In provincia di Parma nasce un nuovo meccanismo di perequazione per continuare a consumare suolo

Fatta la legge, trovato l’inganno“. E’ un vecchio motto popolare che, pur nella sua lapidaria sintesi, racconta della capacità degli uomini (diciamo italici) nell’aggirare ed eludere norme apparentemente granitiche.
Ed è un proverbio che ben si adatta ad una situazione urbanistica che rischia di prendere forma in Emilia Romagna e nella ricca provincia di Parma.

La legge “ingannabile”, nel nostro caso, è quella urbanistica (la numero 24 del 2017) sulla tutela e l’uso del territorio, approvata dalla Regione Emilia Romagna e sbandierata come strumento fondamentale per contrastare efficacemente il consumo di suolo in una delle aree più sviluppate del nostro Paese. Ma che, purtroppo e come da noi ampiamente previsto, risultava troppo blanda e permissiva, lontana dalla vera necessità di “arrestare” il consumo di suolo anziché semplicemente limitarlo.

Sono i dati a confermarcelo: secondo l’ultimo rapporto Ispra, l’Emilia-Romagna è terza a livello nazionale sia per incremento di suolo consumato tra il 2020 e il 2021 (658 ettari) sia per il totale di suolo consumato (oltre 200.000 ettari), dopo Lombardia e Veneto. Nonostante quella legge urbanistica.
Che, tra i suoi aspetti peculiari, considerava la quantificazione di un “tesoretto” di suolo ancora consumabile entro il 2050 – quando dovrà essere a saldo zero – da gestirsi per opere pubbliche o di interesse pubblico, per l’ampliamento di aree produttive esistenti e per edilizia sociale (non per nuova residenza).

Che cosa è accaduto? Che in tanti Comuni non è esplosa la corsa a consumare quel 3% di “tesoretto” disponibile. Grazie a ben tre deroghe della scadenza entro la quale gli stessi Comuni avrebbe dovuto dotarsi del nuovo Piano Urbanistico Generale, quelle previsioni inattuate presenti nei piani urbanistici – che se non convenzionate entro il primo anno dalla legge (2018) sarebbero andate perdute (ovvero azzerate) – grazie a una, due, tre proroghe hanno avuto tutto il tempo per trovare le condizioni di entrare in PUA (Piani Urbanistici Attuativi) e poi di vedere siglate le convenzioni.
In sostanza, in questi 5 anni di vigenza della legge si è dato modo di “raccogliere più legna possibile“… “abbattendo quasi completamente il bosco“…
Al punto tale che fra il T.U. di inizio 2018 (che doveva rappresentare il riferimento su cui calcolare il 3%) e il nuovo T.U., si è evidenziata una differenza pari a “una bella fascia/fetta di nuove urbanizzazioni“.

L’assemblea dei Sindaci della provincia di Parma ora ha fatto due conti e assunto una decisione durante la sua ultima sessione: dato che molti Comuni quel 3% di consumo di suolo in più non l’hanno ancora raggiunto e difficilmente lo raggiungeranno, possiamo permetterci il lusso di immaginare una politica di “Area Vasta” per lo specifico argomento.
Come?
Con un meccanismo di perequazione fra i Comuni del parmense in merito alle quote di capacità edificatoria in funzione sovracomunale.

Può sembrare una ottima notizia: finalmente ben 44 Comuni si decidono a immaginare una pianificazione del territorio collettiva e non più individuale (uno dei grandi mali urbanistici italiani). Ma le buone notizie si fermano qui. Alla perequazione di ciò che si può ancora costruire.
Che nel nostro caso possiamo tradurre in questo modo: un piccolo Comune consapevole che quel 3% in più non lo raggiungerà, potrà (per ora “potrebbe”…) cederlo all’amministrazione provinciale. Questa fungerà, così, da “banca” e da garante delle quote cedute, che potranno essere acquistate da Comuni che, viceversa, non avrebbero più aree ulteriormente consumabili per raggiunti limiti.
Il Comune acquirente, per questa generosa licenza, compenserà il Comune cedente versando il 50% di quegli oneri di urbanizzazione che incasserà dai soggetti privati che beneficeranno dell’opportunità edilizia espansiva.
Tutti felici e contenti.

O non proprio tutti. Perchè, a ben vedere, il quadro prospettato nel parmense (e, siamo pronti a scommettere, prossimamente in tutte le province dell’Emilia Romagna e poi dell’Italia intera…) renderà ancora più grigi alcuni Comuni a danno dei cittadini e del loro quotidiano vivere.
Un’operazione, dunque, ben poco sensata dal punto di vista ambientale e puramente ancorata agli aspetti economici e finanziari.
Ma è evidente che, a monte di tutto, il “problema” risiede nell’assenza di una norma nazionale a reale contrasto del consumo di suolo. Sempre più urgente…

(Immagine: Palazzo Giordani, sede della Provincia di Parma. Tratta dal sito dell’Ente).