Pipistrelli e coronavirus

di Elena Patriarca (Stazione Teriologica Piemontese).

Dovunque vada, in questi giorni, sento parlare di coronavirus e chi mi conosce, sapendo che da molti anni mi occupo di studio e monitoraggio dei chirotteri, cioè di pipistrelli, mi chiede se davvero questi animali siano causa dell’epidemia recentemente sviluppatasi in Cina e se vadano temuti. I media abbondano infatti di articoli e video in cui si afferma che la malattia è stata portata dai pipistrelli. Uno di tali comunicati (1), successivamente corretto a seguito delle proteste dei chirotterologi, induceva addirittura a credere che il virus in questione, preliminarmente chiamato nuovo Coronavirus di Wuhan (2019-nCoV) e poi denominato ufficialmente Covid-19,fosse stato trovato anche in chirotteri piemontesi, e che la popolazione locale dovesse adottare “massima precauzione nell’avvicinarsi agli immobili dove si annidano i pipistrelli”.

Cerchiamo dunque di fare chiarezza. In natura esistono milioni di virus; salvo poche eccezioni, sono innocui per la nostra specie e fondamentali nel mantenimento degli equilibri ecosistemici. Con circa 1400 specie, i pipistrelli rappresentano quasi un quarto dei mammiferi conosciuti. Ci si può dunque attendere che, essendo tanti, ospitino un numero elevato di virus. È anche possibile che tale numero sia amplificato per ragioni evolutive: i pipistrelli sono gli unici mammiferi capaci di volo attivo; durante il volo il metabolismo è accelerato e si producono agenti ossidanti, potenzialmente in grado di causare danni alle cellule; nel corso dell’evoluzione, i pipistrelli hanno dovuto confrontarsi con tale problema e l’hanno risolto sviluppando meccanismi di difesa che li rendono particolarmente resistenti alle malattie, compresi tumori e infezioni virali. Di conseguenza, i pipistrelli sono anche particolarmente longevi, sottraendosi alla regola per cui un animale di piccola taglia ha vita breve: un topo, un toporagno o un’arvicola – mammiferi di taglia simile a quella dei nostri pipistrelli – hanno una speranza di vita di pochi mesi, mentre per molti pipistrelli è accertato il superamento dei 30 anni di vita!

Dalla comprensione dei meccanismi molecolari alla base di queste caratteristiche dei pipistrelli potrebbero derivare interessanti ricadute applicative in campo medico. Ma torniamo alla questione da cui siamo partiti, perché quello che ci siamo chiesti, in fondo, è se i pipistrelli possano accorciarci la vita, non allungarcela…
Ospitare un alto numero di virus non significa poter infettare la nostra specie. Come ben spiegato sul sito web dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (2), in alcune specie di chirotteri sono stati rilevati numerosi coronavirus che sono considerati innocui per l’uomo nonostante l’affinità al Covid-19 e al coronavirus, per vari aspetti simile, che ha causato nel 2002-2003 l’epidemia di SARS. Perché l’uomo venga infettato occorre che ci sia compatibilità fra le proteine di superficie del virus e i recettori delle cellule umane. Ad oggi, tuttavia, nei pipistrelli non sono state identificate varianti di questi virus che siano certamente capaci di legarsi efficacemente ai recettori umani e si ritiene improbabile che l’epidemia in corso, e in passato la SARS, siano state causate da un passaggio del virus da pipistrello a uomo. Detto in altre parole, anche se virus progenitori del Covid-19 fossero presenti in qualche specie di pipistrello, la trasformazione che ha portato all’infezione dell’uomo e scatenato l’epidemia è probabilmente avvenuta in un altro animale, il cosiddetto ospite intermedio.

Nel caso della SARS, numerosi studi hanno individuato in mammiferi della famiglia dei viverridi, oggetto di allevamento e commercio in Asia, gli agenti che hanno trasmesso il virus all’uomo. Il rischio per l’uomo è dunque derivato dal contatto coi viverridi, non con i pipistrelli.
Si sa che parte delle prime persone infettate dal Covid-19 aveva visitato il mercato del pesce di Wuhan, dove vengono venduti animali di molte specie, sia di allevamento che selvatici; si è dunque ipotizzato che il virus sia stato trasmesso all’uomo attraverso un ospite animale venduto nel mercato. Inizialmente, alcuni ricercatori hanno sostenuto che il responsabile fosse un serpente, ma tale ipotesi è stata giudicata improbabile da altri studiosi. Altri ancora hanno poi puntato l’indice su una specie di pangolino utilizzata nella medicina tradizionale cinese e, alla data in cui scrivo (11/02/2020), si attende la pubblicazione su rivista del lavoro che dovrebbe eventualmente comprovare tale tesi. Al momento, dunque, non si hanno ancora certezze sul passaggio animale-uomo, né si può affermare che il mercato del pesce di Wuhan sia stato effettivamente il teatro della trasmissione (benché, fosse anche solo per le pessime condizioni in cui vengono tenuti molti animali in quel mercato, vorremmo che il divieto di commercializzazione disposto per l’emergenza sanitaria diventasse definitivo). Quello che è certo dell’epidemia in corso, è la sua propagazione attraverso il contagio da uomo a uomo. Non dobbiamo dunque temere i pipistrelli, ma semmai i nostri conspecifici, dando ovviamente il giusto peso al rischio. Si stima che il tasso di mortalità fra le persone contagiate sia intorno al 2% (percentuale che potrebbe cambiare con mutazioni del virus); i morti sono stati finora 1018 e i casi di infezione accertati in Italia 3, riguardanti persone contagiatesi in Cina (per dati aggiornati si veda, in calce, (3). Non si sa quanto durerà l’epidemia e quale sarà il suo bilancio finale, ma per valutarne il livello di gravità potrà essere utile considerare che, annualmente, a causa di complicazioni dell’influenza stagionale, si stima che muoiano nel mondo dalle 290.000 alle 650.000 persone (4).

Detto questo, torniamo ai pipistrelli. Abbiamo visto che non dobbiamo temerli, ma forse è il caso di ricordare anche quanto dobbiamo apprezzarli. I pipistrelli sono fornitori di “servizi ecosistemici”: dalla loro attività derivano cioè importanti benefici per la nostra specie. Quantificarli in termini monetari è complesso, ma negli ultimi anni sono stati pubblicati studi che, con riferimento a casi specifici, si sono posti tale obiettivo. Citerò alcuni dei dati che riportano; non sono certamente esaustivi, ma possono dare un’idea.
Negli ecosistemi tropicali e subtropicali, i pipistrelli che si nutrono di nettare o frutti contribuiscono all’impollinazione e alla disseminazione di molte centinaia di piante, comprese specie d’interesse per l’uomo in relazione alla produzione di frutta, legname, sostanze medicinali e altri prodotti commerciali. Per fare un esempio, si deve quasi totalmente ai pipistrelli l’impollinazione delle piante di durian, che nel sud est asiatico è considerato il “re dei frutti”. In Thailandia, il maggior produttore, il valore di mercato del frutto nel 2000 è stato di circa 575 milioni di dollari USA e a livello globale è stato stimato un valore di mercato di circa un miliardo di dollari. In America, negli ambienti tropicali deforestati, attraverso la dispersione dei semi di alcune piante pioniere i pipistrelli sono responsabili fino al 95% della ricolonizzazione vegetazionale. Nella fascia tropicale africana contribuiscono alla disseminazione delle specie arboree che forniscono il 34% del volume di legname esportato. Disperdendo i semi dell’albero del karitè e facilitandone la germinazione attraverso il passaggio nel tubo digerente, nella fascia sub-sahariana dove cresce tale specie i pipistrelli sostengono una produzione il cui valore annuo di mercato è stato complessivamente stimato in 360 milioni di dollari USA.

I pipistrelli che si nutrono di invertebrati, fra i quali tutte le specie italiane, sono degli eccezionali insetticidi naturali, la cui attività è particolarmente preziosa in agricoltura. È stato calcolato che, se non ci fossero i pipistrelli, gli agricoltori degli Stati Uniti dovrebbero proteggere le loro coltivazioni con ulteriori trattamenti fitosanitari e lo scenario di spesa considerato più probabile per i medesimi sarebbe di 22,9 miliardi di dollari all’anno. In Thailandia, il consumo, da parte dei pipistrelli, di insetti che arrecano danni nelle risaie determina un beneficio economico annuo di oltre 1,2 milioni di dollari, cifra localmente sufficiente a nutrire col riso 26.000 persone all’anno. Nelle risaie spagnole, incrementando la presenza di Pipistrellus pygmaeus (una specie presente anche qui da noi) attraverso la collocazione di bat box, si è valutato che ai risicoltori derivi un risparmio (per minore esigenza di trattamenti) di almeno 21 euro per ettaro all’anno.

Altri esempi di valutazioni economiche riguardano l’utilizzo del guano dei pipistrelli come fertilizzante e il turismo attirato dallo spettacolo della sciamatura serale delle grandi colonie: ammonta a 10 milioni di dollari all’anno l’indotto dovuto ai pipistrelli che utilizzano come rifugio un ponte di Austin, in Texas. Mancano invece ancora, purtroppo, quantificazioni dei benefici dovuti alla predazione dei pipistrelli sugli insetti fonte di problemi sanitari, in particolare le zanzare, che nelle graduatorie delle specie animali più pericolose per l’uomo si collocano al primo posto. Certo, in alcuni casi i pipistrelli possono anche arrecare dei danni alle attività umane – ad esempio può capitare che lo facciano i pipistrelli frugivori in determinate piantagioni di alberi da frutto – ma se si va ad analizzare tali situazioni, si scopre spesso che si tratta di problemi risolvibili (nel caso dell’esempio, proteggendo le piante con reti) e che alla radice di essi c’è l’uomo, che ha distrutto o alterato gli ambienti naturali dove tali pipistrelli vivevano. In ogni caso, i benefici sovrastano enormemente gli svantaggi.

L’uomo ha moltissimo da guadagnare, non da perdere, dai pipistrelli. Peccato che non si possa dire il contrario: molte attività umane minacciano gravemente i pipistrelli e, poiché abbiamo parlato di malattie, è bene ricordare che l’uomo è alla base di quella che è oggi considerata una delle più gravi patologie della fauna, ossia la white-nose syndrome o white-nose disease, che colpisce proprio i pipistrelli. Causata dal fungo Pseudogymnoascus destructans, che si ritiene essere stato inconsapevolmente introdotto in Nord America dall’uomo, la malattia è stata per la prima volta rilevata nell’inverno 2005/06, nello Stato di New York. Da allora si è diffusa rapidamente attraverso gli Stati Uniti e il Canada, segnando nella sua avanzata la morte di milioni di pipistrelli e portando sull’orlo dell’estinzione anche specie precedentemente considerate molto comuni. Le normative vigenti, in Italia come in tutta Europa e in molti altri Paesi, pongono i pipistrelli fra la fauna che merita rigorosa protezione. Con beneficio delle generazioni presenti e future.

NOTE:

1. Corona virus, Orusa: “Chirotteri serbatoi prioritari. Scoperto in aree del Piemonte”. Articolo a firma di S. Lucchini, comparsi su VoxPublica.it in data 27/01/20, e successivamente corretto.

2. https://www.izsvenezie.it/wuhan-novel-coronavirus-come-nasce-emergenza/

3.https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/situation-reports

4.https://www.who.int/influenza/surveillance_monitoring/bod/en/

Tratto da: http://www.centroregionalechirotteri.org/download/Pipistrelli_e_coronavirus.pdf