Un Bosco di sculture alla Bovisa

25 Maggio 2019, ore 6 del mattino. Venti sculture vengono portate in spalla, a pezzi, in sacchetti e scatole, a due a due, un passo dopo l’altro, oltre i divisori che chiudono via degli Ailanti, lungo la stradina interna che porta al muro perimetrale a Nord.
Il continuo passaggio del treno sui binari al di là del muro è l’unico rumore da dentro il bosco; pian piano scompare, via via che ci si addentra. Il cinguettio delle diverse specie di uccelli diventa protagonista, qualche cornacchia gracchia dai rami più alti e il becco di un picchio contro un tronco d’albero risuona come un’eco tutto intorno alla fila di sculture che procede indisturbata.

Dentro il bosco, c’è un sentiero segnato con nastri rossi che si dirama oltre le reti, tra una variegata vegetazione, circondato da banchi di rovi che hanno coperto per intero l’asfalto. Continua attraverso tappeti di edera, intersecandosi con lunghe e forti radici ben salde a terra e costeggiando alberi antichi, alcuni caduti soffocati dalle rampicanti. Il sentiero termina in una piccola radura al cui centro sorge rigoglioso un albero di noci. Lungo quel sentiero, quella ventina di sculture ha trovato la propria casa.

A Nord Ovest della città, tra Bovisa, Villapizzone e Quarto Oggiaro, oggi c’è un bosco di 40 ettari.

L’industria arrivò prima di me e mi riservò un piccolo spazio. Centinaia di uomini si occupavano di processare il gas che serviva ad illuminare le case di tutta Milano e io stavo in disparte, osservando con stupore la fragile imponenza dei gasometri e la verticalità della cisterna dell’acqua.

Nel 1905, l’Union des Gaz di Parigi inizia la costruzione delle nuove officine della Bovisa, in grado di produrre 300 mila metri cubi al giorno di gas.

Terminata la produzione industriale venne la quiete. Cominciai così a diramare le mie radici fin sotto il cemento, spingendo verso l’alto le mie articolazioni, arrampicandomi oltre le strutture in mattone e sommergendo piano piano ciò che l’uomo aveva lasciato.

Nel 1969 si interrompe la produzione del gas e l’area viene dismessa. Dopo esser passata di proprietà in proprietà, l’area viene chiusa definitivamente nel 1994. AEM, ultimo gestore, piantumò diversi filari di alberature, che assieme al vento, alla pioggia e al meraviglioso caso della Natura hanno dato vita a un bosco tipico delle aree di pianura periurbane e delle Prealpi Lombarde.

Hanno trovato casa scoiattoli, lucertole, ricci, conigli e volpi, sorvolati da moltitudini di uccelli di diverse specie e dal vigile gufo reale. Chissà cosa ne sarà di me, l’uomo è tornato ad avanzare con i suoi rumorosi macchinari. Ma sento che qualcuno si è accorto del tempo che ho impiegato per diventare così. Vorrei continuare a vivere, a trasformarmi, io che non ho mai avanzato richieste, che ho sempre offerto riparo, respiro e poesia.
Il vostro Bosco la Goccia.

Ad oggi l’area conta più di 2000 alberi tra tigli, pioppi, robinie, platani, ailanti, noci, pruni e molti altri. Questa vegetazione – più volte minacciata da progetti edificatori – è un patrimonio per la città. Il nuovo Piano di Governo del Territorio di Milano prevede di tenere a verde meno del 50% dell’intera area. Il progetto è quello di allargare il Campus universitario del Politecnico, comprendendo la costruzione da zero di uno studentato, residenze abitative e altri edifici destinati a servizi.

Il 25/05/2019 sono state posate nel bosco 20 opere: un’azione artistica volta a difendere un luogo unico.