Smart City: ma non l’abbiamo già?

Un testo di Andrea Alcalini, dal blog di Fabrizio Bottini.

A partire da un articolo di Wired, giugno 2012, e da certe mode ormai dilaganti tra gli amministratori, alcune considerazioni sul ruolo delle tecnologie, e delle multinazionali che le controllano, nella qualità del nostro spazio urbano

Il concetto di smart city sta spopolando in Italia, ma anche in Europa. Difatti è proprio la Commissione Europea che ha lanciato il progetto smart cities – città intelligenti.

Questa idea rientra nel piano europeo nominato “ Investing in the development of low carbon technology”.
Il Governo italiano, per voce del Ministro di Istruzione e Ricerca Profumo, durante la conferenza dell’ANCI: “Le smart cities dell’ANCI. Un progetto-paese per le città ad alto potenziale di innovazione”, ha deciso di agire in due steps distinti, prima 260 mln di euro per le città del sud Italia e successivamente 700 mln per le città del centro e del nord.

I soldi verranno indirizzati verso i comuni che risulteranno più propensi alla nuova tecnologia e alle politiche di sviluppo sostenibili.

Andiamo per punti: Cos’è una smart city o meglio cosa dovrebbe essere? Innanzi tutto una smart city è una città che funziona e che risparmia energia, soprattutto grazie alle nuove tecnologie applicate agli edifici e agli spazi pubblici, le quali dovrebbero facilitare l’abitare ecologico/sostenibile e la vita quotidiana degli urban users.

La rivista mensile Wired (giugno 2012) , tratta l’argomento e ne tesse le lodi; cito l’articolo di Carlo Ratti (smart city pag. 076): «(…) Le nuove tecnologie quindi non hanno fatto scomparire le città, ma le stanno trasformando profondamente. Nei territori urbanizzati si assiste ad un fenomeno nuovo: i bit della rete si fondo con gli atomi del mondo materiale. Le città, coperte di sensori e di reti elettroniche, si stanno trasformando in computer all’aria aperta. Si può dire che internet stia invadendo lo spazio fisico, un fenomeno che spesso passa sotto il nome di smart city».

Cosa fa di una città una smart city ? sempre da Wired: «(…) Lo smart city index (promosso dall’Università di Vienna)» individua sei parametri di eccellenza sui quali premiare le “città intelligenti”:
– Economia (i centri più intelligenti dal punto di vista economico brillano per spirito innovativo)
– Mobilità (deve essere efficiente sia quella locale che quella internazionale)
– Ambiente (capacità di tutela del territorio)
– Cittadinanza (livello di istruzione, pluralismo etnico (…)
– Qualità della vita (offerta culturale, salute pubblica(…))
– Governo aperto (partecipazione dei cittadini)

Ratti continua sostenendo che: «(…) L’universo delle App. urbane è il segnale più evidente di questa evoluzione»; ad esempio Waze (quella che tratta dati sul traffico cittadino), oppure Open Table (quella che permette di prenotare i ristoranti (!), e ancora Trash Track (il sistema che segue il percorso dei rifiuti); anche la presenza di alcune multinazionali (!), tra cui IBM, Cisco e Siemens, interessate alla raccolta di dati nelle smart cities, può essere considerato di buon auspicio.

Per finire, spostando precisamente l’attenzione in Italia, Ratti scrive: «Pensiamo ai nostri centri storici che tutto il mondo ci invidia, o a una città come Venezia, che non avrebbe mai potuto adattarsi agli imperativi dell’industria del secolo scorso, mentre può accogliere facilmente le tecnologie di oggi: reti, sensori, lampioni, pensiline, monitor, nuovi sistemi di distribuzione dell’energia».

Ma queste nuove tecnologie migliorerebbero veramente la fruizione dello spazio urbano ? O meglio, sono davvero così importanti per migliorare la nostra quotidianità urbana ? E’ questo che oggi serve nel nostro paese ?

Wired si propone come una rivista very young, molto propensa allo sviluppo di nuove teorie informatiche e al loro utilizzo sistematico; per Ratti queste nuove tecnologie sono un antidoto totale e globale ai problemi che affliggono i centri urbani. Noi sappiamo che questo non è del tutto vero.

E’ importante innovare, è vero, sia le tecniche che le teorie urbanistiche ed architettoniche, ma si badi bene a rinnovare anche gli attori politici e le messe in atto, perché se no chi dovrebbe leggere l’innovazione, cioè le amministrazioni, e tradurla sul campo, poi si riscopre analfabeta e fa a modo suo, anzi a modo loro.

L’evoluzione non sta solo nell’inserimento del termine ( smart), ma sta soprattutto nell’azione congiunta degli attori che dello spazio urbano decidono e di quelli che di quello spazio fruiscono, nel rispetto della legge, del territorio e dei cittadini.

I suddetti punti dello smart city index, sono buoni punti ma in fondo suonano un po’ banali, tanto che moltissimi strumenti urbanistici tradizionali e documenti di indirizzo per le politiche urbane non solo li comprendono, ma li auspicano spesso come punti di partenza per un buon governo del territorio.

Se poi è anche possibile considerare in positivo, come sostiene Ratti, l’interessamento delle multinazionali alle smart cities e ai dati dei cittadini/acquirenti che esse contengono; quelle stesse multinazionali che soffocano i nostri centri storici da tempo immemorabile, con vetrine super star, e li formano come mega-store alla moda, pieni alle 19,00 e vuoti alle 20,00; allora non dobbiamo stupirci se qualcuno crede che per migliorare la nostra vita di cittadini, basta impegnarsi a far diventare l’organismo urbano una semplice appendice del termine smart e non il contrario.

Emblematico è il fatto che tra i tredici punti della rivista Wired (considerati come comandamenti !) per attivare una città ideale, tra i quali: «mobilità sostenibile, gestione efficiente dei rifiuti urbani, rilancio di turismo, cultura e creazione di nuovi spazi pubblici (…)»; tutti ottimi e molto cool, manchi proprio quello forse più importante: rispettare i Regolamenti Urbanistici vigenti cercando di non stravolgerli a piacimento del privato di turno.

Questo sarebbe già un buon punto di partenza e si sa che: chi ben comincia è a metà dell’opera.

http://mall.lampnet.org/article/articleview/14298/0/214/

Un commento

  1. Penso che stiamo perdendo il senso delle cose. Le città e i sistemi urbani non sono entità astratte o virtuali. Sono fatte di spazi funzionali, di edilizia e aree libere, di verde, del vivere quotidiano, di luoghi d’incontro, di mobilità e di consumi energetici sostenibili. Le smart city le
    abbiamo in casa con le reti wireless ma non possiamo utilizzarle per accedere a tutti i servizi della PA, non hanno la capacità potenziale della banda larga. Non possiamo accedere alle biblioteche e ai musei multimediali digitali perchè non esistono. La situazione è ancora più tragica nei piccoli centri specialmente di collina e di montagna dove i segnali sono deboli o assenti. Mancano poi centri culturali e sociali aggregati alle biblioteche che siano diffusi nelle diverse circoscrizioni urbane e anche nei paesi che dovrebbero divenire fulcri del cosiddetto capitale sociale in termini di possibilità relazionale non solo virtuale ma anche fisica, attraverso le forme di partecipazione alla decisionalità politica e a momenti di attività culturale. Vi è bisogno di laboratori e incubatori di idee e di partecipazione anche operativa alla vita della città, di un nuovo medioevo che dalle rovine di una società capitalistica malata e corrotta basata sul potere economico-finanziario coalizzi le nuove masse del “terziario” verso azioni comuni rivolte ad una “nuova politica” delle piccole dimensioni, della sostenibilità ambientale e della coesione sociale. Per me è questa la “smart city”.

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