Opinioni – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Mon, 26 Feb 2024 21:21:13 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.5 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Opinioni – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Trattori in giro per l’Europa…contro l’Europa? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/02/trattori-in-giro-per-leuropa-contro-leuropa/ Fri, 16 Feb 2024 13:16:54 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16370 di Renata Lovati.

In questi giorni stiamo assistendo ad imponenti manifestazioni di agricoltori di tutta Europa, spesso spontanee e non facenti riferimento ad organizzazioni professionali e sindacali rappresentative, che portano all’attenzione della opinione pubblica e delle Istituzioni un profondo disagio della categoria.

Disagio legato in primis al profondo divario che c’è tra la quantità di lavoro e di passione presente nel ciclo produttivo agricolo e il reddito che ne deriva che, spesso, è pura sussistenza.

In moltissimi casi e in modo diffuso in tutta Europa queste manifestazioni hanno individuato la Politica Agricola Europea e, in particolare, la sua recente evoluzione greening, come la responsabile di questa dicotomia. E’ stato facile, per l’avanzante populismo e nazionalismo europeo con alcune tragiche presenze di estrema destra come in Germania, cavalcare queste proteste in funzione anti europea in vista delle prossime elezioni, nella speranza di un tornaconto elettorale.

Gli agricoltori firmatari di questa lettera credono che le ragioni del disagio siano molto più complesse e che sia necessario uno sforzo analitico importante per far che si che queste proteste creino il presupposto per affrontare il problema in modo serio e non in funzione del beneficio elettorale di qualche forza politica lasciando ai tantissimi partecipanti alle manifestazioni soltanto l’amaro in bocca.

LE DUE AGRICOLTURE

Fin dagli anni sessanta si è andata delineando una tendenza, ormai diventata strutturale, di una netta separazione tra una agricoltura delle grandi superfici, dei grandi numeri economici, della capacità di investimento e di accesso al credito, legata a commodities come cereali, carne, latte … ma anche frutta e orticoltura, che per semplicità chiameremo Agroindustria e, dall’altra parte, una agricoltura familiare molto legata al territorio, spesso marginale, di collina e di montagna ma non solo, con volumi produttivi spesso insufficienti a garantire investimenti, ma con un beneficio sociale immenso derivante dal presidio di un territorio spesso non agevole ma prezioso. Questa, sempre per semplicità, la chiameremo agricoltura contadina.

Le politiche agricole, nel corso degli utlimi 50 anni, hanno tendenzialmente trattato queste due agricolture nello stesso modo con il risultato di renderne sempre più forte il divario.

Dai dati ISTAT dell’ultimo censimento, si evince che le aziende familiari di piccole dimensioni si sono dimezzate, mentre le altre si sono rafforzate, non nel numero, ma nelle dimensioni, diventando sempre più grandi, più efficienti, con grandi capacità di avanzamento tecnologico e di incidenza sui mercati.

Una parziale risposta delle piccole aziende alla crisi è stata l’introduzione delle cosiddette “attività connesse”: quali la trasformazione e vendita diretta dei prodotti, l’agriturismo, l’ospitalità, le attività didattiche e sociali ecc, che hanno dato respiro a quelle aziende che, per vari motivi, si sono trovate nella condizione di utilizzare questa opzione creando non solo reddito ma anche occupazione.

Il rapporto diretto con i cittadini ha creato possibilità di scambi culturali e progetti condivisi.

LA POLITICA COMUNITARIA

Fino a pochissimo tempo fa e cioè prima della proposta del nuovo regolamento comunitario, la politica comunitaria, attraverso l’applicazione del sistema dei contributi, non ha quasi per nulla tenuto conto delle differenze tra le due agricolture: tanta più superficie avevi, tanto più contributo prendevi (primo pilastro) indipendentemente dalla tipologia della produzione, dal valore ambientale di questa, dal beneficio sociale in termini di occupazione ecc, riservando la parte di aiuto o all’investimento strutturale o al beneficio ambientale (es. biologico) una quota minoritaria del suo bilancio (secondo pilastro).

Questo bilancio, che in termini relativi assorbiva ben il 50% di tutte le risorse comunitarie e oggi si attesta sul 25%, in termini assoluti è rimasto invariato intorno ai 55 miliardi di euro l’anno (provenienti dalle tasse dei 400 milioni di cittadini).

Con la nuova programmazione, la UE ha cercato di invertire la tendenza consolidata diminuendo progressivamente i contributi a superficie (primo pilastro) e creando sistemi di integrazione al reddito vincolati ad alcuni obiettivi di carattere generale e legati ad bisogni di protezione ambientale, di benessere animale e di salute del cibo e dei consumatori.

LA QUESTIONE AMBIENTALE

Mentre il settore agricolo in questi anni si dibatteva da un lato nella ricerca di sempre maggiore produttività ed efficienza (agroindustria per semplificare) e dall’altro nella diversificazione e nella territorialità (agricoltura contadina sempre per semplificare), nella società europea prendeva sempre più rilievo e consapevolezza la questione ambientale.

Aree vaste con problemi di inquinamento delle acque superficiali e profonde, gravi carenze idriche, diminuzione della fertilità dei suoli, con alcuni casi di “desertificazione”, immissioni di CO2 e ammoniaca nell’atmosfera, presenza di metalli pesanti ecc. con conseguenze importanti sulla salute dei cittadini.

Una parte di queste problematiche ricade sulla responsabilità del settore agricolo, soprattutto in aree di grande concentrazione produttiva in corrispondenza di elevate concentrazioni antropiche (es. pianura padana, nord della Germania, Olanda e Danimarca, significative aree in Spagna e Francia ecc) per cui la UE, sotto la spinta dell’opinione pubblica e delle necessità epidemiologico-sanitarie, ha legato le sovvenzioni ai settori produttivi sia agricoli che industriali, a comportamenti ambientalmente sostenibili e ormai indilazionabili anche in funzione dei cambiamenti climatici.

Per il settore agricolo questo si è concretizzato in alcuni nuovi obblighi se si vuole continuare ad aver accesso ai contributi (rotazione obbligatoria delle colture, inerbimento invernale, diminuzione dell’apporto chimico di sintesi) e in alcuni obiettivi facoltativi coperti da risorse specifiche (agricoltura biologica, benessere animale, protezione delle api ecc). A nostro giudizio condizioni che, se correttamente sostenute e applicate, non vanno a deprimere i redditi (che sono depressi per altri fattori), ma addirittura li possono sostenere.

QUALI POLITICHE

A nostro giudizio sarebbe grave se la UE abbandonasse, sotto la spinta della protesta e rispondendo pavida a spinte populiste, la visione di una agricoltura agroecologica che fa la sua parte nella difesa dell’ambiente e contribuisce alla lotta ai cambiamenti climatici riducendo in modo progressivo la propria impronta ecologica.

Questo può avvenire se si tiene ben presente quanto esposto precedentemente: l’agricoltura “agroindustriale” ha bisogno di forte sostegno nella riduzione dell’impatto chimico, nell’adeguamento tecnologico al fine di ridurre le emissioni, nella diminuzione delle concentrazioni eccessive di animali da reddito in certe aree sensibili, nell’avere protezioni assicurative contro le calamità ecc; l’agricoltura “contadina” di piccole dimensioni, familiare, di aree interne, quella che si rivolge a mercati locali e che produce beni originali e fortemente legati alla territorialità e offre servizi ai cittadini, ha tutt’altri bisogni: semplificazione burocratica, servizi sanitari e sociali di prossimità, sostegno alle condizioni impervie (montagna), sostegno alle produzioni di nicchia, sostegno alla diffusione e implementazione di tecniche agro-ecologiche, servizi gratuiti di assistenza tecnica e soprattutto un sostegno al reddito che ne riconosca il valore sociale, ambientale ed ecosistemico. Senza di ciò questa agricoltura sparirà in un breve lasso di tempo.

Ci vogliono quindi due politiche differenziate, ma integrate.

Una riduzione della tassazione indifferenziata può diventare un ulteriore fattore positivo per grandi aziende che già fanno reddito, ed essere al contempo insufficiente per aziende che non superano la sussistenza.

L’Europa da sessant’anni, attraverso i denari impiegati nella Politica Agricola, ha contribuito ad una crescita complessiva del settore, ad una sua valorizzazione professionale, alla difesa degli spazi non edificati con il semplice permanere degli agricoltori sul territorio.

Oggi questo tipo di politica non risponde piò ai bisogni del settore e può contribuire ad acuire le differenze tra le agricolture: contributi indifferenziati premiamo solo le grandi aziende e marginalizzano le piccole. Ad esempio dare lo stesso premio capo/vacca sull’ecoschema 1 ad una azienda di mille vacche e ad una di cinquanta, magari in zona svantaggiata, non ha senso.

Per affrontare con serietà queste problematiche ci vorrebbe una classe dirigente non legata a facili slogan e a interessi di brevissima portata e spesso in funzione di labili vantaggi elettorali.

Anche le Organizzazioni Professionali agricole hanno la responsabilità di non accodarsi a questi facili slogan, ma di guidare un profondo processo di ridefinizione del ruolo dell’ agricoltura nella attuale fase economica, sociale e soprattutto ambientale.

Non è, a nostro giudizio, negando e ricusando una politica per altro moderatamente greening che si risolvono queste contraddizioni. Anzi il rischio è di dare un contentino alla protesta senza aggredire la sostanza dei problemi.

Dario Olivero, Renata Lovati – Cascina Isola Maria, Bio Albairate

Gabriele Corti – Cascina Caremma Bio Besate

Alberto Massa Saluzzo – Presidente Distretto Dinamo

Fabio Di Stefano – Il Frutteto Botanico Bio Albairate

Raffaele De Cechi – Cascina Lema Bio Robecco sul Naviglio

Alberto Bosoni – S.S. Agricola del Parco Bio Abbiategrasso

Giovanni Molina – Agronomo Vigevano

Tommaso Gaifami – Agronomo Milano

Niccolò Reverdini – Cascina Forestina Bio Cisliano

Massimo e Camilla Crugnola – Orti bio Broggini Varese

Coop.Sociale Cascina Contina Rosate

Rosa Zeli – Az.Agr .Corte Lidia Bio Viadana

Patrizio Monticelli – Presidente Desr Parco Agr.Sud Milano Milano

Peppe Galuffo – Cascina Poscallone Bio Abbiategrasso

Stefano Salteri – Cascina delle mele Bio Vittuone

Marco Cuneo – Cascina Gambarina Bio Abbiategrasso

Maurizio Gritta in rappresentanza CDA Coop agricola.Iris Bio

Gas ExAlge Milano

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Rimettere l’IMU sulla prima casa? Riflessioni per un dibattito http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/03/rimettere-limu-sulla-prima-casa-riflessioni-per-un-dibattito/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/03/rimettere-limu-sulla-prima-casa-riflessioni-per-un-dibattito/#comments Sun, 26 Mar 2023 08:33:59 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15884 Gaia Baracetti, autrice di “Perché bisogna abolire i contributi all’agricoltura“, ci trasmette queste sue riflessioni su un tema che connette il rapporto tra l’IMU e la prima casa. Un contributo volutamente “provocatorio” che pubblichiamo ritenendolo utile per una discussione opportuna.

Nessun politico ne avrebbe il coraggio, in Italia oggi. Eppure sarebbe una misura di equità, lungimiranza e tutela dell’ambiente di cui beneficerebbe l’intera collettività. Per molti motivi.
Innanzitutto, quando si parla di introdurre una tassa, non necessariamente si parla di aumentare il livello di tassazione totale, anzi: sarebbe meglio che così non fosse. Mettere l’IMU sulla prima casa significherebbe accumulare risorse che poi non sarebbe più necessario reperire altrove – per esempio dalla tassazione sul lavoro, o dalle innumerevoli marche da bollo o ticket che sono la forma più regressiva di tassazione…

Non è nemmeno necessario che i più poveri paghino: niente impedisce, come si fa per il reddito e com’era prima, di stabilire una soglia sotto la quale si è esenti. Questo dovrebbe però valere solo per case molto piccole: il problema principale, infatti, è lo spazio che le nostre case occupano. In Italia di spazio ce n’è poco, pochissimo (abbiamo una densità di popolazione più alta di quella della Cina), e lo sprechiamo in modo assurdo – ad esempio permettendo a chiunque di costruire case enormi ovunque, con giardini da signore rinascimentale, con tutto il corollario di strade, luci, tubature, parcheggi, mezzi pubblici e raccolta rifiuti che devono per forza seguire l’espansione infinita della città. Prima, almeno, si pagavano in parte questi servizi con la tassa sulla casa – ma da quando non c’è più, un individuo o una famiglia si gode la sua casona senza spese, mentre tutti gli altri – compresi quelli costretti in piccoli appartamenti in zone trafficate – pagano tanto quanto lui per garantirgli tutte le comodità e servizi.

Le tasse, come principio generale, non dovrebbero servire soltanto per raccogliere soldi ma anche per incoraggiare comportamenti considerati virtuosi e scoraggiare comportamenti che danneggiano la collettività. Anche per questo è sbagliato tassare così pesantemente il lavoro – che è un contributo del singolo alla società – e poco o nulla la rendita e la proprietà, che dà benefici al singolo che ne gode a spese di tutti gli altri che ne sono esclusi.
L’IMU, quindi, dovrebbe essere innanzitutto un modo per compensare la collettività dei costi che la nostra proprietà impone. In primis perché lo spazio che chiamiamo nostro non può più appartenere a nessun altro, né singolo, né comunità, né – ce ne dimentichiamo sempre! – natura selvatica. Lo spazio della nostra casa diventa lo spazio negato al vicino, al povero, alla piazza e al capriolo. Pagarci una tassa sopra è un modo per risarcire gli altri di questa perdita irreversibile, e ci disincentiva dall’arraffare più spazio possibile perché tanto è gratis; nonché, come si è detto sopra, serve per contribuire ai servizi di cui usufruiamo, e più grande è la casa, più se ne rendono necessari per ogni persona.
Inoltre, le tasse secondo la nostra costituzione dovrebbero essere progressive; aver eliminato quasi del tutto una tassa sulla proprietà viene meno a questo principio fondamentale, trattando allo stesso modo chi ha la villa e chi sta in un monolocale.

Non solo.
L’espansione urbana antiestetica e disordinata a cui ci siamo ormai abituati è in realtà un fenomeno estremamente recente. Le città storiche sono tutte costruite allo stesso modo ovunque nel mondo, seguendo la stessa logica: le case sono strette, spesso a più piani, attaccate il più possibile e vicine ai servizi essenziali. Questo perché l’umanità ha sempre saputo che lo spazio è prezioso. Che vicini si vive meglio. E che spostarsi consuma energie. Quando ero in visita a Bruxelles, un’amica mi ha spiegato che le case sono così strette perché quando furono costruite si pagava la tassa sul suolo occupato, e quindi ognuno cercava di minimizzare la propria impronta. In montagna ho sentito storie simili: lo spazio era talmente scarso e prezioso che nessuno avrebbe sprecato il proprio orto costruendoci sopra un villone su un piano. Una IMU per tutti gli immobili dovrebbe avere una funzione simile: scoraggiare lo sperpero di spazio. Vuoi allargarti? Paghi. Fai un uso razionale dello spazio? Risparmi.

Non dovrebbe sfuggire il fatto che sono queste città storiche, dense ma non prive di verde, varie ma armoniche, che andiamo a visitare per vedere qualcosa di bello. Nessuno fa il turista nelle periferie di villette e capannoni, nessuno va a vedere i casermoni popolari, le monofamiliari con parcheggio, le case-cubo dei tempi del boom. Tutti le vogliono avere – forse per sentirsi come re con mille metri quadri di regno – ma nessuno le apprezza. Avete mai visto un turista che si fermi a fotografare una via asfaltata fiancheggiata da case stile dopoguerra?
Tutte queste nuove tipologie abitative spreca-spazio non solo sono brutte, non solo sottraggono spazio alla collettività: sono tra le principali responsabili del traffico che soffoca le nostre città e, al tempo stesso, sua conseguenza. In un tempo senza automobili, costruire città a bassissima densità abitativa sarebbe stata una follia: per comprare il pane o andare al lavoro ognuno avrebbe dovuto camminare ore ogni giorno. L’automobile ha reso possibile vivere lontano da tutto, ma paradossalmente lo ha reso anche desiderabile: per sfuggire al traffico si va a vivere fuori città, e poi quel traffico si contribuisce a crearlo quando si è costretti a tornarci per fare qualunque cosa che non sia mangiare a casa propria o dormire.

Tutto è cambiato con l’auto, ma non in meglio. Il singolo proprietario di villone con giardino magari è contento, se la benzina e il tempo perso nel traffico non gli sembrano un problema. Ma la città risente dell’inquinamento che le masse di pendolari producono, e tutto l’ambiente soffre: per permettere la costruzione di case così enormi con spazi così grandi intorno, sempre più lontane dal centro, si sono costruite strade asfaltate, che necessitano di manutenzione e impermeabilizzano il suolo; si è portata l’acqua e l’elettricità – e più tubi corrono a portare l’acqua, e più lontano vanno, più aumentano le possibilità di perdite, mentre l’inquinamento luminoso causato dall’estendersi delle luci pubbliche e private che seguono le case ha privato tutti della bellezza di un cielo stellato. Nessuno vuole vivere in buie periferie, e quindi la vecchia campagna misteriosa di un tempo oggi è illuminata come il parcheggio di un centro commerciale. Ancora: i camion dei rifiuti devono fare sempre più strada, aumentando il costo ambientale pro capite della raccolta differenziata, gli autobus hanno bisogno di nuove fermate, e così via.
E tutte queste cose le paghiamo tutti indipendentemente da dove abitiamo; paghiamo per gli spreconi anche se siamo virtuosi. Certo, la TARI viene calcolata anche in base all’estensione della casa, ma quello che manca sono le pertinenze e il giardino. È questo il problema. Il motivo principale per cui bisognerebbe rimettere l’IMU sulla prima casa è di creare l’occasione per ridisegnare questa tassa perché soppesi il grande lusso dello spazio e includa anche i giardini – in alcuni casi davvero enormi, ma, anche quando sono piccoli, capaci tutti assieme di mangiarsi il poco che resta di boschi e campagne.
Non è solo una questione di bellezza. La terra ci serve – per mangiare.

Chiunque abbia provato ad avviare un’attività agricola senza averla ereditata si sarà accorto che in molte zone è praticamente impossibile ormai. I terreni costano e sono troppo frammentati, le strutture mancano e le norme impediscono di costruirle vicino alle case, e le case sono dappertutto, tutto è recintato, bloccato, ci sono conflitti ovunque… Questo è in gran parte una conseguenza dell’espansione della città dentro la campagna: strade, case e parcheggi si sono mangiati quelli che una volta erano fertili campi e bellissimi prati stabili. L’estensione della periferia ha creato necessità di supermercati e centri commerciali dotati di immensi parcheggi perché tutti si muovono in macchina, mentre cittadini facoltosi hanno comprato case con stalle e fienili e li hanno trasformati in gigantesche depandance per le loro ville: le mucche accudite dalle famiglie di un tempo sono state sfrattate assieme a tutto ciò che era autenticamente contadino e sono finite ammassate in enormi capannoni. Lo stile “rustico” è sbocciato a spese della vita rustica, quella vera. E, come beffa finale, spesso i cittadini che hanno voluto la casa in mezzo al verde poi pretendono che quel verde sia ordinato e senza vita: si lamentano se canta il gallo, se si sente puzza di stalla, se passano le pecore, se l’erba osa crescere appena appena la falciano senza pietà… E siccome continuiamo a mangiare uova e formaggi, e da qualche parte bisogna pur produrli, questo ha significato la concentrazione dell’allevamento nelle poche zone in cui è ancora possibile, magari con gli animali chiusi in grigi hangar dove non danno fastidio, anziché in piccole stalle vicino alle case o all’aperto nei prati, come dovrebbero stare.
Per chi vorrebbe tornare all’agricoltura tradizionale, su piccola scala, tutto questo è un incubo. Con le migliori intenzioni del mondo di produrre cibo in maniera sostenibile, di tenere gli animali in piccoli numeri, seguiti come si deve, permettendo loro una vita naturale, si fa tanta, troppa fatica a trovare uno spazio adeguato, ci si scontra con norme assurde, vicini vendicativi, e per quanto lontano si vada a cercare un po’ di spazio ci si ritrova sempre circondati da enormi giardini inutilizzati – per bellezza, per avere spazio vuoto attorno, per far correre il cane ogni tanto, per prendere il sole o fare griglie, per tenere un triste asinello solitario… per gli animali utili, quelli che producono cibo per tutti, non è rimasto più spazio; un campo da coltivare costa un occhio della testa, perché ne restano così pochi ormai… e quindi gli italiani importano cibo prodotto distruggendo foreste altrui.
Non è un caso che molti dei neo-rurali, dei nuovi contadini, dei giovani che “tornano alla terra”, sono gli stessi che hanno ripreso a disboscare la montagna: in pianura non c’è più posto!

Chi non ha provato la rabbia di vedere i più benestanti tra i propri concittadini potersi permettere immense recintate estensioni di nulla, mentre chi non è già ricco non trova lo spazio sufficiente per un orto commerciale o un pollaio come si deve, non può capire il senso di ingiustizia che si prova per questo mondo capovolto trattato come fosse normale.
Non è solo questione di cittadini: anche i contadini, non pagando l’IMU sui terreni agricoli né, come tutti, sui giardini, una volta ereditata o comprata una tenuta possono sprecarne gran parte senza conseguenze economiche.
E non è nemmeno finita qui. Chiunque abbia passato un po’ di tempo in vivai o consorzi agricoli avrà presente la scena: un cliente o una giovane coppia che si appoggiano al bancone e sciorinano una lista di pesticidi ed erbicidi che gli servono per il “giardino” – perché tutti vogliono il prato inglese, costi quel che costi, e le piante di proprio gradimento anche se vengono regolarmente attaccate da insetti che ci sentiamo in perfetto diritto di sterminare. Tra irrigazione (con acqua potabile!), pesticidi, erbicidi, e consumo di carburanti per lo sfalcio, i giardini privati sono uno dei peggiori buchi neri ecologici dei paesi occidentali moderni.

La terra è fonte di ricchezza. Non per niente esiste una teoria economica, che alcuni stanno riscoprendo, che si chiama georgismo e propone di tassare soltanto o principalmente la terra e le risorse naturali, perché è da essere che viene tutto ciò che abbiamo, e chi ne ha diritto d’uso deve qualcosa a tutti gli altri.
Nel nostro paese è difficile acquisire terra e proprietà, ma facile tenersele – dovrebbe essere il contrario. Le tasse sull’eredità sono basse, e così anche quelle sulla proprietà, mentre avere accesso al credito è difficile e costoso e quindi una parte significativa di ogni investimento va alle banche, non a spese produttive.
Un paese organizzato in questo modo non è equo: è fossilizzato e iniquo. Una tassa sulla proprietà risolverebbe in parte tutti i problemi finora elencati. Chi non riesce a permettersi questa tassa si prenderà un’abitazione o un terreno più piccolo, oppure – e questo sarebbe uno degli obiettivi – inizierà a fare un orto o allevare qualche animale utile nella propria tenuta, così da recuperare i costi, oppure ad affittare a chi non trova casa o terra un po’ della propria. E per non penalizzare i più poveri si potrebbe stabilire una soglia in metri quadri sotto alla quale non si esige nessuna tassa, e addirittura redistribuire parte degli introiti a chi non ha nulla e paga un affitto.

Se qualcuno possiede edifici o terreni che non può mantenere e non riesce a vendere neanche a un prezzo più basso, si potrebbe istituire un sistema per cui questi vengono acquisiti dagli enti pubblici e trasformati in aree protette, orti comunitari o alloggi sociali. Ricominceremmo a stare assieme, anziché ognuno rinchiuso nel proprio giardino.
Ci sarebbero benefici ulteriori. Tassando la proprietà immobiliare l’evasione diventerebbe quasi impossibile, a differenza del lavoro che può non essere dichiarato o dei capitali che possono essere spostati. E la truffa per cui alcuni prendono residenze fittizie in seconde case per non pagare l’IMU potrebbe finire se si tassassero anche le prime case. Si potrebbe usare un IMU comprensivo della prima casa anche per ridurre i costi dell’imposta di registro: possedere una casa dovrebbe avere un costo, ma non acquistarla o cambiarla. Come si legge in questo articolo di Franco Osculati sul tema, “un’operazione di questo tipo potrebbe essere intesa come un’iniziativa a favore dei giovani, che più dei genitori o dei nonni sono interessati a vendere e comprare case” (si potrebbe aprire qui tutto un discorso sulle parcelle dei notai…).

Non sarebbe un sistema perfetto: finché esistono diseguaglianze di reddito e di rendita estreme come quelle odierne, chi guadagna molto più degli altri non avrà problemi a pagare le tasse per la propria casa di lusso e il proprio enorme giardino. Un motivo in più per intervenire anche sulle diseguaglianze – ma questo è un argomento per un’altra volta.

(Immagine di Paolo Baldi).

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Pale eoliche nel Montefeltro, a rischio il paesaggio della Gioconda http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/02/pale-eoliche-nel-montefeltro-a-rischio-il-paesaggio-della-gioconda/ Thu, 02 Feb 2023 17:31:37 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15797 A cura di Italia Nostra.

Sette pale eoliche alte 180 metri, questo è Badia del Vento, un ecomostro che, se autorizzato, deturperà l’Alta Valmarecchia e l’area dello storico Montefeltro che ospita scorci riconosciuti tra i più suggestivi dell’Appennino, quali i Balconi di Piero della Francesca e le morbide colline del paesaggio della Gioconda.

Qualora il progetto venisse approvato dalla Regione Toscana, l’impianto eolico vedrebbe l’installazione di sette turbine alte 180 metri, con rotori di diametro pari a 136 metri inseriti su mozzo alto 112 metri che, una volta posizionate, supererebbero ampiamente i 1200 metri slm nonostante le disposizioni previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio che tutelano le zone appenniniche localizzate sopra questa quota.

Presso la Regione Toscana è stata presentata istanza di autorizzazione per l’edificazione di un impianto eolico industriale di grande taglia nel comune di Badia Tedalda (Arezzo) al confine con la Regione Emilia Romagna lungo il crinale che da Poggio Val d’Abeto si dirama sul Monte Loggio verso il sottostante Monte Faggiola. La documentazione riguardante il progetto è consultabile al seguente indirizzo: https://www.regione.toscana.it/-/paur-provvedimento-autorizzatorio-unico-regionale

La vistosa alterazione del paesaggio, data dall’innalzamento delle turbine, sarebbe nettamente percepibile in Romagna nei comuni di Casteldelci (compreso il centro storico e l’antico borgo di Gattara), Pennabilli e Sant’Agata Feltria in provincia di Rimini, nonché nel comune di Verghereto in provincia di Forlì Cesena e a Badia Tedalda (principalmente nella frazione di Rofelle), in provincia di Arezzo.

Turbine eoliche alte 180 m (come un grattacielo di 60 piani) e con rotori di diametro pari a 136 m (la stessa altezza della cupola di San Pietro), andrebbero ad impattare negativamente sul territorio, danneggiandone gli aspetti naturalistici e paesaggistici, limitando fortemente ogni prospettiva di sviluppo e valorizzazione territoriale (quali il turismo escursionistico e storico-culturale di cui si è registrato un forte aumento negli ultimi anni) con una netta svalutazione di tutto il patrimonio che ricade nel campo visivo di questi macchinari. Tale aspetto è ancora più evidente se si considera che l’impianto non rispetta i 7 Km di distanza, di numerosi beni architettonici e nuclei storici tutelati, previsti dal D.Lgs. 50/2022 così come non tiene conto della vicinanza a siti di importanza comunitaria e aree naturali protette. Chiese, edifici religiosi, torri, castelli e altre architetture storiche ubicate nei comuni di Casteldelci, Pennabilli, Verghereto, Badia Tedalda, Sestino, sarebbero gravemente sfregiate dall’innalzamento di queste turbine, così come sarebbero sfregiate aree naturali protette quali la Riserva Naturale dell’Alpe della Luna, il Monte Fumaiolo, la ripa della Moia, i fiumi Marecchia e Senatello, il borgo di Petrella Guidi, il Monte Carpegna, il Torrente Messa, il Poggio Miratoio, il Parco e la riserva naturale del Sasso Simone e Simoncello.

Si tratta di una installazione estremamente impattante anche per altri aspetti, basti pensare all’inquinamento acustico, ai pericoli per la avifauna locale e ai danni al territorio, con l’abbattimento non compensabile di alberi e di specie arboree, causati dai mezzi di trasporto eccezionali per raggiungere i crinali nonché dall’innalzamento delle gigantesche torri e dal montaggio delle pale. In aggiunta, devono essere considerate le opere per la realizzazione delle fondazioni delle torri, per lo sbancamento del terreno e delle formazioni rocciose con allargamento delle strade e dei sentieri presenti, per le installazioni delle piazzole, per l’interramento dei cavidotti in un territorio notoriamente fragile e a rischio idrogeologico.

Agli impianti di produzione delle energie rinnovabili dovrebbero essere destinate superfici idonee secondo un piano regolatore nazionale, utilizzando zone dismesse e da riqualificare oppure superfici già edificate per installazioni di fotovoltaico compatibili con il territorio e non dovrebbero essere prese d’assalto aree incontaminate e di alto valore paesaggistico ed ecologico, quali i crinali appenninici ricchi di storia, bellezza e biodiversità. Se, come previsto dalla Convenzione Europea del Paesaggio e dalla Costituzione italiana, il paesaggio e i beni culturali sono patrimonio comune, allora questo patrimonio deve essere tutelato e non può essere devastato da opere così invasive che, sotto la falsa bandiera della transizione ecologica, ci portano dritto alla devastazione di una delle ricchezze più importanti del nostro Paese compromettendo in modo irreparabile lo sviluppo del turismo.

Si confida sul fatto che la Regione Toscana, chiamata ad esprimersi sull’emissione del provvedimento autorizzativo, tenga in debita considerazione gli impatti estremamente negativi sul Paesaggio e sul turismo anche dell’Alta Valmarecchia e della zona di Verghereto e che non esistono logiche di confine per la tutela dei territori e dei loro patrimoni.

Antonella Caroli, Presidente nazionale Italia Nostra
Massimo Bottini, Italia Nostra Valmarecchia

La provocazione grafica di Italia Nostra, ovvero l’accostamento del capolavoro Leonardesco allo sfondo paesaggistico “moderno” pullulante di pale eoliche, ha destato molte reazioni e certamente può essere considerato come un riuscito strumento per allargare un dibattito che, purtroppo, però pare essersi gravemente assestato su posizioni di difficile mediazione.
Tanto che il presidente di Legambiente Toscana (anche responsabile nazionale del Paesaggio della stessa associazione) ha così commentato: «La polemica su Leonardo è fuori dal tempo. Come se non fossimo nella più grave crisi climatica ed energetica della storia umana. Questa sensazione, per la verità fastidiosa, torna ogni qual volta ascoltiamo argomentazioni benaltriste. Occorre ben altro: risparmiare, efficientare, ricorrere all’idroelettrico, magari persino al nucleare. Tutto, tranne le rinnovabili. Quando invece la comunità scientifica e la tecnica ci indicano proprio nelle rinnovabili e nel loro modello distribuito la via maestra per affrontare la crisi nel modo più efficace, sicuro e pulito. Gridare allo scempio del paesaggio della Gioconda ci pare, a dir poco, temerario. Non solo e non tanto perché recenti studi hanno collocato quello sfondo nella campagna piacentina e non in Valmarecchia, quanto soprattutto perché scomodano in modo improprio il genio di Leonardo; ossia: la quintessenza dell’intelligenza umana messa al servizio del progresso. La bellezza che scaturisce dalle opere leonardiane non è infatti mai fine a se stessa, ma è sempre connessa a una volontà integerrima di migliorare la condizione della nostra specie».

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Consumo di suolo: bilancio di un anno. Solo ombre nel 2022 per il sud-est di Milano http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/02/consumo-di-suolo-bilancio-di-un-anno-solo-ombre-nel-2022-per-il-sud-est-di-milano/ Thu, 02 Feb 2023 10:08:07 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15794 A cura dell’Osservatorio permanente contro il consumo di suolo e per la tutela del paesaggio del Sud Est Milano.

Il bilancio che facemmo nello scorso anno lasciava intravedere una fioca luce, quest’anno dobbiamo a malincuore registrare che le cose continuano a peggiorare.
Il Sud Est Milano, ha perso nel 2021 altri 10 ettari di suolo, valore simile a quello del 2020. Il comune peggiore è Paullo con 5,7 ha. Tra i 15 comuni dell’area omogenea Sud Est Milano, solo Colturano, Pantigliate, San Donato Milanese e San Zenone al Lambro non hanno consumato suolo.

Ma quello che ci fa temere per il futuro sono le parole dei sindaci, intervistati dal Cittadino (il Brindisi dei sindaci) sulle cose fatte e i progetti per il futuro. Nessuno ha nemmeno accennato al consumo di suolo o alla tutela della bellezza del paesaggio, solo in qualche rara e lodevole eccezione si è parlato di verde, per il resto le parole usate dai sindaci per raccontare l’anno chiuso e prevedere il futuro sono state: grandi opere, parcheggi, rotatorie, nuova viabilità, nuove strutture, rivoluzione industriale.

Alcuni progetti sono già annunciati e alcuni rischi compaiono all’orizzonte. A Melegnano è in arrivo un Data Center che, con le strutture di corredo, sigillerà oltre 200mila metri quadrati di suolo agricolo, il 4% dell’intero territorio comunale. Resta ancora aperta la vicenda San Carlo, che avrebbe un impatto maggiore. È stata poi avviata una variante al PGT, le cui nefaste premesse sono state annunciate dall’assessore nell’intervista sopra citata.
A San Donato restano ancora aperti i due grandi interventi ipotizzati dalla precedente amministrazione: edilizia sia privata sia pubblica sul Pratone e Sport City Life nell’area di Cascina San Francesco.
A Colturano è stata avviata la variante al PGT.

Qui l’analisi integrale e il bilancio riassunto dall’Osservatorio.

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Le proposte UNCEM per Governo e Parlamento http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/01/le-proposte-uncem-per-governo-e-parlamento/ Tue, 24 Jan 2023 10:21:42 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15781 Dialogo e lavoro insieme, decisivi per lo sviluppo dei territori montani, per il sistema degli Enti locali, per le comunità che vivono Alpi e Appennini.

Chi è stato eletto e chi compone il Governo ascolti i territori e scelga di stare con loro.

Partiti, Movimenti, Associazioni non dimentichino geografie, sperequazioni, sfide sociali dei territori.

La Legislatura che ha preso il via con le elezioni politiche del 25 settembre 2022 deve avere una specifica attenzione per i territori, per le aree interne, per le comunità delle Alpi e degli Appennini e per le aree montane. Le comunità dei territori sono il fulcro di una nuova economia, che renda la transizione ecologica desiderabile e concreta. Sono il fulcro di innovazione che genera e rigenera le
comunità. Per ridurre sperequazioni e disuguaglianze sociali.
Camminare insieme” è il cuore dell’azione politica per territori montani “in dialogo”.

In questo dossier, alcune proposte Uncem.

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Il Paesaggio, la Costituzione, gli attacchi alle Soprintendenze e le solidarietà pelose http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/12/il-paesaggio-la-costituzione-gli-attacchi-alle-soprintendenze-e-le-solidarieta-pelose/ Sun, 18 Dec 2022 07:13:48 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15690 di Claudio Meloni, FP CGIL.

Il cambio di maggioranza politica non ha certo frenato gli attacchi alle Soprintendenze: il personaggio è sempre il solito, l’ex ministro Cingolani nella sua nuova veste di consigliere del nuovo ministro Fratin, dichiara che il richiamare l’incipit costituzionale sul paesaggio è un esercizio stucchevole a fronte dell’emergenza energetica che vive il paese. Da che si deduce che sarebbe stucchevole l’art. 9 della Costituzione ed il suo recepimento nell’art. 145 del Codice dei beni culturali, la cui attuazione, che ricordava l’urbanista Vezio de Lucia, in occasione della presentazione del suo prezioso libro “L’Italia era bellissima”, è rimasta desolatamente sulla carta.

Tra le poche voci che si sono levate in difesa apparente del Ministero registriamo quella del sottosegretario Sgarbi, che però ha accompagnato il suo proclama a difesa delle Soprintendenze con un “mettiamoci d’accordo”, come se la tutela del paesaggio fosse un compromesso politico e non la rigorosa applicazione di una norma di diretta derivazione costituzionale, e quella del Presidente del FAI, Marco Magnifico, il quale ha altresì accompagnato questa difesa del principio costituzionale con un attacco ai tecnici delle Soprintendenze, utilizzando esempi strumentali, i quali, secondo il nostro, ancorché oberati di lavoro a causa delle carenze negli organici, risulterebbero privi delle competenze specifiche per potersi occupare di paesaggio. Con buona pace dei titoli richiesti per accedere a quelle qualifiche.

Insomma il Presidente del FAI sembra imputare il mancato decollo del piano per la transizione ecologica alla supposta incompetenza specifica dei tecnici delle Soprintendenze ed al mancato completamento, per quel che riguarda questo settore, di quelle che lo stesso definisce “eccellenti” riforme dell’ex ministro Franceschini sollecitando il nuovo alla realizzazione di questi obiettivi.

Possiamo dire, tentando di interpretare il pensiero dei lavoratori del ministero, che di queste espressioni di pelosa solidarietà se ne fa volentieri a meno. Possiamo aggiungere che le riforme della cosiddetta semplificazione delle procedure autorizzative si sono fatte, basti pensare alla riforma delle conferenze dei servizi o ai tempi del silenzio assenso che hanno prodotto in questi anni sfracelli sul territorio sottraendo di fatto al MIC pezzi di titolarità istituzionale riconosciuti dal Codice dei Beni Culturali. E poi c’è la vicenda farsa della Soprintendenza Unica nazionale per il PNRR, una scatola vuota con le relative pesanti incombenze procedurali scaricate sui pochi funzionari rimasti in Direzione Generale e nelle Soprintendenze Territoriali, centralizzando i meccanismi decisionali.

E infine si ripropone tutta la questione dell’autonomia differenziata che si sta pensando di attuare sottraendo materie dei beni culturali e del paesaggio alla titolarità dello Stato. Ecco ci piacerebbe sapere cosa ne pensa l’illustre Presidente FAI di tutto questo e magari anche del tentativo di affidare ad istituzioni private la gestione dei luoghi della cultura in capo al MIC, e non vederlo profittare in modo poco decoroso delle debolezze strutturali che affliggono l’organizzazione ministeriale, in gran parte prodotte dalle “eccellenti” riforme dell’ex ministro.

(Foto di Paolo Baldi)

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Il territorio non è un banale contenitore per centrali da fonti rinnovabili http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/12/il-territorio-non-e-un-banale-contenitore-per-centrali-da-fonti-rinnovabili/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/12/il-territorio-non-e-un-banale-contenitore-per-centrali-da-fonti-rinnovabili/#comments Sat, 10 Dec 2022 22:13:19 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15681 A cura del Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG).

Le associazioni ambientaliste FAI, Legambiente e WWF hanno sottoscritto fra loro un accordo (Paesaggi rinnovabili) per il sostegno alla produzione di energia da fonti rinnovabili senza se e senza ma, al di là della terminologia accattivante.

Spiace, ma non siamo d’accordo.

Come giustamente ricordano in questi giorni gli Amici della Terra, “la recente crisi dell’energia ha fatto scoprire a tutti che, in Italia, 15 anni di sussidi (oltre 200 miliardi) e di attenzione quasi esclusiva allo sviluppo di fonti rinnovabili intermittenti (eolico e fotovoltaico) ci hanno consentito, nel 2021, di coprire solo il 3,4% dei consumi finali di energia (1,79 Mtep di eolico e 2,14 Mtep di fotovoltaico), e che questo sforzo si è rivelato inadeguato di fronte all’emergenza. Si è rivelato inutile anche per la diminuzione delle emissioni climalteranti, che anzi sono aumentate se calcoliamo le emissioni da carbone della filiera del solare”.

Il territorio non è un banale contenitore per centrali di produzione energetica da fonti più o meno realmente rinnovabili (per esempio, non lo è certamente la biomassa ottenuta dal taglio selvaggio di boschi di mezza Europa).

La grande ricchezza del Bel Paese è data proprio dalla straordinaria ricchezza dei valori naturalistici, ambientali, paesaggistici e storico-culturali.

Mancanza di seria pianificazione energetica, carenza di governo pubblico delle proposte di centrali energetiche da fonti rinnovabili provenienti da privati, presenza ancora insufficiente di vincoli e piani paesaggistici.

Gli esempi dati dall’autentico Far West della speculazione energetica nella Tuscia e dalla pura follìa determinata della prossima sovrapproduzione di energia da fonti rinnovabili assolutamente inutilizzabile della Sardegna rendono palese la necessità di un efficace esercizio delle competenze statali e regionali di tutela del paesaggio, che significa anche tutela dell’identità storico-culturale e dell’attrattiva turistica dei territori.

Nella Tuscia, secondo dati non aggiornati, siamo di fronte a ben 51 progetti di campi fotovoltaici presentati, in parte approvati e solo in minima parte respinti in pochi anni, complessivamente oltre 2.100 ettari di terreni agricoli e boschi. Analogamente sono ormai svariate decine i progetti di centrali eoliche presentati o già in esecuzione.

In Sardegna, se fossero approvati tutti i progetti di centrali per la produzione di energia da fonti rinnovabili, vi sarebbe un’overdose di energia prodotta, pagata dallo Stato, ma inutilizzabile.

Infatti, a oggi in Sardegna non esistono impianti di conservazione dell’energia prodotta.

Con la realizzazione del Thyrrenian Link, il nuovo doppio cavo sottomarino di Terna s.p.a. con portata 1000 MW, 950 chilometri di lunghezza complessiva, da Torre Tuscia Magazzeno (Battipaglia – Eboli) a Termini Imerese, alla costa meridionale sarda.   Dovrebbe esser pronto nel 2027-2028, insieme al SA.CO.I. 3, l’ammodernamento e potenziamento del collegamento fra Sardegna, Corsica e Penisola con portata 400 MW, che rientra fra i progetti d’interesse europeo.

Al termine dei lavori, considerando l’altro collegamento già esistente, il SA.PE.I. con portata 1000 MW, la Sardegna avrà collegamenti con una portata complessiva di 2.400 MW.  Non di più.

In Sardegna, al 20 maggio 2021, risultavano presentate ben 21 istanze di pronuncia di compatibilità ambientale di competenza nazionale o regionale per altrettante centrali eoliche, per una potenza complessiva superiore a 1.600 MW, corrispondente a un assurdo incremento del 150% del già ingente comparto eolico “terrestre” isolano. 

Complessivamente dovrebbero esser interessati più di 10 mila ettari di boschi e terreni agricoli da. un’ottantina di richieste di autorizzazioni per nuovi impianti fotovoltaici.

Le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 agosto 2021 risultavano complessivamente pari a 5.464 MW di energia eolica + altri 10.098 MW di energia solare fotovoltaica, cioè 15.561 MW di nuova potenza da fonte rinnovabile, a cui devono sommarsi i tredici progetti per centrali eoliche offshore finora presentati,che dichiarano una potenza pari a 8.321 MW.

In tutto sono 23.382 MW, cioè più di undici volte i 1.926 MW esistenti (1.054 MW di energia eolica + 872 di energia solare fotovoltaica, dati Terna, 2021).

Significa energia che non potrà essere tutta utilizzata in Sardegna, non potrà esser trasferita verso la Penisola, non potrà essere conservata.  

Significa energia che dovrà esser pagata dal gestore unico della Rete (cioè lo Stato, cioè la Collettività di tutti noi) per essere in buona parte sprecata.

Gli unici che guadagneranno in ogni caso saranno le società energetiche.

Sotto il profilo strettamente energetico sono casi diversi quelli dei progetti di centrali eoliche offshore direttamente collegati alla rete elettrica delle Penisola, perché entrano nella rete presso il polo energetico di Tor Valdaliga (Civitavecchia).

Per il resto, una vergognosa speculazione energetica con un bel po’ di soldi pubblici e incentivi, tanto per cambiare.

Cosa ben diversa sarebbe se fosse lo Stato a pianificare in base ai reali fabbisogni energetici le aree a mare e a terra dove installare gli impianti eolici e fotovoltaici e, dopo coinvolgimento di Regioni ed Enti locali e svolgimento delle procedure di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), mettesse a bando di gara i siti al migliore offerente per realizzazione, gestione e rimozione al termine del ciclo vitale degli impianti di produzione energetica.

Su queste problematiche FAI, Legambiente e WWF non dicono una parola.  E spiace.

Paesaggio, identità storico-culturali, casse pubbliche non sono in svendita al peggiore offerente.

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Trivelle e fossili, dal Governo irresponsabile attacco al mare http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/11/trivelle-e-fossili-dal-governo-irresponsabile-attacco-al-mare-come-biglietto-da-visita-per-la-conferenza-sulla-crisi-climatica-dellonu/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/11/trivelle-e-fossili-dal-governo-irresponsabile-attacco-al-mare-come-biglietto-da-visita-per-la-conferenza-sulla-crisi-climatica-dellonu/#comments Mon, 07 Nov 2022 07:32:38 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15622 A cura del Forum H2O.

Ipocrisia su siccità e alluvioni; schizofrenia per azzeramento della pianificazione approvata pochi mesi fa; favoritismo per petrolieri e aziende energivore. Nel frattempo al Ministero dell’Ambiente ogni giorno depositati progetti immediatamente realizzabili per solare ed eolico per migliaia di MW di potenza, come tante centrali nucleari.

Il provvedimento sul rilancio delle trivelle in mare annunciato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni è il pessimo biglietto da visita fossile con cui lo stato italiano si presenta alla conferenza sulla crisi climatica in Egitto.

Si raschia il fondo del barile, è il caso di dirlo, con una norma che abbassa le tutele per i mari italiani già pesantemente colpiti dai cambiamenti climatici con temperature dell’acqua del tutto insostenibili.

Si tratta di una norma ipocrita proposta da chi da un lato piange i morti delle alluvioni e grida all’emergenza siccità e dall’altro fa qualche favore ai petrolieri che ci hanno portato sulla soglia del disastro climatico irreversibile. Fa sorridere amaramente ascoltare le parole della presidente del consiglio, una politica che votò Sì al referendum per bloccare le trivelle in mare qualche hanno fa, mentre sul sito WEB del ministero dell’ambiente campeggiano slogan sull’impegno dell’Italia per il contrasto ai cambiamenti climatici (!).

Ricordiamo che il metano è un vero e proprio killer del clima se emesso tal quale in atmosfera; lungo la filiera ci sono perdite consistenti come dimostrano ormai tanti studi per cui si è chiarito da tempo che questo gas non può essere certo la fonte energetica di transizione.

Dichiara Augusto De Sanctis, del Forum H2O “E’ una norma schizofrenica e poco seria per un paese, visto che di fatto si annulla la pianificazione, il Piano delle Aree compatibili per le estrazioni (PITESAI), approvato dallo stato appena un anno fa dopo averlo sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica secondo le norme comunitarie che a questo punto rischiano di essere violate esplicitamente”.

E’ pure uno specchietto per le allodole perché riguarda un aumento della produzione per 1,5 miliardi di mc all’anno, il 2% degli attuali consumi nazionali, quando nel 2022 l’Italia ha esportato – ripetiamo, esportato – in altri paesi già 2,7 miliardi di mc. In realtà si sblocca solo qualche asset incagliato per i petrolieri che ora possono valorizzarlo in bilancio, aumentando ulteriormente profitti già esorbitanti (basti pensare che ENI ha già 10 miliardi di utili nel 2022).

Soprattutto, se pure il meccanismo previsto dovesse funzionare per i piccoli volumi di gas estraibili, avvantaggerà paradossalmente poche aziende energivore con bollette calmierate. Praticamente uno schiaffo agli imprenditori che hanno puntato su efficienza, tecnologia e rinnovabili e ai cittadini italiani che rimarranno con le stesse bollette di prima.

Il tutto avviene – aggiunge De Sanctis – mentre ogni giorno vengono depositati al Ministero dell’Ambiente centinaia di progetti per sfruttare la vera risorsa che l’Italia ha in abbondanza, il sole. Per dire solo il 26 ottobre sono stati depositati 13 progetti riguardanti la produzione da solare ed eolico per un totale di 696 MW di potenza installata, pari a una piccola centrale nucleare. Quattro progetti il 31 ottobre, quattro il 2 novembre; ogni giorno, da mesi, è più o meno così. Moltissimi di questi interventi ha anche gli accumuli. Solare, eolico e altre rinnovabili producono energia a prezzi bassissimi; assieme a efficienza e risparmio sono l’unica strada da seguire” (https://va.mite.gov.it/it-IT/Procedure/AvvisiAlPubblico?pagina=1).

Per il Forum H2O, insomma, si tratta solo di un manifesto di negazionismo climatico antiscientifico, visto che da anni tutti gli scienziati in coro, e anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia, ricordano che per evitare il disastro definitivo sul clima bisogna lasciare le fossili, metano, carbone e petrolio, sottoterra.

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Che cosa dicono le Linee Guida in materia di impianti Agrivoltaici dell’Enea del giugno 2022 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/che-cosa-dicono-le-linee-guida-in-materia-di-impianti-agrivoltaici-dellenea-del-giugno-2022/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/che-cosa-dicono-le-linee-guida-in-materia-di-impianti-agrivoltaici-dellenea-del-giugno-2022/#comments Mon, 25 Jul 2022 08:38:09 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15492 di Giacinto Giglio, Forum Salviamo il Paesaggio e Consigliere Nazionale di Italia Nostra.

Leggiamo che il dilemma “fotovoltaico a terra o tutela dei suoli agricoli?” è risolto: con l’Agrivoltaico, ovvero un impianto fotovoltaico che adotta soluzioni volte a preservare la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale sul sito d’installazione. Sembrerebbe ”l’uovo di Colombo” per risolvere il conflitto tra produzione agricola e generazione energetica da fonti alternative.

Lo studio parte dalla disamina dei dati della RICA (Rete di Informazione Contabile Agricola) sulla produttività di un campione di aziende agricole a diverso indirizzo produttivo, per poi passare all’esame dei costi energetici delle aziende agricole (20% dei costi variabili) e agli investimenti per efficientamento energetico e autoconsumo aziendale.
Sempre dall’analisi del campione RICA risulta che il 4% delle aziende agricole (medio-grandi), produce e utilizza (15% della produzione complessiva) energia proveniente da fotovoltaico.

Le aziende agricole già hanno contributi PAC per la connessione/produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, purché la produzione energetica non interferisca con l’attività agricola per più di 60 gg e non utilizzi strutture permanenti che impediscano lo svolgimento del ciclo colturale e il mantenimento delle buone condizioni agronomiche e ambientali.

Poi ENEA ci dice pure quali devono essere le caratteristiche tecniche, un impianto agro voltaico, in attesa del regolamento applicativo del decreto legge n. 17 dell’1 marzo 2022.
Il DL energia ha stabilito che il fotovoltaico a terra, e anche agrovoltaico, non possa occupare più del 10% della superficie dell’azienda agricola. Per questo motivo ENEA cerca di fare dei distinguo tra i due sistemi FV: per far passare l’agrovoltaico introduce il “Volume agro voltaico” che è “determinato dalla superficie individuata dal profilo esterno dei moduli fotovoltaici e strutture di supporto proiettate sul piano di campagna per l’altezza minima dei moduli fotovoltaici dal suolo”.

Il volume agro voltaico cambia in rapporto alla distribuzione, alla densità e all’altezza minima da terra dei moduli FV. Ma il volume FV varia anche in relazione alla distanza e all’orientamento prevalente delle file dei moduli che in genere sono orientate in direzione est-ovest e i moduli sono rivolti a sud.

Ma quali sono i vantaggi e gli svantaggi dell’agrovoltaico?

Gli Svantaggi: i moduli agri voltaici per permettere l’attività agricola meccanizzata e zootecnica devono essere verticali “a spalliera” e avere un’altezza dai 2-6 metri da terra, le file devono essere distanziate dai 5-8 m per permettere le lavorazioni ed evitare l’ombreggiamento. Molte colture agrarie come l’arboricoltura e le colture seminative sono poco adatte o per niente adatte.
L’ENEA non ha considerato, nelle proprie Linee Guida, il maggior impatto paesaggistico dell’agrovoltaico rispetto al fotovoltaico a terra, dovuto alla maggior altezza verticale (fino a 6 m) e ai moduli sospesi su tralicci che difficilmente possono essere mascherati con siepi e alberature.

I vantaggi: proteggono le colture dalla pioggia, vento, grandine, diminuisce il fabbisogno idrico per l’ombreggiamento, mantiene la permeabilità dei suoli, permette di ri-coltivare terreni marginali (abbandonati o semi-abbandonati), aumenta la fertilità, permette la raccolta di acqua piovana sotto i moduli FV, mantiene il microclima e la resilienza a cambiamenti climatici.
L’agrovoltaico integra il reddito agricolo dell’azienda con i diritti di superficie, con la produzione e l’autoconsumo energetico.

I vantaggi non sono cosi evidenti negli studi in letteratura sull’applicazione dell’agrovoltaico, tanto è vero che l’ENEA prevede un sintema di monitoraggio dell’impianto durante la vita tecnica che si lega così agli incentivi. Il monitoraggio deve valutare i parametri di: microclima (temperatura, umidità, velocità dell’area retro-modulo ecc.), ma anche il risparmio idrico, la resilienza ai cambiamenti climatici, la continuità dell’attività agricola (la resa della coltivazione e il mantenimento dell’indirizzo produttivo) e il monitoraggio della produttività elettrica.

Si afferma così che l’agrovoltaico è fatto per applicare “un’agricoltura digitale di precisione” ossia “legata alla precisa e puntuale somministrazione dei mezzi tecnici (prodotti fertilizzanti e trattamenti fitosanitari), permettendo la riduzione importante dei loro quantitativi, delle aree interessate alla loro distribuzione e, quindi, delle dispersioni in ambiente, oltre a miglioramenti quantitativi e qualitativi delle produzioni”.

Per mantenere una produttività elettrica del 60% di un impianto FV a terra servirebbero soluzioni integrative innovative come: pannelli bifacciali, orientabili su singolo o doppio asse o a inseguimento, pannelli ad alta efficienza, dispositivi FV spettralmente selettivi e pure pannelli semi-trasparenti.
In molti casi, dopo l’istallazione d’impianti FV, si perde la “continuità dell’attività agricola” (DL 77/2021) se si confronta con la produttività agricola precedente all’installazione dell’impianto.
E’ necessario che il 70% della superficie aziendale debba restare destinata all’attività agricola, e con una percentuale di superficie complessiva coperta da moduli (LAOR) di massimo un 40%.

In conclusione, l’agrovoltaico se si diffonderà in Italia non sarà certo per iniziativa delle aziende agricole, ma perché permetterà alle imprese del settore energetico di ricevere gli incentivi con DL 199/2021, DL 17/2022 ed entro il 2026 di accedere ai fondi statali del PNRR per 1,1 Mld di euro.

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/che-cosa-dicono-le-linee-guida-in-materia-di-impianti-agrivoltaici-dellenea-del-giugno-2022/feed/ 1
Criticare la disordinata corsa al fotovoltaico a terra non vuol dire tifare per i petrolieri http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/06/criticare-la-disordinata-corsa-al-fotovoltaico-a-terra-non-vuol-dire-tifare-per-i-petrolieri/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/06/criticare-la-disordinata-corsa-al-fotovoltaico-a-terra-non-vuol-dire-tifare-per-i-petrolieri/#comments Mon, 27 Jun 2022 15:33:38 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15431 di Paolo Pileri.

La tutela dei suoli e la produzione di energia solare non devono essere messe in conflitto. Ecco perché è importante richiamare l’attenzione sul metodo sbagliato adottato dal Governo Draghi per individuare le aree idonee alla pannellizzazione. La risposta del prof. Pileri all’accusa di fare il gioco dei combustibili fossili.

Il 20 giugno abbiamo pubblicato l’opinione del prof. Paolo Pileri intitolata “Questa corsa alla pannellizzazione fotovoltaica non fa il bene dei suoli agricoli”. È parte di un dibattito che vogliamo stimolare anche a seguito del nostro recente approfondimento “Fotovoltaico a terra: tra rischi e benefici per il (fragile) suolo”. Tra chi ha commentato su Facebook sotto al contributo di Pileri c’è anche il prof. Mario Grosso, ingegnere ambientale che insegna al Politecnico di Milano. Grosso ha scritto: “Poiché se l’energia non si produce da fonti rinnovabili va prodotta da combustibili fossili, con questo scritto Pileri si schiera ufficialmente a favore di questi ultimi, i quali stanno sì mettendo in crisi tutti i nostri ecosistemi. Imbarazzante…”. Ecco la risposta di Paolo Pileri. Questo spazio è naturalmente aperto (redazione@altreconomia.it).

***

L’accusa che mi viene mossa da Mario Grosso mi obbliga a un chiarimento.
Provare a dire qualcosa che non va nel modo in cui si sta disegnando la transizione energetica non equivale a schierarsi con l’uso dei combustibili fossili. Starei molto più cauto nel fare queste equivalenze che, onestamente, sono spericolate.

Comunque, voglio chiarire. La vicenda del “Decreto energia” ci ripropone di nuovo il medesimo dilemma che spesso questo modello di sviluppo usa: mettere una contro l’altra due sostenibilità. Da un lato la tutela dei suoli (agricoli, in questo caso) e dall’altro la produzione di energia solare. È chiaro che vorremmo entrambe e di entrambe abbiamo diritto. Ed è proprio per questo che non possiamo sceglierne una a scapito dell’altra perché quel che davvero la transizione ecologica dovrebbe fare, diciamolo alla politica, è darci entrambe al posto di qualcosa di altamente insostenibile.

Quello che ho provato a spiegare è proprio il fatto che il decreto energia non fa questo, ovvero non fa iniziare la nostra transizione energetica con un principio ecologico alto, ma bassissimo: va a occupare terre agricole in nome della fretta o dell’emergenza che la situazione internazionale ha aperto. A onor del vero, questo stesso governo e pure il precedente non avevano dato migliori soluzioni prima della guerra, questo dobbiamo ricordarlo (e lo avevo già scritto nella mia rubrica “Piano Terra” l’1 luglio 2021, quando però nessuno si è preso la briga di dirmi nulla).
E infatti nelle prime stesure del Pnrr non vi era scritto che le terre agricole non si sarebbero toccate. Non vi era scritto nulla di chiaro e certo e tutto faceva sospettare al peggio. E oggi eccolo il peggio (e in un anno non si è riusciti a pensare a nessuna alternativa per le aree idonee?).

Il mio articolo non è contro la transizione energetica verso il fotovoltaico, che io voglio, ma è una riflessione su un’infilata di decreti che ha scelto una strada iper-semplificata (banale potremmo probabilmente dire senza essere smentiti) per avviare una transizione energetica necessaria ma non per questo da deregolamentare, urgente ma non per questo con la licenza di non rispettare la sfida ecologica nel suo complesso.

Vorrei che si facesse di tutto e di più per fare energia pulita partendo da tutte le superfici impermeabili (tetti, piastre, strade abbandonate, ex aeroporti, edifici abbandonati e dismessi, capannoni e magazzini, impianti, etc.) e poi, solo poi, se davvero vi sarà necessità, parleremo di aggredire i suoli agricoli con i quali mangiamo e non solo.

Ma dico di più. Vorrei anche che si accelerasse per attivare tutte le misure possibili per il risparmio energetico, per orientare a una dieta meno carnivora (che sappiamo eccessiva e sballata dal punto di vista delle unità di energia spese rispetto a quelle rese), per ridurre spostamenti urbani inutili o sostituibili (i cugini tedeschi stanno offrendo in questo momento ai loro cittadini un abbonamento a tutti i mezzi pubblici per soli nove euro al mese: questa politica fa risparmiare un sacco di energia privata e pure di consumo di suolo), per obbligare tutto il comparto logistico e delle grandi superfici di vendita a pannellarsi, e così via.

Insomma sto dicendo che prima di far fuori la risorsa più preziosa e meno rinnovabile che abbiamo, il suolo, avrei gradito che il “governo dei migliori” ci proponesse qualcosa di migliore e non un metodo geometrico con il compasso per decidere le aree idonee alla pannellizzazione. Se questo mio appello è totalmente infondato e per questo volete accusarmi di essere del clan dei petrolieri, accomodatevi. Comunque ci hanno teso una trappola e ci stiamo cascando: ci accusiamo tra noi anziché denunciare chi non è sostenibile.

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022)

Articolo e immagine tratta da: https://altreconomia.it/si-puo-criticare-la-disordinata-corsa-al-fotovoltaico-a-terra-senza-essere-del-clan-dei-petrolieri/

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