Fare spazio alle attività culturali: una guida per l’azione

Gli spazi culturali conviviali vanno difesi dove sono sotto pressione, riconquistati dove sono sottratti, rivendicati dove possono essere attivati. Qui la prima guida di eddyburg, redatta in collaborazione con eutropian, per Fare spazio alle attività culturali.

FARE SPAZIO ALLE ATTIVITÀ CULTURALI
Nelle città europee e italiane sono presenti luoghi accoglienti e democratici nei quali si svolgono attività culturali che possono essere intese come una forma avanzata di welfare, inclusiva e abilitante, alla quale possono partecipare attivamente persone con storie e risorse differenti. Talvolta si tratta di strutture specializzate per la fruizione della cultura (biblioteche, musei, case della città), gestite e organizzate in modo innovativo. In altri casi, di strutture ideate da gruppi e associazioni per coniugare socialità, cultura ed economia, e gestite in modo indipendente o persino conflittuale con le istituzioni.

Nelle città si trovano anche molti luoghi abbandonati e sotto-utilizzati, pubblici e privati, che potrebbero ospitare attività culturali e sociali, ma qualcosa lo impedisce. A volte è colpa della speculazione edilizia: le aree sono immesse sul mercato per ricavarne il massimo guadagno possibile. Altri edifici rimangono vuoti perché nessuno è in grado di prenderne cura, o perché occorre presentare progetti impegnativi, fuori dalla portata di chi si occupa di attività sociali e culturali. E può accadere che norme e regolamenti impediscano il riuso, nonostante associazioni e cittadini abbiano presentato una richiesta.

Ad esito di un percorso di ricerca e di confronto, abbiamo constatato che gli spazi culturali conviviali sono – oggi – un servizio d’interesse generale, indispensabile per rispondere all’istanza di costruzione di una società multiculturale, più solidale e coesa. Gli spazi culturali che abbiamo in mente sono, principalmente, luoghi conviviali. Non serve definirli in modo preciso, ma è importante sottolineare che cosa li rende speciali: sono luoghi inclusivi, flessibili, accessibili, belli ma non omologati, democratici e attivi. La varietà delle strutture ne rende possibile la diffusione nelle città e nei paesi più piccoli, nelle aree centrali e in quelle più esterne, nei luoghi aulici e nelle frange urbane.

Abbiamo costatato il loro potere generativo: ovunque sono presenti, gli spazi culturali diffondono effetti positivi sulle persone coinvolte direttamente, sui fruitori assidui e occasionali, sul contesto circostante. La loro presenza contribuisce a costruire quotidianamente la multiculturalità, a legare in maniera costruttiva le diversità, a rendere la società più solidale, e a fare della città un luogo vivibile e accogliente.

UNA GUIDA PER L’AZIONE
Gli spazi culturali conviviali vanno difesi dove sono sotto pressione, riconquistati dove sono sottratti, rivendicati dove possono essere attivati. Attorno agli spazi culturali è possibile e necessario costruire un terreno di azione politica che metta al centro dell’attenzione la città e l’urbanistica.

Aggiornare il quadro normativo. Le regole urbanistiche sono importanti perché sanciscono le regole a garanzia dell’interesse generale. Tra le più importanti, gli standard urbanistici – introdotti nel 1968 – stabiliscono le dotazioni minime di spazi pubblici che devono essere garantite ovunque. Nelle leggi regionali e nei piani urbanistici possono essere introdotti dispositivi normativi che integrino le disposizioni nazionali, per:

sancire la presenza obbligatoria di spazi culturali – adeguati per caratteristiche, localizzazione e fruibilità – all’interno della gamma di attrezzature pubbliche che concorrono alla dotazione complessiva di spazi pubblici;

sottrarre alla trasformazione immobiliare gli edifici e gli spazi aperti di proprietà privata che, per posizione, caratteristiche e rilevanza nelle vicende urbane, opportuno riservare ad attività culturali con valenza sociale;

impedire l’alienazione di beni pubblici che possono essere riutilizzati per attività culturali con valenza sociale ed essere gestiti in modo economicamente responsabile sostenibile, anche attraverso attività di tipo economico complementari e coerenti con le prevalenti finalità sociali;

indirizzare il concorso delle risorse private al rafforzamento dell’offerta di spazi culturali, nelle iniziative che producono valorizzazione immobiliare;

conferire uno statuto speciale agli immobili affidati in gestione ad associazioni e istituzioni che possono dare risposte alle domande culturali.

Sostenere le iniziative. L’esperienza ci ha insegnato che le norme urbanistiche non possono, da sole, assicurare la presenza diffusa di spazi culturali accoglienti, democratici e vitali. Per di più, cambiare le leggi e i piani richiede tempo e una sensibilità politica differente. Tuttavia, i seminari, le visite guidate e gli incontri con le persone impegnate in questo campo ci hanno aiutato a individuare cinque passi che possono essere compiuti fin d’ora, da amministrazioni locali virtuose o da associazioni civiche che intendano mobilitarsi. Ad ognuno abbiamo dedicato un paragrafo di queste linee guida, nella convinzione che possa essere utile per fare in modo che qualcosa accada.

CINQUE PASSI DA COMPIERE PER FARE SPAZIO ALLE ATTIVITÀ CULTURALI

1. Mappare i luoghi da riservare
Uno spazio ci vuole. Una sede è importante, non solo perché consente di svolgere le attività in modo continuativo e di programmarle nel tempo, ma anche perché gli spazi culturali sono un punto di riferimento della vita di quartiere e della città. Sono un luogo conosciuto e riconosciuto. Non occorre necessariamente costruire nuove strutture e grandi contenitori: le città sono ricche di spazi dismessi, sottoutilizzati o in via di trasformazione, che possono essere adibiti, in modo temporaneo o permanente a spazi culturali, con interventi ridotti e con l’impiego di materiali, elementi, tecniche facilmente riciclabili e reimpiegabili. Mapparli è il primo passo.

2. Individuare i soggetti da ingaggiare
Il tutor è la figura chiave. Non basta disporre di uno spazio. Perché diventi un punto di riferimento della città occorre progettarlo, attrezzarlo e gestirlo. Si devono mettere in relazione saperi e competenze differenziate, nel pubblico e nel privato, nell’economia e nell’amministrazione. Servono energie e competenze che non necessariamente sono possedute dagli operatori culturali, dalle associazioni civiche, dalla pubblica amministrazione.
È necessaria una figura di pivot che sappia concepire un solido piano d’azione e operi con continuità e per un periodo di tempo sufficiente ad assicurare la sostenibilità delle iniziative. Le professionalità esistono. Ingaggiare i soggetti giusti è il secondo passo.

3. Trovare le risorse da impiegare
I soldi servono, ma non sono il problema. Si possono fare molte cose, anche con le poche risorse disponibili, se impiegate con intelligenza. Esistono modelli consolidati di finanziamento che possono essere calibrati sulle specifiche iniziative, basate su un mix di attività economiche e no-profit, su finanziamenti a lungo termine di banche etiche e fondazioni, sul sostegno attraverso misure pubbliche ( anche di tipo indiretto, riguardanti i canoni di concessione, le spese di manutenzione straordinaria, ecc.), sul crowdfunding. Si può sfuggire alla trappola della valorizzazione market-oriented finalizzata alla sola estrazione del valore immobiliare: guardare a modelli consolidati, europei e italiani, è il terzo passo.

4. Individuare gli ostacoli da rimuovere
Aggiornare le regole per cambiare passo. Affidi, concessioni, comodati, bandi. Manutenzione e ristrutturazione. Le istituzioni possono intervenire nell’ambito della regolazione minuta (in capo ai settori del patrimonio, del commercio, della pubblica sicurezza, dell’edilizia, degli appalti, …) per non ostacolare e, se possibile, per dare gambe alle iniziative della cittadinanza attiva. Allo stesso tempo, solo le istituzioni possono garantire che gli spazi culturali possano sopravvivere, anche in caso di declino dei soggetti che ne hanno promosso l’attivazione. E possono collaborare con tutti i soggetti coinvolti, e soprattutto con il tutor, affinché siano verificate nel tempo le sue ricadute delle iniziative, sul corpo sociale e sulle politiche urbane. Adattabilità è la parola chiave per assicurare il presidio delle iniziative, per correggerne i difetti, per apprendere e fare leva sui successi. Stabilire una collaborazione fattiva tra pubblica amministrazione e iniziative civiche è il quarto passo.

5. Dimostrare che si può fare
Puntare su un esempio per ispirare altre azioni e costruire una rete. La città e le politiche urbane costituiscono un milieu necessario per fare sì che le iniziative possano darsi forza l’una con l’altra, contagiarsi, collaborare. Tuttavia, le cose non nascono dal nulla. I progetti bandiera hanno un potere al contempo concreto e ispirativo perché incidono nel reale e modificano l’immaginario collettivo. Per questo occorre puntare su un esempio che faccia da capofila. Sostenerlo e comunicarlo è il quinto passo.

Documento scritto da Mauro Baioni, in collaborazione con: Donato Belloni, Ilaria Boniburini, Edoardo Salzano (associazione eddyburg) Daniela Patti, Levente Polyak e Jorge G. Mosquera (eutropian.org)

Qui il documento in PDF.