Puglia: a Bisceglie la nuova area industriale si chiama “paesaggio eco-produttivo”!

Bisceglie

Il volto “green” del Comune e gli scheletri negli armadi

La vaghezza di certi concetti espressi durante le occasioni di comunicazione istituzionale, può essere utilizzata ad arte per trasmettere un’immagine che confonde, quando non mistifica, la sostanza del proprio agire. Non si può, pertanto, non rimanere perplessi di fronte a provvedimenti che contraddicono, nei fatti, quanto ci si affanna a ribadire nelle scarne occasioni di confronto tra Comune e cittadini.

Dall’analisi del recente documento che raccoglie le osservazioni del Comune al Piano Paesaggistico Territoriale Regionale (PPTR), adottato con delibera della Giunta Regionale n° 1435 del 2 Agosto 2013, emerge, in maniera inequivocabile, quali siano gli indirizzi condivisi dall’attuale Amministrazione in materia di gestione del territorio e conservazione del paesaggio. Limitandoci alle valutazioni delle prescrizioni che il PPTR prevede per il territorio di Bisceglie, è semplice notarne la coerenza di fondo e definirne, cosi, le linee di tendenza: la conservazione del patrimonio storico architettonico e paesaggistico esistente e lo stop al consumo indiscriminato di suolo agricolo.

Tali prescrizioni sono oggetto, in varia misura, di contestazione da parte del Comune che in un arzigogolo di preamboli e puntualizzazioni ribadisce, nella sostanza, di non voler ostacolare in nessun modo la cementificazione già programmata.

La zona ASI ed “Il nuovo paesaggio eco-produttivo”: apologia del cemento

Com’è possibile non discutere pubblicamente di un progetto che, per le sole opere di urbanizzazione primaria, prevede un investimento di quasi 18 milioni di euro nei prossimi tre anni? 

È quello che accade oggi a Bisceglie con la nuova zona industriale di sud-est, identificata eufemisticamente nei documenti preliminari del futuro Piano Urbanistico come “nuovo paesaggio eco-produttivo” e la cui perimetrazione è stata valutata ufficialmente dal Consorzio ASI (l’Area di Sviluppo Industriale di Bari).

La futura zona ASI comprende un area di 250 ettari, una superficie pari a circa cinque volte quella della Città del Vaticano. […].

Con una subdola operazione semantica si vorrebbe far passare come “ecologico” un intervento che in un colpo solo fagociterà il 4% dell’intero territorio agricolo comunale, con un incremento della superficie cementificata del 30% rispetto a quanto già costruito; sulla base delle indicazioni previste dalle Norme Tecniche di Attuazione al P.R.G., si prevedono, infatti, 4,5 milioni di mc di fabbricati ad uso industriale, pari a 22 Empire State Building!

Un pessimo affare

I rilievi che sono stati fatti entrano nel merito della questione. Tuttavia la perimetrazione della zona ASI è discutibile anche nel metodo. Il Comune agisce in nome di un documento urbanistico che non è stato ancora adottato (il PUG) e nel contempo fa appello al documento vigente (il PRG), insomma due piedi in una scarpa. Burocratizzando il dialogo con le istituzioni sovraordinate, l’Amministrazione cela di fatto quello che realmente è mancato e continua a mancare: la partecipazione dei cittadini alle scelte comuni. Appare una forzatura decidere le sorti di 250 ettari di prezioso suolo agricolo, nonché di un’area paesaggisticamente rilevante, senza che aver coinvolto nella scelta tutta la cittadinanza.

Inoltre, macroscopica risulta l’approssimazione rispetto alla valutazione sulle eventuali ricadute che la creazione di un’area produttiva cosi ampia avrebbe sul nostro territorio.

Non risulta esserci un piano industriale degno di questo nome e non è chiaro quali tipologie di “industrie” andranno ad occupare gli spazi previsti.

Quello che verosimilmente potrebbe accadere è una replica di quanto visto per la zona industriale di Molfetta che, a distanza di venti anni dal suo concepimento, mostra tutti i segni di una crisi che morde, tra capannoni semivuoti e grandi marchi del commercio che continuano a sopravvivere, a danno del delicato tessuto imprenditoriale locale.

Ci si domanda inoltre, quali sono i costi legati alla riduzione di suolo agricolo, alla manutenzione dell’area produttiva, agli effetti sul ciclo dei rifiuti e quelli sul tessuto commerciale esistente?

Questa sgangherata operazione di “valorizzazione” va contro ogni logica economica e si pone in antitesi rispetto alle reali vocazione del nostro territorio, ricco, malgrado tutto, di specificità produttive nella filiera agroalimentare e di peculiarità storico-culturali e paesaggistiche.

L’auspicato “nuovo” scenario di sviluppo ”industriale” non sembra affatto soddisfare i tanto sbandierati criteri di sostenibilità. Questa classe dirigente appare sempre più ideologicamente inadeguata ad affrontare la sfida di garantire un futuro al nostro territorio.

Provvedimenti calati dall’alto e di carattere speculativo appaiono sempre più con il fiato corto, nella consapevolezza che il benessere della nostra comunità non è raggiungibile senza una reale condivisione degli obiettivi.

Davide Di Tullio

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