Nuovi vigneti e noccioleti: come cambierà il paesaggio dell’Alta Langa e delle Terre Unesco?

di Alessandro Mortarino.

Provo a mettere assieme due notizie – disgiunte – sul fronte agricolo per proporre una necessaria riflessione collettiva. La prima notizia riguarda il recente Bando della Regione Piemonte che consentirà l’incremento delle superfici vitate per la coltivazione di uve da cui trarre lo spumante Alta Langa DOCG: 100 ettari nei prossimi due anni. La seconda è il “Progetto Nocciola Italia”, promosso dalla Ferrero Halzelnut Company (divisione interna del Gruppo Ferrero) per la riconversione e valorizzazione di ampie superfici del nostro territorio: 20.000 ettari di nuove piantagioni di noccioleto previste entro il 2025 in tutta Italia. Due ottime notizie sotto il profilo dell’economia del territorio. Ma altrettanto ottime dal punto di vista della tutela paesaggistica? …

So bene di toccare un argomento spinoso: le due distinte iniziative hanno un significato importante per le aziende piemontesi (e non solo) e non vanno demonizzate. Ma una riflessione occorre, perchè necessariamente qualcosa cambierà nello scenario del nostro paesaggio ed è utile ragionarne ora, prima che le spesso criticate monocolture (in questo caso le bicolture …) diventino il nuovo emblema di territori che oggi ancora conservano, a fatica, tracce di sana biodiversità o che sono diventati patrimonio dell’umanità sotto tutela.

La domanda istintiva è: quei 100 ettari di Pinot Nero e Chardonnay di nuovo impianto prenderanno il posto di che cosa? Di boschi? Di prati? Di incolti? Di vigne abbandonate?

Sappiamo che il Consorzio Alta Langa Docg ha avviato un progetto di studio e ricerca sulle radici storiche e antropologiche più profonde delle alte terre di Langa – denominato “Patto con la Terra” – e immaginiamo che questo significhi una grande attenzione a non stravolgere il territorio. Questo “Patto con la Terra” sarà condotto insieme a Piercarlo Grimaldi dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo. Ma in cosa consiste?

Il patto stipulato con la terra che impegna il Consorzio a custodire il territorio che i nostri antenati ci hanno consegnato con altruistico e generoso amore deve essere a fondamento di un ereditato sviluppo antropico educato e civile che nel passato riconosce le ragioni logiche e affettive per progettare il futuro”, dice Piercarlo Grimaldi. “Occorre, dunque, impegnarsi a recuperare i gesti e le parole che ancora conservano la memoria attiva della tradizione. Si tratta di un lavoro di ricerca che deve riportare alla luce le forme e le pratiche del mondo contadino. I saperi di un passato che hanno sempre dialogato con la natura in un quadro di reciproco rispetto tra terra e uomo. È questa l’eredità materiale e immateriale che il Consorzio vuole contribuire a raccogliere e conservare per testimoniare la profonda conoscenza di queste colline che oggi si presentano con due destini a volte contrapposti. La campagna delle terre basse ha conosciuto uno sviluppo che non sempre armonicamente si è integrato nel paesaggio, originando una traiettoria spazio-temporale che ha abbandonato la circolarità del tempo della tradizione, per rappresentarsi come un retta che non conosce più il saggio e mitologico tempo dell’eterno ritorno che, invece, si conserva sulle terre alte”.

Parole sagge. Ma in concreto? Sarebbe importante saperne di più, da subito; e al momento è difficile reperire altre informazioni …
E come se non bastasse, sappiamo che complessivamente per il 2018 il Piemonte ha già richiesto un incremento della sua intera superficie vitata per ben 1.037 ettari.

Per quanto riguarda i nuovi noccioleti, 20.000 ettari non sono una dimensione trascurabile: diciamo che non sono noccioline … e significano un incremento di superficie produttiva pari al 30% di quella già presente.
Negli ultimi anni, il nostro Piemonte ha visto crescere la coricoltura in aree impensabili e fino alle pianure e ai lembi del Tanaro. Uno sviluppo già frenetico e senza pianificazione, alla presenza del proliferare di cimici che costringono già ora a ripetuti trattamenti chimici di sintesi.
Anche in questo caso sarebbe utile capire dove troveranno spazio i nuovi impianti previsti: esiste una mappatura delle aree? Quanti ettari riguarderanno il Piemonte? E ciascuna altra regione? Esiste un “Patto con la Terra” anche per i noccioleti (e possiamo analizzarlo)?

Insomma: parliamone e ragioniamone. Con la giusta serenità. Perchè l’economia ha le sue ragioni, ma l’ambiente, il paesaggio e la salute non sono la “seconda scelta”: la vita è una sola …

 


 

Così ci risponde Giulio Bava, Presidente del Consorzio Alta Langa:

In riferimento alla sua richiesta in merito all’impatto che potrebbe derivare dall’ampliamento del vigneto Alta Langa, le voglio innanzi tutto segnalare la centralità del territorio nei valori fondanti del Consorzio e nell’identità del vino da noi tutelato …

I nostri valori sono condivisi tra i produttori e non sbandierati per proclami ad effetto, Il “Patto con la terra” che il Professor Grimaldi ci ha aiutato a sviluppare, è un principio che pone al centro il territorio di produzione dell’Alta Langa dove “vive ancora una natura antropizzata con educazione, percorsa in punta di piedi dai nostri progenitori, testimoni di tradizioni, gesti e parole che le colline più basse non sempre hanno patrimonializzato con la stessa cura.  A partire da queste ragioni, quelle dei nostri padri, il Consorzio Alta Langa, che ha avviato una viticoltura sostenibile e armonica al delicato biodiverso tessuto di queste colline, vuole impegnarsi in un patto di fiducia e di onestà. Una sincera quanto robusta stretta di mano con questa terra, al fine di contribuire alla custodia delle colline alte e dei loro valori, nel rispetto e valorizzazione dei ritmi costitutivi delle stagioni e delle lune. Un patto volto a recuperare le scansioni rituali del calendario contadino della tradizione, che nel tempo del risveglio, della maturazione e del sonno del ciclo agrario ritrova le ragioni più profonde per ri-conoscere le buone pratiche del vivere insieme, che sono a fondamento della comunità contadina.

Lo sviluppo del vigneto dell’Alta Langa docg, ispirato a questi principi, è armonico e sostenibile e mira a mantenere la viticoltura in zone marginali offrendo ai contadini che vivono in quelle zone la possibilità di sostituire colture a basso reddito con altre economicamente sostenibili, si tratta quindi di usare uno spazio già usato convertendo le varietà coltivate o trasformando gli incolti.

Infine sul territorio di produzione dell’Alta Langa che, come avrà visto dal nostro sito è di ben 146 comuni suddivisi in tre province, cento ettari sono poca cosa e non possono che avere un riscontro positivo sull’impatto paesaggistico e auspico che lei voglia contribuire a diffondere questo messaggio di rispetto e valorizzazione che il Consorzio e le aziende portano avanti da una trentina d’anni.

Giulio Bava, Presidente Consorzio Alta Langa

 

3 commenti

  1. spettabile Gianni Sartori,

    le sue riflessioni si potrebbero utilizzare in fotocopia nelle Langhe ed anche nella zona del Moscato.
    Siamo passati dal giusto tentativo di dare valore ed identità e migliori condizioni di vita ed ambientali, alla trasformazione del territorio, particolarmente segnato da un’afflusso di “strani imprenditori”, per usare un’eufemismo, dal Monferrato alle Langhe, favoriti dalla visione globalizzante del commercio vinicolo che distruggerà,come già si è verificato nella storia dell’umanità, la gallina delle uova d’oro e come si verifica, a livello mondiale, in tutte le forme di monocoltura intensiva.
    Senza un ritorno equilibrato a forme di policoltura, anche in ambito collinare, ad una visione prioritaria, almeno bio-continentale, per tutti i prodotti, compresi quelli tecnologici, per una sobrietà produttiva ad economia circolare ed a valori diversi da quelli proposti nei terrazzi gastronomici dei grattacieli del mondo (compreso quello del San Paolo di Torino, )affonderemo tutti nella Disneyland da TRUMAN Show dei gastrofili metropolitani, come già si verifica ora in Langa….
    Purtroppo la scarsa comprensione del significato profondo di “paesaggio culturale” sta trasformando l’iniziativa dei paesaggi UNESCO in un supporto acritico alla lotta contro gli incolti o simili bestialità, senza tener conto che senza futuri boschi accanto alle vigne…gli ambienti e gli ecosistemi collassano …
    La lezione delle passate alluvioni a Canelli, non è servita !!!
    Per cui, dato che non si tratta di ritornare alle cascine con la pellagra ed il cesso fuori, speriamo in forze politiche che si oppongano al modello opposto e cioè a quello SHANGAI-MANHATTAN-HONK-KONG delle megalopoli ed a conseguenti commerci spropositati di milioni di bottiglie, profondamente impattanti per gli ecosistemi in cui esse vengono prodotte.

  2. RAGIONE? OLTRE, PERFETTAMENTE .MONOCULTURE INTENSIVE ED ESTENSIVE, GRANDIOSE, SE POI CI ARRIVERà UN BEL BRUCO A DEVASTARLE, CALAMITà NATURALE E SI PAGA TUTTI!

  3. IL VINO DEI BERICI e gli “effetti collaterali”

    (Gianni Sartori)

    Anche sui Colli Berici sta dilagando la “fabbrica diffusa” delle speculazioni vinicole: devastanti per il paesaggio e altamente inquinanti.

    Colli Berici, a sud di Vicenza. E in particolare la fascia che sovrasta la Riviera Berica. Ne parlo in quanto cittadino, non certo esperto di chimica o agricoltura industriale (l’aggettivo è obbligatorio di questi tempi). Da persona che un giorno sì e un altro anche deve precipitarsi a chiudere finestre e balconi per arginare il pestilenziale aerosol che uomini in tuta bianca (e maschera antigas dal doppio filtro) spandono con gli atomizzatori spensieratamente lungo i filari a pochi metri dalle abitazioni. Irrorando anche gli ignari pedoni o ciclisti che transitano sulle “pedemontane” (pista ciclabile compresa). In teoria, ma solo in teoria, ci sarebbero delle distanze da rispettare: 30 metri in primavera e 20 in estate da strade e case. Ma siamo nel profondo Nordest…qua la gente lavora, cazzo!
    Se la fauna indigena (uccelli, anfibi, farfalle…) langue, patisce e scarseggia, in compenso sui Berici si vanno diffondendo come la peste altre categorie che non mi sembra arbitrario definire “altamente nocive”. Parecchi i piccoli imprenditori riciclati provenienti dall’edilizia, ma non mancano professionisti (notai, dentisti, avvocati, giudici…) e pensionati di lusso. Tutti impegnati a speculare sulla monocultura della vite (letteralmente la “nuova industria del NordEst”, stessa scuola della palma da olio in Indonesia, immagino) avvelenando l’aria e i terreni con una mistura infernale di veleni, pesticidi tossici, sostanze cancerogene e interferenti endocrini vari.
    Tra cui anche l’ormai tristemente noto glifosato, responsabile delle inquietanti strisce arancioni (“agent orange” vi ricorda qualcosa?) tra i filari. Il famigerato erbicida stava per essere bandito dall’Europa, ma da ‘ste parti invece si continua a usarlo (fino a “esaurimento scorte” forse?).
    Succede in “campagna” (in Veneto si fa per dire: diciamo quanto ne rimane nel dilagare di aree cementificate industriali-artigianali) come in collina.
    Da notare che sovente i responsabili sono gli stessi. Ossia chi ha già devastato la pianura costruendo capannoni poi magari si accaparra un buon ritiro dove giocare al contadino con modalità da piccola industria. Utilizzando per lo più forza lavoro costituita da immigrati (marocchini, sikh…), sottopagati e in nero.
    Questo il paesaggio con rovine in cui sprofondano le mitiche ville palladiane.
    Come nel trevigiano e nel veronese (oltre ovviamente al Friuli), la febbre del prosecco e affini ormai dilaga anche nel bellunese e nel vicentino.
    Obiettivo quasi raggiunto per gli speculatori, la produzione di oltre mezzo miliardo di bottiglie (parlando solo di prosecco) entro il 2019. Da esportare, preferibilmente, in Stati Uniti e Gran Bretagna. Ma anche Russia e Cina non scherzano, pare.
    Prezzo da far pagare alla collettività: sbancamenti, distruzione del bosco, inquinamento diffuso. Ieri in Altamarca (beffardamente proposta come Patrimonio dell’Umanità all’Unesco), oggi sui Colli Berici.
    Le colline intorno a Longare, Castegnero, Nanto, Mossano, Barbarano, Villaga, Sossano, Alonte…vengono sottoposte a quel tipo di trattamento che era già ben conosciuto da Maserada, Sernaglia, Valle del Soligo, Vittorio Veneto, Valdobbiadene, Conegliano…
    Stiamo parlando di quel territorio e di quel paesaggio che Zaia ha definito “un presepe” (vedi recente intervista su “La Repubblica”). E per fortuna non ha aggiunto “vivente”….(vanno di moda da ‘ste parti: da Scaldaferro a San Donato di Villaga), visto e considerato l’inquinamento sedimentato non solo tra le vigne. Non è qui che un paio di anni fa – dovendo transitarvi il Giro d’Italia – qualche sindaco aveva proibito di irrorare almeno per l’intera settimana che precedeva il Giro? Forse paventando la pessima ricaduta di immagine nel caso che qualche ciclista si “voltasse via”?
    L’anno scorso veniva nuovamente denunciato da Legambiente l’ulteriore ampliamento dell’area destinata alla coltivazione della vite (altri tremila ettari, da 20.250 a 23.250) per la produzione del prosecco doc (“controllata”?).
    Lo scopo di questo ulteriore ampliamento (a spese – ricordo – del bosco e della biodiversità), responsabile di ulteriore sfruttamento e devastazione per il territorio, sarebbe “ garantire la stabilità e l’equilibrio del mercato” (neoliberismo, malattia cronica del capitalismo).
    Per quanto riguarda il prosecco in particolare (ma il discorso vale in generale) in un editoriale della Nuova Ecologia si poteva leggere:
    “I vigneti di glera, il vitigno da cui si ricava il prosecco (segnalo che secondo alcuni autori il ceppo originario del Glera Balbi potrebbe aver avuto origini proprio sui Colli Berici – doverosa citazione de “Il roccolo” di Aureliano Acanti nda) vengono piantati dove storicamente non ci sono mai stati, anche in aree paludose o esposte a nord, non vocate per clima e composizione del terreno: questo implica un utilizzo ancora maggiore di fitofarmaci. I trattamenti, poi, si fanno in momenti diversi, perché ciascun viticoltore decide in autonomia quando farli (“liberisticamente”, in totale deregulation nda), quindi ogni anno è un’irrorazione continua fra primavera ed estate”.
    E continuava: “Il vero problema è la diffusione della monocoltura. Si pianta ovunque: in mezzo alle case, vicino ai corsi d’acqua”.L
    Quanto ai – presunti – regolamenti regionali introdotti per limitare l’uso di fitofarmaci nelle aree urbanizzate (come appunto i paesi, ampliatisi a macchia d’olio in anni recenti, del Basso Vicentino) e il divieto – sempre presunto – di utilizzare gli erbicidi, vengono ampiamente inficiati dalle numerose deroghe promosse dalle amministrazioni locali. Fatta la legge (a scopo propagandistico?) si scopre l’inganno. Ossia che si tratta solo di “suggerimenti” NON obbligatori.

    Forse a scopo mimetico-propagandistico, nel 2011 il Consorzio del prosecco superiore Doc aveva adottato un protocollo viticolo che prevedeva “una riduzione dei prodotti chimici da utilizzare nei vigneti, escludendo del tutto i più pericolosi per la salute umana e l’ambiente”.
    Ma anche qui l’adesione era “su base volontaria”.

    Ribadisco. Sui Colli Berici troppi vigneti si vanno espandendo, sostituendosi a quanto rimaneva dei boschi . Un vero e proprio stravolgimento del paesaggio ottenuto con brutali sbancamenti e livellamenti, interrando doline e demolendo affioramenti rocciosi. In genere con le ruspe, talvolta (vedi anni fa sopra Castegnero) utilizzando l’esplosivo. Oppure (era accaduto a San Gottardo) è l’intera sommità di una collina a essere spianata.
    Come si era detto ormai la produzione di vino (e di prosecco in particolare) sta diventando la “nuova industria del Nordest”.
    L’attuale “corsa al vigneto” è sostanzialmente opera di speculatori in gran parte provenienti dal mondo della piccola impresa (sia dall’industria che dall’edilizia), culturalmente estranei all’agricoltura tradizionale, senza legami affettivi con il territorio in cui vedono soltanto una possibilità di sfruttamento e rapido arricchimento.

    Altro che “Patrimonio dell’Umanità”! Patrimonio del capitalismo e del profitto, piuttosto.

    Gianni Sartori

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