Puglia – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Tue, 28 Nov 2023 12:01:20 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.5 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Puglia – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 L’antico bosco dell’Arneo rischia di essere cancellato per sempre dall’ampliamento della pista Porsche http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/lantico-bosco-dellarneo-rischia-di-essere-cancellato-per-sempre-dallampliamento-della-pista-porsche/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/lantico-bosco-dellarneo-rischia-di-essere-cancellato-per-sempre-dallampliamento-della-pista-porsche/#comments Fri, 17 Nov 2023 19:02:53 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16208 di Serena Mattia

La casa automobilistica tedesca Porsche, in accordo con la Regione Puglia, abbatterà un’ampia porzione di foresta per ampliare le piste del Nardò Technical Center.

Dicono si tratti di un intervento di pubblica utilità.

Il contesto

Siamo nella Riserva Naturale Orientata Regionale Palude del Conte e Duna Costiera dove rischiano di essere cancellati 200 ettari dell’ultimo lembo dell’antico bosco mediterraneo dell’Arneo.

La Riserva comprende due siti di interesse comunitario (SIC): il SIC “Palude del Conte – Dune di Punta Prosciutto” e il SIC “Porto Cesareo”, fondamentali per la conservazione degli habitat naturali e delle specie animali e vegetali di interesse comunitario. Parliamo dunque di un’area di notevole importanza naturalistica, interessata da vincoli ambientali molto stretti.

Cosa prevede?

Il centro prove proprietà della Porsche si sviluppa su una superficie di 700 ettari e comprende piste, impianti, officine e uffici.

Il progetto di ampliamento prevede la costruzione di altre piste di prova, un parcheggio, edifici tecnici e amministrativi, una mensa, un nuovo centro di logistica e manutenzione e una stazione di servizio.

Secondo la Direttiva Habitat, progetti che ricadono all’interno delle aree Natura 2000 e quelli che ricadono all’esterno ma che possono comportare ripercussioni significative su di esse, devono essere oggetto della valutazione di incidenza (VINCA).

Il comitato VIA (Valutazione di impatto ambientale) e VINCA della Regione Puglia ha affermato che “gli impatti su tali componenti sono negativi e significativi”. Anche l’Ufficio Parco del Comune di Porto Cesareo, ha definito “significativamente negativa e rilevante” l’incidenza dell’intervento richiesto da Porsche.

La Direttiva Habitat, in caso di valutazione negativa, prevede che l’assenso può sopraggiungere solo in presenza di rilevante interesse pubblico e previa progettazione di misure compensative. Ma Porche ha pensato anche a questo. Ha elaborato infatti un piano per il “miglioramento ambientale”, miglioramento che andrà a distruggere l’antico bosco mediterraneo per un progetto di riforestazione che avrà luogo nei terreni di privati, che saranno pertanto espropriati. Inoltre, sono previsti un centro di elisoccorso attrezzato con eliporto e annesse strutture sanitarie e l’implementazione di un centro di sicurezza antincendi. Tutto questo andrà a giustificare la pubblica utilità. E il gioco è fatto.

Quali saranno le conseguenze del progetto?

Circa 200 ettari dell’antico bosco dell’Arneo saranno distrutti per far posto all’ampliamento del circuito, in una regione che si posiziona, secondo l’ultimo rapporto ISPRA, al terzo posto per consumo di suolo.

La riforestazione avverrà su 351 ettari di terreno appartenenti a 134 diversi proprietari che saranno espropriati, molti dei quali perderanno le loro attività agricole. Inoltre, il valore ecologico di questa foresta non potrà essere sostituito da un impianto artificiale. La capacità di un bosco di questo tipo di assorbire anidride carbonica, stoccare carbonio, regolare il clima, ospitare la fauna selvatica, è sicuramente maggiore rispetto alla capacità delle giovani piante messe a dimora.

Ma quello che più preoccupa è che la procedura adottata rischia di creare un precedente pericoloso per aggirare la protezione di altre aree naturali, facendo passare l’interesse privato per interesse pubblico.

Per tutelare questo habitat così ricco di biodiversità, il comitato Custodi del Bosco dell’Arneo ha lanciato una petizione online: firmatela e contribuite a salvare questo bene comune.

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Taranto: per fermare il consumo di suolo nasce il comitato “Città sostenibile” http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/12/taranto-per-fermare-il-consumo-di-suolo-nasce-il-comitato-citta-sostenibile/ Sat, 10 Dec 2022 22:03:19 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15677 Il progetto di nuova edificazione nella «sottozona 32», l’area che si estende da via Speziale fin oltre il centro commerciale «Porte dello Jonio» costeggiando Cimino, ripropone il tema del consumo di suolo in una città – Taranto – che si presenta già estremamente dilatata. In Italia la copertura artificiale di suolo ammonta a circa il 7% del territorio nazionale (dati ISPRA 2022), quasi il doppio della media europea; a Taranto si arriva al 21% della superficie comunale: il triplo della media nazionale, cinque volte il dato europeo.
Il consumo di suolo è riconosciuto come uno dei fattori che contribuiscono ai cambiamenti climatici, poiché i terreni edificati smettono di svolgere una serie di funzioni ecologiche essenziali. Ad esso sono correlati anche problemi di altra natura. L’espansione senza freni della città genera crisi del piccolo commercio, emarginazione sociale, aumento delle patologie legate all’esposizione al traffico, crescenti difficoltà economiche per i Comuni – costretti a servire aree sempre più vaste.

Nonostante la tendenza ormai consolidata al declino demografico (oltre quattordicimila abitanti in meno rispetto al 2013) i terreni edificati continuano ad aumentare anche nella nostra città e si progettano ulteriori colate di cemento. Un vero e proprio spreco di territorio a vantaggio di pochi e a danno della collettività. Tutto questo mentre porzioni crescenti del centro cittadino vanno svuotandosi e Taranto assume sempre più i contorni della “città-groviera” evocata da Alessandro Leogrande.
Per progettare un futuro sostenibile per la nostra comunità è necessario arrestare queste dinamiche: le energie e le risorse delle istituzioni pubbliche e degli operatori privati vanno rivolte al recupero ed alla rigenerazione dell’esistente e alla valorizzazione del paesaggio, a partire dagli immediati adempimenti previsti per il Parco Naturale Regionale del Mar Piccolo e dalla necessaria attenzione ad aree di interesse naturalistico come l’Oasi della Salina Piccola o la pineta in zona Blandamura.

In particolare, riteniamo che le scelte in tema di pianificazione del territorio debbano seguire quattro direttrici fondamentali:

  • respingere qualsiasi progetto che prospetti l’ulteriore espansione dell’abitato e l’edificazione di nuove aree;
  • individuare all’interno della città già edificata gli spazi e i contenitori per lo sviluppo di nuove funzioni;
  • tutelare il paesaggio, anche attraverso l’istituzione di aree naturali protette, adeguando il piano urbanistico alle previsioni del Piano Paesaggistico Territoriale Regionale;
  • pervenire nel più breve tempo possibile a un Piano urbanistico generale (PUG) indirizzato dal principio di consumo di suolo a saldo zero – obiettivo fissato dalla stessa Commissione europea.

Per sensibilizzare in questo senso la società civile e le istituzioni promuoviamo il comitato «Città sostenibile». L’adesione è aperta a chiunque, singoli e associazioni, riconosca che non si possono più riproporre i modelli di sviluppo che hanno provocato la crisi ambientale ed economica in cui ci stiamo dibattendo e che occorre procedere speditamente in direzione della sostenibilità, per una Taranto che guardi al futuro.
Hanno già aderito:
ARCA Taranto, ARCI AL42, ARCI Futurja. ARCI Gagarin, Associazione culturale Gruppo Taranto, Comitato Parco regionale del Mar Piccolo, Fillea CGIL – Taranto, Forum Salviamo il Paesaggio – Taranto, Fucina 900, Italia Nostra – Taranto, Legambiente – Taranto, Libera. Associazioni, Nomi e Numeri contro le Mafie – Taranto, LIPU – Taranto, OPS – Osservatorio Permanente Salinella OdV, Peacelink, puntapenna.info,
SiAmo Taranto, Mario Carobbi (architetto), Assunta Cocchiaro (archeologa), Leo Corvace (ambientalista), Giovanni Fanelli (ricercatore CNR Taranto), Rino Giangrande (presidente Associazione Grande Salento). Massimo Prontera (architetto).

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Il 16 novembre, in previsione del possibile approdo in Consiglio Comunale di una proposta di delibera sulla “sottozona 32”, abbiamo rivolto ai consiglieri comunali il seguente appello:
“Il prossimo passaggio in Consiglio comunale della delibera sulla sottozona 32 rende necessarie alcune considerazioni.Il testo licenziato dalla giunta e sottoposto al Consiglio in sostanza stralcia il progetto presentato dalla ditta Marchetti Srl per la realizzazione di capannoni commerciali e, nella stessa zona, prospetta la realizzazione di “servizi di supporto” al nuovo ospedale San Cataldo. Si fa genericamente riferimento a “RSA, laboratori, foresterie, centri direzionali”. Interventi che andrebbero ad anticipare in quell’area le previsioni del Piano urbanistico generale (Pug) per la cui redazione è stato affidato solo pochi giorni fa l’incarico all’architetto Karrer.

Dal nostro punto di vista la delibera presenta diverse criticità. In primo luogo, ci interroghiamo sulla necessità di realizzare proprio in quella porzione di territorio non ancora estesamente urbanizzata i servizi cui si è accennato. Scorrendo le pagine del progetto originario del San Cataldo si legge “il complesso ospedaliero (…) rappresenta (…) un elemento urbano autonomo che non impone la necessità di realizzare nelle aree limitrofe servizi e attività ad esso connesse, ma che rappresenta una realtà sociale in cui soddisfare tutti i principali servizi connessi con le prestazioni che ivi si svolgeranno”. Il nuovo ospedale infatti è stato pensato per comprendere già al suo interno alcune delle funzioni che la delibera intende sviluppare nella sottozona 32, come la foresteria. A ciò sono stati aggiunti, con una recente variante, un “polo direzionale e didattico” e una “scuola per l’infanzia”. Se queste opere non dovessero bastare a rendere il San Cataldo quel “polo di eccellenza” che tutti auspichiamo, è opportuno chiedersi per quale ragione gli altri “servizi di supporto” debbano essere collocati proprio nella sottozona 32 e non in un’area già urbanizzata. Potremmo citare numerosi esempi di ottimi ospedali che si stagliano come “cattedrali nel deserto” nel paesaggio circostante: si pensi al Miulli di Acquaviva delle Fonti, che dista circa sette chilometri dai limitrofi centri abitati.

D’altra parte, è già stato messo in cantiere il collegamento del San Cataldo con la città attraverso le cosiddette “BRT”, le “linee veloci” che congiungeranno le diverse zone dell’abitato. Quanto alle esigenze di ricezione poi, facciamo notare che non mancano in città aree in cui realizzare strutture idonee: lo stesso progetto del nuovo stadio prospetta la costruzione di un grande albergo in una superficie già urbanizzata. Infine, la dislocazione di attività funzionali al San Cataldo all’interno del tessuto urbano potrebbe favorire quel processo di riqualificazione dell’esistente che pure è stato enunciato come uno dei principi che dovranno informare il prossimo Pug. Un tema che torna con forza se si pensa al futuro delle strutture del Santissima Annunziata, che non possono essere lasciate vuote. Un altro elemento ci lascia perplessi, e riguarda proprio il rapporto con il Piano. Se questo dovrà fornire un nuovo disegno di città, archiviando finalmente l’attuale strumento urbanistico in vigore dal 1978, quali pressanti esigenze impongono di anticipare l’edificazione di una zona ancora solo parzialmente urbanizzata? A nostro parere sarebbe più coerente che gli interventi sulla sottozona 32 – come su altre superfici non impermeabilizzate – fossero parte integrante di una visione globale sul futuro assetto della città. Il rischio, in caso contrario, è di elaborare il Piano come somma di decisioni estemporanee, sollecitate ora da questo ora da quel progetto, perdendo la prospettiva d’insieme. La definizione della sottozona 32 va dunque rinviata all’iter di elaborazione del Pug.

Alla luce di tutto questo, chiediamo ai rappresentanti dei cittadini in Consiglio comunale di non prendere una decisione affrettata. Si avvii un percorso di ascolto delle diverse componenti della nostra comunità prima e non dopo l’approvazione della delibera – quando le scelte fondamentali sarebbero già state prese. Si ricordi che è in gioco il futuro della città e di fronte a questo fermarsi a riflettere non è una perdita di tempo. Da parte nostra valuteremo tutte le iniziative necessarie ad arrestare interventi che non rispondano all’interesse pubblico e alla difesa e tutela dell’ambiente”.

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Paesaggio, piccola storia ignobile in salsa gallipolina http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/11/paesaggio-piccola-storia-ignobile-in-salsa-gallipolina/ Fri, 25 Nov 2022 18:16:25 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15643 di Fabio Modesti.

Il Tar di Lecce ricostruisce una storia di dirompente offesa al paesaggio ed all’ambiente del litorale di Gallipoli e di connivenza tra autorità pubbliche e interessi privati.

Gallipoli, punta di diamante del circuito turistico. Di quel turismo mordi e fuggi, tutto spiagge, affitti in nero, sballo e annessa violenza che ormai marcano sempre più le stagioni estive nella “città bella” del Salento. Un ruolo che Gallipoli, certo, si è anche cercata ma che ora sta determinando rigetto nei cittadini. Nei decenni, a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, in quella parte di Salento si è abbattuta una vera e propria furia devastatrice del paesaggio appena mitigata dall’istituzione del parco regionale di Isola di S. Andrea e litorale di Punta Pizzo di cui abbiamo raccontato due anni fa. Ora, parte di quel periodo riemerge in una recente sentenza del Tar Puglia sezione di Lecce. Un pronunciamento per un ricorso attivato da una nota società alberghiera che aveva chiesto alla Regione Puglia di rettificare la classificazione di alcune aree di poco più di un terzo di ettaro in zona Baia Verde. Nel Piano paesaggistico (Pptr), si dice nel ricorso, esse erano state erroneamente perimetrate come “zona umida”, “connessione alla Rete Ecologica Regionale” e “immobili e aree di notevole interesse pubblico”. Rimuovendo tali vincoli al paesaggio le aree sarebbero state destinate a parcheggio “ovviamente” «nel pieno rispetto delle caratteristiche paesaggistiche del luogo e con un giusto intervento di ingegneria ambientale che porterà ad aumentare il già presente strato di riporto fino ad una quota di +0,70 mt che mette il terreno in sicurezza rispetto agli eventuali eventi eccezionali sulla previsione fatta a 200 anni».

Il “no” della Regione alla rettifica

La Regione motiva il “no” alla rettifica affermando che «l’individuazione dell’UCP Aree umide effettuata dal Pptr sulle aree in questione non rappresenta un errore, in quanto l’area risulta essere stata oggetto di ripetute trasformazioni, avvenute successivamente alle ricognizioni effettuate dal piano (…) Si evidenzia infine che la trasformazione delle aree sulle p.lle 889, 886 e 888 del fg 25 del Comune di Gallipoli deve essere supportata dai necessari titoli abilitativi, non trasmessi con l’istanza in oggetto». La società ha controdedotto rispondendo che «l’area in questione già da molto tempo prima dell’approvazione del Pptr era priva di qualsivoglia tipo di vegetazione; era stata oggetto di interventi autorizzati dal Comune di Gallipoli fin dal 1989 […] ed era stata interessata da opere oggetto di condono edilizio». Dopo il diniego definitivo da parte della Regione la società ha attivato il ricorso al Tar contestando il mancato coinvolgimento del Comune di Gallipoli nel procedimento regionale e richiamando le autorizzazioni del Sindaco di Gallipoli del 1989 e, di condono, del 1996 «ad eseguire lavori di risanamento dei terreni, attesa la presenza di fenomeni di antigienicità lamentati, previa estirpazione dei canneti, disinfezione e derattizzazione, compattazione del terreno con materiale di riporto e messa a dimora di opere di natura agricola […]» e di sistemazione agricola dei suoli.

La storia ricostruita dal Tar

Ed ora viene il bello perché i giudici amministrativi leccesi ricostruiscono la vicenda risalente nel tempo scrivendo che «corre l’obbligo di precisare che tutta la colmata della zona paludosa esistente nell’area a sud di Gallipoli è stata oggetto di attenzione da parte della magistratura penale con procedimenti che ebbero ad interessare gli amministratori di Praia del Sud S.p.A., società incorporante, a decorrere dal 11.05.1990, la società Praia del Sole, già proprietaria dei terreni de quibus, così come puntualmente evidenziato dalla difesa erariale». Racconta la sentenza che il a gennaio 1994 il Pretore di Lecce – sez. distaccata di Gallipoli – pronunciava la sentenza n. 82/1994, con la quale, dopo aver accertato che i lavori si erano svolti in assenza di autorizzazioni e in spregio delle indicazioni prescritte dalla Regione e dal Comune di Gallipoli, condannava gli imputati, tra i quali l’amministratore dell’epoca di Praia del Sole S.p.a., alla demolizione delle opere abusive ed al ripristino dello stato dei luoghi. Questa prima sentenza è stata confermata dalla Corte d’Appello di Lecce nel 1999 che confermava, tra l’altro, anche la condanna alla demolizione dei manufatti illecitamente realizzati e alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi e, successivamente, nel 2000 dalla Cassazione. «Ciò nonostante – aggiungono i giudici amministrativi leccesi -, nulla veniva demolito ed anzi il Comune di Gallipoli provvedeva a rinnovare per ulteriori due anni la concessione edilizia […] dopo la restituzione nel 1994 delle aree precedentemente sequestrate». A luglio del 1996 il Sindaco del Comune di Gallipoli – continuativamente dal 1993 Flavio Fasano (PDS) -, al quale erano state presentate otto distinte istanze in sanatoria dalla Praia del Sud S.p.a., con cui veniva richiesto il rilascio delle concessioni in sanatoria per le opere illegittime realizzate, adottava le concessioni in sanatoria per tutte le istanze. A gennaio 1997 Praia del Sud S.p.a. (già Praia del Sole S.p.a.),  chiedeva al Sindaco del Comune di Gallipoli, una nuova proroga del termine di efficacia della concessione edilizia n. 4691 ed il Comune concedeva la proroga a febbraio 1997 per un periodo di diciotto mesi.

Un’altra piccola storia ignobile del paesaggio pugliese

Il dirigente dell’ufficio tecnico comunale concedeva ad ottobre 1998 il nulla-osta paesaggistico n. 67 descrivendo l’intervento come minimale, non aggressivo e ben inserito nel contesto dei luoghi, «mentre in realtà aveva una portata dirompente sull’ambiente e sul territorio per l’entità delle opere realizzate e previste», scrivono i giudici del Tar. Il nulla-osta comunale per realizzare strutture turistiche all’aperto è stato annullato dalla Soprintendenza per i Beni architettonici, artistici e storici a gennaio 1999. L’allora dirigente tecnico del Comune di Gallipoli fu condannato definitivamente per falso ideologico con sentenze del Tribunale di Lecce nel 2005 e della Corte d’Appello di Lecce nel 2008. Un’altra piccola storia ignobile per il paesaggio, questa volta in salsa gallipolina. Il Tar di Lecce, ora, ha respinto il ricorso della società contro la mancata rettifica al Pptr da parte della Regione Puglia.

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Taranto può dire basta al consumo di suolo: No a una nuova espansione in zona Cimino http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/11/taranto-puo-dire-basta-al-consumo-di-suolo-no-a-una-nuova-espansione-in-zona-cimino/ Sat, 12 Nov 2022 08:54:59 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15628 A cura di Legambiente Taranto.

Il consumo di suolo in Italia, in base ai dati dell’ultimo Rapporto ISPRA, nel 2021 è stato pari a 69,1 km quadrati, circa 19 ettari al giorno, più di 2 metri quadrati al secondo. Si tratta del valore più alto degli ultimi 10 anni, in accelerazione rispetto al passato recente, assolutamente insostenibile, causa della scomparsa di aree naturali e agricole sostituite da nuovi edifici, infrastrutture, insediamenti commerciali, logistici, produttivi. La copertura artificiale del suolo nel nostro Paese è ormai arrivata al 7,13% -mentre la media UE è del 4,2%- con gravi conseguenze non solo ambientali, ma anche economiche, per i costi connessi alla crescente impermeabilizzazione e artificializzazione del suolo, stimati in ben 8 miliardi di euro.

A Taranto nel 2021 il consumo di suolo nell’anno è stato pari a 16, 41 ettari (in incremento rispetto ai 10,1 ettari del 2020), portando il suolo totale consumato, per effetto di scelte scellerate compiute in passato e di un piano regolatore sovradimensionato, a 5.337 ettari, pari a ben il 21,6% del totale disponibile. Un dato elevatissimo, 3 volte la media nazionale, 5 volte la media UE, che per Legambiente rende prioritaria la necessità di contenere fortemente e possibilmente fermare il consumo di suolo nel nostro territorio. Necessità resa ancora più stringente dalla costante decrescita demografica della città dei due mari: il 31 dicembre 2013 Taranto aveva più di duecentotremila abitanti, agli inizi di quest’anno meno di centonovantamila,con una perdita di oltre quattordicimila abitanti in soli otto anni. Come se fosse scomparso San Giorgio Jonico. O Statte.

Sono dati su cui crediamo occorra fermarsi a riflettere e che, a nostro avviso, vanno assunti come il primo parametro su cui valutare le singole scelte che impattano con il futuro del nostro territorio, come nel caso della proposta di suddivisione della sottozona 32 del Piano Regolatore in sei subcomparti.

Rispetto ad essa, in base alle informazioni disponibili, riteniamo pienamente condivisibile la previsione della realizzazione di interventi attraverso apposito P.I.R.U. (Programma di Rigenerazione Urbana) per i comparti indicati con le lettere E e F, più prossimi alla città consolidata, già antropizzati e sviluppatisi in modo disordinato. Anchela scelta di attendere l’adozione del nuovo P.U.G. ,proposta per il comparto indicato con la lettera D, situato dopo il centro commerciale ex Auchan, in direzione di San Giorgio Jonico, ci appare condivisibile, visto il rinvio ad uno strumento di programmazione frutto di una visione d’insieme estesa all’intera città.

Destano invece forti preoccupazioni le indicazioni relative ai comparti B e C, situati subito prima del centro commerciale, per i quali, pur escludendo la realizzazione di edilizia residenziale, le altre destinazioni d’uso ammesse aprirebbero la strada ad un rilevante consumo di suolo.

In base alla declaratoria contenuta nell’articolo 38 delle N.T.A. risultano in generale ammissibili molteplici destinazioni: possono essere costruiti infatti edifici direzionali, studi professionali e uffici in genere, pubblici e privati, sedi di rappresentanza e attività commerciali di ditte, istituti di credito, banche, mostre di prodotti manifatturieri, sedi e punti di vendita di grandi organizzazioni commerciali, attività commerciali in genere, attrezzature terziarie di supporto connesse o attinenti alle attività commerciali e direzionali, attrezzature alberghiere e turistico-ricettive, edifici per il culto ed opere connesse, attrezzature complementari per il richiamo pubblicitario e il trattenimento sociale e culturale del pubblico (Centri socio – culturali e assistenziali, sale per riunioni, biblioteche, sale per spettacolo e svago, teatri, cinematografici, ecc.), edifici per l’istruzione in genere e relativi annessi anche residenziali, poliambulatori, farmacie, posti di pronto soccorso, laboratori di analisi, cliniche private. Si configurerebbe quindi, nei comparti B e C, una ulteriore espansione urbana cui Legambiente è assolutamente contraria sia per il rilevante consumo di suolo connessosia per il decremento demografico in atto, sia perché non si ravvede una effettiva necessità di allocare proprio in quei comparti tutta una serie di servizi, considerando le possibilità offerte sia dai comparti E e F, limitrofi, che più in generale dalla città nel suo complesso.

Taranto è segnata dalla presenza di molte periferie che non hanno bisogno di nuove espansioni che le dilatino, o della distruzione di ulteriore terreno agricolo per “riempire i vuoti” tra centro abitato e nuovi insediamenti periferici, ma di interventi di riqualificazione, di piani di rigenerazione urbana. Il suolo che si continua a consumare, coprire, impermeabilizzare, inquinare, è essenziale per la lotta ai cambiamenti climatici: esso contiene il più importante stock di carbonio terrestre ed una sua gestione corretta e sostenibile è essenziale per contrastare gli effetti devastanti del climate change. Per questo è indispensabile preservarlo il più possibile.

Per Legambiente la priorità oggi è giungere nei tempi più rapidi possibili alla adozione del nuovo Piano Urbanistico Generale di Taranto, che permetta di inquadrare in un disegno complessivo, frutto di una visione d’insieme, le singole scelte, che dia risposte alle esigenze dei cittadini evitando la reiterazione degli errori del passato, che realizzi una svolta lungamente attesa, nel segno del contenimento, della ricucitura del tessuto urbano esistente, della tutela della natura, rispetto alla realtà di un territorio il cui suolo, negli anni, è stato consumato in maniera devastante.

Pubblicato in La Città

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Questa sarebbe la transizione ecologica nel Mezzogiorno? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/09/questa-sarebbe-la-transizione-ecologica-nel-mezzogiorno/ Wed, 28 Sep 2022 07:38:58 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15566 A cura del Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG).

L’associazione ecologista Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) nelle scorse settimane (agosto 2022) ha inoltrato un’istanza di accesso civico e informazioni ambientali rivolta alle Amministrazioni pubbliche nazionali e regionali competenti concernente i numerosi progetti di centrali eoliche nel territorio pugliese e offshore nei mari prospicienti i litorali della Puglia.

Nel corso della riunione del Consiglio dei Ministri del 28 luglio 2022

Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Mario Draghi, in seguito alla complessiva valutazione e armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, ai sensi dell’articolo 5, comma 2, lettera c-bis), della legge 3 agosto 1988, n. 400, ha deliberato l’approvazione del giudizio positivo di compatibilità ambientale per undici progetti di impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili (energia eolica), per una potenza complessiva pari a circa 452 MW. A norma dell’articolo 7 del decreto-legge 17 maggio 2022, n. 50, le deliberazioni adottate sostituiscono a ogni effetto il provvedimento di valutazione d’impatto ambientale (VIA).

Nel dettaglio, si tratta di otto progetti da realizzare nella regione Puglia e tre nella regione Basilicata:

  • Mondonuovo (Comune di Mesagne – BR), potenza: 54 MW;
  • Valleverde (Comune di Bovino – FG – località ‘Monte Livagni’) e opere di connessione (da ubicare anche nei comuni di Castelluccio dei Sauri e Deliceto – FG), potenza: 31,35 MW;
  • rifacimento parziale e potenziamento (‘repowering’) del parco eolico (Comuni di Motta Montecorvino e Volturara Appula -FG), potenza complessiva 42 MW;
  • San Pancrazio Torrevecchia (Comune di San Pancrazio Salentino – BR) e relative opere di connessione alla Rete di Trasmissione Nazionale (RTN) (comuni di Avetrana – TA – e Erchie – BR), potenza complessiva: 34,5 MW;
  • San Severo La Penna (Comune di San Severo – FG) e relative opere di connessione, potenza complessiva: 47,6 MW;
  • San Potito (Comune di Ascoli Satriano – FG – località ‘Torretta’) e relative opere di connessione (Comune di Deliceto – FG), potenza: 34,5 MW;
  • progetto da realizzare nel comune di San Paolo Civitate (FG), nelle località Pozzilli, Chiagnemamma, Cerro Comunale, Marana della Difensola – Quarantotto, Masseria Difensola e infrastrutture connesse, site nel territorio del comune di Torremaggiore (FG), nelle località Fari e Rascitore, potenza: 42 MW;
  • ‘Parco Eolico San Severo’ (Comune di San Severo-FG), potenza: 54 MW;
  • proroga di cinque anni del termine di validità del provvedimento di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione dell’impianto eolico denominato ‘Serra Gagliardi’, da realizzare in agro del Comune di Genzano di Lucania (PZ), potenza 36 MW;
  • proroga di cinque anni del provvedimento di valutazione di impatto ambientale relativo all’impianto eolico denominato ‘Castellan’” da realizzarsi nel territorio del Maschito e Venosa (PZ), potenza: 38,995 MW;
  • Rosamarina (comune di Lavello – PZ) e opere di connessione nei comuni di Venosa e Melfi (PZ), potenza: 37,1 MW.”

Oltre a questi otto progetti (più altri tre nella contigua Basilicata) per una potenza complessiva di 452 MW, sono in progetto ben 10 centrali eoliche offshore, a varia distanza dalla battigia marina, due dei quali bocciati in sede di procedura di V.I.A.

Più di 550 aerogeneratori per una potenza complessiva di 4.726 MW.

Emergono chiare un paio di domande: questa immane potenziale produzione di energia elettrica da fonte rinnovabile, a fronte di un pesante consumo del territorio, quale centrale con produzione da fonte fossile andrà a sostituire?

Quali impegni sono stati formalmente assunti in proposito?

Forse nessuno…

E quali sono i benefici ambientali ed economico-sociali per il territorio pesantemente interessato?

Non quantificati…

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Puglia: pronto il nuovo Piano Casa, ma non è un passo avanti… http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/puglia-pronto-il-nuovo-piano-casa-ma-non-e-un-passo-avanti/ Mon, 25 Jul 2022 08:24:49 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15490 La quinta commissione del consiglio regionale ha completato i suoi lavori e ha approvato (con l’astensione dell’opposizione) la bozza del nuovo Piano Casa dopo mesi di “feroci” discussioni. La nuova bozza è stata enfaticamente salutata come una norma in grado di accontentare tutti, tanto che l’edizione locale de “La Repubblica” ha titolato a grandi caratteri: «Gli ambientalisti su Piano Casa: un passo avanti per la Puglia» e ha proseguito annotando la generale piena soddisfazione, comprendendo anche gli Ordini professionali e la stessa minoranza consiliare che non ha votato contro ma, appunto, ha scelto di astenersi.

La notizia non è però corretta: diverse voci “ambientaliste” hanno ripetutamente messo in discussione – e in modo fortemente critico – la proposta normativa. Italia Nostra Puglia, lo scorso 11 luglio aveva trasmesso un significativo documento di osservazioni al Presidente e ai Commissari della V Commissione Consiliare, siglato dal suo delegato regionale e consigliere nazionale Giacinto Giglio, che qui riportiamo per opportuna testimonianza:

Osservazioni alla PdL “Programma eco-casa di riqualificazione, rigenerazione e
riutilizzo del patrimonio edilizio esistente”.

Si prosegue in Puglia con la “deregulation urbanistica” già avviata con la LR 39/2021 (impugnata dal Governo) e proseguita con dodicesima proroga del “Piano Casa” (dichiarata incostituzionale). Ora arriva la PdL “Programma eco-casa di riqualificazione, rigenerazione e riutilizzo del patrimonio edilizio esistente”, ma che sarà veramente un programma eco-sostenibile lo assicura il titolo stesso.
Questo avviene mentre l’Assessore Regionale all’urbanistica ha avviato un tavolo di Consultazione per la stesura di una Nuova legge urbanistica regionale. Sorvoliamo sulla relazione illustrativa delle funzioni “demiurgiche” della PdL “EcoCasa” ed esaminiamo l’articolato:

Art.1 – Non si riesce a collegare riuso, riqualificazione… con il rilancio demografico? Se le aree edificate sono già dotate di urbanizzazione I gli Oneri urbanizzazione II saranno utilizzati per servizi e verde o utilizzati per la spesa corrente? La Delibera CC può individuare ZTO in aree di espiazione che non siano edificate o urbanizzate determinando così ulteriore consumo di suolo! Questo articolo è in contrasto con DM 1444/68 che prevede i Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.765. (1288Q004) (GU Serie Generale n.97 del 16-04-1968).

Art.2 – Va specificato che il parere paesaggistico va richiesto alla SABAP se le aree ricadano in zone di interesse paesaggistico art. 142 e di notevole interesse pubblico art.136 del Dlgs 42/2008 s.m.i.

Art.3 – Gli ampliamenti del 20% producono ulteriore consumo di suolo, destinare a residenza edifici con diversa destinazione che comporta cambio di destinazione d’uso con aumento del carichi urbanistici in aree prive di attrezzature e servizi! Una cosa è “l’artigianato di servizio” ed altro è insediare attività artigianali incompatibili all’interno di aree residenziali? Al comma 2 si prevede un ulteriore aumento fino a 400 mc, ma per l’attività edilizia che raggiunge solo 2 punti ai sensi della LR13/2008, ma questo, comunque, non evita ulteriore consumo di suolo. Si prevede un’ulteriore deroga del DM 1444/1968 Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.765.

Art.4 – ulteriore consumo di suolo con incremento 35% del volume in deroga rispetto al DM 1444/68, gli interventi di ricostruzione a seguito di demolizione non possono modificare la sagoma anche se ricade in area di pertinenza. Incremento volumetrico che rispetta la LR 13/2008 è forse biocompatibile, ma non è ecosostenibile perché consuma ulteriore suolo aggiuntivo al valore 8,15% Regionale nel 2020.

Art.5 – la monetizzazione delle aree a standard a seguito di aumento volumetrico (densificazione) porta ad avere aumento del carico urbanistico e una carenza di servizi. La norma sui parcheggi è in deroga alla Legge “Tognoli” n. 122/198 e la monetizzazione prevista in Puglia e in poche altre regioni crea carenza di parcheggi pertinenziali e pubblici.

Art.6 – Limita la realizzazione di interventi di ampliamento e demolizione/ricostruzione dove gli strumenti urbanistici non lo prevedano, ma invece lo possono prevedere SUE e persino in aree previste a standard urbanistici (servizi e verde). Non si può interventi di ampliamento e demolizione/ricostruzione su beni storici, culturale, architettonici (centri storici) ovvio, ma anche su quelli non tutelati dagli strumenti urbanistici? Sono esclusi gli interventi anche nelle aree vincolate dal PUTT/p e quelle della “città consolidata” (prima degli anni ’50) come definita dall’art. 76 del NTA del PPTR art 143, comma 1, lett. e, del Codice? Sono esclusi gli immobili con vincolo monumentale Dlgs 42/2004 (sic!). Mentre si possono recuperare le volumetrie del Piano Casa (incostituzionale) in aggiunta. Non sono ammessi interventi di ampliamento e demolizione/ricostruzione nelle aree protette, nelle zone a rischio idrogeologico (SIC!).

Per tutte le motivazioni su riportate, Italia Nostra Puglia si dichiara contraria alla PdL “Programma eco-casa di riqualificazione, rigenerazione e riutilizzo del patrimonio edilizio esistente” e chiede all’Assessore Regionale all’urbanistica una nuova Legge Urbanistica Regionale.

Il Delegato di Italia Nostra Puglia (Settore Urban. Paesagg.), Consigliere Nazionale Arch. Giacinto Giglio

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Bari: la colmata di Marisabella, una storia torbida come oggi il colore delle sue acque http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/07/bari-la-colmata-di-marisabella-una-storia-torbida-come-oggi-il-colore-delle-sue-acque/ Mon, 04 Jul 2022 13:52:14 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15445 Il Comitato Fronte del Porto denuncia pubblicamente l’enorme depauperamento di risorse pubbliche impiegate per il dragaggio in corso nel porto di Bari dei fondali nell’ansa di Marisabella propedeutico alla realizzazione della colmata di 300.000 mq di mare in un’area ad elevata fragilità idrogeologica costituendo un grave danno ambientale per la città di Bari…

L’assemblea del Comitato Fronte del Porto denuncia pubblicamente, di fronte all’incessante procedere dei “grandi” lavori di dragaggio dei fondali all’interno del porto di Bari, la grave  nocività    ambientale  di cui si rende in primis responsabile l’Autorità Portuale, con il suo presidente Ugo Patroni Griffi, refrattario ad ogni confronto pubblico e agli stessi pareri negativi della Consulta Comunale per l’Ambiente, unitamente a tutte le istituzioni locali, Comune di Bari, Città Metropolitana, Regione Puglia e Capitaneria di Porto,  che stanno consentendo la realizzazione della colmata di Marisabella.  Un’opera che sconvolge un’intera città   con la distruzione dell’equilibro di una vasta area ad elevata fragilità idrogeologica interessata dalla confluenza di importanti falde sotterranee. A tutto ciò si è aggiunto il silenzio assordante del mondo accademico  e in particolare del Politecnico e quello di Legambiente, la più importante associazione ambientalista italiana.

Non sono stati sufficienti venti anni di mobilitazione civica, di protesta e di proposta, di ricorsi amministrativi, di azioni legali e di esposti giudiziari, per scongiurare una delle opere più disastrose, per vastità e conseguenze future per la città di Bari,   dal 900 ad oggi , mai realizzate nella nostra terra. Un’opera in un’ansa con bassissimi fondali,  che non trova alcuna giustificazione sul piano economico, ambientale, urbanistico e sociale in un porto ormai piccolo, asfittico, accerchiato dalla città,  che ha la arrogante  presunzione di svolgere inspiegabilmente  tutte le funzioni  portuali (Passeggeri, Ro-Ro, mercantile, crocieristica) e    far approdare persino navi mercantili di grandi dimensioni, alla cui funzione un altro dei cinque porti dello stesso  sistema portuale (Bari, Brindisi, Monopoli, Barletta, Manfredonia) potrebbe tranquillamente  assolvere in una logica di pianificazione portuale integrata di sistema. Tale scelta sarebbe stata giustificata da fondali già adeguati e consona a sopportare il  traffico dei TIR connesso alle reti stradali e autostradali,  senza minimamente intersecare la città e compromettere le opportunità di sviluppo delle ZES (Zone Economiche Speciali).

Una vicenda torbida”

L’autorità Portuale è dovuta ricorrere al noleggio di una delle più gradi navi al mondo per dragare   i bassi fondali rocciosi  dell’ansa di Marisabella, sforando pesantemente i costi dell’opera   per varie decine di milioni di euro (si stimano 60 milioni di euro), dopo averne scartato l’insano utilizzo della dinamite che era già  previsto nell’ appalto, aggiudicato ad un ribasso del 28% dal Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche di Puglia e Basilicata, ad un’impresa finita in concordato preventivo. Le acque dell’ansa di Marisabella in queste ore sono torbide come è torbida tutta la vicenda dell’appalto in termini di legalità, danno erariale  allo Stato e danno ambientale all’intera città, già molto provata da una sconsiderata cementificazione e da un sistema fognario oltremodo  vetusto come  testimoniano gli allarmanti allagamenti durante  precipitazioni atmosferiche come già verificatosi dopo la prima colmata degli anni 90.

A rendere torbida la storia dello scellerato progetto della Colmata di Marisabella ha giocato un ruolo improprio nel 2006 lo stesso Ministero dell’Ambiente, con l’allora Ministro Alfonso Pecoraro Scanio, che ne autorizzò l’opera senza procedere  alla Valutazione di Impatto Ambientale, esautorando la Regione Puglia dalla sua competenza autorizzativa del progetto originario e ancor più dalla sua scelta politica,  trattandosi il porto di Bari di Porto rientrante per dimensioni e classe nelle prerogative regionali.

“Chi finanzia il dragaggio?”

Allora perché tanto accanimento nella colmata di Marisabella? Chi finanzia il dragaggio di 500mila euro al giorno pari a 60 milioni di euro? Perché non è stata fatta la gara di appalto di tale dragaggio? Se i costi dell’opera aggiudicata comprendevano i costi del dragaggio con gli esplosivi che oggi non sopporta più l’impresa aggiudicataria tali costi sono stati restituiti alla stazione appaltante? O l’impresa aggiudicataria ha un improprio guadagno con un evidente danno erariale?  E’ stato inibito ad altre imprese di partecipare ad un appalto che avrebbe avuto una base d’asta considerevolmente inferiore se non avesse dovuto comprendere i costi del dragaggio?  Quali e dove sono gli interessi che giustificano questo scempio ambientale  che tra l’altro incrementerà, senza un tracciato ferroviario  il traffico dei TIR ogni giorno in maniera esponenziale  penetrando inesorabilmente nel tessuto urbano senza una strada camionale? Sono altrove questi interessi?  Si possono conoscere? Perché colmare 300mila mq di mare pari a all’estensione di decine di campi di calcio nell’ansa di Marisabella, in un’area ad elevato rischio idrogeologico, dal momento che l’ansa di Marisabella avrebbe potuto ospitare  con i suoi fondali da 3 metri, senza alterarne l’equilibrio idrogeologico, un porto turistico controllato dall’Autorità Portuale  e dalle Autorità doganali, che invece si progetta nella vicinissima  San Cataldo? Sono legittimi questi interrogativi o la voce e i bisogni dei cittadini sono un inutile ingombro?

Sviluppo, la parola d’ordine? Di chi? Per che cosa?  La politica locale ha abdicato alla sua funzione? Lasciandola all’Autorità Portuale che parla quasi con delirio su Marisabella di “Industria sotto banchina” nel porto di Bari?, Un porto  dove,  dichiara l’Autorità Portuale , solo i “folli” possono pensare di passeggiare?

“Una brutta pagina per la storia di Bari”

L’agnosticismo e la remissività al crimine ambientale della colmata di Marisabella   di cui si stanno macchiando i rappresentanti istituzionali ai massimi livelli locali e tutta la politica segnano una delle più brutte pagine che si stanno scrivendo sulla storia di Bari e del suo porto.

Il comitato Fronte del Porto non cesserà di esercitare in ogni ambito la sua azione civica di controllo anche in questa fase avanzata del dragaggio, tenendo viva la speranza di un ravvedimento degli “attori” in campo, che possa cancellare la vergogna che tale opera produce collettivamente.

Articolo e immagine tratti da: https://www.ambienteambienti.com/bari-la-colmata-di-marisabella-una-storia-torbida-come-oggi-il-colore-delle-sue-acque/

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Rinnovabili, la cortina di ferro nella vasca da bagno http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/06/rinnovabili-la-cortina-di-ferro-nella-vasca-da-bagno/ Mon, 06 Jun 2022 11:59:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15384 di Fabio Modesti.

Davanti alle coste adriatiche pugliesi un numero impressionante di impianti industriali per energie rinnovabili, dopo le molte richieste di prospezioni petrolifere. Un impianto eolico off-shore ogni 40 chilometri ed a poco potrebbe valere il parere della Regione Puglia sul Piano di gestione dello spazio marittimo.

Se si considera anche la centrale eolica per la produzione di energia di fronte alla costa di Termoli, 54 torri da 3 MW ciascuna per un totale di 162 MW di energia elettrica da produrre, proposta da EffEventi S.r.l., sono dieci gli impianti eolici che potrebbero essere installati davanti alle coste adriatiche pugliesi (e molisane). All’incirca uno ogni 40 chilometri. Con sistemazione per file successive e con distanze dalla costa variabile, fino alle 12 miglia. Per ora oltre 550 torri alte tra i 140 ed i 200 metri con rotori da 111 metri in su, in relazione all’altezza della torre. Una vera e propria cortina di ferro (in realtà di acciaio e di carbonio, di terre rare e metalli critici, con quantità enormi di lubrificanti ed altri inquinanti) che taglierà in due longitudinalmente l’Adriatico. Una cortina di ferro in una “vasca da bagno” (enorme ma pur sempre tale), come viene definito il bacino di mare che divide l’Europa occidentale da quella orientale, dai Balcani. Dalla terra al mare, quindi, le cortine di ferro continuano a contrassegnare le vite ed i destini europei da questa parte del Continente.

Due impianti bocciati dal MiTe

V’è da dire che due dei dieci impianti proposti sono stati bocciati in sede di valutazione d’impatto ambientale da parte del Ministero dell’Ambiente, ora della Transizione Ecologica (MiTe). Si tratta di quello ipotizzato nel golfo di Manfredonia (195 MW di potenza complessiva data da 65 aerogeneratori nel mare antistante i Comuni di Mattinata, Monte Sant’Angelo, Manfredonia, Zapponeta, Margherita di Savoia) e di quello che sarebbe dovuto sorgere davanti a Torre S. Gennaro, Comune di Brindisi (150 MW di potenza complessiva data da 50 aerogeneratori da 30 MW ciascuno). Ambedue i progetti sono stati presentati dalla TreviEnergy S.p.A., una società di Cesena, dell’omonimo gruppo ora controllato da Cassa Depositi e Prestiti attraverso la società investitrice CDP Equity, specializzata in grandi opere civili ed industriali. Del progetto relativo al golfo di Manfredonia, tuttavia, si dice che sarà ripresentato a breve.

Progetti eolici offshore in Puglia – Mare Adriatico

1.       Progetto di un impianto eolico off-shore da ubicarsi nello specchio di mare compreso tra il comune di Santa Cesarea Terme (LE) e Santa Maria di Leuca (LE),
composto da 90 aereogeneratori per una potenza totale di 1350 MW. Proponente Odra Energia 

2.       Progetto di impianto eolico offshore composto da 98 aereogeneratori di potenza nominale ciascuno di 12 MW e per una potenza totale di 1176 MW. da realizzarsi
ad una distanza minima di 9 km dalla costa nord orientale della Regione Puglia tra la città di Brindisi (BR) e di San Cataldo LE).
il punto di approdo del cavidotto è previsto in prossimità nella centrale elettrica di Cerano (BR) – Proponente Kailia s.r.l.

3.       Centrale Eolica Offshore Brindisi, impianto costituito da 36 aerogeneratori per una potenza complessiva di 108MW, nel tratto di mare antistante i comuni di Brindisi,
S. Pietro Vernotico e Torchiarolo e delle opere di connessione alla RTN. – Proponente: TG Energie Rinnovabili s.r.l.

4.       Parco eolico Marino Gargano Sud costituito da 85 aerogeneratori aventi ciascuno una potenza di 4 MW, per una potenza complessiva di 340 MWe.
Le opere connesse all’attuazione del progetto sono: sottostazione di trasformazione offshore, cavi di trasmissione offshore, fossa di giunzione offshore-onshore,
cavi di trasmissione onshore e sottostazione onshore – Proponente: SEANERGY S.r.l.

5.       Centrale eolica off-shore Chieuti (FG), impianto costituito da 50 aerogeneratori di potenza nominale complessiva pari a 150 MW localizzato nel mare antistante i comuni
di Serracapriola e Chieuti e delle opere di collegamento alla RTN – Proponente: Trevi Energy S.p.A.

6.       Centrale eolica off-shore Golfo di Manfredonia (FG). Iimpianto eolico offshore da 195 MW composto da 65 aerogeneratori localizzato nel mare antistante i comuni di
Mattinata, Monte Sant’Angelo, Manfredonia, Zapponeta, Margherita di Savoia e limitatamente Vieste e Barletta e delle opere di collegamento alla RTN. –
Proponente: Trevi Energy S.p.A. Esito Decreto VIA Negativo

7.       Centrale eolica off-shore Torre S. Gennaro (BR). Impianto da n. 50 torri eoliche da 30 MW potenza per un tot. di 150 MW Proponente Trevi Energy S.p.A.
Esito Decreto VIA Negativo
 
8.       Centrale eolica off-shore per la produzione di energia di fronte alla costa di Termoli – Proponente: EffEventi S.r.l. – Impianto da 54 torri da 3 MW per un totale di 162 MW

9.       Impianto di 60 aerogeneratori di tipo galleggiante, potenza complessiva 840 ME oltre le 12 miglia (Trani, Bisceglie, Molfetta e Bari), stazione elettrica di trasformazione off-shore
con cavidotti sottomarini per collegamento a rete nazionale on-shore. Proponente REI (Recupero Ecologico Interti) di Cavallino di Lecce

10.    Impianto eolico off-shore di 80 aerogeneratori per potenza complessiva di 600 MW da Barletta a Bari per un’estensione di 4 mln mq. Proponente Hope s.r.l. Bari

(Fonte: Ministero della Transizione Ecologica)

Le nuove società in campo

Gli ultimi impianti proposti in ordine di tempo, ma per i quali non è stata ancora attivata la procedura di valutazione ambientale presso il Mite, sono quelli della REI – Recupero Ecologico Inerti – di Cavallino di Lecce, azienda specializzata in particolare in bonifiche da amianto e non certo in opere off-shore (impianto eolico galleggiante di 60 aerogeneratori con potenza complessiva 840 MW oltre le 12 miglia di fronte ai Comuni di Trani, Bisceglie, Molfetta e Bari) e dalla Hope s.r.l. di Bari (impianto da 80 aerogeneratori per potenza complessiva di 600 MW da Barletta a Bari per un’estensione di 400 ettari di superficie marina). Quest’ultima è una start up (nata dalla fusione di società della famiglia Garofano, attiva nel settore della chimica e della produzione di energia da fonti rinnovabili, di Silvio Maselli, assessore alla Cultura del Comune di Bari dal 2013 al 2014, e del produttore cinematografico Daniele Basilio) impegnata nell’ambizioso e complicato progetto di alimentare con l’idrogeno verde – ottenuto da energia prodotta da fonti rinnovabili – il sistema di trasporto pubblico locale di Taranto ed il cui amministratore è il barese Fabio Paccapelo. Questo impianto avrebbe il placet della Regione Puglia.

Che fine ha fatto la valutazione cumulativa?

In definitiva, un fronte di turbine eoliche che comincia dal Molise o, se si preferisce, sotto la testa del Gargano e finisce al tacco d’Italia con pochi varchi tra gli impianti. Alcuni naturalisti sostengono che, tutto sommato, meglio che questi stiano in mare anziché sulla terraferma producendo danni all’avifauna selvatica. Ma anche il loro impatto sulle rotte di migrazione in mare aperto non è secondario: basti pensare al Canale d’Otranto. C’è infine da chiedersi perché alcuna valutazione di impatto e di incidenza cumulativa di questi impianti sia stata approntata nonostante le chiare indicazioni e le prescrizioni normative dell’UE. Sarà sempre merito del pensiero unico sulle rinnovabili?

Tratto da: https://www.fabiomodesti.it/rinnovabili-la-cortina-di-ferro-nella-vasca-da-bagno/

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Biodiversità, VIncA il migliore http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/05/biodiversita-vinca-il-migliore/ Fri, 13 May 2022 10:19:02 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15351 di Fabio Modesti.

Tutela della biodiversità fuori dai radar delle Regioni. Gran parte di esse inadempienti nel recepimento delle Linee guida nazionali sulla valutazione di incidenza. Puglia a metà classifica con trend in discesa. L’assenza di visione strategica nella gestione dei Siti Natura 2000.

Lipu, WWF Italia e Analisti Ambientali (AAA) hanno prodotto un report sul recepimento e sull’applicazione delle linee guida (105 pagine!) dell’ex Ministero dell’Ambiente (oggi Transizione ecologica) sulla procedura di valutazione di incidenza (con pessimo acronimo VIncA). È una procedura prevista dall’articolo 6 della direttiva europea 92/43 sulla tutela di habitat naturali e seminaturali e di specie selvatiche animali e vegetali per evitare che essi vengano perturbati o distrutti dall’attività umana. L’Italia è arrivata abbastanza tardi, e con correzioni di rotta imposte dalle sentenze della Corte di Giustizia europea, alla sua corretta applicazione. Le linee guida ministeriali sono state approvate dalla Conferenza Stato-Regioni nel 2019 e Lipu, AAA e WWF Italia hanno voluto verificarne il tasso di recepimento e di applicazione a livello regionale. È bene sapere, però, che qui si sta trattando del recepimento formale e non certo di quello sostanziale della valutazione di incidenza; da questo punto di vista le riserve sulla corretta applicazione sono moltissime.

La lista di controllo

Nel rapporto sono stati analizzati vari aspetti che hanno consentito di mettere a punto una lista di controllo sull’adeguatezza delle linee guida regionali rispetto a quelle nazionali le quali, a loro volta, derivano dalla guida metodologica all’applicazione della valutazione di incidenza messa a punto dalla Commissione UE. I parametri di controllo sono stati raggruppati in 4 ordini: pagine web ed informazioni generali nei siti istituzionali della Regione o Provincia autonoma; screening (livello 1 della procedura di valutazione di incidenza); valutazione appropriata e deroghe (livello 2 della procedura); pubblicità dei dati ambientali e partecipazione del pubblico. Lasciando alla lettura del rapporto l’approfondimento tecnico, quel che emerge è che alla data del 31 dicembre 2021, cioè alla chiusura della finestra temporale della ricognizione, «soltanto nove delle Regioni e Province Autonome hanno recepito le linee guida nazionali, sette integralmente: Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Molise, Puglia, Umbria e due soltanto in parte: Provincia autonoma di Bolzano e Liguria». Quasi tutte le Regioni hanno pagine web dedicate alla valutazione di incidenza. Per quanto riguarda la fase di screening (ossia la verifica preliminare se assoggettare o meno il piano o il progetto alla  valutazione “appropriata” – cioè completa -) tra le Regioni che hanno recepito le linee guida ministeriali «quelle che più si avvicinano alla condizione di piena conformità sono la Puglia e l’Umbria, che mancano per un quesito il punteggio ottimale perché permangono dei dubbi sull’adeguatezza di alcune delle autorità competenti individuate dalle amministrazioni regionali, e la Lombardia penalizzata a causa delle esclusioni aprioristiche dalla VIncA in determinati casi […]».

L’assenza di strategia per i Siti Natura 2000

La valutazione appropriata, invece, viene effettuata in piena conformità alle linee guida nazionali solo dalla Regione Basilicata. La Puglia si attesta tra le più distanti dalla piena conformità. Ancora la Puglia, con Campania, Lombardia, Molise e Umbria, risulta avere recepito in modo conforme alle linee guida nazionali la sezione relativa alla pubblicità dei dati ambientali e della partecipazione. Al di là dei dati analizzati ed espressi nel sintetico ma ben fatto documento di Lipu, AAA e WWF Italia, restano tutti i problemi della corretta applicazione di una procedura, la valutazione di incidenza, tanto importante quanto ignorata per la tutela della biodiversità. Una procedura che, non ci stancheremo mai di ripetere, non è di mera valutazione ambientale ma indissolubilmente connessa alla gestione degli ecosistemi e delle specie tutelati dalle direttive “Habitat” ed “Uccelli” dell’Unione europea. Aspetto, questo, del tutto ignorato anche dal report come da gran parte delle Regioni per le quali la valutazione di incidenza resta solo uno dei tanti adempimenti che “affliggono” cittadini ed imprese. L’assenza di una visione strategica della valutazione di incidenza si accompagna all’assenza di gestione dei Siti Natura 2000 in gran parte delle Regioni le quali, per togliersi di mezzo la rogna mantenendo però la titolarità gestionale dei Siti – solo formale e più che altro per drenare risorse economiche comunitarie -, delegano la procedura a Province e Comuni che non hanno né personale competente né interesse a rendere un buon servigio alla protezione della biodiversità.

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Salviamo dalla cementificazione la pineta e il litorale di Torre Blandamura http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/01/salviamo-dalla-cementificazione-la-pineta-e-il-litorale-di-torre-blandamura/ Mon, 31 Jan 2022 08:17:53 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15126 Nel Comune di Taranto, in località Torre Blandamura, lungo la costa orientale, in direzione del Salento, al confine con il Comune di Leporano sopravvive uno degli ultimi lembi naturali, non ancora distrutti dalla cementificazione selvaggia di cui la costa tarantina è stata oggetto a partire dagli anni ’60. Tali interventi, spesso abusivi, hanno portato nel tempo, alla costruzione di ville e manufatti in prossimità del mare, alla distruzione degli ambienti naturali e al restringimento progressivo delle aree cui accedere liberamente al mare.

L’area di Torre Blandamura, ancora miracolosamente intatta, costituita da pinete di pino d’Aleppo, da arbusti di lentisco, fillirea, cisti e, in prossimità della costa, da vegetazione alofila protetta da leggi comunitarie, rischia di scomparire in quanto su questo territorio è prevista la realizzazione di un porticciolo turistico, di importanti superfici, con annesse infrastrutture a terra che porterebbe alla distruzione di tutta la vegetazione e alla cementificazione della scogliera. Il porticciolo andrebbe poi a distruggere anche l’ambiente marino a fronte di remoti vantaggi economici per i privati.

In questi giorni, ahimè, sono già in corso le prime opere infrastrutturali, come la recinzione del cantiere, che di già impedisce l’accesso al mare, frequentato non solo dagli abitanti del posto ma anche della città, e la realizzazione di stradine che hanno già determinato lo sradicamento di vegetazione protetta. Oltre che alla distruzione degli ambienti naturali, stiamo assistendo all’ennesima privatizzazione degli ultimi lembi di costa in cui è possibile ancora accedere liberamente al mare.

Aiutate, con le vostre firme, a bloccare questa ennesima violenza al nostro splendido AMBIENTE NATURALE!

La petizione può essere sottoscritta qui.

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