Edilizia – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Thu, 04 May 2023 14:10:50 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.5 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Edilizia – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Siccità, nove comuni francesi dicono stop a nuove case http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/04/siccita-nove-comuni-francesi-dicono-stop-a-nuove-case/ Wed, 26 Apr 2023 10:18:08 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15923 di Maurizio Bongioanni.

Le autorità locali della Provenza, nel sud della Francia, hanno sospeso tutti i nuovi progetti edilizi nella città di Fayence e nei villaggi circostanti per cinque anni a causa della carenza d’acqua. La decisione senza precedenti è stata presa dopo l’inverno più secco registrato nel Paese dal 1959, quando gli esperti si sono resi conto che le loro stime non avrebbero potuto garantire un approvvigionamento minimo d’acqua per nuovi abitanti. 

Sulla decisione ha pesato una lettera del prefetto del 10 marzo che invitava i sindaci “a rifiutare le richieste di autorizzazione urbanistica per progetti che generano consumo di acqua”, ricordandogli le responsabilità dei Comuni per le forniture d’acqua contro gli incendi boschivi. “Spetta a voi evitare questo rischio, rifiutando qualsiasi nuova autorizzazione che possa aumentare la vulnerabilità e indebolire i mezzi di lotta contro gli incendi. Data la disperata aridità dei terreni, il rischio è già molto elevato”.

L’aumento della frequenza e dell’intensità delle siccità nella regione mediterranea è una delle conseguenze più note del cambiamento climatico. L’ultimo rapporto dell’IPCC afferma che il cambiamento climatico ha inaridito la regione mediterranea dalla metà del XX secolo (p. 563 e p. 579). Sempre secondo il rapporto, se il riscaldamento globale non sarà mantenuto entro l’obiettivo di 1,5ºC dell’Accordo di Parigi l’intensità delle siccità potranno raggiungere livelli mai visti negli ultimi 10.000 anni”(p. 2237).

Crediti foto: Scott Blake/Unsplash

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Cemento, un’arma di costruzione di massa http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/04/cemento-unarma-di-costruzione-di-massa/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/04/cemento-unarma-di-costruzione-di-massa/#comments Tue, 18 Apr 2023 10:08:45 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15902 L’analisi di Anselm Jappe su un materiale distruttivo e lato concreto della logica capitalista

di Maria Cariota

La gestione capitalista dello spazio, con l’ingiustizia che ne deriva, è stata spesso criticata, basti ricordare i nomi di Henri Lefebvre e David Harvey. Al contrario non sono molte le analisi critiche sulla questione dei materiali impiegati. È su questo tema, e più precisamente sul cemento, che si concentra l’ultimo saggio di Anselm Jappe.

Il cemento ha una storia millenaria e consiste in una semplice miscela di calce (calcare cotto in forno), sabbia, vari aggregati (pietre e mattoni frantumati) e acqua, che viene versata in stampi. Già in epoche lontane erano utilizzati leganti per combinare elementi di costruzione in modo stabile. Gli Egizi usavano malta di gesso (sabbia e acqua) per le mura e calce viva combinata con argilla per le piramidi. I Romani nel I secolo alla malta aggiunsero la pozzolana (aggregato vulcanico) e tegole triturate, ottenendo il caementum (“macerie”, “pietra grezza”); il Pantheon a Roma è costruito interamente con questo materiale.

L’innovazione che rese possibili costruzioni su larga scala fu quella del cemento armato, comparso a metà del XIX secolo, costituito da calcestruzzo (il mix di calce, sabbia, ghiaia e acqua) all’interno del quale viene annegata un’armatura metallica (ferro, acciaio). Tale tecnica sostituì i metodi di costruzione tradizionali e cambiò il volto del mondo. È stato l’uso massiccio del cemento nella sua forma rinforzata che lo ha portato ad essere “il materiale più distruttivo della terra” (definizione del Guardian).

Il cemento dura al massimo 50 anni

Oggi sappiamo che la maggior parte delle costruzioni in cemento armato dureranno al massimo cinquant’anni. Ce lo ho ricordato il ponte Morandi di Genova, crollato nel 2018, anche per inadempienze nella realizzazione della costosa manutenzione. Edifici, dighe, ponti, strade man mano si indeboliscono perché, a contatto con l’umidità, l’acciaio arrugginisce e si corrode (continui shock termici moltiplicano le fessurazioni dei rivestimenti aprendo vie per le infiltrazioni); inoltre minerale e metallo si comportano in modi differenti non avendo il medesimo coefficiente di dilatazione.

Jappe sottolinea il ruolo fondamentale del cemento armato nella scomparsa delle architetture tradizionali. Tempi ridotti di produzione, sostituzione di operai specializzati con manovali nella produzione e nella posa, materie prime poco costose e facilmente reperibili lo hanno via via reso un prodotto economico rispetto all’utilizzo di pietra e mattoni. Materiale sempre uniforme, adatto alla prefabbricazione e alla standardizzazione, si è prestato facilmente alla produzione industriale. Ha così cancellato l’arte di edificare locale, che, legata a molteplici tecniche e stili e a materiali presenti sul posto, garantiva la diversità delle architetture premoderne, in un mondo in cui per sapere dove ci si trovava non serviva guardare cartelli e mappe. Il cemento ha esteso il proprio monotono regno al mondo intero rendendo i luoghi omogenei. Tutto ciò con prestazioni per molti aspetti inferiori: sono state presto dimenticate le tecniche tradizionali di conservazione del calore e di raffreddamento dell’aria o le tecniche antisismiche premoderne.

L’abitazione popolare viene sostituita dall’abitazione di massa, a basso costo, che però non porta affatto ad una emancipazione delle classi lavoratrici. La “modernità” viene resa disponibile anche ai poveri, anche se con case invivibili, e qualsiasi obiezione era accantonata in nome dell’urgenza di costruire rapidamente e in grandi quantità per il massiccio afflusso di persone dalle campagne alle città e per i danni provocati dalla guerra.

Secondo Jappe il cemento armato esce dalla sua marginalità con il funzionalismo degli anni Venti, in particolare grazie a Le Corbusier, architetto particolarmente fedele a questo materiale e sostenitore della standardizzazione: il celebre architetto disprezza il popolo, che ritiene debba farsi guidare da un’élite tecnocratica; secondo lui la città, oltre che a misura di automobile, doveva essere una macchina per produrre un uomo condizionato, costantemente controllato; con sole linee rette, senza strade sinuose, senza spazi in cui le persone potevano incontrarsi, escludendo ogni possibilità di rivoluzione.

Cemento, risorsa energivora

Un capitolo del saggio è ovviamente dedicato all’impatto del cemento su salute e ambiente. È il materiale più impiegato sulla Terra dopo l’acqua e sono le quantità astronomiche a rendere il cemento devastante. Se l’industria del cemento fosse un paese, sarebbe il terzo più importante per emissioni di CO2, con 2 miliardi di tonnellate annue, dopo Stati Uniti e Cina (ogni tonnellata di cemento rilascia una tonnellata di CO2, a partire dalla cottura del cemento). Oltre ad essere molto energivora (per macinare pietre e calcinacci, scaldare argilla e calcare) la sua produzione consuma circa il 10% dell’acqua disponibile sul pianeta. Ogni anno nel mondo vengono estratti 40 miliardi di tonnellate di sabbia, in gran parte destinati al cemento: ovunque spiagge, corsi d’acqua, laghi vengono saccheggiati, foreste e terreni agricoli devastati per estrarre questo nuovo oro. In genere la sabbia del deserto non è utilizzabile perché i granelli, levigati dal vento anziché dall’acqua, sono troppo arrotondati per aggregarsi fra loro. La eccessiva cementificazione di terreni agricoli ed urbani soffoca habitat, annulla funzioni ecologiche, distrugge paesaggi, ci allontana sempre più dalla natura. A ciò si aggiungano gli affetti sulla salute: la silicosi – malattia polmonare – è provocata dalla prolungata inalazione di silice cristallina da parte di minatori e lavoratori.

Jappe evidenzia come il cemento abbia trasformato le costruzioni in merci, elementi ad obsolescenza programmata da disfare e rifare. L’autore definisce questo materiale come il lato concreto dell’astrazione capitalista, che sacrifica l’utilitas (le esigenze degli abitanti) alle logiche economiche, che mirano alla quantità senza distinzioni qualitative e che sono però riuscite a presentarsi, sia al centro sia alla periferia del mondo, come insuperabili e desiderabili.

Anselm Jappe, CEMENTO ARMA DI COSTRUZIONE DI MASSA, giugno 2022, traduzione di Carlo Milani, Elèuthera, pp 200.

ANSELM JAPPE (Bonn, 1962) è docente di Filosofia Estetica all’Accademia di Belle Arti di Roma.

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Beni immobili pubblici: tra valorizzazione economica e funzione sociale http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/03/beni-immobili-pubblici-tra-valorizzazione-economica-e-funzione-sociale/ Mon, 13 Mar 2023 07:08:01 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15870 di Ettore Jorio.

La richiesta di parere rivolta alla Corte dei Conti da parte del Sindaco del Comune di Terlizzi, in provincia di Bari, viene formulata al fine di ottenere un vaglio di conformità tra i principi di contabilità pubblica e la concessione di un bene immobile ad un’associazione senza scopo di lucro che, essendo a titolo gratuito per il perseguimento di finalità d’interesse generale, sarebbe potuta contrastare con il criterio di valorizzazione dei beni immobili secondo il quale questi ultimi debbano essere gestiti con l’obiettivo di costituire una fonte di reddito per gli enti locali.

La valorizzazione economica dei beni immobili e la funzione sociale della proprietà

La valorizzazione economica della proprietà pubblica, di per sé auspicabile per una gestione efficiente del patrimonio, non è un criterio assoluto ma è temperato dal principio della funzione sociale della proprietà il quale, oltre che nella Costituzione, si rinviene in numerosi interventi legislativi come ad esempio l’art 71, comma 2 del D. Lgs. 3 Luglio 2017 (c.d. Codice del Terzo Settore) ai sensi del quale: “Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili ed immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, ad eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent’anni, nel corso dei quali l’ente concessionario ha l’onere di effettuare sull’immobile, a proprie cure e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile”.
La valorizzazione funzionale dei beni trasferiti dallo Stato agli enti territoriali si aggiunge ad altri princìpi che – in generale – vanno osservati nella gestione dei beni pubblici, ossia quelli euro-unitari, quelli costituzionali (quali il buon andamento e l’imparzialità ex art. 97 Cost.) e quelli previsti dalle fonti primarie (ad esempio, il perseguimento dei fini determinati dalla legge ed il rispetto dei criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza ex art. 1 della L. 7 agosto 1990, n. 241).
A ben vedere questi principi generali di valorizzazione economica trovano in diverse norme un riferimento agli scopi sociali della proprietà come valore, non necessariamente alternativo, altrettanto perseguibile dagli enti locali nella gestione del beni demaniali. In particolare l’art. 32, comma 8 della L. 23 dicembre 1994 n. 724, nel disporre per i Comuni la determinazione dei canoni annui per i beni indisponibili a valori non inferiori a quelli di mercato secondo un principio prettamente di efficienza economica, lascia una clausola di salvaguardia nella chiusura della norma, disponendo testualmente “fatti salvi gli scopi sociali”.

Il perseguimento di finalità di pubblico interesse nella giurisprudenza della Corte dei Conti

Sulla base di queste premessa la Corte, investita del quesito circa la compatibilità di una concessione a titolo di comodato gratuito ad una realtà associativa senza scopo di lucro con i principi di valorizzazione dei beni demaniali, si è pronunciata seguendo un iter logico-giuridico solido.
Premesso che per i beni demaniali e per quelli facenti parte del patrimonio indisponibile la Pubblica Amministrazione deve ricorrere a strumenti di marca pubblicistica, per i beni facenti parte del patrimonio disponibile, che vengono gestiti dagli enti territoriali, si utilizzano atti posti in essere iure privatorum.
L’ordinaria gestione dei beni facenti parte del patrimonio immobiliare degli enti locali, come precedentemente affermato, deve assicurare la valorizzazione degli stessi con la conseguenza che tali beni dovrebbero costituire una fonte di reddito per gli enti locali, rientrante nelle entrate di natura non tributaria. Tuttavia è anche vero che “il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo” (art. 3, comma 2 del T.U.E.L.) e pertanto la cura degli interessi e la promozione dello sviluppo della comunità di riferimento possono (e devono) perseguirsi anche mediante l’uso migliore del patrimonio immobiliare.
Com’è stato sostenuto dalla giurisprudenza contabile, “non risulta precluso a priori per l’amministrazione l’utilizzo del comodato quale forma di sostegno e di contribuzione indiretta nei confronti di attività di pubblico interesse, strumentali alla realizzazione delle proprie finalità istituzionali” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 33/2009), ciò in quanto non vi sono nell’ordinamento vigente norme che vietino apertis verbis concessioni in uso gratuito di beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente locale.

Criteri e discrezionalità dell’ente nel perseguimento di finalità di pubblico interesse

Le concessioni di per sé sono attributive di un vantaggio nei confronti del soggetto beneficiario (anche se lo stesso, come nel caso in esame, si accolla le spese di gestione dell’immobile) e pertanto dovrà trovare necessaria applicazione l’art. 12 della l. 7 Agosto 1990 n. 241 in base al quale: “l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi. L’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.
Tale predeterminazione dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi non può che essere contenuta nel regolamento dell’ente locale relativo alla gestione del proprio patrimonio immobiliare, all’interno del quale vi deve essere l’individuazione (e successiva pubblicazione) dei criteri di individuazione dei beneficiari.
La Corte conferma questo orientamento riportando una precedente deliberazione che molto efficacemente afferma il principio secondo il quale “la concessione in comodato di beni di proprietà dell’ente locale è da ritenersi ammissibile nei casi in cui sia perseguito un effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello meramente economico ovvero nei casi in cui non sia rinvenibile alcuno scopo di lucro nell’attività concretamente svolta dal soggetto utilizzatore di tali beni” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 172/2014).
Naturalmente la valutazione e ponderazione tra i vari interessi, e la conseguente scelta di quelli prevalenti, nonché la verifica della compatibilità finanziaria e gestionale dell’atto dispositivo, è rimessa esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell’ente, che si assume la responsabilità della scelta.
In questo senso, la Corte, premessa la natura discrezionale della scelta da parte dell’ente, fissa comunque un criterio di contabilità, forse troppo rigido, secondo il quale “assai difficile (se non impossibile) risulterà giustificare la scelta della concessione in comodato di un bene fino a prima oggetto di un contratto di locazione, che determina logicamente il venir meno di un’ entrata per l’ente”.
Con questo passaggio la Corte contraddice se stessa e la giurisprudenza da essa riportata secondo la quale la concessione a titolo di comodato gratuito è “ammissibile nei casi in cui sia perseguito un effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello meramente economico”.
Il criterio posto dalla Corte, infatti, non si riferisce ad esigenze di contabilità specifiche per le quali, ad esempio, andrebbe preferita la valorizzazione economica dell’immobile a causa di uno stato di dissesto dell’ente locale, ma dispone un principio assoluto che predilige la valorizzazione economica semplicemente perché l’immobile, come nella stragrande maggioranza dei casi, al momento della valutazione della concessione di comodato gratuito risulta fonte di reddito per l’ente.
Con questo passaggio la Corte, se nell’iter logico-giuridico fin qui formulato aveva posto la valutazione discrezionale dell’ente come ago della bilancia per la scelta tra il perseguimento di due interessi (economico e sociale) paritetici, drasticamente pone un criterio di prevalenza della valorizzazione economica sulla base di un principio irrelato che rischia di ostacolare nella prassi gli amministratori nella concessione di immobili a titolo di comodato gratuito.

I principi e requisiti per la scelta del contraente beneficiario della concessione

Per la scelta del contraente beneficiario del comodato gratuito la Corte dei Conti ritiene preferibile, tenendo conto del numero di soggetti che potrebbero risultare interessati dall’utilizzo ed impiego del bene in oggetto, una procedura selettiva di natura comparativa, definitiva confronto concorrenziale, nel rispetto di quanto previsto dall’art. 12 della l. n. 241 del 1990, e dei principi di pubblicità, trasparenza e di imparzialità.
In tale senso, la valutazione motivata del soggetto beneficiario, sulla base delle proposte progettuali presentate, passa dall’accertamento dell’assenza di qualsivoglia finalità di lucro che, secondo la giurisprudenza contabile, va accertata in concreto “verificando non solo lo scopo o le finalità perseguite dall’operatore, ma anche e soprattutto le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo del bene pubblico messo a disposizione” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per il Veneto, deliberazione n. 716/2012).
Infine, andrà verificato che il soggetto individuato, per lo svolgimento di eventuali attività all’interno dell’immobile ceduto in comodato, non fruisca comunque di contribuzioni pubbliche di qualsiasi genere, che determinerebbero indebite duplicazioni di vantaggi, consistenti nel mancato pagamento dei canoni di locazione all’ente locale e nell’ottenimento di altri contributi (regionali, statali, ecc.) e che non sarebbero vieppiù compensate dall’accollo delle spese di gestione dell’immobile.
Un importante limite posto dalla Corte dei Conti agli enti locali nella concessione di comodati d’uso gratuiti è l’eventuale stato di dissesto dell’amministrazione che in questo caso farebbe prevalere la valorizzazione economica del bene immobile piuttosto che il perseguimento di finalità sociali.
Afferma, infatti, la Corte: “Appare evidente, pertanto, che nell’ambito della procedura di dissesto, che risulta disciplinata da un corpus normativo speciale e di stretta applicazione, la gestione del patrimonio disponibile deve costituire fonte diretta di reddito o attraverso l’imposizione di un canone nella misura massima consentita in relazione al valore del bene ovvero attraverso l’alienazione, ai fini del reperimento della massa attiva necessaria per far fronte alla massa passiva”.

Un vademecum per le pubbliche amministrazioni

Riassumendo i presupposti ed i requisiti esposti, con efficace sinteticità la Corte dei Conti afferma nelle conclusioni finali: un ente locale, qualora non si trovi in stato di dissesto, può concedere in comodato gratuito un immobile ad un soggetto che non persegua scopi di lucro per l’esercizio di attività di pubblica utilità e con accollo delle spese di gestione dell’immobile medesimo da parte del comodatario nel rispetto dei princìpi euro-unitari, costituzionali, legislativi e regolamentari. In particolare:

a) andrà motivata la compatibilità finanziaria dell’intera operazione posta in essere con la situazione economica dell’ente;
b) andranno evidenziate le ragioni che consentono di ritenere recessivo l’interesse alla ordinaria fruttuosità del bene rispetto al perseguimento di altri interessi pubblici, ritenuti prioritari dall’ente;
c) andrà attivata una procedura selettiva di natura comparativa ispirata ai princìpi generali di pubblicità, trasparenza e di imparzialità, nel rispetto dell’art. 12 della l. n. 241 del 1990;
d) andrà motivata la scelta del soggetto individuato, anche sulla base delle relative proposte progettuali;
e) andrà accertato in concreto che il soggetto individuato non persegua scopi di lucro;
f) andrà verificato che il soggetto individuato, per lo svolgimento di eventuali attività all’interno dell’immobile ceduto in comodato, non fruisca comunque di contribuzioni pubbliche di qualsiasi genere;
g) dovrà rispettarsi l’obbligo di pubblicazione di cui all’art. 26 del D.Lgs. n. 33 del 2013.

Tratto da: https://www.labsus.org/2023/02/beni-immobili-pubblici-tra-valorizzazione-economica-e-funzione-sociale/

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Decarbonizzare le costruzioni, la nuova sfida del settore edilizio http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/11/decarbonizzare-le-costruzioni-la-nuova-sfida-del-settore-edilizio/ Sat, 12 Nov 2022 09:04:54 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15632 La situazione normativa e le buone pratiche in Italia e all’estero nel nuovo report di Legambiente e Kyoto Club presentato a Ecomondo. Oltre il 50% delle emissioni globali di carbonio delle costruzioni tra 2020-2050 sarà dovuto alle fasi di trasporto dei materiali e di cantiere. Ristrutturarli, anziché edificarne di nuovi, fa risparmiare fino al 75% di CO2.

In Italia manca una normativa sul carbonio incorporato per tutti gli edifici, mentre la richiesta di materiali da costruzione ha pesanti impatti ambientali e paesaggistici. Le associazioni: “Accelerare la decarbonizzazione delle costruzioni in tutte le fasi è un punto chiave per raggiungere gli obiettivi climatici al 2050”.

Quando si parla di emissioni di COin edilizia, il riferimento principale è a quelle derivanti dall’utilizzo degli edifici, siano essi residenziali, commerciali o per uffici: quasi nessuno menziona, invece, il concetto di carbonio incorporato che include le emissioni derivanti dall’origine dei materiali da costruzione, il loro trasporto e le fasi di gestione del cantiere. Eppure, stima il Green Building Council, oltre il 50% delle emissioni globali di carbonio di tutte le nuove costruzioni tra il 2020 e il 2050 sarà dovuto proprio al carbonio incorporato negli edifici. Per ovviare a una scarsa diffusione di informazioni, ma anche per creare una rete e spingere il nuovo Governo ad agire concretamente su un tema cruciale, Legambiente e Kyoto Club firmano insieme un nuovo report dal titolo “Il settore edilizio verso una nuova sfida: la decarbonizzazione delle costruzioni”, presentato questo pomeriggio a partire dalle ore 14.30 negli spazi di Ecomondo a Rimini, in cui fanno il punto sulla situazione normativa e sulle migliori pratiche già in atto in Italia e all’estero.

Accelerare la decarbonizzazione degli edifici in tutte le fasi e componenti, sostengono le due associazioni, è un punto chiave per raggiungere gli obiettivi climatici al 2050. Benché il settore delle costruzioni sia tra quelli che più contribuiscono alle emissioni climalteranti, nel nostro Paese manca la consapevolezza delle fasi in cui un edificio emette gas climalteranti. In parallelo, bisogna considerare il concetto di embodied energy (energia incorporata) che misura l’impatto energetico dell’edificio, ossia l’energia che include le fasi di estrazione delle materie prime, il trasporto, la manifattura, l’assemblaggio, l’installazione della componentistica e il fine vita dell’edificio stesso. 

Secondo la Commissione europea, il settore delle costruzioni è responsabile da solo del 40% della domanda di energia primaria nell’Ue e del 36% delle emissioni di gas serra. In Italia, nello specifico, il comparto contribuisce per il 27,9% alla domanda di energia e per il 24,2% alle emissioni climalteranti. Senza tenere conto degli impatti paesaggistici e ambientali dovuti alla richiesta di materiali da costruzione, specie in Italia dove si trovano materiali litoidi di particolare pregio, con 4.168 cave autorizzate, 14.141 dismesse o abbandonate, e dove si estraggono ogni anno 29 milioni di metri cubi di sabbia e ghiaia (Rapporto Cave 2021 Legambiente), cui aggiungere 26,8 milioni di metri cubi di calcare e 6,2 milioni di pietre ornamentali. 

Tra i passaggi fondamentali da considerare, c’è la riqualificazione degli edifici che consente di risparmiare fino al 75% di emissioni rispetto a una nuova edificazione, specie nel caso in cui fondamenta e strutture rimangano intatte. Anche l’utilizzo di miscele cementizie a basso contenuto di CO2 può contribuire in maniera significativa a ridurre le emissioni, grazie a materiali come ceneri leggere, argilla calcinata o calcestruzzo riciclato. Fondamentale, poi, la massimizzazione dell’efficienza della struttura portante, la parte maggiormente responsabile delle emissioni di CO2 incorporate. Tra i sistemi che hanno spinto all’abbassamento delle emissioni climalte­ranti nel settore, il report Legambiente-Kyoto Club segnala poi la certificazione CasaClima Nature che certifica un edificio non solo a livello energetico, ma anche in relazione agli impatti sull’ambiente, sulla salute e il benessere delle persone che vi abitano. 

Carbonio ed energia incor­porata sono due parti cruciali del ragionamento verso un settore edile con impatti ambienta­li sempre più ridotti e il progressivo azzeramento delle emissioni di CO2. L’obiettivo principale di questo nuovo rapporto redatto con Kyoto Club è quello di portare all’attenzione delle agende politiche un tema di cui si parla troppo poco e di costruire una rete di associazioni, imprese, amministrazioni e istituti scientifici che spinga il nuovo Governo ad agire in maniera sistemica sul tema, stabilendo obiettivi e standard minimi nel solco di un percorso già iniziato a livello europeo – dichiara Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente – Al contempo, vogliamo diffondere le informazioni e le innovazioni tecniche che si stanno già portando avanti in diverse realtà italiane e nel resto del mondo, replicabili attraverso la fissazione di obiettivi intermedi, come avviene in molti Paesi, e l’adozione di una normativa nazionale di riferimento sul carbonio incorporato che contempli tutti i cantieri e gli edifici, pubblici e privati”. 

“Gli edifici in tutta l’UE rappresentano il 40% dell’energia totale consumata, mentre le emissioni “incorporate” contribuiscono tra il 10% e il 20% dell’impronta di carbonio totale. Il comparto edile entro il 2050 dovrà diventare climaticamente neutrale ed è proprio su questo punto che Kyoto Club e Legambiente insistono affinché ci possa essere una maggiore presa di coscienza dei decisori politici”, sostiene Sergio Andreis, Direttore di Kyoto Club.  

Norme, lo stato dell’arte in Europa e in Italia. In Europa la normativa per la valutazione dell’energia e del carbonio incorporati negli edifici è la EN 15978:2011 che indica le fasi necessarie a realizzare un edificio e suddivide gli impatti relativi ai livelli di carbonio incorporato in iniziali, ricorrenti e di fine vita, di recupero. Un altro dei punti fondamentali di intervento è la revisione del Regolamento sui Prodotti da Costruzione, che stabilisce i requisiti d’informazione obbligatoria sulle emissioni incorporate nei materiali da costruzione: una prima discussione, al riguardo, si è tenuta il 15 giugno scorso. Obiettivo principale è realizzare un mercato unico ed efficiente per i materiali da costruzione e contribuire alla transizione verde e digitale.

Molto si sta già facendo a livello di singoli Stati, ad esempio in Francia, dove la normativa richiede che tutti i nuovi edifici pubblici siano costruiti con almeno il 50% di legno o altri materiali naturali a base biologica realizzata con materia da organismi viventi come canapa e paglia, o nei Paesi Bassi, dove dal 2013 è in vigore un Decreto che richiede il calcolo delle emissioni climalteranti, incluso il carbonio incorporato, per tutti i nuovi edifici residenziali e gli uffici di oltre 100 metri quadri. In Italia, da alcuni anni, sono stati introdotti i Criteri Ambientali Minimi obbligatori in diversi ambiti, compreso quello delle costruzioni edili: un riferimento importante per contribuire alla decarbonizzazione del settore e a una maggiore trasparenza sui dati e sulla provenienza dei materiali che, però, al momento interessa solo i cantieri pubblici e che necessiterebbe di richieste più coraggiose, secondo Legambiente e Kyoto Club.

Tra gli esempi positivi in ambito nazionale, c’è Bologna che ha stabilito incentivi per la sostenibilità degli interventi edilizi e fissato livelli prestazionali migliorativi: con un rapporto di almeno il 15% tra il volume di inerti provenienti da impianti di recupero (o di riutilizzo in sito) e il volume totale degli inerti, si ottiene un ampliamento del 10% del volume utile; con un rapporto che supera il 35% si può ottenere un ampliamento del 20% del volume totale. A Prato il Regolamento edilizio prevede l’erogazione di incentivi, con un sistema a punteggio in base alla quantità impiegata di materiali riciclati e/o di recupero, per diminuire il consumo di risorse naturali. Molta attenzione viene data alla progettazione mirata alla selettività e allo smantellamento sistematico dei componenti dell’edificio, così da riutilizzarne e riciclarne la maggiore quantità possibile.

Progetti ed edifici realizzati: le migliori praticheOslo, nel 2019, è stato inaugurato il primo cantiere al mon­do a emissioni zero, dove ogni macchinario, dalle gru agli escavatori ai montacarichi, è alimentato elettricamente, eliminando inquinamento atmosferico e acustico: entro il 2030 lo stesso dovrebbe applicarsi a tutti i cantieri, comunali e privati. A Londra, la pianificazione dell’hotel “room2 Chiswi­ck” ha previsto zero emissioni nette deri­vanti dalla costruzione, dal funzionamento e dall’eventuale decostruzione dell’edificio. Per la parte di emissioni ritenute inevita­bili, l’impatto ambientale è compensato con la riforestazione di alcune aree in Nicaragua. Sempre nel Regno Unito, a Bristol, dove l’amministrazione locale obbliga i costruttori a vendere almeno il 30% delle nuove costruzioni a prezzi accessibili, l’azienda Boklok ha elevato questa percentuale al 46% e realizza in fabbrica fino al 90% delle case: il che si traduce in meno persone che lavo­rano in sito per meno tempo, meno rifiuti prodotti e meno trasporti, con abitazioni che presentano meno del 4% del carbonio incorporato rispetto a quelle tradizionali, grazie anche all’uso del legno.

Milano l’ampliamento del campus dell’Università Bocconi sui 35mila mq dell’ex Centrale del Latte è un esempio d’intervento edilizio e paesaggistico in chiave sostenibile: il 97% dei materiali di costruzione utilizzati è riciclabile, il 32% degli stessi proviene già da riciclo, mentre il 47% è di provenienza regionale. A Ferrara, nel cantiere del progetto urbanistico “Le Corti di Medoro” oltre il 99% del rifiuto è stato inviato a centro di recu­pero dei materiali da C&D, ben oltre la per­centuale del 70% prevista dal Criterio Minimo Ambientale di riferimento. Un intervento di Acer Ferrara che ha scelto volontariamente di adottare tale soluzione di sostenibilità, realizzando 233 unità immobiliari a prezzi calmierati, destinati a studenti, giovani cop­pie e famiglie in difficoltà.

Tratto da: https://www.legambiente.it/comunicati-stampa/decarbonizzare-le-costruzioni-sfida-settore-edilizio/

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Non sono più rifiuti gli inerti da attività di costruzione e demolizione e gli altri inerti di origine minerale http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/08/non-sono-piu-rifiuti-gli-inerti-da-attivita-di-costruzione-e-demolizione-e-gli-altri-inerti-di-origine-minerale/ Mon, 01 Aug 2022 09:34:22 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15516 Con il Decreto del Ministero della Transizione Ecologica del 15 luglio scorso gli scarti e i rifiuti derivanti dalle attività di costruzione e demolizione non sono più considerati come rifiuti inerti, ma come materiale di recupero.

Il Decreto definisce il regolamento contenente i “Criteri specifici nel rispetto dei quali i rifiuti inerti dalle attività di costruzione e di demolizione e gli altri rifiuti inerti di origine minerale di cui all’articolo 2, comma 1, lettere a) e b), sottoposti a operazioni di recupero, cessano di essere qualificati come rifiuti ai sensi dell’articolo 184-ter del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152“. E stabilisce anche una “via preferenziale“: che i rifiuti ammessi alla produzione di aggregati recuperati provengano da manufatti sottoposti a demolizione selettiva.

Il provvedimento era atteso con trepidazione dall’intera filiera delle costruzioni: in Italia, infatti, i rifiuti edili ammontano a circa 70 milioni di tonnellate, secondo i dati contenuti nel Piano nazionale di gestione dei rifiuti. E la norma ora approvata potrà contribuire al contenimento degli sprechi di materia prima naturale, favorendo un recupero e riutilizzo concretamente regolamentato.

L’aggregato recuperato dovrà essere destinato a scopi specifici come sottofondi stradali/ferroviari, recuperi ambientali, strati accessori, confezionamento di calcestruzzi e miscele con leganti idraulici e attività similari.

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Rigenerazione urbana: stato dell’arte http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/05/rigenerazione-urbana-stato-dellarte/ Sat, 21 May 2022 11:24:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15363 Sul tema della Rigenerazione Urbana vige un po’ di confusione tra gli addetti ai lavori ed anche tra i parlamentari che hanno elaborato un DdL 1131 “Misure per la Rigenerazione urbana”. Infatti è proprio la definizione del tema che è confusa, ri-generare vuol dire: ridare, rifare nel nostro caso un “oggetto urbano” (manufatto, insediamento estensivo, centro abitato) che sia degradato, inquinato, privo di sicurezza e quindi che ha perso il suo “genere” ossia i suoi caratteri essenziali e distintivi. Ma in molti casi si scambia la r.u. con la riqualificazione, ristrutturazione, risanamento, riabilitazione, che invece vuol dire ripristinare  una qualità che si è persa.

Ci vengono incontro i riferimenti internazionali sulla Rigenerazione Urbana che sono certamente la Carta di Alborg (Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile, 1994), le Agende 21 e il modello urbano sostenibile ed equo e poi la Dichiarazione di Toledo (Sulla rigenerazione urbana integrata e il suo potenziale strategico per uno sviluppo urbano più intelligente, sostenibile e inclusivo nelle città europee, 2010) fondamenti che ad esempio non sono per niente richiamati nel DdL 1131 in discussione in Senato. Il Ddl in questione ha messo insieme diverse proposte di legge: 2 sulla Rigenerazione Urbana,  una su le Città storiche, una riguarda i piccoli comuni ed un’altra  ancora è sul consumo di suolo. Ma nel frattempo le Regioni stanno  legiferando sul tema in modo assai diverso e per questo si possono citare  alcuni esempi più eclatanti: la Toscana con la  LR. 65/2014,  il Veneto con la LR 14/2017, l’ Umbria  con la LR 1/2015, Lombardia LR 31/2014, l’Emilia-Romagna LR 24/2017 e la  Puglia con LR21/2008. Nel frattempo, il Governo,  in assenza  di un quadro normativo unico nazionale, ha previsto finanziamenti sulla r.u. nel Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale (PNRR) nell’Ambito di intervento/Misure al 2. Rigenerazione Urbana e housing sociale  prevedendo complessivamente 9,02 Mld di euro e per Investimento 2.1 Investimenti per progetti di rigenerazione urbana, volti a ridurre situazioni di emarginazione e degrado sociale 3,30 Mld di euro. Questo “finanziamento è finalizzato a fornire un contributo ai Comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti con investimenti nella r.u., al fine di ridurre le situazioni di emarginazione e il degrado sociale  nonché di migliorare la qualità del decoro urbano, oltre al contesto sociale e ambientale”. Qui ritorna la confusione si finanzia di tutto di più: “diverse tipologie di azione” quali: manutenzione per il riutilizzo e la rifunzionalizzazione di aree pubbliche e strutture edilizie pubbliche esistenti a fini di pubblico interesse, compresa la demolizione di opere abusive eseguite da privati e la sistemazione delle aree di pertinenza; il miglioramento della qualità, del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, anche attraverso la ristrutturazione edilizia di edifici pubblici, con particolare riferimento allo sviluppo di servizi sociali e culturali, educativi e didattici, o alla promozione di attività culturali e sportive; interventi per la mobilità sostenibile”.

Con il DM del Ministero dell’ Interno  del 30 dicembre 2021 sono stati individuati i comuni beneficiari del contributo da destinare ad investimenti in progetti di rigenerazione urbana, per un ammontare complessivo di 3,4 Mld per gli anni 2021-2026 del PNRR. Sono giunti 2.418 progetti e richieste di risorse  superiori  a 4,4 Mld di euro. Per le Regioni del Sud e isole, più Abruzzo e Molise gli stanziamenti sono  stati almeno proporzionali alla popolazione residente. Le opere ammesse e finanziate sono 1.784 ricadenti in 483 enti locali. I comuni di ogni regione sono riportati in 4 Allegati al seguente link: https://dait.interno.gov.it/finanza-locale/documentazione/decreto-30-dicembre-2021

Vista la situazione ritengo opportuno che si apra una discussione sui principi della Rigenerazione urbana, si controllino gli effetti delle LR e dei progetti finanziati con il PNRR. Per questo ritengo che i Consiglieri Nazionali e i referenti dei CR  predispongano delle schede regionali sullo stato dell’arte e che si faccia un Workshop nazionale con la partecipazione di alcuni esperti che condividano la nostra visione della Rigenerazione Urbana.

Arch.Giacinto Giglio – Consigliere Nazionale Italia Nostra e coordinatore Gruppo Urbanistica.

Approfondimenti:

link alla registrazione del seminario tenutosi l’8 aprile 2011: https://www.youtube.com/watch?v=MXpdLMYVZN8

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Casa e abitare nel PNRR http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2022/04/casa-e-abitare-nel-pnrr/ Wed, 13 Apr 2022 07:29:37 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15308 A cura di Caritas Italiana.

Il PNRR dovrebbe essere finalizzato a realizzare un futuro di stabilità e di armonia sociale. Era quindi naturale attendersi misure che affrontassero uno dei punti cruciali di coesione economico-sociale: la carenza di un’offerta abitativa a canone commisurato ai redditi da lavoro, che è uno dei fattori di blocco e di profonda diseguaglianza nel nostro Paese. Invece non c’è, nel piano, un settore specifico dedicato al tema e i segmenti che affrontano la questione della casa e dell’abitare sono collocati in parti diverse e non sempre collegate. L’abitare, per di più, è una funzione complessa, che chiama in causa l’organizzazione della città, i suoi servizi essenziali e sociali e la residenzialità vera e propria, che è composta a sua volta da qualità e adeguatezza dell’edilizia residenziale e da fattori quali tariffe, canoni, accessibilità e molti altri aspetti che decidono della qualità dell’esistenza di ciascuno.

Un’analisi della situazione e delle prospettive è oggi contenuta in un quaderno predisposto dalla Caritas, dal titolo “Case e abitare nel PNRR” (https://www.caritas.it/materiali/Italia/qrrp/qrrp_num1_mar2022.pdf), da cui risulta un quadro allarmante.

Il PNRR non ha posto grande attenzione né dato specifico spazio agli interventi per incrementare l’offerta abitativa, in particolare a basso costo. Il totale dei finanziamenti previsti è pari a 13,95 miliardi di euro, destinati a misure che riguarderanno (in parte) soluzioni abitative. Tra queste: alloggi per studenti (1 miliardo di euro di investimento), alloggi per anziani e disabili (500 milioni di euro per ciascun target), housing per senza dimora (450 milioni di euro), programmi per l’abitare, piani urbani integrati e progetti di rigenerazione urbana (8,55 miliardi di euro), riuso di beni confiscati alle mafie (300 milioni di euro) e, infine, superamento di insediamenti abusivi per lavoratori in agricoltura (272 milioni di euro).

L’analisi del contenuto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del suo Fondo complementare nonché delle loro prime misure attuative e operative, conferma la difficoltà del nostro Paese nel confrontarsi con una politica per l’abitare che consideri con priorità le necessità dei ceti meno abbienti. Il settore delle politiche abitative necessita infatti da molto tempo di un insieme strutturato di interventi rivolto a una più efficace regolazione dell’intervento pubblico per l’edilizia sociale e diretto a potenziare l’offerta verso le fasce deboli del mercato. Quella del PNRR era, e in parte potrebbe ancora essere, una occasione irripetibile per definire e mettere in atto le riforme necessarie a riparare le lacune che nel settore abitativo si sono allargate, nel corso dei decenni, dopo il trasferimento di competenze alle regioni, a causa di interventi legislativi sporadici e talvolta ispirati a interessi di brevissimo momento.

Nell’insieme delle misure del PNRR e del Piano complementare che interessano i temi dell’abitare si coglie, purtroppo, l’assenza di definizione dei fabbisogni e la mancanza di strumenti giuridici e di pianificazione per l’integrazione dei fattori demografici, sociali e delle connesse funzioni di residenzialità e dei servizi relativi. Di conseguenza non vengono posti tempestivi, chiari e articolati obbiettivi in termini di pianificazione e organizzazione del tessuto urbano e dei servizi di welfare per il finanziamento dei programmi da predisporre da parte degli enti locali con il più ampio possibile concorso di attori locali, imprese, non profit e cittadini. Non esiste, del resto, nemmeno una parvenza di Osservatorio nazionale sulla condizione abitativa che possa fungere da punto di aggregazione della conoscenza di scambio di best practices, anche per la stima dei fabbisogni.

Per questa ragione ai comuni italiani è richiesto, oltre all’eccezionale sforzo in termini di organizzazione della capacità di spesa, un ulteriore impegno, anch’esso particolarmente complesso: quello di collegare tra loro, nella dovuta scala territoriale e nel rapporto tra le diverse scale territoriali, le richieste di accesso ai tanti diversi fondi che hanno rilievo per le politiche dell’abitare. I comuni dovranno considerare che con ogni probabilità questa integrazione sarà più efficiente e operativa se l’amministrazione saprà aprirsi alla collaborazione e al coinvolgimento del volontariato e della creatività sociale, acquisendo nuovi punti di vista, nuove competenze ed energie. Ne risulteranno arricchiti obbiettivi e progetti anche per la possibilità di attingere alle risorse sottoutilizzate. Il grande valore della trasparenza, infine, se perseguita con rigore, potrà manifestare la propria capacità di immediata semplificazione di processi che sono e rischiano di restare altrimenti bloccati da attriti di potere.

Qui il testo integrale del Quaderno:  https://www.caritas.it/materiali/Italia/qrrp/qrrp_num1_mar2022.pdf

(Immagine tratta dal sito: https://www.caritas.it).

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Si sviluppa la rete italiana di Scuole di Architettura per Bambini http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2021/09/si-sviluppa-la-rete-italiana-di-scuole-di-architettura-per-bambini/ Wed, 22 Sep 2021 20:55:00 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=14721 Si è soliti pensare che l’urbanistica sia una disciplina rigorosamente tecnica di difficile comprensione per chi non è un addetto ai lavori. Eppure stiamo parlando la lingua dell’oggi e del domani, dello studio della città e del territorio, della vita quotidiana.

Ecco perchè non può non farci riflettere questa iniziativa.

Nel 2015 all’interno della Farm Cultural Park di Favara (Agrigento) nasce la prima scuola italiana – e tra le prime nel mondo – di architettura per bambini: si chiama SOU, in omaggio al famoso architetto giapponese Sou Fujimoto.
Una scuola che si preoccupa di avvicinare i più piccoli all’urbanistica, all’architettura e all’ambiente ma anche all’arte e al design e di educarli al bello.

L’esperienza di Favara ha stimolato la nascita di una seconda scuola ad Ostuni (Brindisi) e, a partire da settembre, anche la città di Asti ospiterà SOU inaugurando una crescita che porterà il progetto anche in un ulteriore ristretto numero di città in tutta Italia.

L’iniziativa è rivolta agli allievi della scuola primaria e secondaria di I grado, per cui con età indicativamente compresa tra i 7 e i 12 anni, che potranno partecipare a laboratori nel periodo compreso tra la fine di settembre 2021 e l’inizio di maggio 2022.

SOU è un’attività educativa dopo scuola che, attraverso gli strumenti forniti dalle discipline dell’architettura, dell’urbanistica e del design, stimola la riflessione, la progettazione e l’azione per il miglioramento della società. Ma vuole anche promuovere ed educare ai valori della partecipazione, della solidarietà, della tolleranza, dell’impegno sociale, dell’ecologia, del rispetto e della cura dei beni comuni. L’obiettivo è quello di abituare i bambini alla libertà del pensiero, alla magia della creatività, al desiderio di rendere possibile l’impossibile e di realizzare i propri sogni.

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Creative Living Lab: al via la terza edizione http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2021/01/creative-living-lab-al-via-la-terza-edizione/ Tue, 05 Jan 2021 22:49:32 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=14220 A cura dell’Ufficio Stampa MiBACT.

Oltre 1 milione di euro per il finanziamento di progetti di rigenerazione urbana, per la creazione e la riqualificazione degli spazi di prossimità.

La Direzione Generale Creatività Contemporanea (DGCC) del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo lancia la terza edizione di Creative Living Lab, iniziativa nata nel 2018 per finanziare progetti di rigenerazione urbana attraverso attività culturali e creative.

Questa terza edizione, per la quale la DGCC stanzia oltre 1 milione di euro, è finalizzata a sostenere progetti di natura multidisciplinare, che abbiano come obiettivo la creazione e la riqualificazione degli spazi di prossimità all’interno delle aree residenziali, al fine di sostenere un modello di sviluppo basato su processi collaborativi e di innovazione sociale, contraddistinto da parole e concetti chiave, quali: interazione, coesistenza, quotidianità, resilienza alle pandemie e comunità sostenibili.

L’Avviso pubblico si inserisce nel quadro delle azioni istituzionali messe in atto dalla DGCC in materia di rigenerazione urbana nei territori che vivono realtà di fragilità ambientale, sociale, culturale ed economica, non necessariamente lontani dal centro fisico urbano, ma caratterizzati dalla difficile accessibilità a servizi e infrastrutture. A fronte dei radicali cambiamenti in corso e dell’emergenza sanitaria dovuta al Covid-19, la DGCC intende avviare una riflessione su un tema ritenuto di grande urgenza, quale la carenza di servizi e spazi di qualità nelle differenti realtà urbane del paese, utili ad accogliere in sicurezza e in condizioni favorevoli individui e comunità e a creare occasioni per costruire relazioni, confronto e integrazione.

Il grande successo delle prime due edizioni di Creative Living Lab, che hanno visto la partecipazione di oltre 500 realtà territoriali, dimostra la validità di un’iniziativa in cui il MiBACT crede molto, tanto da aver aumentato ancora il budget, portandolo a oltre 1 milione di euro” – dichiara Anna Laura Orrico, Sottosegretario di Stato del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo. “Vogliamo dare un’opportunità a tutte quelle associazioni che agiscono attivamente sul territorio per recuperare e restituire alle comunità spazi abbandonati, aree industriali dismesse e beni comuni in disuso, ripensandoli con creatività e ingegno, trasformandoli in opportunità di sviluppo sostenibile, di rilancio sociale e culturale”.

L’avviso pubblico è rivolto a soggetti pubblici e privati senza scopo di lucro, dedicati alla cultura e alla creatività contemporanea e radicati nei territori periferici, quali ad esempio: enti pubblici, fondazioni, associazioni culturali, enti del Terzo settore senza scopo di lucro, università, centri di ricerca non profit, imprese sociali e di comunità non profit, società civile organizzata. Importante l’apporto di esperti di settore e di mediatori culturali come, ad esempio, architetti, paesaggisti, designer, artisti, registi, film-maker, fotografi, musicisti, performer, scrittori, psicologi, sociologi, antropologi.

Creative Living Lab sostiene microprogetti di immediata realizzazione, innovativi e di qualità, in grado di trasformare le aree e gli spazi residuali in luoghi di scambio e apprendimento, accessibili, fruibili e funzionalmente differenziati, al fine di creare un rapporto sinergico tra ambiente e tessuto sociale, culturale ed economico; interventi orientati al riutilizzo e alla riorganizzazione delle aree dedicate ai servizi, alle attrezzature di quartiere e agli spazi condominiali comuni.

Obiettivi di questa terza edizione di Creative Living Lab sono:

  • realizzare spazi attrezzati per nuove destinazioni e per attività che possono contribuire a trasformare la qualità dei servizi e degli spazi di comunità attraverso la creatività contemporanea;
  • favorire il coinvolgimento delle comunità locali nei processi di rigenerazione urbana orientati al potenziamento delle dinamiche socio-culturali di crescita partecipata e al miglioramento della qualità della vita a delle economie locali;
  • sperimentare e diffondere metodologie inclusive e aggregative per le comunità residenti, capaci di sviluppare il senso di identità e di appartenenza ai luoghi.

Le proposte devono indicare nuove forme di utilizzo dei luoghi prescelti al fine di migliorare i servizi, la fruizione e le funzioni culturali, di incentivare l’attivazione di percorsi di partecipazione e autocostruzione attraverso il coinvolgimento di istituzioni, professionisti, artisti, cittadini e soggetti attivi sul territorio e di promuovere un sistema di autorganizzazione dal basso che sia tale da favorire un processo di empowerment e di riappropriazione nelle comunità coinvolte.

L’avviso pubblico e tutti gli allegati sono pubblicati sul sito istituzionale della DGCC al seguente link: http://www.aap.beniculturali.it/creativelab.html

Come indicato dal bando, le proposte devono essere trasmesse tramite PEC entro e non oltre le ore 12.00 del 10.03.2021.

Per ulteriori informazioni: creativelivinglab@beniculturali.it

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I materiali fabbricati dall’uomo sono oggi pari al peso di tutta la vita sulla Terra http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/12/i-materiali-fabbricati-dalluomo-sono-oggi-pari-al-peso-di-tutta-la-vita-sulla-terra/ Tue, 15 Dec 2020 10:54:54 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=14178 di Alessandro Mortarino.

Nei giorni scorsi la prestigiosa rivista “Nature” ha pubblicato la sintesi di uno studio condotto da un team del Weizmann Institute of Science a Rehovot (Israele), guidato dal professor Ron Milo, che rende ancora più comprensibile il peso dell’impronta ecologica impresso dall’uomo nel ciclo di vita del nostro “affaticato” pianeta.

In un’era che, non a caso, ha preso il nome di “Antropocene“, lo studio mette in luce come la massa di tutto ciò che gli esseri umani hanno costruito e realizzato (potremmo, per facilità, definirlo come “le cose opera dell’essere umano“…, dai marciapiedi di cemento ai grattacieli di vetro e metallo, dalle bottiglie di plastica a vestiti, computer e oggetti di ogni genere), ha raggiunto una dimensione praticamente identica alla biomassa naturale, ovvero la massa degli esseri viventi sulla Terra. E il trend di sviluppo indica un indiscutibile superamento già nel corso di quest’anno.

Mentre la massa delle forme di vita della Terra si attesta a circa 1,1 trilioni di tonnellate e non è cambiata molto negli ultimi anni, la cosiddetta “massa antropica” dei materiali artificiali sta crescendo in modo esponenziale.
Il mondo sta dunque attraversando una transizione materiale che “accade non solo una volta nella vita, ma una volta in un’era“, come hanno affermato gli autori di questa ricerca che è stata sviluppata attraverso l’esame dei cambiamenti nella biomassa globale e nella massa prodotta dall’uomo dal 1900 ad oggi, calcolando le stime del peso a secco, esclusa l’acqua.

All’inizio del 20° secolo, la massa di “cose” creata dall’uomo pesava 35 miliardi di tonnellate, circa il 3% della biomassa globale. Da allora, la massa antropica è cresciuta esponenzialmente fino a raggiungere circa 1,1 trilioni di tonnellate oggi. Ora si sta accumulando a una velocità di 30 miliardi di tonnellate all’anno: come dire che ogni persona vivente genera più del proprio peso in prodotti fabbricati ogni settimana.

La maggior parte di queste “cose” hanno a che fare con il cemento, il materiale da costruzione preferito dall’umanità, seguito da ghiaia, mattoni, asfalto e metalli. Se le tendenze attuali continueranno (ed è difficile dubitarne), questi materiali fabbricati peseranno più del doppio di tutta la vita sulla Terra entro il 2040.

Nel frattempo, circa il 90% del mondo vivente – in termini di peso – risulta essere composto da piante, principalmente alberi e arbusti. Ma mentre gli esseri umani producono sempre più materiali ogni anno, il peso delle piante della Terra è rimasto relativamente stabile, a causa di ciò che gli autori descrivono come una “complessa interazione” di deforestazione, ricrescita delle foreste e crescita della vegetazione stimolata dall’aumento dei livelli atmosferici di anidride carbonica.

Sebbene il confronto tra la massa biologica e quella prodotta dall’uomo sia un chiaro indicatore del nostro impatto, è importante notare che anche la biomassa della Terra è stata profondamente alterata dall’umanità. Come osserva lo studio, è presumibile che vi fosse il doppio della biomassa vegetale sulla Terra all’inizio della rivoluzione agricola (circa 12.000 anni fa), prima che le persone iniziassero a disboscare vaste aree di foresta per poter sviluppare la coltivazione. Gli esseri umani e il loro bestiame, nel frattempo, ora superano di quasi 20 volte tutti i mammiferi e gli uccelli selvatici della Terra. E la quantità di plastica presente, da sola, risulta maggiore della massa di tutti gli animali terrestri e delle creature marine messe assieme.

Sono dati su cui siamo tutte e tutti chiamati a riflettere, prima che sia troppo tardi.
Ma siamo sicuri che non sia già troppo tardi?…

Fonte: https://www.nationalgeographic.com/environment/2020/12/human-made-materials-now-equal-weight-of-all-life-on-earth/

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