Tutti giù per terra, niente transizione con il suolo malato

Clima. L’ecosistema più fragile è il più trascurato quando si parla di contrasto ai cambiamenti climatici. Tra consumo, perdita di fertilità, erosione e inquinamento.

di Francesco Bilotta.

Il suolo è l’ecosistema che in questi ultimi decenni ha subito le maggiori modificazioni. Eppure viene spesso trascurato quando si affronta il tema dei cambiamenti climatici e si cercano soluzioni per contrastare il riscaldamento del pianeta. Il 5 dicembre di ogni anno si celebra il World Soil Day, la giornata mondiale del suolo, per ricordare quanto è importante preservare la sua salute.

NEL SUOLO SI PRODUCE IL 95% del nostro cibo, ma secondo la Fao il 33% dei suoli è degradato a causa della perdita di fertilità, inquinamento, erosione. Sono necessari tra i 500 e i 1000 anni per formare un centimetro di suolo, ma sono sufficienti pochi anni per degradarlo in modo irreversibile. Quest’anno l’attenzione viene puntata sugli effetti che derivano dal processo di salinizzazione dei suoli. Si tratta di un fenomeno che determina un degrado fisico, chimico e biologico dei suoli, rappresentando una delle principali minacce alla loro funzionalità. I suoli salini si stanno estendendo in tutti i continenti, soprattutto nelle regioni aride e semi-aride del pianeta.

LA FAO CALCOLA CHE OGNI ANNO la salinizzazione rende improduttivi fino a 1,5 milioni di ettari di terreni agricoli. Ci può essere una salinità naturale dei suoli se si sono formati partendo da rocce ad alto contenuto di sali, oppure per l’infiltrazione di acqua marina e per l’aerosol marino che si verificano nelle zone costiere. Ma c’è ed è sempre più esteso il fenomeno della salinità secondaria legata ad una gestione scorretta dei suoli: sfruttamento di falde ad alto contenuto di sodio, metodi di irrigazione non adeguati, eccesso di fertilizzanti, insufficiente drenaggio del terreno. I suoli salini diventano inospitali per le piante e per i microrganismi che costruiscono la sostanza organica da cui dipende la fertilità. La Fao ha costruito la carta mondiale dei suoli interessati dalla salinizzazione sulla base dei dati forniti da 118 paesi che rappresentano l’85% della superficie terrestre.

SI E’ ANALIZZATA LA SALINITA’ A DUE DIVERSI livelli di profondità, il topsoil (0-30 cm) e il subsoil (30-100 cm). La carta mostra che sono circa 425 milioni gli ettari di terreno che presentano una elevata salinità nello strato superiore (l’8,5% delle terre coltivate del pianeta), mentre sono circa 833 milioni gli ettari compromessi dalla salinità nello strato più profondo (il 17% delle terre coltivate). Le aree interessate dal fenomeno sono presenti in nord Africa, penisola arabica, zone costiere e centrali dell’Asia, Australia, ovest degli Stati Uniti, area andina del sud America, paesi che si affacciano sul Mediterraneo.

IN ITALIA TUTTE LE REGIONI COSTIERE presentano situazioni in cui i suoli hanno una elevata salinità. Si calcola che il 2% del territorio nazionale, pari a 5000 kmq, è compromesso dal punto di vista agricolo a causa dell’allargamento del cuneo salino nelle falde dell’entroterra. L’intrusione delle acque marine nel territorio è favorita dall’attività umana: lo sfruttamento delle falde acquifere per le produzioni agricole e industriali lascia spazio all’infiltrazione di acqua marina, determinando un aumento della concentrazione di sali nel terreno.

I CAMBIAMENTI CLIMATICI STANNO favorendo questo processo. I lunghi periodi di siccità fanno diminuire la portata dei fiumi, favorendo la risalita dell’acqua marina, mentre l’aumento medio delle temperature favorisce l’evaporazione dell’acqua contenuta nel terreno, aumentando la concentrazione di sali. In Italia le aree dove si manifesta il fenomeno della salinizzazione sono anche quelle a rischio di desertificazione. Si tratta, secondo l’Ispra, di un 10% del territorio italiano, considerato molto vulnerabile, concentrato soprattutto in Calabria, Sicilia, costa adriatica, Toscana, Lazio, Puglia, Emilia-Romagna, Veneto.

LA SALINIZZAZIONE E’ UN FENOMENO globale che favorisce i processi di desertificazione e ha come conseguenza l’abbandono delle terre non più coltivabili da parte di intere popolazioni. Tuttavia, la consapevolezza che dalla salute del suolo dipendono i sistemi alimentari e gli equilibri climatici tarda a farsi strada. Anche nella Cop26 di Glasgow l’agricoltura e l’uso del suolo sono rimasti ai margini del dibattito. Eppure l’attività agricola contribuisce per il 20% alle emissioni globali di gas serra, arrivando al 25% se si considera il sistema alimentare nel suo complesso e si includono lavorazioni dei prodotti, imballaggio e trasporto.

NON PUO’ ESSERCI «TRANSIZIONE ecologica» senza una politica di salvaguardia dei suoli e una agricoltura sostenibile. L’ecosistema suolo rappresenta il più importante serbatoio di carbonio. Si calcola che nei primi 30 cm di suolo sono immagazzinati 680 miliardi di tonnellate di carbonio, più del doppio della quantità presente nell’atmosfera e superiore anche a quella contenuta nella vegetazione terrestre. Attraverso pratiche agricole corrette e salvaguardando foreste, zone umide e torbiere è possibile sequestrare nel suolo grandi quantità di carbonio. Al contrario, l’uso sconsiderato dei suoli, perdita di fertilità, desertificazione, deforestazione stanno determinando una situazione in cui il suolo emette più gas serra di quanto riesca ad assorbirne.

LE POLITICHE AGRICOLE PORTATE AVANTI dai vari paesi non sono andate nella direzione di favorire le coltivazioni agricole sostenibili, la conservazione della biodiversità e il sequestro del carbonio. In un recente rapporto dell’Onu sono stati quantificati i sussidi destinati in questi anni a livello globale all’agricoltura. La cifra è di 540 miliardi di dollari, ma il 90% ha foraggiato l’agricoltura di vasta scala, coltivazioni e allevamenti intensivi che hanno prodotto gravi alterazioni degli ecosistemi e contribuito alla crisi climatica, senza risolvere il problema di più di 800 milioni di persone che soffrono la fame e dei due miliardi che vivono in una situazione di insicurezza alimentare. Anche la Politica agricola comune (Pac) ha privilegiato in questi decenni le grandi aziende e l’agricoltura intensiva, con l’80% dei contributi destinato al 20% delle aziende, piuttosto che favorire produzioni agricole sostenibili, in primo luogo l’agricoltura biologica e l’agroecologia.

LA NUOVA PAC, APPROVATA IN QUESTI giorni, non va nella direzione sperata e non modifica il sistema dei sussidi agricoli finora adoperato. Il suolo non ha ricevuto la necessaria attenzione non solo nel dibattito sui cambiamenti climatici, ma nemmeno rispetto all’altro devastante fenomeno che è il «consumo di suolo», con i suoi effetti irreversibili. Il suolo come bene comune e risorsa limitata e non rinnovabile è un concetto che non si è mai affermato. La Commissione Europea nella direttiva del 2007 definisce il consumo di suolo «una variazione di copertura non artificiale (suolo non consumato) a una copertura artificiale (suolo consumato)».

L’UNIONE EUROPEA HA FISSATO come obiettivo l’azzeramento del consumo di suolo entro il 2050. Ma basta analizzare i dati di questi anni per comprendere che si tratta di un obiettivo destinato a rimanere sulla carta. Ogni anno in Europa spariscono quasi 45 mila ettari di suolo e solo alcuni paesi (Francia, Germania, Regno Unito) hanno una legislazione per regolarne il consumo. L’Italia è il paese europeo a più alto indice di occupazione di suolo e non ha una legge che possa ostacolare la devastazione del territorio. Nel 2012 il governo Monti, sulla spinta dei movimenti che invocavano lo stop al consumo di suolo, approvava un disegno di legge che aveva come obiettivo il «contenimento» del fenomeno. Doveva essere l’inizio di una nuova fase, ma il governo Monti e i governi che si sono succeduti non hanno avuto la volontà di portare a termine l’iter legislativo.

NEL 2016 LA CAMERA APPROVAVA un testo che fissava di arrivare nel 2050 al consumo di suolo zero, ma senza definire una gradualità e con discutibili criteri di monitoraggio nel rilevare il fenomeno. La legge si è poi arenata al Senato. Nel gennaio del 2018 un gruppo di 75 esperti, in collaborazione col Forum Salviamo il paesaggio, difendiamo i territori, ha preparato un testo che è arrivato alle Commissioni Ambiente e Agricoltura per poi finire in qualche cassettoi. Il consumo di suolo non è solamente sottrazione di terreno agricolo, ma va a incidere su clima, ecosistemi, capacità di assorbimento dell’acqua, erosione del territorio. Intanto sta prendendo corpo il Pnrr con i suoi progetti di nuove infrastrutture. Ma senza una normativa nazionale che fissi limiti e criteri si profila all’orizzonte una ripresa accelerata del consumo di suolo.

Articolo pubblicato su Extraterrestre, inserto ecologista settimanale de Il Manifesto il 2.12.2021 (on line qui).