, considerata una delle terre più fertili del nostro paese, terra di mele pere e ciliegie , in un cratere che non servirà più a nessuno ne oggi che alle generazioni future, andando a compromettere per sempre le difese naturali sulle falde acquifere sottostanti. Poi ci raccontano che l’agricoltura è in crisi? Ma purtroppo questo è, questo che riporto è solo un esempio di cattiva amministrazione o ancor peggio scelte fatte volutamente per favoreggiare imprenditori al commercio della ghiaia e cementificazione.Forse perchè oggi non esistono più politici che seguono ideali giusti o sbagliati, ma imprenditori che seguono solo il denaro e il metodo per crearlo…….quello che vi consiglio è un documentario inchiesta, fatto da un giovane regista modenese sulla realizzazione di Modena Futura, un video che ha suscitato molto interesse, questo è il link http://modena3.it/
    Ciao
    Tristemente
    Cristian

  3. Il PSC recentemente adottato dal nostro comune, Sala Baganza (PR) prevede un incremento di 690 appartamenti standard di 100mq.pari al 26% circa. Non siamo gli unici, praticamente tutti i comuni pedemontani del parmense e quelli della bassa hanno PSC o vecchi PRG variati per consentire simili sviluppi e conseguenti cementificazioni. Se Raboni e la giunta regionale sono davvero attenti al problema dovrebbero bloccare il ns. PSC attualmente fermo in regione e gli altri che tra l’altro sono incompatibili con il dettato legislativo regionale (art. 2) che vieta l’uso di nuove aree se non per motivazioni forti. Abbiamo centinaia di appartamenti vuoti e siamo cresciuti del 75% circa negli ultimi 40 anni, già questo dovrebbe autorizzare la bocciatura. Se poi consideriamo che a ridosso della cementificazione presente e futura abbiamo il primo parco regionale, dimenticato da rer e amministratori locali che ironia della sorte nella recente legge emanata dalla regione si auspica, sembra, l’inglobamento del preparco, area decisamente degradata e interessata al PSC in adozione. Questa contraddizione dimostra l’incapacità di gestire il territorio perché pur consapevoli della gravità della situazione i nostri governanti non han proposte alternative al solito sviluppo, potrebbero dimettersi e lasciare posto ad altri.

  4. Sia l’articolo originale di Bollini su ‘terra’ sia le controdeduzioni in risposta a quanto scritto dall assessore regionale sono, oltre che totalmente condivisibili, molto ricche di spunti interessanti…non sarebbe male da parte della redazione aggiungere un breve riassunto dei dati ‘quantitativi’ per consentire a tutti i lettori di farsi un idea del contesto: in particolare qual’ e’ la percentuale di consumo del suolo annuale in Italia (attualmente e dieci anni da); Quali sono le regioni piu’ o meno virtuose? E il confronto con gli altri paesi europei? Potrebbe anche bastare l indicazione di un documento-testo attendibile a cui fare riferimento.
    PIERPAOLO DALLERA

    1. purtroppo non è così semplice: non esistono in Italia dati certi sul consumo di suolo, alcune regioni hanno delle stime più o meno attendibili, altre non ne hanno affatto. Sembra incredibile, ma purtroppo è cosi

  5. Scusate, il tema mi sta a cuore, ma non vi sono molto addentro..
    volevo solo esprimere disagio rispetto al maifestarsi della cultura dell’indice di inquinamento anche relativamente al consumo di suolo. Ragionare in ha/giorno possibili entro la data tot mi avvilisce oltremodo e penso non porti da nessuna parte, come accade al dibattito sull’inquinamento atmosferico..

  6. Rabboni ciurla, dovrebbe presentare i dati, della stessa regione, sull’incremento dell’artificializzato, i dati che presenta sono quelli del suo assessorato riferiti all’abbandono dell’attività agricola. Sui piani di riconversione stendiamo poi un pietoso velo esistono sulla carta ma in pratica si continua a privilegiare l’edificazione su terreno vergine, il mio comune (San Lazzaro di Savena) è solo un esempio. Rabboni poi dimentica quanto terreno agricolo sta per essere trasformato in terreno “energetico” fotovoltaico e biomasse

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