Tor Bella Monaca, l’ultimo quartiere pubblico

di Paolo Berdini.

L’eterna emergenza abitativa.

Negli anni della Roma di Luigi Petroselli l’emergenza abitativa era tra le questioni più scottanti. Erano numerose le occupazioni di immobili ed è alto il numero delle famiglie alloggiate in pensioni (almeno 600 famiglie) o quelle soggette a sfratto (15.000 in corso di esecuzione). C’è infine un’altra piaga del problema, quella dell’esistenza di numerose baraccopoli abitate da senza tetto. Le giunte di sinistra di quegli anni producono un impegno straordinario per la soluzione del problema. Tra il 1980 e il 1983 vengono realizzati 3.759 alloggi comunali e 1.066 alloggi da parte dell’Iacp. 1200 alloggi ogni anno, una dimensione sconosciuta nonostante in quegli anni fossero stati realizzati alcuni grandi quartieri di edilizia popolare in attuazione del primo piano di edilizia pubblica (Laurentino 38, Torrevecchia, Corviale, etc.). Al numero degli alloggi costruiti, va aggiunto che nel periodo 1976/1981 furono acquistati sul mercato privato 791 alloggi da destinare alle famiglie sfrattate. Oltre alla storica legge 457/78 (Piano decennale di edilizia residenziale), per affrontare il dramma dell’emergenza abitativa erano state approvate in quegli anni due leggi straordinarie, la n. 25/1980 e la n. 94/1982 che introdussero l’istituto della concessione a gruppi privati della realizzazione di quartieri e edilizia pubblica.

Tor Bella Monaca

Il quartiere di Tor Bella Monaca nacque in seguito a questa nuova fase legislativa, in attuazione della legge 25/80 che stanziava 1.000 miliardi di lire per costruire alloggi nelle aree urbane ad alta tensione abitativa. Roma ebbe circa 175 miliardi e iniziò la realizzazione del quartiere. Iniziamo dalla localizzazione. Fu scelta una grande area (188 ettari) nel quadrante della via Casilina, dopo il raccordo anulare, che era già inserita nel piano regolatore di Roma e nel piano di edilizia residenziale pubblica. Il quartiere insedia circa 8 mila famiglie tra edilizia sovvenzionata e cooperative di abitazione e fu realizzato espropriando le aree di proprietà della famiglia Vaselli.
La storia urbanistica di quel settore urbano aveva però mutato profondamente il quadro insediativo in cui era stato pensato il quartiere. L’area era stata infatti circondata da una serie di borgate abusive prive di qualsiasi opera di urbanizzazione,dalle fognature al verde pubblico e alle scuole. Il nuovo quartiere pubblico nacque proprio per fornire a quelle borgate le infrastrutture stradali -tra cui il tracciato di una strada di grande viabilità che collegava il quartiere e le borgate con il Grande raccordo anulare e con la via Casilina- che mancavano e per fornire quel quadrante urbano di un centro amministrativo e culturale in grado di innescare processi di integrazione sociale.
A parte il caso di Ostia lido, Tor Bella Monaca è l’unico quartiere esterno al Grande raccordo anulare ad avere un liceo e un teatro che, specie nell’ultimo decennio, ha rappresentato un valido punto di aggregazione culturale. La sede del municipio è poi il luogo in cui l’esercizio della democrazia trova spazi a disposizione dei cittadini.

Il pubblico che funziona

Oltre a queste importanti caratteristiche, Tor Bella Monaca fu importante anche per un altro elemento. Sulla base delle nuove forme di affidamento offerte dalla legge 25/80, il quartiere fu realizzato nella forma giuridica della concessione. Si costituì infatti un consorzio di imprese costruttrici denominato Isveur – Tor Bella Monaca che rappresentò un fondamentale motore di coordinamento delle operazioni di progettazione e della realizzazione coordinata tra edilizia abitativa, infrastrutture e servizi. Il quartiere fu in tal modo realizzato in meno di tre anni e alla consegna delle abitazioni erano già funzionanti tutte le infrastrutture stradali e le scuole. Un risultato straordinario, il cui merito va ascritto all’amministrazione comunale di Roma che ebbe un fondamentale ruolo di supervisione e coordinamento che interpretò con notevole efficienza. Segno evidente che l’obiettivo di cancellare l’emergenza abitativa dal panorama cittadino e il recupero delle periferie era collocato al primo posto dell’agenda politica della città guidata da Luigi Petroselli.

Il canto del cigno

Al di là di questo importante fattore, la vicenda di Tor Bella Monaca assume una rilevanza storica nella storia urbanistica recente di Roma per almeno tre motivi. Il primo riguarda il flusso dei finanziamenti pubblici indispensabili a fornire soluzione ai problemi della città. Come accennavamo, la legge del 1980 stanziava per le grandi città un finanziamento di 500 milioni di euro, mentre per la costruzione di Tor Bella Monaca furono resi disponibili circa 90 milioni. La realizzazione di circa 4 mila alloggi pubblici in tre anni ha la sua ragione principale nella certezza dei finanziamenti.Il secondo motivo sta, come accennavamo, nella regia pubblica della realizzazione del quartiere.
Fu il clima politico e culturale di quagli anni a perseguire gli obiettivi di recupero dei grandi quartieri di edilizia abusiva circostanti Tor Bella Monaca e della inedita quantità di servizi che vennero realizzati per tentare un processo di integrazione sociale. Il terzo motivo sta infine in una concezione urbanistica interamente pubblica. Al comune di Roma si deve la localizzazione, il progetto generale urbanistico e la messa a punto di una macchina amministrativa che realizzò gli espropri dei terreni in tempi assolutamente perfetti.

Sono questi tre motivi a farci comprendere in quale baratro oggi è caduta l’urbanistica pubblica. I finanziamenti statali per risolvere l’emergenza abitativa non esistono più.

Eppure, per dare soluzione alle circa 100 occupazioni abitative presenti in città, il numero degli sfratti e i casi sociali più drammatici -a partire dai vergognosi residence privati che ci costano circa 30 milioni all’anno- servirebbero meno di 10 mila gli alloggi da realizzare in tempi rapidi come nel 1980. Un risultato a portata di mano se solo si tornasse al governo pubblico dell’emergenza abitativa.

Sul mutamento del clima culturale che ci separa da quagli anni è appena il caso di ricordare che da più di un decennio è stata cancellato dall’agenda politica e sociale ogni riferimento allo stato disastroso delle periferie urbane che sono state conseguentemente abbandonate al loro destino. Infine le condizioni di operatività delle amministrazioni pubbliche. A seguito della sentenza n. 5/80 della Corte Costituzionale, i comuni italiani sono stati privati della possibilità di programmare gli interventi di assetto urbano. Dall’urbanistica pubblica di Petroselli siano passati in pochi anni al “pianificar facendo” e alle “compensazioni” a favori dei poveri proprietari delle aree. Tutti i recenti quartieri di edilizia residenziale pubblica sono come noto fortemente polverizzati e sono nati in un rapporto di concertazione con la proprietà, rappresentano dunque il trionfo anche nel settore dell’edilizia pubblica della speculazione fondiaria. L’urbanistica romana non si è dunque posta più quei grandi obiettivi di assetto urbano che solo la mano pubblica può perseguire.