Dietro la crisi delle grandi imprese di costruzioni ci sono i controlli dell’Autorità nazionale anticorruzione

di Alessandro Mortarino.

La Cooperativa muratori e cementieri (Cmc) di Ravenna è uno dei più importanti e storici gruppi italiani del settore delle costruzioni. Fondata a Ravenna il 7 marzo 1901 da 35 muratori, produce oggi all’estero oltre il 60% del suo fatturato ed è attualmente presente in circa 40 Paesi di 4 continenti, operando anche nel settore dei trasporti, dell’idraulica, dell’energia, dell’edilizia, dell’ecologia e ambiente nonché in ambito marittimo e portuale. Lo scorso anno ha chiuso il bilancio con un fatturato di 258,2 milioni di euro.
Un colosso, insomma.

Ma lo scorso 2 dicembre 2018 il suo Consiglio di Amministrazione ha deliberato di richiedere l’ammissione della Società alla procedura di concordato preventivo “con riserva”: gli organi deliberanti di Cmc hanno infatti ritenuto che – nell’attuale frangente di tensione finanziaria di cassa – «questa soluzione rappresenti il percorso più efficace per porre in sicurezza il patrimonio della società e tutelare, in tal modo, tutti i portatori di interessi. Il piano concordatario – volto a conseguire il risanamento dell’esposizione debitoria delle Società e il riequilibrio della propria situazione finanziaria attraverso il presumibile ricorso al concordato con continuità – è in fase di avvio di elaborazione e necessita di ulteriore tempo per essere finalizzato e formalizzato».

E’ crisi. Crisi grave.
Cmc non è la sola ad affrontare un burrascoso momento; altri importanti gruppi italiani navigano in simili acque agitate: Astaldi, Condotte, Grandi Lavori Fincosit e Tecnis. Con Cmc significa circa 22 mila addetti diretti a rischio occupazionale, a cui se ne aggiungono molte altre decine di migliaia negli indotti di riferimento.
Nicola Borzi su “Il Fatto Quotidiano” del 4 dicembre analizza la situazione di crisi di questi grandi gruppi non soltanto sotto il profilo finanziario ma anche sotto quello del mutato quadro di regole previsto dal nuovo codice degli appalti. Il titolo dell’articolo di Borzi è molto eloquente: “Senza il giochino sui lavori i big del cemento affondano“.

Cosa significa?
Lo spiega, nell’articolo, un tecnico che chiede di restare anonimo: «prima della riforma, le imprese di costruzioni facevano utili non tanto sull’opera appaltata ma sulle varianti (i “lavori aggiuntivi non contrattualizzati”), che progettavano da sé perché alle amministrazioni toccava solo depositare progetti di massima mentre ora devono farli di dettaglio o demandarli alle stazioni appaltanti che non sono decollate. Con la riforma, le varianti vanno ora comunicate all’Autorità nazionale anticorruzione. Risultato: su questi lavori le imprese non guadagnano più “pronta cassa” e devono fare causa ai committenti, con tutti i rischi e i tempi biblici del caso».

Le varianti alle opere non contabilizzano mai minori costi totalizzati durante l’esecuzione dei lavori. Ma sempre e solo maggiori costi “imprevisti”.
Costi gonfiati.
Senza i quali anche i “colossi” si scoprono con piedi d’argilla.

Scusate, di cemento…

 

2 commenti

  1. Articolo interessante, ma la curiosità è: Chi ha fatto questa riforma?
    Quando è entrata in vigore? E’ una buona legge?

    1. Come speso accade, il Governo ha nesso a punto una ottima riforma “sulla carta” ma poco applicabile nella prassi corrente: molte ombre, dunque. Ma anche qualche luce: per i controlli ANAC, ad esempio, personalmente ritengo sia stata individuata una strada maestra (perfezionabile, come per tutte le situazioni che hanno a che fare con uomini e comunità …).
      A.M.

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