A31 Valdastico Nord: il silenzio della politica e dei giornali

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Appare sempre più evidente che al Giornale di Vicenza e alle sue giornaliste/i sta particolarmente a cuore la realizzazione dell’ Autostrada A31 ValdasticoNord. Si suggerisce loro di leggersi il libro della grande giornalista Tina Merlin “Sulla pelle viva”, che tratta con accuratezza e precisione ciò che è stato il ‘prima’ della catastrofe del Vajont.

Perchè tutte le storia hanno un “prima” che le precede. Per chi ha osato mettere avvicinarsi a questa vicenda, le similitudini sono così tante da non lasciare spazio a dubbi: se questo tratto autostradale si realizzerà, in futuro qualcuno avrà talmente tanto materiale da poter scrivere un libro alquanto interessante su questa vicenda.

Si sa già, comunque, che la classe politica, come del resto anche 50 anni fa, non ne uscirà con la giacca pulita. Né tantomeno le giornaliste/i di molte testate: in passato il Gazzettino aveva dovuto ammettere le proprie responsabilità di scarsa informazione e ne aveva chiesto scusa. Sarà interessante sapere cosa diranno a loro discolpa.

La storia dell’ A31 cresce e nasce, almeno negli ultimi anni, in seno al partito della Lega, quelli tanto per essere chiari del “paroni in casa nostra”. Strano che proprio loro siano improvvisamente diventati sordi verso quella voglia di sapere e verso le dimostranze dei loro concittadini che, da Piovene Rocchette fino Lastebasse hanno cercato di farsi ascoltare. Eppure non si può dire che non fossero loro elettori e non si può non confermare il cambio di tendenza emerso nelle ultime elezioni.

Eppoi che dire dei molti progetti presenti nei Comuni ma ognuno diverso dall’ altro? E del cambio di tracciato fatto qualche giorno prima della scadenza utile per presentare le osservazioni? E del commissario della Provincia Schneck allora anche presidente della Società Autostrade (i conflitti di interesse in casa propria non si notano mai), che alla presentazione del progetto ad Arsiero,nel maggio 2012 non ha dato la parola ai cittadini presenti: però il giorno dopo il GdV sostiene che c’è stato un dibattito? Sicuramente un errore di stampa. E della Frana Marogna: che in passato appariva come molto pericolosa e che successivamente è addirittura ‘scomparsa dalle mappe dei progetti?

Che dire delle relazioni del Prof. Zampieri dell’ Università di Padova e delle sue accurate relazioni? Chissà in quali cassetti sono andate a finire: di certo non fanno parte della documentazione di chi intende costruire A31.

E’ vero che in Valdastico non si costruisce una diga, però si va a scavare e a costruire in un sito fragile e la Valle è molto stretta.

Ma forse a loro non interessa costruirla ma solo ottenere il rinnovo della concessione, così intanto incassano i soldi, di tutti noi…eppoi si vedrà. Saltando a piè pari le Norme Europee che prevedono per le autostrade non più un rinnovo automatico ma una gara d’ appalto.

Ma hanno anche detto che era l’ Europa che voleva (sempre il GdV e sempre a lettere cubitali) questa A31: bugia presto smascherata grazie ad una interrogazione fatta al Parlamento Europeo.

E la legge obiettivo? Quella che calpesta la volontà e la dignità dei propri cittadini… Viene da chiedersi “Ma quali cittadini?”. Sicuramente quelli di Trento, perchè dei cittadini contra appartenenti al territorio Veneto quasi nessuno li cita, come non esistessero. Invece è giusto ricordare la colletta fatta da molte persone: han raccolto 9000 euro per pagarsi un’ avvocato e per presentare un’ esposto alla Corte dei Conti.

E che dire della violenza psicologica fatta dalla stampa? Molto ci sarebbe da dire: veramente molto! Opera inutile l’A31, immagine di una politica cieca e arrogante che lancia ultimatum come fossero caramelle e intanto nascondono il loro essere indagati: vedi Lupi.

La sottrazione di suolo coltivabile, la cementificazione a suon di fantastiche inaugurazioni: sempre ben pubblicizzate: come le alluvioni del resto! Peccato che Schneck e Zaia non riescano a comprendere come questi due fatti siano tra loro interdipendenti e intersecati.

Anche la politica del territorio ha molto lasciato a desiderare: sembravano aver paura di agire. Va dato merito al M5S di Thiene che hanno presentato al Consiglio Comunale le loro perplessità e i forti dubbi: ma il sindaco Casarotto ha chiesto all’ oste (Schneck) se il vino che vendeva era buono… e questo gli ha fatto sentire la coscienza a posto.

Manco il PD si è dimostrato attento a questa brutta e triste vicenda: a volte il non voler guardare indica il non voler sapere. Ed è vergognoso che, nella ricorrenza della tragedia del Vajont, abbiano appeso nella loro sede di partito in zona dei Carmini di Vicenza la foto di Tina Merlin con scritto “La nostra Tina lo aveva detto“. Si, è vero lei lo aveva detto però aveva avuto il coraggio e la volontà di scavare dentro la storia di quel presente; non si era fermata neanche quando ha subito un processo… Lei desiderava capire, sapere e poi scrivere per far conoscere. Lei era tra la gente e dentro la storia. I vari rappresentanto del PD a riguardo dell’ A31, sono stati lontani dalla gente e fuori dalla storia. E la storia dell’A31 Valdastico Nord verrà scritta. E non ci saranno sconti per nessuno.

Articolo di Irma Lovato
(foto di Livio Busato)

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12 commenti

  1. Addio Lumignano bella…
    Ho ripescato questo vecchio articolo su Lumignano (penso risalga al 2006 o 2007). Il paesaggio e l’ambiente si possono distruggere in tanti modi: con opere devastanti come la A31 o la nuova base “Dal Molin” (ca va sans dire), ma anche con un costante, capillare, sistematico attacco agli ecosistemi. Più son piccoli, più sono fragili. Vedi il caso delle grotte: per far sparire una specie talvolta è sufficiente inquinare una sola cavità! Da questo punto di vista l’analogia con la zona di Lumignano è evidente. Flora e fauna che ancora sopravvivono in zona sono spesso esclusive (v. saxifraga berica, niphargus trevisiol…) o comunque molto rare (rondine rossiccia). Da questo punto di vista l’opera dei FC (a base di trapano, disboscamento e demolizione di concrezioni) negli ultimi venti anni è stata deleteria. Nella polemica sorta in rete (un dibattito di basso livello culturale comunque) si contrappone l’azione dei FC alla devastante autostrada A31. Premesso che non ho visto nessun FC vicentino o padovano partecipare alle pur modeste iniziative contro la nuova grande opera (per esempio a Ca’ Brusà si tennero tre giorni di incontri e dibattiti seri su come impedire l’ ecocidio), a parte il fatto che in rete (non pretendo che questi seguaci della Società dello spettacolo conservino un archivio cartaceo…caso mai è a disposizione) possono leggersi un mio articolo contro la Valdastico risalente al 1996, a parte il fatto poi che sono stato tra i primi a denunciare la presenza di rifiuti tossici (cromo, nichel…) sotto la A31 (e il primo, forse finora l’unico, a denunciarne il probabile utilizzo militare v. su Frigidaire, su CSA Arcadia…), resto del parere che ognuno si deve prendere le sue responsabilità per quanto riguarda il degrado ambientale; sia chi devasta con le ruspe e cancella campi e siese, sia chi col trapano allontana gli uccelli nidificanti o sradica fiori e vegetali…

    PS in merito alla polemica in rete: la scusa secondo cui “le stalattiti del Broion sono cadute da sole” tenetela per vostra sorella. Il taglio è perfetto e ora lì passano alcune vie con relativi spit…e i falchi che vedete sono gheppi o f. pecchiaioli in transito (all’epoca delle migrazioni). Il falco pellegrino che in passato nidificava sul Broion è sparito (almeno come nidificante, può darsi che ogni tanto qualche esemplare si faccia un giro…). Quanto alla rondine rossiccia, è completamente sparita dai Covoli di Castegnero (ora “parco-giochi”); una coppia aveva nidificato sopra Nanto fino a tre anni fa (2010-2011)…ma poi siete arrivati anche lì…
    Ma non avete mai pensato di andare invece ad arrampicare sui piloni di qualche autostrada…? Tanto, per quello che capite di ambiente…
    GS 82014)

    ADDIO LUMIGNANO BELLA…*

    27 giugno [2007?]

    […]
    Un Paese civile e rispettoso delle proprie “radici” avrebbe tutelato in modo molto attento questo suo patrimonio [le particolari formazioni rocciose tra Costozza e Villaga], unico anche per le varietà endemiche di flora ( la Saxifraga berica ) e di fauna ( il Niphargus trevisiol). Da molti anni invece questi luoghi sono diventati una sorta di parco giochi per giovani edonisti che hanno colonizzato con chiodi a pressione e ferraglia tutte le pareti della zona, in nome dell’arrampicata “libera”, eufemismo per dire “datemi un trapano e vado dove mi pare”.

    Sulle conseguenze negative per l’ecosistema di Lumignano (pareti, covoli e ambiente circostante) provocate da questa attività eravamo già intervenuti in anni passati, denunciando il caso limite del Broion, con alcune stalattiti di circa due metri abbattute per far posto a nuove vie di arrampicata, pubblicate poi con risalto sulle riviste di alpinismo. L’autore del misfatto è ovviamente noto agli adepti, ma l’omertà di gruppo prevale.

    Purtroppo, anche se il ruolo di Cassandre non ci ispira particolarmente, avevamo ragione: scomparsa quasi totale dei rapaci che sulle pareti (frequentate quotidianamente da scanzonati arrampicatori poco sensibili) non possono più nidificare, rarefazione della caratteristica flora dei covoli, concrezioni deturpate ecc… Dopo aver invaso tutte le pareti attorno a Lumignano, si sperava che fosse finita, anche perché la stessa sorte ormai è toccata anche alla scogliera sopra Barbararano e a quella di S.Donato.

    Invece anche le pareti dei Covoli di Castegnero sono state ricoperte di chiodi a pressione, placche metalliche, catene per sicura …Va ricordato che in questa zona, oltre a rapaci notturni e diurni, al corvo imperiale e al picchio muraiolo nel periodo invernale, in passato sono stati visti nidificare alcuni esemplari della rara rondine rossiccia (Hirundo daurica), diffusa soprattutto in Grecia e nella Penisola Iberica e quasi inesistente in Italia. Da quando è iniziata la colonizzazione dei Covoli di Castegnero sembra proprio essere scomparsa. Così come era già avvenuto a Lumignano la vegetazione in prossimità e sulle pareti è stata estirpata. Sono quindi scomparsi anche molti rari esemplari di Saxifraga Berica, Campanula carnica, Lythrum hyssopifolia, Gnaphalium luteo-album, Adiantum capillus-veneris, Athamanta turbis…

    Le pareti beriche rimangono frequentatissime anche nei periodi di nidificazione. E quando l’arrampicata viene giustamente limitata a Rocca Pendice (Parco Regionale dei Colli Euganei) aumenta il numero dei “F.C.” [Free Climbing] che si riversano a Lumignano.

    Si conferma il fallimento del progetto di “autodisciplina” o autoregolamentazione (si può chiedere ai banditi di controllare gli assalti alla diligenza?) e anche la responsabilità morale di quelle associazioni che si occupano di alpinismo (ma evidentemente non di tutela ambientale) che hanno favorito lo sviluppo di una attività devastante per l’ambiente fragile della scogliera.

    La recente pubblicazione di una “guida” per le arrampicate (l’autore è un noto cultore del trapano in parete) potrebbe rappresentare la pietra tombale per gli ecosistemi del versante sud-orientale. Dato che gli editori si dicono impegnati nella “difesa della Terra”, ci sembra lecito chiedere maggior coerenza e meno antropocentrismo, almeno in futuro. Unica soluzione, a nostro avviso, interdire ogni attività di F.C. (arrampicata “libera”) e rimozione della ferraglia per restituire un po’ di dignità alle pareti. Soprattutto STOP ad ogni nuova colonizzazione. Non mancano a livello europeo norme legislative in grado di proteggere un habitat così particolare; esiste anche una normativa che tutela le aree carsiche e i Colli Berici (con centinaia di covoli, doline, grotte …) vi potrebbero rientrare sicuramente.

    Elena Barbieri Gianni Sartori
    Movimento UNA (Uomo Natura Animali)Vicenza

    *il richiamo alla canzone di Pietro Gori NON è casuale

  2. Ho visto che l’articolo citava la compianta Tina Merlin. Senz’altro indegnamente, ho avuto l’onore di conoscerla tanti anni fa. Era il 1969 e mi trovavo a Valdagno in “visita” alla fabbrica occupata di Marzotto. Portavo la mia testimonianza, un volantino di solidarietà di alcuni studenti dell’istituto magistrale di Vicenza dove avevo organizzato uno sciopero riuscendo a tener fuori un paio di classi (in particolare la mia, la 3° E).
    Credo in quella occasione di aver avuto un alterco con il futuro sindaco Variati (era, mi pare, in 2° E e forse già seguace di Rumor) che voleva entrare. A Valdagno lasciai il volantino agli operai “di guardia” (non era l’occupazione delle fabbriche del 1921, ma insomma era già qualcosa) e ritornai a Vicenza in autostop. A darmi un passaggio fu proprio Tina Merlin (giornalista dell’Unità) che mi aveva intravisto parlare con gli operai. Ovviamente consegnai anche a lei copia del volantino (che poi inserì nel suo libro “Avanguardia di classe e politica delle alleanze” Editori Riuniti, 1969). Le lotte della classe operaia di Valdagno erano diventate di rilevanza nazionale con la rivolta del 19 aprile 1968 (evento a cui, non del tutto casualmente, avevo partecipato, almeno come spettatore -ricordo che all’epoca avevo sedici anni).
    Del viaggio ricordo soprattutto un suo auspicio: “Voi giovani vedrete realizzarsi i nostri sogni, quelli del vostri genitori…un mondo meno ingiusto..” (cito a memoria). Sembrava convinta e non posso fare a meno di pensare a quanto ne sarebbe delusa, vedendo il disastro, non solo ambientale, compiutosi in questi anni…
    In ogni caso la sua testimonianza rimane salda, a futura memoria (come quella di un’altra donna dall’analogo destino, aver previsto e anticipato i drammi dell’inquinamento e venir per questo derisa e umiliata: Rachel Carson, autrice di “Silent Spring”, del 1962).
    Scusate per l’intervento a carattere memorialistico (e forse troppo personale) ma invecchiando sto diventando sentimentale, ciao
    Gianni Sartori

    PS il volantino si trova a pag. 225 del libro citato (“Gli studenti del “Fogazzaro” in sciopero, Vicenza 8 febbraio 1969). Lo avevo scritto nella sede del PSIUP di Vicenza insieme all’allora compagno, poi democristiano, Alfredo Zaniolo (con la supervisione, in parte censoria, di Domenico Buffarini).
    Riporto la conclusione:

    “Operai!
    Gli studenti non vi esprimono solo la loro solidarietà, ma vi portano il contributo cosciente della loro lotta contro il comune nemico, il capitalismo!
    Uniti, studenti e operai possono costruire un mondo nuovo!
    Uniti, studenti e operai possono diventare padroni del loro destino!
    A Valdagno, a Vicenza, nel Veneto, in tutta Italia studenti ed operai uniti nella lotta”.

    La lotta continua? Forse…
    ciao
    Gianni Sartori

  3. Ringrazio la signora Denise per le gentili parole: un prezioso incoraggiamento (e Dio sa se non ne avrei bisogno qui nel Basso Vicentino!).
    Penso proprio che – magari alla lontana – potremmo essere anche un poco imparentati viste le origini di mio nonno.
    E comunque, parafrasando quanto scrisse un grande personaggio “…se entrambi sentiamo sulla nostra pelle ogni offesa fatta a chiunque in qualsiasi parte del mondo (e ovviamente anche le ferite inferte alla Madre Terra nda) siamo anche di più…” (cito a memoria)
    Grazie ancora e speriamo di incontrarci a qualche iniziativa (o lungo qualche sentiero della Val d’Astico)
    Gianni Sartori

  4. Gentile signor Sartori…devo ancora leggere quanto da Lei scritto riguardo la base PLUTO, ma direi che il contributo sulla Valdastico Nord, cosi ricco di spunti e documentato, mi ha fatto venire letteralmente la pelle d’oca. La ringrazio infinitamente…Ce ne fossero di più di persone come Lei, capaci di sintetizzare la storia, di riconoscere nella Natura un bene da tutelare e riconoscere soprattutto gli sforzi di chi lotta affinchè certi scempi e sprechi non abbiano più a divenire… Confido ci possa essere occasione, nell’ambito delle iniziative del Comitato NO Valdastico NOrd per un incontro. Porterebbe un contributo non indifferente… tra l’altro, abito da sempre a Casotto, mio nonno era un SARTORI e chissà…magari alla lontana siamo pure parenti!

  5. Invio un ultimo contributo risalente al lontano 1996 (per ricordare che dalle lotte passate si alimentano quelle odierne)
    ciao e grazie per l’ospitalità
    GS

    VICENZA – PROSEGUIMENTO DELLA VALDASTICO? NO GRAZIE!
    (Gianni Sartori, 1996)

    Non molto tempo fa si era cominciato a sperare, forse ingenuamente, che anche nel Veneto fosse ormai finita l’epoca delle autostrade, della cementificazione selvaggia, dell’aggressione e del saccheggio del territorio…
    Invece siamo daccapo e naturalmente divampano di nuovo anche le polemiche. Ultimamente il dibattito in corso da tempo sul proseguimento della Valdastico, oltre alle note prese di posizione dei Verdi (in particolare Poletto), ha trovato un agguerrito interlocutore anche in Rifondazione Comunista (R.C.) che senza mezzi termini si è dichiarata ostile all’autostrada, non solo per ragioni ambientali. È opinione di R. C. che il progetto vada bocciato anche per precise ragioni economiche. Proprio per discuterne il 3 febbraio ‘96 si è tenuto a Schio un convegno dei Verdi Solidali e di Rifondazione.
    Inoltre il 26 febbraio davanti alla Prefettura di Vicenza, mentre il Consiglio provinciale discuteva sul progetto preliminare della VALDASTICO (la famigerata “PIRUBI”, da Piccoli, Rumor, Bisaglia, antichi promotori dell’opera), si è tenuta una manifestazione di Legambiente, Rifondazione e Greenpeace. Secondo Luciano Ceretta, comunista e ambientalista da sempre, “sono di fronte due scelte antitetiche: la prima di consumo immediato del territorio, delle risorse ambientali ed economico-finanziario. Un modello, giova ricordare, che risponde ad un sistema di mobilità e di vita, valido solo in casa nostra, perché Trentino, Austria e Germania lo rifiutano. La seconda che sceglie di cambiare strada e puntare sulla rotaia e sul trasporto integrato”.
    Si è parlato anche di un contemporaneo sviluppo della Valdastico e della tratta ferroviaria abbinata all’autostrada della Valsugana, ma si tratterebbe di percorsi paralleli e vicendevolmente alternativi perché le risorse finanziarie investite nella Valdastico sarebbero sottratte alla Trento-Venezia. Non dimentichiamo che l’Ente Ferrovia tende a “scaricare” il trasporto locale perché poco redditizio. In previsione degli ulteriori tagli previsti dalla finanziaria ‘96 in materia di piano nazionale dei trasporti, diventa fondamentale investire in un sistema interregionale integrato che dovrebbe far perno proprio sulla Trento-Bassano-Venezia. Si tratta di predisporre un progetto incentrato sul trasporto pubblico su rotaia, grazie all’intermodalità treno-autocarro. Nel nostro caso si dovrebbe utilizzare fino in fondo la tratta VE-MI salvando le stazioni di Altavilla V., Montebello e Lonigo, in posizione strategica, rispettivamente, per la zona industriale di Vicenza e per Alte-Recoaro, il comprensorio della concia e il Basso Vicentino.
    A tale scopo si potrebbero dislocare delle piattaforme di interscambio, servite da una metropolitana di superficie Vicenza-Valdagno-Schio-Vicenza che per la città poggerebbe su Ponte Alto e Anconetta. Per il traffico su gomma la soluzione immediata per la periferia cittadina è la liberalizzazione del tratto esistente della Valdastico. Il proseguimento della A/31 a nord comporterebbe solo un aumento del traffico di transito, aumentando il rischio di collasso ambientale.
    È inoltre convinzione di molti oppositori al progetto che il Veneto e la provincia di Vicenza in particolare siano passate da produttori a contenitori di merci, vista la propensione dell’imprenditoria vicentina e veneta a spostarsi a est (Slovenia, Croazia…) per abbattere i costi. Da questo punto di vista Vicenza e il Veneto sono destinate a diventare un enorme crocevia da e per l’ex URSS, da e per il sud-Europa e il Mediterraneo, con conseguenti alti costi ambientali e bassa remunerazione economica per le comunità locali attraversate dalle arterie. Una “smaterializzazione” in senso strettamente produttivo, ma un aumento del peso delle strutture di servizio alle imprese, pagato dalla collettività ipotecando il proprio futuro (qualità dell’aria, dell’acqua, dell’ambiente). Per non parlare del costo monetario, veramente esorbitante. Ultima versione per la Valdastico: 2.000 mld per 40 Km.
    Il prolungamento della Valdastico comporterebbe 14 Km di galleria di valico attraverso un territorio di tipo carsico, incidendo sul sistema idrico di tutta l’area interessata e dei paesi a valle i cui acquedotti attingono a falda; la mobilitazione di oltre 2.600.000 mc. di materiale di scavo e relativo deposito in un provincia alle prese quotidianamente con l’emergenza cave e discariche; inquinamento acustico e dell’aria legato al previsto flusso giornaliero di circa 20.000 automezzi di cui 5.000 camion. Hanno quindi validi motivi per preoccuparsi i sindaci e la popolazione di Arsiero, Cogolo del Cengio e Velo d’Astico che temono di vedere il proprio territorio collassato dal traffico, l’ambiente degradato e gli elementi essenziali come l’acqua messi a repentaglio.
    Gianni Sartori
    (pubblicato su “Indipendenza” nel 1996)

  6. Un commento piuttosto lungo, ma penso che parlare di A31 Nord comporti inevitabilmente parlare anche di A 31 Sud e di basi militari statunitensi presenti in gran quantità nel devastato territorio vicentino (oltre che di nuove zone industriali). Da un indigeno…
    GS

    IL POSTO DI PLUTO? ALL’INFERNO, OVVIAMENTE
    (Gianni Sartori)
    Nella mitologia greca “Pluto” è il dio della ricchezza. Nella versione di Aristofane, un dio che la distribuisce a caso provocando soprattutto danni. Ottimo per indicare un avamposto militare al servizio del capitalismo. Ma essendo la base di Longare in gran parte sotterranea, è probabile che il nome corrisponda al nominativo latino di “Pluto -Plutonis”, Plutone (in greco “il ricco”) il dio degli Inferi. Era anche marito di Persefone, figlia di Demetra (madre del sopracitato “Pluto” per cui è lecito sospettare una qualche forma di incesto). In ogni caso la terminologia adottata evoca cose torbide, oscure e malvagie.

    UNO SPETTRO RADIOATTIVO SI AGGIRA SUI COLLI BERICI…
    La base “Pluto” di Longare, in gran parte sotterranea, sottrae alla cittadinanza un’area di oltre 20mila metri quadri sul versante est dei Colli Berici. Non è noto, invece, a quanto corrisponda l’estensione sotterranea. Fino al 1992 rappresentava la più importante sede statunitense di armi nucleari in Italia. A distanza di anni gli effetti perversi continuano a farsi sentire. Sia a nord (zona di Bugano) che a sud (Costozza) la percentuale di leucemie, in particolare tra i giovanissimi, è al di sopra della media. Un caso? Ma evidentemente non bastava. Ora si appresta a diventare un “Centro di addestramento unificato” di rilevanza internazionale. Circondata da un muro in cemento armato alto sei metri (invece delle reti con tripli reticolati attualmente presenti), con una nuova struttura di circa 5mila metri quadrati che verrà realizzata all’interno e comprendente aule e celle operative per “studio-tattiche” in supporto alla Difesa nazionale americana. Oltre ad un parcheggio per veicoli tattici di 1600 metri q. e ad altri interventi devastanti per l’ambiente come il disboscamento della vegetazione per far spazio alle esercitazioni (si presume anche dei blindati). In pratica, un campo di battaglia e un immenso poligono di tiro da realizzare entro il 2013. Un centro di avanguardia per “addestramenti mirati, pianificazioni delle missioni all’estero” e per simulare ambienti virtuali così da mantenere un “alto livello di prontezza operativa”. A Longare la fase suprema del capitalismo dispiega tutta la sua geometrica potenza!
    Spese previste, 26,2 milioni di dollari (21 milioni di euro). Specchietto per le allodole (o meglio. per gli allocchi), i “criteri di eco-sostenibilità”. I soliti pannelli solari diventati ormai l’ipocrita foglia di fico dell’immondezzaio tecno-militare. Se Hitler avesse vinto, probabilmente anche i forni crematori dei campi di sterminio utilizzerebbero il fotovoltaico.
    Appare evidente che la devastante opera è una diretta conseguenza (“un completamento” suggerisce un noto collaborazionista) della realizzazione della nuova base Dal Molin e della creazione del comando Africom a Vicenza. Una metastasi senza fine favorita dalla realizzazione della A31 (autostrada Valdastico), la “tangenziale perfetta” per il sistema della basi statunitensi nel vicentino (Dal Molin, Ederle, Fontega, Pluto…oltre a depositi, impianti radar e “villaggi americani” vari come a Casale).
    Indicativo dello stato di sudditanza (al limite del collaborazionismo) in cui versa questa provincia “patrimonio dell’Unesco”, il fatto che l’amministrazione locale si sia svegliata soltanto “il giorno dopo”, apprendendo dai giornali quanto deciso e stabilito dalle truppe di occupazione.
    Ma non tutti si adeguano passivamente. Il 2 settembre la “Brigata Silva” (la formazione partigiana partigiano dei Colli Berici, quella in cui si era integrato mio padre Leone sartori, detto “Marcello”) è ridiscesa dai monti, stavolta armata di pentole e casseruole. E anche di qualche cesoia.
    Mentre centinaia di manifestanti esprimevano il loro legittimo dissenso davanti ai cancelli del sito e chiedevano la “sdemanializzazione dell’area” (come era stato promesso qualche anno fa, prima della realizzazione della A31), altri raggiungevano attraverso i boschi la recinzione tagliandola in alcuni punti e lanciando fuochi d’artificio.
    Tra gli slogan maggiormente scanditi “Non siamo una colonia Usa” e “Siete circondati, ve ne dovete andare “. Ma anche il classico “’mericani fora dae bae”.

    QUESTA TERRA ERA ANCHE LA MIA TERRA
    Quanto sta accadendo sopra e sotto Longare mi riguarda direttamente. Ho trascorso l’infanzia nel paesello di fronte alla base “Pluto”, San Piero Intrigogna, appena al di là del Bacchiglione. In prossimità delle Boche del Tesena, dove il Tesina confluisce nel Bacchiglione. E il fiume Tesina non è altro che la prosecuzione dell’Astico. Alla fine il cerchio si chiude. L’Astico nasce in Trentino, di fronte a Lavarone e alla cimbra Luserna, transita per Casotto (dove vive la più consistente comunità di Sartori della provincia e da dove sembra provenissero i miei avi) e Scalzeri da cui si inerpica verso Luserna un sentiero già percorso dai partigiani della Brigata Ismene. Le sue acque spumeggianti lambiscono poi San Pietro Valdastico, Pedescala (tristemente noto per l’eccidio nazi-fascista, la maggior parte delle vittime vecchi e bambini), Barcarola e Arsiero. Scorre sotto al salto dei Granatieri (quello del Monte Cengio che Fogazzaro contemplava da Velo d’Astico) e supera Cogollo del Cengio. Proprio su questo tratto si sta per svolgere la seconda puntata del dramma “Autostrada A31, No grazie!”. Non si sono ancora spente le polemiche in merito alle ville palladiane sfiorate dall’invadente infrastruttura e per le tonnellate di rifiuti tossici riversati lungo il percorso del tratto a sud (oltre alla conferma che la contestata tratta Vicenza-Rovigo va assumendo tutte le caratteristiche di un “corridoio militare-industriale”) che già un nuovo contenzioso si va aprendo a nord.
    Dopo la conferenza stampa del 17 luglio a Trento, il sindaco di Valdastico (VI), Alberto Toldo, aveva accusato il collega di Besenello (TN) di “speculare sui morti”.
    Ma Cristian Comperini, primo cittadino del comune della Val Lagarina dove dovrebbe sbucare la galleria autostradale, aveva ricordato le tragedie del Vajont, di Stava e della Valtellina a ragion veduta, in base alle conclusioni del prof. Dario Zampieri, docente del Dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, relative all’analisi sulla Frana Marogna.
    Per il sindaco Comperini nella progettazione della Valdastico si sarebbe “completamente dimenticato l’indicazione dell’IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi Italiani, consultabile tramite il portale dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ISPRA) sulla gravità del pericolo di una frana del volume di circa 20 milioni di metri cubi gravitante sulla località Casotto nel comune di Pedemonte (VI), dove il progetto vorrebbe collocare il viadotto Molino, lo svincolo Valle dell’Astico, un centro di manutenzione, l’area di servizio Lavarone e un centro di ristorazione”. E quindi con “un rischio molto elevato di perdita di vite umane e danni agli edifici e alle infrastrutture”.
    Nonostante l’evento principale risalga ad alcuni secoli fa, per il professor Zampieri la Marogna “è da considerarsi una frana attiva”. Una recente verifica sul terreno ha confermato che sopra la Gioia, la nicchia della frana, esiste “una massa di dolomia sospesa con giacitura a franapoggio ed inclinazione tra 20° e 30°, avente un volume di oltre 20 milioni di metri cubi”. Alla base della parete sono presenti “venute d’acqua lungo il piano di scivolamento” e la vegetazione arborea appare “danneggiata e ricoperta da una fascia di detrito a grossi blocchi che dimostra una continua attività di crolli di roccia”.
    L’analisi ravvicinata mostra inoltre “evidenti fasci di fratture beanti parallele e sub ortogonali alla parete, che isolano volumi di migliaia/decine di migliaia di metri cubi in precario equilibrio, sospesi ad una altezza di 450 m al di sopra del fondovalle e raccordati con questo tramite un piano inclinato di 30°-35°”. L’area proposta per la realizzazione dello svincolo e annessi servizi sarebbe la “meno idonea di tutta la valle dell’Astico essendo ubicata al piede di una frana attiva”. Più inquietanti delle parole, le immagini realizzate dallo stesso Zampieri e allegate al documento. Evidenti placche chiare dovute a distacchi di qualche anno fa, blocchi fuoriusciti dalla parete per scivolamento, fratture aperte, giganteschi pilasti di roccia e lame di roccia di alcune centinaia di metri cubi in precario equilibrio.
    Curiosamente, il PAI (Progetto di Piano Stralcio per l’assetto idrogeologico) del bacino del fiume Brenta-Bacchiglione, il PTCP (Piano Territoriale di coordinamento Provinciale) e il PATI (Piano di Assetto del Territorio Intercomunale) non riportano la frana della Marogna, presente invece nel catalogo IFFI (Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia). Si tratta della “più grande frana della valle dell’Astico con una superficie di deposito di oltre 93mila metri quadrati di area, documentata nel sito della Regione veneto, Cartografia Geologica, Progetti CARG alla scala 1:10.000”.
    In compenso l’area intorno alla frana viene segnalata come P4, ossia “rischio geologico massimo”. Strano che al momento della progettazione dell’autostrada non se ne sia tenuto conto. Pare proprio che il Vajont non abbia insegnato nulla.
    Ma le contestazioni alla prosecuzione della Valdastico Nord da Piovene Rocchette (VI) a Trento non si limitano all’area di Casotto.
    In un volantino del Comitato NO Valdastico Nord si elencano alcune conseguenze nefaste.
    1)Passa accanto alla chiesetta di S.Agata (anteriore al 1000 dC) rovinando definitivamente il contesto ambientale;
    2)invade tutta la campagna accanto alla chiesetta di S.Giorgio di Velo d’Astico (con affreschi longobardi e rinascimentali);
    3)divora 307 campi vicentini solo nel primo tratto (tra Piovene Rocchette e Velo d’Astico), campi definitivamente sottratti alle attività agricole;
    4)impatta con una fabbrica che occupa più di 100 operai;
    5)va ad occupare più di ¼ della superficie libera di Pedemonte (il 28% della superficie di fondovalle);
    6)A Valdastico attraversa il torrente Astico nel punto più largo e più vicino a 4 nuclei urbani (Pedescala, Forni, Settecà, Forme Cerati);
    7)piloni in cemento armato, ruote di camion e barriere anti rumore saranno il nuovo paesaggio vallivo, con buona pace delle speranze di valorizzazione turistica;
    8)va ad intercettare numerose sorgenti lungo i tratti in galleria;
    9)passa sotto al lago di Lavarone (dove trascorse periodi di riposo Freud nda) con il rischio di intercettare vene d’acqua collegate con il lago;
    10)è in aperto contrasto con il Piano Territoriale Regionale che intende limitare il consumo di suolo agricolo (in una provincia ormai completamente ricoperta da zone industriali, centri commerciali, basi militari etc. nda)…
    E la lista potrebbe continuare. Si sono espressi negativamente anche i comuni trentini di Folgaria e di Luserna, il paese natale di Elvio Facchinelli che qui ha voluto essere sepolto dopo aver donato alla biblioteca comunale tutti i suoi libri. Rinomata tra gli studiosi per aver saputo conservare la lingua e la cultura dei Cimbri, Luserna rischierebbe di venir asfissiata dai gas di scarico provenienti dall’autostrada posta nella valle sottostante. In realtà, sostiene il Comitato NO Valdastico Nord chi vuole la Valdastico Nord è soltanto “la società autostradale Brescia-Padova che, con l’approvazione del progetto, intende farsi rinnovare la concessione autostradale del tratto più redditizio (Bs-Pd) ad un prezzo più basso”.
    Significativa l’opposizione espressa dalle sezioni della COLDIRETTI di Velo d’Astico, Cogollo del Cengio e Alto Astico. Nel loro comunicato scrivono che “dopo i campi di sterminio la civiltà dell’industria ha determinato lo sterminio dei campi agricoli”. E non sembri solo un gioco di parole. I contadini della Val d’Astico sanno di cosa parlano. La Valle ha ben conosciuto sia gli eccidi nazisti (come a Pedescala) che le deportazioni nei campi di sterminio. Non per niente Cogollo del Cengio è gemellato con Mauthausen.
    Non sarebbe male che ora l’intera val d’Astico si gemellasse con la Val di Susa (e magari i No-Dal Molin con il presidio contro l’aeroporto di Notre Dame des Landes a Nantes).
    Proseguendo nel suo corso, con un’improvvisa deviazione, relativamente recente stando ai tempi geologici, l’Astico si infila poi si infila tra l’Altopiano di Asiago e le colline Bregonze, in quella zona del vicentino dove ebbe inizio e si manifestò in maniera talvolta drammatica la “breve estate dell’Autonomia” negli anni settanta. Sfiora o attraversa Caltrano, Chiuppano e Calvene per poi riprendere la corsa verso sud. Tocca Breganze, Sandrigo, Lupia e Lupiola. Nei pressi di Lupia riceve dalla sinistra orografica le acque di un piccolo corso d’acqua che nasce poco prima da una risorgiva, il Tesina appunto. Cambia quindi nome, ma il percorso e la direzione rimangono quelli dell’Astico la cui natura torrentizia lo rende potente in periodo di disgelo. Per chi cammina sull’argine della destra orografica non è facile individuare quale sia il punto del cambio anagrafico. Da segnalare la presenza, almeno fino agli anni cinquanta, di qualche esemplare di lontra nella striscia di terra all’epoca ricoperta da folta vegetazione. La zona venne devastata per iniziativa istituzionale una ventina di anni fa. Alberi tagliati, anse raddrizzate, rive cementificate. Trasformando, come scrissi allora in un articolo “il limpido corso d’acqua in un canale di scolo”. Più recentemente (un autentico teatro dell’assurdo), per usufruire di finanziamenti europei, è stato realizzato un progetto di ri-naturalizzazione dell’area. Un po’ come fare affari ricostruendo dopo aver scatenato una guerra. Ovviamente un palliativo, un pro-forma visto che il danno ormai era stato fatto.
    Il cammino del fiume prosegue verso Bolzano vicentino, Quinto, Marola e Torri di Quartesolo, sfiorando la militarizzata periferia est di Vicenza (San Pio X, Bertesinella…) e confluendo nel Bacchiglione a un centinaio di metri dal campanile di San Piero Intrigogna, in origine una curtis benedettina. Poco prima della confluenza riceve da destra la roggia Caveggiara; altra nostra battaglia persa quando cercammo, invano, di evitare il taglio della prosperosa vegetazione per allargare l’alveo del corso d’acqua. Bastava avessero chiesto, per esempio, a mia madre Rosa Sgarabotto che ricordava benissimo come negli anni trenta il fondo della Caveggiara fosse stato rivestito di lastre di pietra. Al momento di scavare, dopo aver diligentemente abbattuto ogni olmo, ontano, pioppo, salice e moraro (gelso) presente lungo le rive, si accorsero che l’operazione non era fattibile e lasciarono tutto com’era (tranne ovviamente per gli alberi irreparabilmente estirpati).
    In un certo senso il sistema Astico-Tesina costituisce la spina dorsale, liquida, delle campagne vicentine, dalle Prealpi alla pianura vera e propria. Ora questo percorso naturale, i cui argini vengono ancora ancora utilizzati nelle transumanze verso i pascoli montani (da qualche pastore di Lumignano) si va trasformando in un nastro di cemento e asfalto, circondato da caselli, aree industriali, basi militari e altre schifezze.
    Stando ai racconti di mia nonna Pina (da bambina lavorò come mondina, sia a Grumolo che a Mossano), la lontra agli inizi del secolo scorso frequentava anche la zona delle Boche del Tesena. Lei la chiamava sgora, essere misterioso che trascinava in fondo al fiume i bambini discoli; forse una variante, più che della relativamente mite anguana, dell’aganis friulana. Fino ad un paio di decenni or sono, mi capitava di incontrare qualche anziano che si ricordava di mio nonno Augusto (un obligato, contadino povero senza terra). Proprio in questo spicchio di terra retaggio delle bonifiche del 1300, aiutato da mio padre ancora bambino, el nono Gusto venne incaricato dal proprietario dell’abbattimento di alcuni morari e albare rimasti in parte ricoperti dal terrapieno del nuovo argine. Tutto “a man col pico, la baila e la cariola” racconta mio padre. In cambio del duro lavoro, ai miei familiari sarebbero toccate le rame alte e le soche estratte dal terreno. Il legname più pregiato, sia per lavori che per riscaldamento, quello del tronco e dei rami più grossi, ovviamente andava ai paroni. Per saperne di più sul “piccolo mondo antico” di San Piero, Deba e Casaleto suggerisco la lettura di “Mio padre partigiano” (un articolo pubblicato nel 2003) dove ho raccontato di un tentativo fascista di far ingurgitare a mio nonno l’olio di ricino (previa manganellatura di rito). La bieca operazione venne stroncata da mia nonna a colpi di forcone. Non fu invece altrettanto fortunato mio zio Attilio Fasolato (detto Tilio, come l’albero), operaio e sindacalista allo stabilimento Rossi di Debba. Solo recentemente ho saputo che la stessa sorte era toccata anche ad un vicino dei miei, el scarparo Farinello, anche lui socialista.
    Costui trovò però il modo di vendicarsi. Fingendo di accettare umilmente la predica e le raccomandazioni per “comportarsi bene in futuro”, dopo il pestaggio acconsentì a offrir da bere alla squadraccia. Portò in tavola del cordiale a cui aveva aggiunto parecchie gocce di un forte lassativo. Ritornate a casa, le camicie nere dovettero immediatamente correre al cesso. All’intraprendente antifascista (in seguito ospite delle patrie galere) arrivò una lettera minacciosa che lo preavvertiva di una ulteriore visita non propriamente di cortesia. Ma i socialisti del luogo si organizzarono. Quando il camion della spedizione punitiva transitò per la Riviera Berica, i compagni vennero allertati, come era stato convenuto, dal suono delle campane di San Piero Intrigogna. Prontamente radunatisi, bloccarono la squadraccia all’altezza della Pontara tra Debba e San Piero e l’olio di ricino venne forzatamente ingerito dai componenti della squadraccia. Un piccolo gesto di resistenza di cui si era persa la memoria e che riscatta la popolazione locale, talvolta troppo umile e sottomessa al potere.
    E dopo quelli dei fascisti, sulla strada che da san Piero porta a Vicenza passando per Casale (all’epoca ancora strada bianca) passarono i camion statunitensi. Il mio primo incontro risale agli anni cinquanta. Abitavo a Casaletto, una contrada la cui parte più consistente era costituita dall’abitazione e dalle stalle dei Dalmaso, gli affittuari. In prossimità di una piccolo rilievo, el monteseo, recentemente devastato da alcune costruzioni e da un centro di addestramento per cani. I camion passavano sollevando la polvere e un nugolo di bambini correva loro incontro gridando “ciunga” (termine dialettale per indicare la gomma da masticare) mentre i soldati lanciavano sbrancà di chewing gum e qualche caramella. I ragazzini si accapigliavano rotolandosi per terra per strapparsi il misero bottino. Ricordo che me ne stavo appoggiato al portone e non partecipavo. Forse per timidezza, forse per dignità.
    In ogni caso provando vergogna per lo spettacolo “coloniale”.
    A non più di 2-3cento metri dalla citata Pontara, troviamo gli storici ponti di Debba, sovrastati dalle case operaie e dallo stabilimento Rossi. Oltre a mia madre, vi lavorarono come operai quattro o cinque tra zii e zie. La sorella maggiore di mia madre, Marcella moglie di Tilio, vi entrò ragazzina, quando la fabbrica era ancora un canapificio. All’epoca si lavorava immersi nell’acqua fredda corrente, con conseguenze ben immaginabili (gravi forme di reumatismi). Uno dei ponti scavalca il Bacchiglione, l’altro la mitica Rosta. Poco lontano, una decina di metri, il 4 novembre 1987 morì annegato (o meglio, fatto annegare) un ragazzino sinto inseguito dalla polizia, Paolo Floriani.
    La corsa di Paolo e Davide attraverso i campi, prima in moto (una storia alla “Chicco e Spillo”, ma senza lieto fine) e poi a piedi, finì con un tentativo di attraversare a nuoto il fiume. Già in salvo sull’altra sponda (quella dello stabilimento), Paolo tornò ad immergersi nelle fredde acque per salvare l’amico che stava annegando. Ormai circondato dai poliziotti (per niente impietositi dalla generosità mostrata dal ragazzo) Paolo tentò un’estrema fuga, ma venne inghiottito dal fiume (v. l’articolo “Nomadi e scomodi” su “A, rivista anarchica” del dicembre 1991).
    Ma torniamo a Site Pluto. Per il giornalista Antonio Mazzeo “fino al 1992 ha rappresentato la punta avanzata della follia strategica USA e NATO che ritenevano possibile una guerra nucleare limitata”. Nelle immense cavità artificiali che devastano il sottosuolo da Col de Ruga a Costozza (analogamente alla spesso dimenticata base del Tormeno, la Fontega, deposito di esplosivi sotto Arcugnano) vennero stivate (scusate il gergo da ex facchino alla Domenichelli nda) testate nucleari di tipo W-79 (potenza tra i 5 e i 10 kiloton) e W-82 (“soltanto” 2 kiloton) per obici a corto raggio M-109 e M-110 e per missili Nike Hercules. Questi ultimi collocati poco lontano, a san Rocco, nella base dell’aeronautica italiana installata sulla sommità dei colli tra Costozza e Longare e probabilmente collegata a Pluto da percorsi sotterranei. Parentesi storico-ambientalista. Tra le due basi si snoda uno dei pochi sentieri lungo cui è ancora possibile ammirare in forma abbastanza rigogliosa la rarissima saxifraga berica. Forse perché Provincia, FC del Cai (vedi il taglio dei bagolari sulle pareti intorno alla Danieli) e Pro-Loco non sono ancora intervenuti con motosega e decespugliatore a disboscare per allargare il sentiero ombroso. Come è noto la saxifraga berica vive e prospera di luce indiretta e quindi solo in zone circondate da vegetazione (o anche negli antri dei covoli, meglio se protetti da cespugli). Basti pensare a quello che è avvenuto sotto le pareti di Lumignano o sul sentiero che sale da Castegnero a Sermondi. O peggio ancora, alla Fontana di Trene sopra Nanto dove i cespugli di saxifraga sono stati direttamente estirpati per “ripulire”. Appare evidente che l’ampliamento della base potrebbe avere effetti devastanti per l’ambiente naturale e la biodiversità. Un altro esempio. Poco lontano dell’entrata di Pluto fuoriesce il canale Bisatto, proveniente dalla zona del lago di Fimon e transitato per due gallerie e val Bugano. Qui, almeno fino ad un paio di anni fa, confluivano a fine inverno migliaia di rospi scesi dai boschi per riprodursi. Sempre tra le due basi, troviamo la lapide per l’eremita padre Pagani forse cercava di espiare le colpe accumulate come inquisitore (avete notato che nella statua recentemente posta a Costozza il volto di Pagani ricorda quello di Eymerich, l’inquisitore catalano divenuto il protagonista dei romanzi di Valerio Vangelisti?). Per restare in tema di Inquisizione, ricordo che su un poggio tra Longare e Costozza sorge la “specola” da dove il buon Galileo (gran frequentatore delle fin troppo fresche grotte locali dove finì con l’ammalarsi piuttosto seriamente) compì i primi studi della volta celeste. Dalle sue osservazioni ricavò la pericolosa convinzione per cui sarebbe la Terra che ruota intorno al sole (e non viceversa) facendo incavolare i gelosi custodi dell’ideologia dominante dell’epoca. Segnalo l’opportunità di un’ulteriore rivoluzione copernicana, quella antispecista e biocentrica che detronizzi il “re del creato” e ponga un limite alla devastazione ambientale conseguenza dell’antropocentrismo. Un altro colle tra Costozza e Lumignano era stato frequentato dal poeta Petrarca che lo soprannominò “Parnaso”. Ma soprattutto, dal ’43 al ’45, tra le grotte, i massi e gli scaranti di questa zona impervia si era installato il comando della brigata partigiana Silva. I caduti per la Libertà della Silva sono ricordati da un caratteristico monumento ancora immerso nella vegetazione. Precisazione: non è mia intenzione scrivere una guida turistica, ma soltanto sottolineare che il luogo meriterebbe maggior rispetto.
    Dopo essere già stata utilizzato durante le ultime “guerre balcaniche” e nei più recenti interventi in Africa, ormai conclusa la costruzione della nuova base per la 173° Brigata aviotrasportata nell’ex aeroporto Dal Molin e diventato pienamente operativo il comando di US Army Africa, Site Pluto non poteva mancare all’appello. Dal 2013 vi verrà insediato un Mission training complex, un centro di addestramento unificato dell’esercito statunitense con “aree funzionali per le operazioni tattiche e stanze per l’elaborazione di eventi addestrativi”. Il nuovo impianto sarà in grado di ospitare giornalmente centinaia di soldati, sia statunitensi che italiani (i reparti d’élite per le guerre africane) e anche gli ospiti del “centro di eccellenza” COESPU per le forze di polizia straniere della caserma “Chinotto”, a Vicenza. Antonio Mazzeo e Manlio Dinucci non escludono che Site Pluto possa “servire per esercitazioni di guerra nucleare” e come “deposito-centro di manutenzione di armi nucleari”. Soprattutto da quando gli F16 e i Tornado verranno sostituiti dai caccia F-35 di quinta generazione per i quali è stata progettata la nuova bomba nucleare B61-12 (al cui lancio si esercitano anche gli F-35 italiani).
    Forse allarmati dalla fuga di notizie, le autorità italiane sono intervenute per rassicurare l’opinione pubblica. Nel nuovo stabile “solo computer. La guerra sarà simulata”. Un immenso videogioco per “simulare azioni di guerra e di peacekeeping”?
    Dichiarazioni che comunque sconfessavano il precedente comunicato del comando Usa di Vicenza che escludeva di voler “ampliare la base di Longare o di aprire una nuova base a Tonezza del Cimone”. Interessante questa excusatio non petita per il riferimento a Tonezza. Sicuramente consentirebbe un facile accesso al previsto tratto Nord della A31, molto più comodamente che dalla base dismessa del monte Toraro (verso Folgaria, in prossimità di Malga Zonta dove vennere trucidati i partigiani della Garemi) ora trasformata in “Museo della Guerra Fredda”. Ritorna comunque l’ipotesi che identifica nell’autostrada Valdastico A31 un “corridoio militare-industriale” attraverso l’intera provincia vicentina, una delle più militarizzate della penisola. Senza dimenticare che un corridoio ad uso militare esiste già nel Basso vicentino, più o meno sovrapposto alla Valdastico sud: quello aereo percorso quotidianamente da decine di rumorosi e inquinanti caccia.
    Nel 2009 a Site Pluto si svolse l’esercitazione Lion Focus, sotto la supervisione del Comando US Africom di Stoccarda e del Joint Warfighting Center di Norfolk (Virginia) per “preparare il quartier generale della Joint task force SETAF-US Army Africa nell’esecuzione del comando delle operazioni in Corno d’Africa in supporto delle missioni assegnata alla Combined Joint Task Force-Horn of Africa (CJTF-HOA), la forza militare di più di 2000 uomini di stanza a Gibuti”. Nel maggio 2011, durante un’altra esercitazione a Longare, è stata attivata una specifica postazione di comando di “pronto intervento” (Early Entry Command Post – EECP) destinata a diventare la Forward Command Post (FCP), uno dei maggiori centri di comando per le operazioni di US Army Africa. Per Vicenza e dintorni, si profila un futuro di ulteriore militarizzazione del territorio. Ma intanto i cittadini di Longare e dintorni si preoccupano delle sagre e altre amenità. Prima o poi dovranno scuotersi dal loro torpore. Ma forse sarà troppo tardi. O è già troppo tardi?
    Gianni Sartori

  7. P.S. Non sono pensionata, e, pur facendo la pendolare da 20 anni, ho intenzione di metter su famiglia in Valle, proprio perchè amo il mio “giardinetto”. Combatto e mi indigno non solo perchè sarebbe l’ennesimo scempio ambientale, ma anche e soprattutto perchè sarebbe l’ennesimo esempio di opera costruita per il bene di pochi, quelli che vogliono la concessione e che, come ha scritto Irma, forse nemmeno la costruirebbero, essendo un’opera IMPAGABILE. Diverrebbe l’ennesimo salasso per gli stessi cittadini ai quali dovrebbe cambiare la vita. Lo dice lo stesso Presidente Schneck!!!
    http://sgresendaminti.blogspot.it/2013/08/che-bale-valdastico-nord.html

  8. Ma quale turismo!! Vorrei sapere dove abiti, caro Marco, per capire se parli con cognizione di causa. Io abito in Valle dell’Astico da 40 anni ormai e l’unica consapevolezza è che se dovesse passare l’autostrada sarebbe la morte totale del territorio. Chi ama veramente quella terra, le è rimasta fedele anche se “non c’è nulla” se per nulla si intendono ristoranti chic, cinema, pub ecc., perchè il vero tesoro è l’ambiente, la tranquillità che si respira. L’unico sbocco per la valle sarebbe una riscoperta dell’agricoltura (cosa che alcuni giovani stanno già facendo), e sviluppare attività che sempre a quell’ambito si collegano. L’autostrada NON porterebbe nè sviluppo nè turismo, ma farebbe scappare quella gente che si “accontenta” di andare a sugli impianti di Folgaria di inverno o al lago di Lavarno d’estate (fermo restando che il Lago permanga, dopo che la galleria di valico gli passerà appena sotto). Caro Marco, non fermarti a quanto dicono quei politici che, come altri, sguazzano nei conflitti di interesse (Schneck, Presidente della Provincia nonchè di Autostrade BS PD, indagato per le scorie rinvenute in Valdastico sud docet..). Leggiti quanto abbiamo raccolto http://www.novaldasticonord.info/ nella speranza che tu possa allargare le tue vedute e rinsavire…. Denise del Comitato NO Valdastico NOrd

  9. La Valdastico Nord è un’opera che s’ha da fare. Sarà un volano per l’economia e rilancerà completamente anche il turismo in una zano lasciata a se stessa dal menefreghismo di chi guarad solo al proprio interesse. Poi due cose sono fin troppo chiare: 1) pretendere che non si faccia l’autostrada perché alcuni politici rubano, è come sostenere che siccome si muore non ha senso far nascere nuovi neonati; 2) dispiace per tutti quei residenti che oltre il proprio giardino davvero non riescono a guardare e che, naturalmente, disturbati nella loro pacifica vita da pensionati dalla nuova autostrada, non si rendono conto che senza un rilancio economico forte il territorio morirà con loro – ma a loro, evidentemente, non interessa poi tanto delle nuove generazioni.

  10. tranquilli….buona parte dei mafioveneti che “avrebbero” costruito la Valdastico sono gia’ al gabbio.

    Galan l’ha magna’ massa e adeso l’e’ in cura dimagrante.

  11. che questi politici sempre pronti a tuffarsi in ogni polemica, rissa, meglio se davanti le telecamere, sono muti come pesci in materia di cemento o asfalto: parola d’ordine bocche cucite, ma dietro le quinte un lavorio di alacre affarismo. Non resta che dire chiari nomi e cognomi con la massima pubblicità possibile, sapendo che la lotta per l’ambiente in Italia è sempre dura.
    un saluto Carlo Romoli

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