Alla ricerca del limite tra legittimo interesse pubblico e legittimo interesse privato

A cura del Direttivo della sezione sarda della Società Botanica Italiana.

Il Consiglio Direttivo della sezione sarda della Società Botanica Italiana, ritiene di intervenire in merito al dibattito che a livello nazionale, regionale e locale coinvolge cittadini, associazioni e imprese riguardo alla sostenibilità ecologica (ma anche socio-economica) delle attività turistico-ricreative sui sistemi costieri, in particolare quelli sabbiosi (spiagge e dune).

Tale dibattito è spesso polarizzato da posizioni diametralmente opposte, quelle iperprotezionistiche solitamente portate avanti dalle associazioni ambientaliste, e quelle improntate alla libertà di azione e di impresa, solitamente fatte proprie dagli imprenditori e dalle associazioni di categoria.
Va certamente premesso che una mole notevole di pubblicazioni scientifiche documenta in maniera incontrovertibile il declino degli ecosistemi costieri parallelamente all’incremento della pressione turistica sui litorali, e che tale declino riguarda in Italia oltre l’80% dei sistemi sabbiosi, che, va ricordato, sono un bene pubblico, collettivo, che quindi se utilizzato correttamente (cioè in maniera sostenibile) può generare anche dei profitti per i privati ma va gestito nell’ottica della preservazione del suo valore ambientale, economico, sociale e culturale di tipo comunitario, non privato, come specificato dagli artt. 9 e 41 della Costituzione della Repubblica Italiana, recentemente integrati.

Ci preme richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica sul fatto che il tema della sostenibilità ambientale è un tema di tipo specialistico: solo chi si occupa di ambiente a livello professionale ha le conoscenze e gli strumenti per poter determinare, su basi quantitative (quindi misurabili attraverso tecniche, strumentazioni e sistemi di analisi specialistici) se una certa attività antropica sia sostenibile o no rispetto al sistema ecologico che la supporta.


Quindi a parte poche eccezioni relative ad attività intrinsecamente negative (ad esempio lo sversamento di liquidi inquinanti nel suolo o nelle acque), le attività turistiche e ricreative che generalmente vanno ad insistere sui sistemi costieri non sono intrinsecamente incompatibili con la gestione sostenibile della biodiversità e del capitale naturale dei nostri ecosistemi.
Dipende soprattutto da quante attività insistono su un certo ecosistema, dove sono localizzate, quanto carico di utenza portano, ecc., quindi in sintesi la sostenibilità dipende soprattutto da come queste attività vengono gestite.

Gli effetti della presenza e gestione di una o più attività economiche su un sistema naturale, ad esempio un litorale sabbioso, non riguardano solo la presenza di materiali inquinanti (ad esempio materiali plastici), rispetto ai quali l’opinione pubblica è particolarmente sensibile, ma coinvolgono le specie animali e vegetali che ci vivono, gli habitat e la morfologia di questi sistemi complessi. Attualmente, nella percezione collettiva, una distesa di sabbia bianca priva di plastica, ma anche priva di piante e di depositi di Posidonia, è una spiaggia in salute: in realtà lo stato di salute di un sistema dunale si valuta su un insieme variegato di indicatori, biotici e abiotici, che sono misurabili e quantificabili solo da tecnici specializzati, ad iniziare dai laureati nelle discipline delle scienze naturali e ambientali.

Inoltre bisogna considerare che oltre agli impatti diretti causati dalla presenza antropica sui litorali (modifica della morfologia dunale e asportazione di sabbia, abbandono di rifiuti, impatto su flora, fauna e habitat), vanno considerati e quantificati gli impatti indiretti, relativi ad esempio alla pulizia meccanica degli arenili (troppo spesso ancora unica modalità di gestione delle banquettes di Posidonia), infrastrutturazione per la fruizione (soprattutto apertura di strade e parcheggi), inquinamento acustico e luminoso (dannoso soprattutto per la fauna), introduzione di piante ornamentali esotiche (talvolta invasive) presso i manufatti, impatti sui corpi idrici retrodunali (canalizzazioni, interramenti, modifica delle caratteristiche chimico-fisiche delle acque).

Il problema del dibattito in corso è quindi soprattutto di tipo culturale: è prevalentemente impostato su basi ideologiche, tra chi antepone i legittimi interessi comunitari sulla tutela e salvaguardia di un bene pubblico, e chi antepone gli altrettanto legittimi interessi di chi fa impresa, magari da tanti anni e con grandi sacrifici.

Per trovare una via d’uscita a questo dibattito, che in fondo è anche un dilemma di scienza economica e politica (cioè capire dove stia il limite tra legittimo interesse pubblico e legittimo interesse privato riguardo ad attività turistico-ricreative che insistono su sistemi costieri innegabilmente molto fragili), non c’è alternativa che quella di rivolgersi agli specialisti.
Infatti, non può essere un pregiudizio ideologico a definire a priori come non compatibile un’attività turistico-ricreativa su una duna o su una falesia, così come non può essere la singola impresa turistica ad auto certificare la sua compatibilità e sostenibilità ambientale, magari perché una o più volte all’anno organizza a proprie spese la raccolta dei rifiuti sulla porzione di arenile di propria pertinenza.

La compatibilità di una determinata attività economica, sia essa occasionale, temporanea, stagionale o continuativa, va determinata su basi oggettive (quindi sulla base di dati scientifici) da organismi terzi rispetto a chi tutela l’interesse collettivo e a chi tutela l’interesse del privato cittadino o dell’impresa. Entrambe le parti, e le cittadine e i cittadini in primo luogo, devono chiedere, anzi pretendere, che, a garanzia dei legittimi interessi comunitari e privati, le istituzioni competenti sul governo del territorio e sulla gestione delle licenze per la realizzazione di attività commerciali su ecosistemi naturali, impostino un sistema di monitoraggio continuo e trasparente, i cui dati vengano raccolti da organismi indipendenti prima, durante e dopo l’esercizio dell’attività turistico-ricreativa, per più anni, e che i dati raccolti vengano resi pubblici. Solo in questo modo si può uscire dall’ambiguità di un dibattito che se rimane bloccato su posizioni estreme diventa conseguentemente sterile.

La sezione sarda della Società Botanica Italiana invita le associazioni di categoria, le associazioni ambientaliste, le cittadine e i cittadini al dibattito costruttivo su questo tema così delicato e cruciale anche per il nostro sviluppo socio-economico, e chiede ai Comuni, alle Province e alla Regione Sardegna di avviare piani pluriennali di monitoraggio ambientale in tutti i sistemi dunali sardi, anche quelli urbani e quelli non inclusi nella Rete Natura 2000, coinvolgendo gli Enti di Ricerca, le Società Scientifiche e soprattutto i nostri giovani laureati.

Si sente spesso dire che la sabbia è il nostro oro bianco: se vogliamo che produca benessere per noi e per le generazioni future è necessario gestirla con saggezza, definendo e attuando modelli di turismo sostenibile che non possono prescindere da monitoraggi continui su vasta scala, da realizzare con il coinvolgimento degli specialisti.