Salviamo il Magnodeno!

A cura del Comitato “Salviamo il Magnodeno”.

Molto probabilmente anche tu, cittadino lecchese o della provincia di Lecco, avrai avuto modo di percorrere i sentieri del monte Magnodeno godendo della bellezza delle nostre montagne.

Sapevi che nel cuore di questa montagna, situata accanto al più celebre monte Resegone di manzoniana e carducciana memoria, a completamento naturale di quella cornice montuosa in cui si situa la città di Lecco, viene portata avanti da ormai un secolo una delle più intense attività di escavazione, con ben tre cave attive nella produzione di calce?

Il materiale estratto, a seguito di un processo di combustione, è la materia prima per la produzione di calce ad uso principalmente siderurgico, venduta soprattutto al di fuori della provincia di Lecco con benefici economici localizzati non solo sul nostro territorio.

A brevissimo, il 14 maggio, si terrà la Conferenza dei Servizi decisoria in cui la Provincia di Lecco deciderà se autorizzare o meno la ditta Unicalce spa, società attiva nella cavazione del monte Magnodeno, ad allargare ulteriormente il fronte di cava di Vaiolo Alta (delle tre quella situata più in alto). L’allargamento previsto è di 2.791.000 metri cubi di materiale (equivalenti a un cubo con spigolo di 140 metri, per intenderci), in accordo con il piano cave già approvato nel 2015.

Come Comitato “Salviamo il Magnodeno”, impegnato nella salvaguardia di questa montagna già così compromessa, vogliamo porre all’attenzione della Provincia le problematicità che ci spingono con forza a voler evitare questa autorizzazione, cioè che l’escavazione proceda fino al 2034.

Chiediamo la tua firma perché quell’attività che ha luogo sul Magnodeno comporta gravi conseguenze su vari fronti:

  • per la salute pubblica e dell’ecosistema: la produzione della calce produce infatti l’emissione di circa 200 000 tonnellate di CO2 all’anno (a confronto, le 130 000 del forno inceneritore di Valmadrera paiono quasi uno scherzo), tra le maggiori fonti di inquinamento atmosferico, oltre che l’emissione di polveri e l’inquinamento acustico legato alla forte rumorosità del processo di estrazione, frantumazione e trasporto della calce.
    Facciamo un esempio:
    ▪ un’auto utilitaria/citycar Euro 6, per il cui acquisto potremmo usufruire di un Ecobonus, emette mediamente 100gr/Km di CO2;
    ▪ mediamente un’auto italiana percorre circa 11.000Km/anno.
    Ciò significa che avremmo bisogno di circa 180.000 automobili per emettere le medesime quantità di CO2.
    E chiariamo che i residenti della città di Lecco al 31 dicembre 2019 erano 48.249;
  • per la tenuta idrogeologica e per la purezza delle acque dei fiumi Bione, Olasca e Tuf, potenziali canali di smaltimento delle acque reflue della cava che minacciano di inquinare anche il nostro lago;
  • per la natura e il paesaggio dell’area, tanto nella sua potenzialità turistica, quanto in relazione alla possibilità da parte dei cittadini lecchesi e dei territori limitrofi di fruire di un luogo importante sul piano naturalistico e ambientale. Per non parlare dell’impatto paesaggistico di un’area già così deturpata, visibile da quasi tutte le cime delle altre montagne lecchesi;
  • per la flora e la fauna: per cavare è infatti necessario il taglio della vegetazione e di tutti gli alberi presenti comprese le specie pregiate, oltre all’asportazione degli arbusti, del manto erboso e del suolo fertile. Fa sorridere che si punti a piantare alberi in città, mentre, laddove questi già esistono, vengono estirpati di continuo senza che si possa fare nulla per salvaguardare le specie animali autoctone, che hanno in quei boschi costantemente minacciati il loro habitat naturale, nonché un importante corridoio ecologico di collegamento del territorio;
  • per la sopravvivenza di frazioni bellissime e storicamente rilevanti per il territorio come Neguggio, Carbonera, Piazzo e Campo de Boi, fortemente minacciate nella loro incolumità dall’avanzamento dell’escavazione.

Per legittimare lo scempio ambientale che ha avuto luogo negli anni e che si continua a perpetrare a danno della montagna, Unicalce Spa ha sempre fatto ricorso al ricatto occupazionale: e i posti di lavoro (nell’ordine delle poche decine di unità), se si smette di cavare, che fine faranno?

Stante che l’escavazione è un’attività fisiologicamente a tempo determinato, destinata prima o poi all’estinzione, chiediamo che in relazione al tema del lavoro si inizi piuttosto a mettere all’opera una riconversione dell’attività in modo da non lasciare persone disoccupate: un ripristino ambientale reale ed autentico impiegherà il lavoro di diverse persone per molti anni e favorirebbe sin da oggi, per il futuro, la possibilità per cittadini, e non, di fruire nuovamente di un’area per lungo tempo sottratta alla collettività. Le aziende attive nell’escavazione, su richiesta della legge, hanno già parzialmente avviato questo recupero, che tuttavia, finché non si metterà fine definitivamente alla sottrazione di materiale, appare oggi più come un camuffamento: l’erba piantata sui gradoni di roccia è ben poca cosa a fronte dell’enorme voragine della cava, una vera e propria ferita che resta aperta e che rischia di espandersi, qualora Unicalce acquisisca l’autorizzazione a continuare le sue attività di escavazione.

Chiediamo che l’attenzione delle istituzioni e dei cittadini si concentri su una montagna spesso sacrificata che riteniamo debba poter costituire ancora, e di più, un luogo di cui tutti possano beneficiare. Il Magnodeno ha già dato troppo ai cavatori, ha donato le sue membra per arricchire pochissime persone. È giunta l’ora di difenderlo da un’ulteriore aggressione sconsiderata, è giunta l’ora di pensare ai nostri figli e nipoti, alla qualità della loro vita e al futuro di questo territorio.

In questa battaglia per la salute e il benessere della montagna e di tutti i cittadini dobbiamo essere in tanti e abbiamo bisogno anche della tua firma qui