Paesaggio – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Wed, 27 Mar 2024 18:10:37 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.5 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg Paesaggio – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Pale eoliche e pannelli fotovoltaici, non è così che si cura l’ambiente http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/03/pale-eoliche-e-pannelli-fotovoltaici-non-e-cosi-che-si-cura-lambiente/ Wed, 27 Mar 2024 18:10:33 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16442 Secondo Salvatore Settis è in corso una sorta di metaforica sostituzione etnica: aerogeneratori in luogo degli olivi, sfruttamento industriale del territorio anziché tutela dei paesaggi

I crinali e le pianure del nostro Paese sono oggetto di una aggressione sempre più forte da parte delle industrie eoliche e fotovoltaiche, un vero e proprio assalto al suolo agricolo e forestale, all’ambiente, alla biodiversità, al paesaggio e alle economie locali, che potrebbe essere evitato e governato attraverso una pianificazione volta ad individuare un giusto equilibrio tra la tutela del territorio e le esigenze energetiche.

Ci sembra quindi utile ricordare le importanti riflessioni di Salvatore Settis, che in modo semplice ed autorevole, da tempo sottolinea la gravità e le contraddizioni di questo fenomeno. Riportiamo due articoli del prof. Settis pubblicati su La Stampa.

PALE EOLICHE E PANNELLI FOTOVOLTAICI NON È COSÌ CHE SI CURA L’AMBIENTE

Ecco gli aspetti più critici della transizione ecologica contenuti nel Piano nazionale di rilancio e resilienza

SALVATORE SETTIS – La Stampa 1.7.2023

Prof. Salvatore Settis © Feltrinelli

Il ritardo culturale del nostro Paese sul fronte delle energie rinnovabili è rivelato dall’esultanza con cui fu accolto il cambio di etichetta da «ministero dell’Ambiente» a «ministero della Transizione ecologica». Quasi che tale formula sia l’abracadabra che dischiude da solo le porte del paradiso ecologico che tutti desiderano. Perfino all’arcigno Garante dei Cinque Stelle quelle due parolette parvero garanzia sufficiente, pur in assenza di contenuti e impegni ben definiti, per deliberare il pieno appoggio del suo partito al governo Draghi. Ma ora che è arrivato il momento della verità è il caso di chiedersi di quale transizione ecologica stiamo parlando.

Un analisi dei dati e dei rischi che sia mirata al vantaggio del Paese e al bene delle generazioni future deve fondarsi sulla sostanza dei problemi, e non su pregiudiziali schieramenti pro o contro questo o quel governo. Le scelte di oggi avranno conseguenze di lunghissimo periodo; perciò non possiamo ignorare che il cuore del problema non è l’opzione astratta per le energie rinnovabili, ma come esercitare in concreto le scelte di fondo. Gli impianti eolici e fotovoltaici, infatti, possono avere effetti positivi, ma anche un impatto assai negativo su valori di grande rilevanza ecosistemica, a cominciare dal paesaggio e dall’agricoltura di qualità. Se l’intensificazione di pannelli solari e torri eoliche dovesse comportare la devastazione di preziosi paesaggi storici, quali saranno le nostre priorità? Il bivio è simile a quello, non meno drammatico, fra il diritto al lavoro e il diritto alla salute. Come si è visto a Taranto, se lavorare in una fabbrica comporta gravi danni alla salute, la soluzione non è scegliere fra due valori che sono (entrambi) costituzionalmente protetti, ma assicurare il rispetto di entrambi. Mantenere i posti di lavoro e proteggere al massimo la salute dei lavoratori.

Nel Pnrr la transizione ecologica comporta un grande investimento complessivo (quasi 70 miliardi di euro), con l’obiettivo di raggiungere il 30% di energia rinnovabile entro il 2030, portando questa percentuale al 50% entro il 2050. Di fronte a obiettivi così ambiziosi, le gravi preoccupazioni espresse da Italia Nostra meritano la massima attenzione da parte del governo.

Negli ultimi due decenni, già si è moltiplicata oltre ogni misurara gionevole la presenza di turbine eoliche alte fino a 250 metri, distribuite sul territorio con scarsa considerazione per le caratteristiche paesistiche; per non dire delle grandi estensioni di terreno sottratte all’agricoltura per cospargerle di pannelli solari. Ma l’Italia non può e non deve gareggiare per numero dei nuovi impianti con altri Paesi di ben diverse dimensioni: per fare un solo esempio, mentre lanostra popolazione e quella della Francia sono assai simili (poco più di 60 milioni), e hanno dunque gli stessi bisogni di energia, la Francia ha una superficie quasi doppia (550.000 kmq contro i 300.000 dell’Italia); e di conseguenza la nostra densità di popolazione (206 abitanti per kmq) è quasi doppia di quella francese (117 abitanti per kmq). L’Italia ha pochi spazi pianeggianti, che dovrebbero essere dedicati all’agricoltura onde assicurare non solo il nostro sostentamento ma la produzione di cibo sano e di qualità; ma questi spazi, dalla pianura padana alla Campania, sono stati devastati da un consumo di suolo che è il più alto d’Europa, superiore anche a quello della Germania che ha più abitanti. E tuttavia il disegno di legge inteso a limitare il consumo di suolo, dopo nove anni di traversie parlamentari, è stato da poco affossato in Senato. Intanto sono rallentati manutenzione e incremento dei bacini idroelettrici, che producono il 15% del fabbisogno di energia elettrica, per giunta non intermittente, e dunque più affidabile di eolico o fotovoltaico. Mettendo in sicurezza le dighe e ripulendo i fondali dai detriti si potrebbe non solo aver cura dell’ambiente ma anche accrescere la produzione, riducendo la corsa a nuove fonti di energia.

Non dobbiamo chiudere gli occhi di fronte al pericolo di danneggiare in modo irreversibile un Paese, il nostro, che fu un tempo il «giardino d Europa» e di assecondare la messa in opera di torri eoliche e pannelli solari facendo l’interesse delle imprese (in gran prevalenza non italiane) che li producono ma non di chi vive in Italia e ha diritto a un contesto paesaggistico rispondente alle caratteristiche del Paese.

I bei paesaggi sono Luoghi che curano (questo il titolo di un bel libro di Paolo Inghileri, Ed. Cortina), mentre i paesaggi deturpati danneggiano la salute dell’anima e della società. A questi temi l’Italia di oggi sembra insensibile: come si può altrimenti spiegare il duro contrasto fra il Regolamento europeo 2021/ 241, secondo cui le misure Pnrr devono proteggere gli ecosistemi senza produrre alcun danno ambientale, e il Dl «Semplificazioni,» dove tale principio è sostanzialmente ignorato? E che cosa saprà fare l’Italia, dove la tutela del paesaggio è fra i principi fondamentali dello Stato (art. 9 Cost.) di fronte a un Europa che propaganda il Green New Deal senza menzionare il paesaggio e il patrimonio storico-artistico e archeologico? Che cosa faremo per regolare la scelta di luoghi idonei ad accogliere i nuovi impianti, o per lavorare d’anticipo coprendo sin dal principio il costo dello smantellamento di tali impianti, e non lasciarlo in eredità ai nostri figli e nipoti? Franosità, fragilità idrogeologica, alta sismicità, densità di popolazione da un lato; ricchezza di paesaggi, ecosistemi, produzione agricola e monumenti preziosi dall’altro: sapremo tener conto di questi fattori e del loro combinarsi? O li cancelleremo dalla memoria storica in nome di una transizione ecologica ciecamente concentrata solo su se stessa?

LA GIUNGLA DELLE NUOVE PALE EOLICHE, L’ENERGIA PULITA CHE DEVASTA IL PAESAGGIO

ll Pnrr le premia e i progetti si moltiplicano. A rischio la Laguna di Orbetello e i Monti dell’Uccellina

SALVATORE SETTIS – La Stampa 27.7.2023

Chi teme l’eccesso di turismo in Italia sarà lieto di sapere che in alcune aree siamo alla vigilia di un forte calo delle presenze. Tali sono, per esempio, la Maremma toscana, le dolci colline fra la Laguna di Orbetello (tombolo della Giannella), il promontorio di Talamone coi Monti dell’Uccellina e il mirabile borgo di Magliano in Toscana con la sua cinta muraria quattrocentesca. Nove gigantesche pale eoliche, alte 200 metri (contro i 130 delle mura di Magliano), e per giunta collocate in parte su una collina, provvederanno a rendere irriconoscibile quel paesaggio, secondo la proposta di Apollo Wind srl. Questo progetto di parco eolico è comparso il 6 luglio sul sito del Comune di Orbetello e già ieri sono scaduti i termini per formulare osservazioni. Troppo facile profezia è che la sindrome della fretta indotta dal Pnrr, la diffusa insensibilità politica e la crescente rassegnazione dei cittadini avranno la meglio su ogni obiezione.

Nessuno nega l’urgenza della crisi energetica, per la micidiale tenaglia in cui siamo presi, fra l’emergenza climatica e la guerra in Europa. Ma, come già due anni fa ho scritto su questo giornale (il primo e l’8 luglio 2021), il cuore del problema non è l’opzione astratta per le energie rinnovabili, ma come esercitare in concreto le scelte di fondo.

È possibile collocare gli impianti eolici o fotovoltaici senza devastare i paesaggi storici, senza alterare in misura irreversibile i valori ecosistemici né mortificare il lungo lavoro di tutela di Soprintendenze e Comuni? L’Italia, ce lo andiamo ripetendo come una litania, è stato il primo Paese al mondo a porre in Costituzione, fra i principi fondamentali dello Stato, la «tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione» (art. 9). E allora come mai, di fronte all’avanzata inesorabile di torri eoliche sparse a caso dappertutto, non si sono stabiliti criteri adeguati a pilotare le ipotesi progettuali, scegliendo luoghi idonei non solo per la frequenza o l’intensità dei venti, ma anche per il rispetto dei valori paesaggistici e delle attività agricole? Come mai, anzi, c’è chi accusa le Soprintendenze di frenare la transizione ecologica con la scusa di difendere i paesaggi storici? Nella guerra suicida fra le nozioni giuridiche di “paesaggio” da tutelare e “ambiente” da proteggere mediante le rinnovabili, quale è la posizione di chi ci governa?

A dire il vero, c’è una normativa (DM 219/2010) che regola l’impatto visivo dei parchi eolici, in quanto «visibili in qualsiasi contesto territoriale». L’alterazione visiva «deve essere riferita all’insieme delle opere previste per la funzionalità dell’impianto», e pertanto «la localizzazione e la configurazione progettuale, devono esser volte al recupero di aree degradate e alla creazione di nuovi valori coerenti con il contesto paesaggistico». In altri termini, l’impianto eolico dovrebbe essere l’occasione per «il progetto di un nuovo paesaggio», ma solo laddove quello esistente sia in qualche modo deteriorato. Si vedono migliaia di torri eoliche in tutta Italia, ma non saprei indicare un solo luogo in cui questa norma sia stata rispettata, e il progetto di Orbetello è anche a questo riguardo esemplare. E forse degradata, l’area dove verranno installate le nove altissime torri?

E le mura senesi di Magliano che vantaggio avranno da quell’incombente presenza? Nel progetto presentato, al borgo di Magliano viene assegnato un Vp (valore paesaggistico) assai basso, 1,2 su 4: chiunque vi sia stato una sola volta non può che trasecolare. Si sostiene che l’indice di visibilità da Magliano sul campo eolico sia paria zero, con bassissimo indice di affollamento degli aerogeneratori (nove!), che invece, a pochi chilometri dalla cinta muraria, saranno ovviamente più che visibili.

Intanto, sotto la pressione del Pnrr, si moltiplicano in tutta Italia i progetti di campi eolici: una decina solo nel Viterbese, più o meno tutti nella valle del Marta, fra Tarquinia e Bolsena. Saranno tutte aree degradate? E che speranza può mai esserci, se perfino in vista del Duomo di Orvieto, una delle cattedrali più importanti e nobili d’Europa, la società Rwe Renewables Italia sta per piantare sette torri eoliche alte 200 metri? Di questo parco eolico la sola cosa davvero appropriata è il nome, Phobos (che in greco vuol dire paura). Paura, o fobia, di chi o di che cosa? Saranno i turisti a fuggire spaventati dagli aerogeneratori giganti? O chi le ha volute, quelle torri, aveva paura di un paesaggio ancora intatto?

Eppure sono caduti nel vuoto non solo l’accorato appello di Ernesto Galli della Loggia, ma anche le vibrate proteste di otto associazioni (fra cui Lipu, Pro Natura, Associazione Bianchi Bandinelli, Gruppo di intervento giuridico). Tutto vano: il progetto risulta approvato. Eppure i cittadini (gli ambientalisti veri) non demordono, tanto è vero che alcuni da Orvieto hanno partecipato a un’assemblea di pochi giorni fa a Orbetello. Nel miope localismo che ci assedia, la convergenza di analisi e proteste fra cittadini di aree diverse è sempre un buon segnale, e un possibile asse Orvieto-Orbetello è un caso simile alla sintonia fra cittadini di Milano, Parma e Roma contro infelicissimi progetti di nuovi stadi: di questa loro eco-resistenza si è parlato in questo giornale lo scorso 19 giugno.

Solo facendo rete tra loro i cittadini possono contrastare la deriva in cui i governi hanno gettato la politica delle energie rinnovabili in Italia, affidandola interamente al caso.

In assenza di qualsivoglia piano regionale di localizzazione, è sempre e solo l’impresa proponente a prendere l’iniziativa, che i poteri pubblici, dal comune alla regione allo Stato, possono passivamente accettare o rallentare mediante «osservazioni». Sembra di là da venire una forte e mirata iniziativa pubblica, che capovolga questa dissennata procedura partendo dall’identificazione delle aree più idonee agli impianti, nel pieno rispetto delle attività agricole e delle norme di tutela (nonché delle Soprintendenze che vigilano su di esse), e solo dopo individui le imprese a cui affidare i progetti.

Invece, negli ultimi anni si va addensando sulle norme la fitta nebbia di una stratificazione normativa frammentaria, tortuosa e confusa, ma comunque ispirata da un chiaro indirizzo: il trionfo del mercato contro le pubbliche istituzioni, il guadagno immediato dei pochi contro l’interesse di tutti nei tempi lunghi. Come diceva Andrea Zanzotto, «un bel paesaggio una volta distrutto non torna più, e se durante la guerra c’erano i campi di sterminio, adesso siamo arrivati allo sterminio dei campi: fatti che, apparentemente distanti fra loro, dipendono tuttavia dalla stessa mentalità».

All’insegna della crisi energetica, è in corso una sorta di metaforica sostituzione etnica: aerogeneratori in luogo degli olivi, sfruttamento industriale del territorio anziché tutela dei paesaggi, la vista corta del Pnrr con le sue scadenze invece dell’interesse delle generazioni future, la retorica di corto respiro di un falso ambientalismo del profitto in luogo dello sguardo lungimirante della Costituzione —

]]>
FIUMICINO: CI MANCAVANO LE GRANDI NAVI…! http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/01/fiumicino-ci-mancavano-le-grandi-navi/ Mon, 29 Jan 2024 13:10:16 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16318 Un’enorme e inutile colata di cemento in arrivo

Ricordate quando, trenta o quarant’anni fa, ci interrogavamo sull’auspicabile presa di coscienza della gente comune nei confronti della gravità del fenomeno del consumo di suolo…? Pensavamo, con invidia, a come i nostri posteri (magari grazie anche al nostro impegno sociale e ambientale) avrebbero rispettato i bellissimi paesaggi che caratterizzano il nostro Paese e ne rappresentano una delle principali fonti di benessere, anche sotto l’’aspetto economico…?!  

Forse non avremmo mai immaginato che (nonostante la paura sempre più palpabile causata dal rapidissimo cambiamento climatico in atto) tanto tempo dopo avremmo dovuto continuare a lottare con la frenesia di distruggere suolo, di cementificare il terreno libero e così privarci di ingenti servizi ecosistemici totalmente gratuiti, preziosi, indispensabili…?!  Anzi, se qualche moderno avventuriero butta l’occhio su un posto ameno, ben conservato e protetto, costellato di testimonianze uniche della storico-culturali e paesaggistiche, dobbiamo temere il peggio per quei pochi angoli di paradiso che rendono unico il nostro Paese. Già, se il posto è splendido e incontaminato, togliergli l’anima (ad esempio, cementificandolo) per ricavarne una versione artificiale, in cui la natura non ha più posto ed è il cemento a regnare sovrano, diventa un’operazione sublime, quasi più arrapante dell’incendio di Roma per Nerone…

Siamo a Fiumicino, a poche decine di chilometri da Roma, in uno dei paesaggi più unici e pieni di fascino della costa laziale, sul quale incombe una gigantesca colata di cemento, quella che serve per costruire un enorme porto per grandi navi da crociera e da diporto e un porto commerciale. 

Il Tevere che incontra il mare in prossimità del vecchio faro militare, davanti allo spettacolo delle bilance (palafitte costruite sugli scogli, usate per la pesca); di là l’idroscalo Oltre (dove fu ucciso Pierpaolo Pasolini nel 1975, ricordato dalla scultura di Mario Rosati e da un piccolo parco con pietre inciampo, sulle quali sono leggibili frasi del poeta. Un luogo placido, quasi sacro, per chi viene dalla metropoli, piena di caos e di violenza.

La colata di cemento (che rientra nelle opere per il Giubileo, anche se non si capisce per quale motivo, dato che verrà c0nclusa dopo che questo grande evento sarà stato già celebrato…) riguarda un progetto della società Fiumicino Waterfront srl, in gran parte partecipata del gruppo Royal Caribbean, che costa complessivamente 440 milioni di euro. Un progetto estremamente critico, come più volte denunciato dalle svariate associazioni di residenti contrari al progetto: infrastrutture inadeguate, fondali bassi e limacciosi, e il vicino aeroporto che non consente un traffico marino con altezze superiori ai 48 metri.

Con gli attuali fondali le Grandi Navi non potrebbero attraccare, e allora si vorrebbe realizzare un dragaggio di sabbia, che in parte invaderebbe l’area antistante il mare e potrebbe essere sfruttata per costruire alberghi e grandi infrastrutture. Un porto destinato a entrare in concorrenza con quello (molto vicino) di Civitavecchia, che è già dotato di attrezzature per l’attracco delle grandi navi. Un colpo al cuore per l’ambiente, ampiamente compromesso dalle quantità di CO2 e di inquinanti emessi dalle grandi navi, tanto dannose quanto migliaia di auto ferme con il motore perennemente acceso… E tutto questo senza analizzare a fondo la nefasta sinergia con l’attività del vicino aeroporto internazionale…

Un centinaio di intellettuali, registi, personaggi dello spettacolo, insegnanti hanno rivolto un appello al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, che è anche commissario straordinario di governo per le opere del Giubileo del 2025, affinché questo progetto sia ritirato.

Speriamo…..

]]>
Non sembra ma la legge sulla tutela del Paesaggio in Italia ha vent’anni http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/01/non-sembra-ma-la-legge-sulla-tutela-del-paesaggio-in-italia-ha-ventanni/ Wed, 24 Jan 2024 17:50:25 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16314 di Endri Orlandin

22 gennaio 2004, probabilmente ai più non dirà molto come ricorrenza, ma per chi si occupa di paesaggio corrisponde a un evento piuttosto importante quale la promulgazione del Decreto legislativo n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”, cosiddetto “Decreto Urbani”.

Celebrare il ventennale di una legge sul paesaggio dovrebbe consentirci prima di tutto di condurre una riflessione sui suoi esiti, a fronte di un processo di pianificazione oramai compiuto ed efficace, permettendo di mettere in evidenza pregi e difetti, similitudini e differenze, insiemi e sottoinsiemi di tipologie di strumenti di piano coerenti con gli stili di progettazione delineati dalle singole Regioni.

E invece, conducendo una breve indagine sugli strumenti di piano regionali, si appalesa immediatamente agli occhi l’evidente stato di ritardo in cui versa la pianificazione paesaggistica nel nostro Paese. Solo quattro Regioni hanno approvato il piano paesaggistico: Puglia, Toscana, Piemonte e Friuli Venezia Giulia, quest’ultima, la più vicina in termini temporali, nel 2018.

Come si può constare il quadro è alquanto desolante (quattro Regioni su venti hanno completato l’iter di formazione del piano paesaggistico). Se assumiamo che le Regioni Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta hanno piena autonomia in materia di paesaggio in virtù delle disposizioni dei loro statuti e quindi non hanno l’obbligo della redazione e dell’approvazione di piani paesaggistici che sottopongano a “specifica normativa d’uso” tutto il territorio regionale, potremmo passare da quattro su venti a quattro su diciotto. Ma nella sostanza ciò non sposta di molto l’attuale sconfortante situazione.

Diverse Regioni sono alle prese, ormai da diversi anni, con la redazione del piano paesaggistico ai sensi del DLgs 42 del 2004; esempi ne sono il Veneto, l’Emilia-Romagna, l’Umbria, le Marche, la Sardegna, la Lombardia, il Lazio, la Campania, la Calabria, l’Abruzzo, il Molise, la Basilicata, la Sicilia ognuna attualmente a un diverso stato di avanzamento dei lavori e dell’Intesa tra Stato e Regione. Quest’ultima vera e propria questione dirimente nella redazione del piano paesaggistico in quanto, tutte le Regioni (a parte Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta come visto in precedenza) hanno l’obbligo di copianificazione con il Ministero della cultura.

Il lasso di tempo tra l’avvio dell’iter di redazione del progetto di piano, i tempi per la stesura (e spesso per il rinnovo) dell’Intesa, oltre ai tempi effettivi di predisposizione, presentazione e discussione dello strumento di pianificazione fanno sì che la sua gestazione sia alquanto lunga finendo spesso per generare continui avvii e interruzioni dei processi determinandone tempi biblici. Un esempio su tutti il Piano territoriale regionale di coordinamento del Veneto che inizialmente doveva essere anche a valenza paesaggistica: avviato nel 2004 (con il Documento programmatico preliminare per le consultazioni) e conclusosi nel 2020 con la sua approvazione, ma avendo nel frattempo perso, tra adozione e approvazione, la valenza paesaggistica. Ma lo stesso discorso potremmo farlo per il piano paesaggistico dell’Emilia-Romagna avviato nel 2010 con la redazione dell’“Atlante degli ambiti paesaggistici” e ancora in gestazione; oppure per l’Umbria che ha preadottato la Relazione illustrativa del Piano Paesaggistico Regionale con il relativo Volume 1 dedicato alla conoscenze e alle convergenze cognitive sul valore del paesaggio, comprendente il Quadro conoscitivo e il quadro strategico ma è ancora in attesa di giungere a compimento del Volume 2 incentrato sul governo del paesaggio (tutele, prescrizioni e regole) contenente il Quadro di assetto del paesaggio regionale con il relativo quadro normativo.

Ma anche se tutto avesse funzionato perfettamente alcune perplessità sulla bontà della tutela paesaggistica insita nel Decreto legislativo del 2004 continuano a permanere in chi scrive.

Una questione dicotomica sulla tutela del paesaggio

La copianificazione tra Stato e Regioni avviene limitatamente ai beni paesaggistici, comprendenti le bellezze individue e d’insieme e le aree tutelate per legge. È legittimo chiedersi in virtù di tale approccio se questi aspetti e caratteri rappresentino nella loro interezza la manifestazione materiale e visibile dell’identità nazionale (in quanto espressione di valori culturali) e possano esprimersi attraverso il solo insieme dei beni paesaggistici piuttosto che evincersi nella struttura e nell’assetto del paesaggio italiano, comprensivo di tutte le interazioni culturali (materiali e immateriali), sociali, ecologiche, geostrutturali, etc. che concorrono a formarne e determinarne i caratteri peculiari. Va aggiunto che l’elaborazione dei piani paesaggistici può avvenire d’intesa per gli altri aspetti.

La pianificazione quindi va obbligatoriamente condotta in forma congiunta tra Stato e Regione con riferimento ai beni paesaggistici e autonomamente (o eventualmente in forma congiunta con MiC e MASE) dalla Regione per: l’individuazione di possibili, ulteriori contesti, da assoggettare a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione; la definizione di interventi di recupero e riqualificazione delle aree significativamente compromesse o degradate e delle ulteriori azioni di valorizzazione compatibili con le necessità di tutela; l’articolazione di misure necessarie per l’inserimento, nel contesto paesaggistico, degli interventi di trasformazione territoriale; la delimitazione degli ambiti (di paesaggio) e dei relativi obiettivi di qualità.

Inoltre ai sensi del sesto comma dell’articolo 131 lo Stato, le regioni, gli altri enti pubblici territoriali nonché tutti i soggetti che, nell’esercizio di pubbliche funzioni, intervengano sul territorio nazionale, conformano la loro attività ai principi di uso consapevole del territorio e di salvaguardia delle caratteristiche paesaggistiche e di realizzazione di nuovi valori paesaggistici. Quest’ultima direttiva, purché supportata da “rispondenti criteri di qualità e sostenibilità”, altro non è che una formula, di moda negli ultimi anni, vaga e piuttosto abusata, per ammettere qualsiasi potenziale modifica dell’assetto paesaggistico esistente in nome di un’invocata qualità paesaggistica e un’auspicabile sostenibilità ambientale che tanto spesso hanno arrecato danno al nostro Paese.

Ciò che appare evidente è come l’interesse dello Stato, a distanza di decenni, sia ancora rivolto principalmente, se non esclusivamente, alle componenti “tradizionali” dell’assetto paesaggistico del nostro Paese e cioè le bellezze individue e d’insieme, definite dalla legge 1497 del 1939 e le zone di particolare interesse ambientale, individuate ai sensi della legge 431 del 1985.

Le Regioni assumono quindi un ruolo di “esecutrici materiali”, rispetto agli organi periferici dello Stato (le Soprintendenze), nella predisposizione degli strumenti di pianificazione paesaggistica, limitandosi a collaborare per i soli beni paesaggistici, dapprima alla loro delimitazione e rappresentazione e successivamente alla formulazione delle relative prescrizioni d’uso volte ad assicurare sia la conservazione dei caratteri peculiari che la loro valorizzazione. Attività definita correntemente come “vestizione del vincolo”.

Con le modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione, apportate a seguito dell’emanazione della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, sono state sancite con maggiore precisione le competenze tra Stato e Regioni. Tale riordino, che ha ridotto sensibilmente le materie concorrenti, sembra implicitamente rafforzare i poteri sostitutivi che l’articolo 120 della Costituzione affida, dal 2001, all’Esecutivo. Con l’avvio di questa “deriva centralista”, che ha riportato la situazione delle competenze in materia di pianificazione alla fase antecedente alla nascita delle Regioni, si sono progressivamente eliminati i margini regionali di autonomia amministrativa relativamente alla tutela del paesaggio in favore di un atteggiamento sempre più verticistico da parte dello Stato.

Oltre a questa lettura occorre sottolineare inoltre come tale condizione vada sempre più conformandosi in una progressiva supremazia del potere centrale nei confronti delle amministrazioni locali, mettendo pesantemente in discussione il principio di sussidiarietà. Dopo il decentramento amministrativo degli anni Settanta, coincidente con l’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, negli anni Novanta, con la ratifica del Trattato di Maastricht, viene introdotto il principio di sussidiarietà quale cardine dei rapporti tra Unione e Stati membri, si è giunti infine, tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, a parlare di devolution e di federalismo concretizzatisi nella riforma del Titolo V della Costituzione, attraverso il conferimento alle autonomie territoriali di nuove funzioni. Conclusosi questo ciclo di riforme, che ha progressivamente spostato le competenze verso la “periferia” amministrativa dello Stato, quest’ultimo sta cercando di riacquisire un ruolo di primarietà, oltre che in materia di paesaggio anche in altri settori dell’amministrazione. Il processo di riforma, che in linea di principio è pienamente condivisibile, aveva distorto in termini applicativi il concetto di decentramento (per mere ragioni di opportunismo politico) determinando un’estesa dilatazione nelle maglie dell’autonomia amministrativa, tanto da produrre nel campo della pianificazione paesaggistica una deriva localistica estrema arrivando a conferire ai piani strutturali comunali contenuti paesaggistici.

Ovviamente, in quest’ottica, anche la figura del piano paesaggistico si viene configurando attraverso un paradigma fortemente autoritativo di “imposizione e verifica”, adeguandosi al ritrovato potere dello Stato nel governo del paesaggio, o meglio dei beni paesaggistici, come se solo questi ultimi fossero in grado di restituire nella loro interezza l’eterogeneità e la “grande bellezza” del nostro Paese.

Pianificazione paesaggistica regionale: tra Convenzione europea del paesaggio e Codice dei beni culturali e del paesaggio

L’attuale sistema di pianificazione del paesaggio è frutto dell’integrazione di due approcci metodologici in apparenza simili ma in realtà assai differenti: la Convenzione Europea del Paesaggio (Firenze, 2000) e il Decreto Legislativo n. 42 del 2004.

La nostra legge nazionale, pur conformandosi nominalmente agli obblighi e ai principi di cooperazione tra gli Stati fissati dalle convenzioni internazionali in materia di conservazione e valorizzazione del paesaggio, evidenzia alcune discordanze rispetto al compendio di norme (dedicate alla salvaguardia, alla gestione e alla pianificazione), contenuto nella Convenzione. Sono diverse le questioni sulle quali si generano incoerenze e fraintendimenti metodologico-applicativi.

La prima è sicuramente connessa alle definizioni di paesaggio e pianificazione e al ruolo della popolazione rispettivamente nella sua percezione e nella partecipazione al processo di costruzione del progetto di piano.

La Convenzione sin dalla declinazione della definizione di paesaggio attribuisce un ruolo fondamentale alle popolazioni nella sua percezione e cognizione. Ancor più impegna le parti a riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità. Prevede altresì misure specifiche volte alla valutazione dei paesaggi tenendo conto dei valori specifici che sono loro attribuiti dalle popolazioni. Il Codice, invece, all’articolo 131, primo comma, definisce il paesaggio come il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni. Si evince che alle popolazioni non viene attribuito alcun ruolo attivo nella determinazione dei valori identitari del paesaggio quale luogo della vita quotidiana, della rappresentazione dei valori etici della società e della memoria individuale e/o collettiva. Un atteggiamento del legislatore italiano alquanto propenso ad affrontare la definizione del concetto di paesaggio in forma piuttosto sbrigativa, senza porre particolare attenzione alle implicazioni di ermeneutica giuridica insite in tale questione.

Passando alla definizione di pianificazione paesaggistica il Codice afferma che il territorio deve essere adeguatamente conosciuto, salvaguardato, pianificato e gestito in ragione dei differenti valori espressi dai diversi contesti che lo costituiscono, mentre la Convenzione definisce, nella Relazione esplicativa, la “pianificazione dei paesaggi” come il processo formale di studio, di progettazione e di costruzione mediante il quale vengono creati nuovi paesaggi per soddisfare le aspirazioni della popolazione interessata, e aggiunge ancora che occorre elaborare progetti di pianificazione con l’obiettivo di riqualificare i paesaggi attualmente più degradati, gli ambiti periferici, le zone periurbane, le aree industriali e i litorali. Un aspetto che appare determinante nell’applicazione di questo dettato è costituito dal legame imprescindibile tra paesaggio e popolazioni contenuto nella Convenzione. La costante presenza della società civile e del compito a essa assegnato nel processo di costruzione degli apparati di pianificazione costituisce una discriminante fondamentale tra modalità di approccio metodologico alla determinazione dei principi generali, delle strategie e degli orientamenti ai fini della salvaguardia, della pianificazione e della gestione del paesaggio. Inoltre se nella Convenzione la pianificazione paesaggistica determina un processo dinamico in cui vengono assecondati i cambiamenti nelle e delle popolazioni, il Codice invece è orientato alla restituzione di un’immagine statica dello stato di fatto (facendo riferimento, come visto in precedenza, alle bellezze individue e d’insieme e alle zone di particolare interesse ambientale, rispettivamente ai sensi delle leggi 1497/39 e 431/85).

A fronte del ruolo palesemente identitario attribuito alla popolazione, sia nel processo di riconoscimento e interazione con il paesaggio che in quello di condivisione del progetto di piano, delineato dalla Convenzione, nel Codice tale indicazione viene mediata attraverso processi partecipativi e forme di concertazione istituzionale rivolte ai “soggetti interessati” e alle associazioni portatrici di interessi diffusi (individuate ai sensi delle vigenti disposizioni in materia di ambiente e danno ambientale), oltre a un generico ricorso ad ampie forme di pubblicità. Tutto ciò risulta piuttosto riduttivo (e oltremodo frutto di un approccio assolutamente tradizionalista, figlio della pianificazione urbanistica dove viene prevista come massima forma di partecipazione alla costruzione del piano l’istituto delle osservazioni) se confrontato con le esperienze di livello internazionale in materia di partecipazione sociale alla pianificazione urbanistica e strategica, veicolate da iniziative di cittadinanza attiva e di partecipazione proattiva.

Fin da questo primo incrocio di orientamenti appare piuttosto chiaro il divario non solo semantico ma culturale tra i due testi normativi.

Tale diversità è insita anche nei comportamenti pianificatori assunti dalle Regioni che sinora hanno avviato (e in alcuni casi concluso) il processo di redazione dei nuovi strumenti di pianificazione paesaggistica che, da un lato, hanno saputo cogliere alcune delle innovazioni teorico-metodologiche introdotte dalla Convenzione, dall’altro, sono riuscite a conformare i propri piani ai dettati del Codice.

Le istanze formulate dalla Convenzione si riflettono spesso nell’approccio metodologico alla definizione della forma e dei contenuti del piano tentando innanzitutto di superare la tradizionale azione di tutela vincolistica del paesaggio, concepita per specifiche parti di territorio o categorie di beni. La centralità assunta dalla pianificazione e la concezione estensiva e integrata di paesaggio consentono di superare la limitatezza delle disposizioni volte a tutelare sia singoli oggetti che porzioni di territorio. Sotto questo profilo tutto il territorio può considerarsi paesaggio, così come sancito dalla Convenzione.

L’integrazione nella nozione di paesaggio di nuovi postulati disciplinari costituisce inoltre un segnale di innovazione metodologica nell’approccio alla pianificazione. Alcuni dei nuovi processi di costruzione degli strumenti di piano sono stati impostati attraverso un percorso che mette in relazione tra loro: approccio cognitivo, veicolato dalla Convenzione, relativamente alla percezione identitaria dei luoghi da parte delle popolazioni (i cosiddetti sedimenti immateriali, ovvero il patrimonio genetico-testimoniale delle popolazioni che vivono, e hanno vissuto, un territorio), oltre a quello più tradizionale insito nella cultura vedutistica italiana; approccio culturale, al cui centro vengono posti prioritariamente i sedimenti materiali, corrispondenti all’insieme dei beni paesaggistici vincolati ex lege e agli ulteriori inventari di beni architettonici, storico-testimoniali, etc.; approccio ecologico, orientato alla conoscenza evolutiva dei sistemi interagenti di ecosistemi; approccio strutturale, che mette in relazione temporale insediamento antropico e ambiente e interpreta processualmente le relazioni fra “paesaggio ecologico” e “paesaggio culturale”; approccio ambientale, incentrato sulla lettura degli aspetti abiotici (appartenenti principalmente alle scienze della terra) e biotici (riferibili alle scienze biologiche).

Un’amara conclusione

Si potrà disquisire sul perché dopo vent’anni in Italia non si sia riusciti a comporre un coordinato quadro di riferimento pianificatorio regionale in materia di paesaggio, ma una riflessione credo si possa comunque trarre: nel nostro Paese la pianificazione paesaggistica non costituisce e non ha mai costituito una priorità, soprattutto politica più che tecnica, in termini di difesa e tutela di un bene comune così prezioso.

Senza riandare al rapporto tra leggi di “tutela” del paesaggio e condoni edilizi e soffermandoci solo ai fatti più recenti le Regioni, come visto in precedenza, stanno procedendo in ordine sparso (e con tempi fortemente dilatati) alla predisposizione dei propri disegni paesaggistici delineando approcci e visioni assai differenti, dando origine a un progetto di paesaggio (nazionale) che si reggerà ancora una volta esclusivamente sul sistema dei vincoli paesistici ai sensi delle leggi 1497 del 1939 e 431 del 1985 (nell’interesse del MiC), non essendo “obbligate” a pianificare l’intero sistema territoriale regionale; cogliendo con ogni probabilità solo in alcune di esse l’opportunità di pianificare omogeneamente il paesaggio (pur continuando a mantenere due regimi diversificati tra beni paesaggistici e restante paesaggio).

Mancando qualsiasi interesse a livello ministeriale nel sollecitare le Regioni ad adempiere a un mandato loro assegnato costituzionalmente ed essendo assente all’interno del Decreto legislativo 42 del 2004 qualsiasi riferimento a un termine perentorio per la realizzazione dei piani paesaggistici vi è uno scarsissimo interesse a modificare l’attuale assetto degli strumenti di pianificazione regionale in materia di paesaggio. Anche perché l’approvazione di un nuovo piano paesaggistico comporta a cascata l’adeguamento di tutto il sistema di pianificazione in quanto le previsioni di questo strumento non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici, stabiliscono norme di salvaguardia applicabili in attesa dell’adeguamento degli strumenti urbanistici e sono anche vincolanti per gli interventi settoriali. Inoltre per quanto attiene alla tutela del paesaggio, le disposizioni dei piani paesaggistici sono comunque prevalenti sulle disposizioni contenute negli atti di pianificazione a incidenza territoriale previsti dalle normative di settore, ivi compresi quelli degli enti gestori delle aree naturali protette.

A ciò si aggiunga infine come con l’articolo 145, primo comma, del Codice, stabilisca che costituisce compito di rilievo nazionale l’individuazione, da parte del MiC, delle linee fondamentali dell’assetto del territorio nazionale relativamente alla tutela del paesaggio, con finalità di indirizzo della pianificazione. Rispetto a tale condivisibile prerogativa occorre sottolineare come il Ministero finora non abbia dato seguito ad alcuna iniziativa in merito e pertanto la predisposizione di un univoco e coordinato sistema di indirizzi metodologici e procedure tecniche, che consentirebbe un’omogeneità di obiettivi e (forse) risultati, è finora mancata e il quadro che si sta lentamente configurando dei futuri disegni paesaggistici è assolutamente disomogeneo.

Endri Orlandin è urbanista, esperto di pianificazione territoriale e paesaggistica, docente universitario, ha scritto articoli e saggi.

]]>
L’antico bosco dell’Arneo rischia di essere cancellato per sempre dall’ampliamento della pista Porsche http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/lantico-bosco-dellarneo-rischia-di-essere-cancellato-per-sempre-dallampliamento-della-pista-porsche/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/lantico-bosco-dellarneo-rischia-di-essere-cancellato-per-sempre-dallampliamento-della-pista-porsche/#comments Fri, 17 Nov 2023 19:02:53 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16208 di Serena Mattia

La casa automobilistica tedesca Porsche, in accordo con la Regione Puglia, abbatterà un’ampia porzione di foresta per ampliare le piste del Nardò Technical Center.

Dicono si tratti di un intervento di pubblica utilità.

Il contesto

Siamo nella Riserva Naturale Orientata Regionale Palude del Conte e Duna Costiera dove rischiano di essere cancellati 200 ettari dell’ultimo lembo dell’antico bosco mediterraneo dell’Arneo.

La Riserva comprende due siti di interesse comunitario (SIC): il SIC “Palude del Conte – Dune di Punta Prosciutto” e il SIC “Porto Cesareo”, fondamentali per la conservazione degli habitat naturali e delle specie animali e vegetali di interesse comunitario. Parliamo dunque di un’area di notevole importanza naturalistica, interessata da vincoli ambientali molto stretti.

Cosa prevede?

Il centro prove proprietà della Porsche si sviluppa su una superficie di 700 ettari e comprende piste, impianti, officine e uffici.

Il progetto di ampliamento prevede la costruzione di altre piste di prova, un parcheggio, edifici tecnici e amministrativi, una mensa, un nuovo centro di logistica e manutenzione e una stazione di servizio.

Secondo la Direttiva Habitat, progetti che ricadono all’interno delle aree Natura 2000 e quelli che ricadono all’esterno ma che possono comportare ripercussioni significative su di esse, devono essere oggetto della valutazione di incidenza (VINCA).

Il comitato VIA (Valutazione di impatto ambientale) e VINCA della Regione Puglia ha affermato che “gli impatti su tali componenti sono negativi e significativi”. Anche l’Ufficio Parco del Comune di Porto Cesareo, ha definito “significativamente negativa e rilevante” l’incidenza dell’intervento richiesto da Porsche.

La Direttiva Habitat, in caso di valutazione negativa, prevede che l’assenso può sopraggiungere solo in presenza di rilevante interesse pubblico e previa progettazione di misure compensative. Ma Porche ha pensato anche a questo. Ha elaborato infatti un piano per il “miglioramento ambientale”, miglioramento che andrà a distruggere l’antico bosco mediterraneo per un progetto di riforestazione che avrà luogo nei terreni di privati, che saranno pertanto espropriati. Inoltre, sono previsti un centro di elisoccorso attrezzato con eliporto e annesse strutture sanitarie e l’implementazione di un centro di sicurezza antincendi. Tutto questo andrà a giustificare la pubblica utilità. E il gioco è fatto.

Quali saranno le conseguenze del progetto?

Circa 200 ettari dell’antico bosco dell’Arneo saranno distrutti per far posto all’ampliamento del circuito, in una regione che si posiziona, secondo l’ultimo rapporto ISPRA, al terzo posto per consumo di suolo.

La riforestazione avverrà su 351 ettari di terreno appartenenti a 134 diversi proprietari che saranno espropriati, molti dei quali perderanno le loro attività agricole. Inoltre, il valore ecologico di questa foresta non potrà essere sostituito da un impianto artificiale. La capacità di un bosco di questo tipo di assorbire anidride carbonica, stoccare carbonio, regolare il clima, ospitare la fauna selvatica, è sicuramente maggiore rispetto alla capacità delle giovani piante messe a dimora.

Ma quello che più preoccupa è che la procedura adottata rischia di creare un precedente pericoloso per aggirare la protezione di altre aree naturali, facendo passare l’interesse privato per interesse pubblico.

Per tutelare questo habitat così ricco di biodiversità, il comitato Custodi del Bosco dell’Arneo ha lanciato una petizione online: firmatela e contribuite a salvare questo bene comune.

]]>
http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/lantico-bosco-dellarneo-rischia-di-essere-cancellato-per-sempre-dallampliamento-della-pista-porsche/feed/ 3
Asfalto sulla brughiera per far posto al progetto “Masterplan Malpensa 2035” http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/cemento-sulla-brughiera-per-far-posto-al-progetto-masterplan-malpensa-2035/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/cemento-sulla-brughiera-per-far-posto-al-progetto-masterplan-malpensa-2035/#comments Fri, 03 Nov 2023 15:35:19 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16188 di Serena Mattia

Non c’è pace per la brughiera nel Parco regionale del Ticino.

È da poco uscito l’ultimo rapporto dell’ISPRA sul consumo di suolo e la Lombardia si giudica il primo posto per consumo di suolo per il terzo anno di fila.

Sarà perché la regione non intende rinunciare a questo triste primato che si vogliono cementificare altri 44 ettari di suolo occupati dalla brughiera più meridionale d’Europa per estendere l’area cargo dell’aeroporto di Malpensa.

Il progetto “Masterplan Malpensa 2035”, localizzato nella Provincia di Varese e nei territori comunali adiacenti, prevede la costruzione di una nuova area dedicata ai voli cargo, strutture edilizie a servizio dell’attività aeroportuale e interventi di riordino del sistema della viabilità interna.

Tutto questo a discapito della brughiera, un habitat estremamente raro in Italia, ricco di biodiversità, contraddistinto da una composizione floristica particolare che lo differenzia dalle brughiere del centro Europa.

L’Università dell’Insubria e l’Università di Pavia hanno condotto una serie di indagini floristiche e vegetazionali che hanno permesso di implementare le conoscenze sulle valenze ecologiche del sito. L’analisi della flora ha consentito di censire 332 taxa, molti dei quali sottoposti a diverse tipologie di protezione.

Per quanto riguarda l’avifauna, qui sono presenti 184 specie di uccelli, di cui 52 di interesse comunitario, tra cui il falco pecchiaiolo, il succiacapre e l’averla piccola.

Trovano poi l’habitat ideale la ninfa delle brughiere (Coenonympha oedippus), una delle cinque farfalle più minacciate d’Europa e l’invernina delle brughiere (Sympecma paedisca), una libellula classificata come in pericolo critico dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (IUCN).

Con il Decreto ministeriale 282 dell’8 giugno 2023 il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica aveva provato a salvare quest’area, aveva infatti dato il via libera al piano generale di espansione dello scalo di Malpensa, a condizione che la crescita della zona merci non fosse uscita dal sedime aeroportuale attuale. Per valutare la fattibilità del progetto, era stata eseguita anche una valutazione di impatto ambientale (VIA) che aveva approvato l’ampliamento dell’aeroporto stabilendo che questo non avrebbe dovuto danneggiare la brughiera circostante.

Insomma, una giusta soluzione per poter coniugare ambiente ed economia.

Inoltre, la Commissione VIA riteneva necessario che la Regione assumesse decisioni in merito alla proposta di istituzione del SIC/ZPS (sito di interesse comunitario/zona a protezione speciale) “Brughiere di Malpensa e Lonate”, come proposto dal Parco regionale del Ticino.

Ma il Parlamento ha annullato la decisione del Ministero dell’Ambiente. Con un emendamento al decreto Aria, convertito in legge lo scorso 24 ottobre, ha di fatto reso inutile il contenuto del DM 282 dell’8 giugno 2023, stabilendo che il progetto dovrà essere riconsiderato.

In questo modo potrà essere rivalutato il piano originale di SEA, la società che gestisce l’aeroporto, piano che prevedeva di costruire l’area cargo sulla brughiera, proprio su quell’area che andrebbe protetta, a dimostrazione del fatto che la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi continua ad essere ignorata, nonostante sia tra i principi fondamentali della nostra Costituzione.

]]>
http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/11/cemento-sulla-brughiera-per-far-posto-al-progetto-masterplan-malpensa-2035/feed/ 1
Distruggere il ghiacciaio per le gare di sci autunnali? Un segnale sbagliato per Mountain Wilderness Switzerland. http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/10/distruggere-il-ghiacciaio-per-le-gare-di-sci-autunnali-un-segnale-sbagliato-per-mountain-wilderness-switzerland/ Mon, 23 Oct 2023 09:26:11 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16147 di Mountain Wilderness Switzerland.

Le immagini della stampa sui giganteschi lavori di costruzione nell’ambito delle gare di Coppa del mondo sul ghiacciaio del Theodul a Zermatt sono sconvolgenti. Secondo le misurazioni GPS effettuate dal quotidiano “20 minuti”, il tracciato della pista supera la zona riservata agli sciatori. Inoltre, attualmente non esiste un permesso di costruzione chiaro. 

Richiesta di chiarimenti

In considerazione del sospetto di lavoro illegale, il WWF, Pro Natura e Mountain Wilderness Switzerland, sostenuti da  “Avocat.es pour le Climat” , hanno presentato una richiesta urgente di sospensione alla commissione edilizia del Canton Vallese   . Lo scopo della richiesta è l’immediata sospensione dei lavori per verificare la legalità del progetto. Dopo che la Commissione cantonale edilizia (KBK) ha deciso di sospendere i lavori al di fuori del comprensorio sciistico, il comitato organizzatore del Matterhorn Cervino Speed ​​Opening ha affermato nel suo comunicato che i lavori di costruzione sulla parte svizzera del percorso erano stati completati e la decisione dell’autorità è quindi rimasto inefficace.

WWF, Pro Natura e Mountain Wilderness Switzerland hanno tuttavia potuto dimostrare alla KBK tramite immagini che molto probabilmente si stanno svolgendo importanti lavori di ampliamento anche al di fuori del comprensorio sciistico. Le associazioni chiedono pertanto – con  ulteriore istanza  – che sia vietato al comitato organizzatore della gara l’utilizzo in qualsiasi modo degli impianti realizzati all’esterno del comprensorio sciistico fino a quando non sarà definitivamente chiarita la situazione di fatto e di diritto in loco.

I ghiacciai sono già sottoposti a un’enorme pressione

Secondo le previsioni, entro il 2080 il ghiacciaio del Theodul si scioglierà almeno della metà. Per mitigare la catastrofe climatica sono essenziali misure coerenti di protezione del clima a tutti i livelli. In considerazione di ciò, la distruzione di un ghiacciaio è intollerabile e irrispettosa. Ma una minoranza mette ancora al primo posto i propri interessi economici a scapito del selvaggio mondo montano. 

La decisione della commissione edilizia cantonale di bloccare immediatamente tutti i possibili lavori illegali dimostra che non è chiaro se i lavori di costruzione sul ghiacciaio del Theodul siano legali o meno. Mountain Wilderness Switzerland approva l’immediata sospensione dei lavori. I prossimi passi verranno comunicati in base agli esiti delle indagini.

Nessuna questione di legalità

Legale o no. Mountain Wilderness Switzerland è del parere che grandi eventi che comportano interventi così massicci sulla natura e un enorme dispendio logistico non siano più appropriati. È necessario un ripensamento negli sport sulla neve professionali. Lo sport deve adattarsi alle nuove condizioni climatiche, ridurre significativamente il proprio fabbisogno energetico e ridurre a zero le emissioni di gas serra il più rapidamente possibile. 

Gli sport sulla neve professionali devono essere compatibili con la natura selvaggia!

]]>
Attacco al Lago Bianco: lettera aperta al direttore del Parco Nazionale dello Stelvio http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/attacco-al-lago-bianco-lettera-aperta-al-direttore-del-parco-nazionale-dello-stelvio/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/attacco-al-lago-bianco-lettera-aperta-al-direttore-del-parco-nazionale-dello-stelvio/#comments Sat, 30 Sep 2023 14:38:53 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16079 di Serena Mattia

C’è un posto, nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, dove sopravvive l’ultimo lembo di Tundra Artica, relitto dell’ultima glaciazione. In questo contesto, a 2.652 metri di quota, si trova un meraviglioso lago alpino alimentato da un ghiacciaio, il Lago Bianco.

Una zona ad alto valore naturalistico dunque, dove è possibile ammirare rare specie vegetali che contraddistinguono questi habitat, come il ranuncolo glaciale, gli eriofori e molte altre ancora.

Il lago, inoltre, non solo si trova in un parco nazionale ma ricade all’interno della Riserva Naturale Statale “Tresero – Dosso del Vallon”, fa parte di una ZPS (zona a protezione speciale) e di un’area Natura 2000. E forse vale la pena ricordare che lo scopo di Natura 2000 è salvaguardare gli habitat naturali e le specie di flora e fauna minacciati o rari a livello comunitario.

Ma, a quanto pare, nonostante i forti vincoli, la tutela della natura qui non è contemplata.

Come è ormai tristemente noto, sulle nostre montagne la neve scarseggia a causa del cambiamento climatico. Così, il Lago Bianco è stato scelto per captare le acque che andranno ad alimentare il sistema di innevamento artificiale degli impianti sciistici di Santa Caterina Valfurva. La conseguenza? Questo delicato ecosistema verrà inevitabilmente modificato.

I lavori di posa delle tubature sono iniziati e serviranno a prelevare l’acqua dal fondo del lago per alimentare i cannoni sparaneve. Il livello del lago potrà abbassarsi fino a 4 centimetri; nel caso in cui dovesse scendere oltre questo limite, l’acqua verrà pompata per ristabilirne il livello. Secondo il botanico alpino Innocenzo Bona, le acque che verranno ripompate nel lago porteranno una serie di squilibri, in quanto non saranno quelle ricche di limo del ghiacciaio ma di diversa provenienza.

In un periodo storico contraddistinto da una crisi ambientale senza precedenti, dove i ghiacciai si sciolgono, l’acqua scarseggia, la biodiversità e gli ecosistemi sono a rischio, la preoccupazione maggiore è quella di alimentare gli interessi di pochi a scapito di un bene di tutti.

Le condizioni ambientali sono cambiate e dovremmo cambiare e ripensare anche le nostre abitudini e il nostro modello di sviluppo economico. Non c’è neve? Non si scia.

Questo non è turismo sostenibile, non è sviluppo, non è gestione e protezione del territorio e dell’ambiente, non è quello che l’Europa chiede a gran voce con le politiche del Green Deal. Tutto questo si chiama sfruttamento scellerato delle risorse.

Contro il progetto cittadini si sono mobilitate circa 1.500 persone tra associazioni ambientaliste, comitati e singoli e su “La Provincia di Sondrio” è stata pubblicata una lettera aperta firmata da Roberta Di Monticelli e indirizzata al direttore del Parco Nazionale dello Stelvio. Ve la riportiamo qui integralmente.

Caro Direttore,

Sono una delle centinaia di cittadini/e che il 10 settembre scorso hanno partecipato alla Passeggiata Solidale al Lago Bianco del Gavia, e una del migliaio circa di iscritti alla pagina fb “Salviamo il Lago Bianco del Gavia”: questo prezioso lago glaciale nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, che sotto i nostri occhi stanno riducendo a un bacino di servizio per produrre neve artificiale – a spese dell’habitat naturale, della biodiversità e della bellezza per cui è sulla carta rigidamente protetto. Scrivo a lei, perché questa è la prima, sgomenta domanda: ma dov’è l’autorità del Parco?  Ma come è stato possibile? E’ la domanda che sale alle labbra di chiunque veda con i suoi occhi le ruspe che hanno già sfondato la torbiera, e i tubi per captare le acque, che saranno interrati per otto chilometri dal lago alle piste da sci.

Proprio qui: non solo nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio, ma in questa “Zona di Protezione Speciale”, nata nel 2007 a titolo di compensazione a seguito di una procedura di infrazione europea: di una condanna quindi, causata da altri lavori in violazione delle regole, per i Mondiali del 2005. Proprio qui, a 2600 metri, dove il paesaggio è mozzafiato, dove non si può spostare un sasso o raccogliere un fiore. Proprio qui in questi giorni la macchina “spingitubo” proseguirà la sua trista violenza, penetrando in profondità le acque di limo del sovrastante, già agonizzante resto dei ghiacciai che furono. Pietà l’è morta.

Questa riserva, oltretutto, è area di Rete Natura 2000: quella europea per il mantenimento a lungo termine degli habitat naturali e delle specie di flora e fauna minacciati o rari. E infatti questo lago presenta un esempio unico di tundra artica, con una vegetazione di 102 specie subglaciali, studiata in tutto il mondo. Che nelle stagioni giuste offre agli occhi l’incanto degli eriofori, quei fiorellini di piuma bianca che gli danno il nome. Ma cosa resterà di tutto questo una volta che il lago sia ridotto a un bacino di compensazione, munto o rifornito d’acque non sue a seconda degli interessi stagionali? Interessi privati oltretutto, perché si tratta dei gestori di impianti sciistici o delle autostrade dello sci – alimentati con le ultime, preziose risorse che sono di tutti – col sacrificio dei paesaggi più belli di tutto l’arco alpino. Ma perché?

Sì, lo chiedo a lei, Direttore. I comuni interessati di Valfurva e di Bormio, la Provincia, la Regione, lo Stato: tutte queste istituzioni hanno dato il loro consenso. A quali eccessi di calcolo elettorale, di cecità ignara di futuro, di speranza e di bellezza, a che buio di compromessi con la coscienza civile e con le norme di legge possano giungere i politici cui le istituzioni sono affidate, lo sappiamo purtroppo. Ma il Parco! Che dovrebbe essere un’Autorità indipendente dalla politica elettorale:  come è possibile che dia il suo consenso a questo potenziale crimine ambientale? Proprio l’Autorità istituita a protezione dei più preziosi beni paesaggistici e ambientali che ci restano, quella che proprio dalla prepotenza dell’interesse economico e dagli abusi della politica dovrebbe tutelarci, quella che risponde non a una provincia o a una regione, ma ai cittadini tutti, d’Italia e d’Europa – che risponde infine all’umanità stessa, perché le Alpi sono un patrimonio di questa! Come è possibile, Direttore?

Non è solo un migliaio di persone ad attendere una risposta. Sono tutti i cittadini italiani che l’attendono, in nome dell’Articolo 9 della Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura …Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni.”

]]>
http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/attacco-al-lago-bianco-lettera-aperta-al-direttore-del-parco-nazionale-dello-stelvio/feed/ 3
Coalizione Art 9. risponde alle associazioni rinnovabiliste sul consumo di suolo dovuto al fotovoltaico a terra http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/coalizione-art-9-risponde-alle-associazioni-rinnovabiliste-sul-consumo-di-suolo-dovuto-al-fotovoltaico-a-terra/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/coalizione-art-9-risponde-alle-associazioni-rinnovabiliste-sul-consumo-di-suolo-dovuto-al-fotovoltaico-a-terra/#comments Tue, 25 Jul 2023 11:09:19 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16041 di Coalizione Art.9

Le associazioni che si riconoscono nella Coalizione Art. 9 notano l’appiattimento, da un paio di decenni, di una parte dell’ambientalismo italiano sulla questione energetica, e in particolare sulle rinnovabili, senza mantenere la terzietà che invece va riconosciuta ad ISPRA. Infatti, 12 associazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente Italia, e WWF Italia, contestano l’annuale rapporto redatto dall’Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale perché annovera il fotovoltaico a terra tra le forme di consumo di suolo. Secondo queste associazioni, il FV, pur occupando il territorio, non consumerebbe suolo. Al contrario, lo preserverebbe, in diversi casi, “da usi ben peggiori” e non produrrebbe in questi “alcun impoverimento di nutrienti, humus, biodiversità”.

A parte l’assurdità di considerare ipotetici futuri usi peggiori un motivo per coprire il suolo con pannelli solari, esistono molti studi che dimostrano il contrario: solo per rimanere in Italia, uno studio dell’Università della Tuscia, pubblicato su Science Direct nel giugno del 2022 (cliccare qui per leggere l’articolo) ha paragonato le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un terreno coperto per 7 anni da pannelli fotovoltaici con uno limitrofo non coperto e i risultati attestano una variazione della fertilità del suolo con significativa riduzione della capacità di ritenzione idrica e della temperatura del suolo, oltre all’aumento della conducibilità elettrica (EC) e del pH. Sotto i pannelli, la materia organica del suolo è stata drasticamente ridotta, inducendo una parallela diminuzione dell’attività microbica (valutata come respirazione o attività enzimatica) e della capacità di sequestro della CO2. Ne consegue dunque una drastica riduzione dei servizi ecosistemici che le porzioni di suolo occupate per più anni dai pannelli fotovoltaici sono in grado di erogare. Una futura riconversione ad uso agricolo potrebbe richiedere molto tempo e risorse.

L’Agenzia Europea dell’Ambiente definisce consumo di suolo non solo l’estensione di aree edificate ma anche quella dei terreni soggetti a sfruttamento, soprattutto intensivo, da parte dell’agricoltura, della silvicoltura o di altre attività economiche. Una definizione che rimanda al concetto di “suolo naturale” che la copertura fotovoltaica compromette per decenni (si veda EEA Glossary)  Come si può pretendere che ISPRA venga meno alla definizione di consumo del suolo formulata ufficialmente dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, che è la “casa madre” delle agenzie di protezione ambientale dei paesi membri dell’Unione Europea?

Le 12 associazioni contestano anche che si possa fare a meno del fotovoltaico a terra per soddisfare il fabbisogno da energia rinnovabile, pur riconoscendo che le stime di ISPRA possano essere realistiche (cioè, la possibilità di raggiungere dai 70 ai 92 GW di nuova potenza fotovoltaica utilizzando le coperture esistenti). Anche in questo caso ci sono molte evidenze che le stime di ISPRA siano corrette: un recente studio eseguito dalla tech-company Cerved avrebbe individuato 110.000 tetti di stabilimenti industriali (censiti con indirizzo e ragione sociale) su cui si potrebbero installare pannelli fotovoltaici di grande taglia, che potrebbero produrre 30 GW di potenza, ovvero più della metà del target fissato al 2030 dal piano Fit For 55 (qui l’articolo sullo studio Cerved).

Nel ribadire la piena fiducia nella competenza e terzietà di ISPRA, Coalizione Art 9. richiama quanto già sollecitato da Coldiretti: che i titolari degli impianti realizzati sul suolo delle aziende agricole siano gli imprenditori agricoli stessi e non le aziende energetiche.

Coalizione Art. 9 è in favore dei pannelli fotovoltaici sui tetti dei capannoni e delle abitazioni non gravate da vincoli di tutela e lungo le infrastrutture di comunicazione perché non compromettono l’ambiente, il paesaggio, la biodiversità e la sicurezza alimentare.

Coalizione Art. 9

Altura

Amici della Terra

Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli

AssoTuscania

Centro Parchi Internazionale

Comitato Nazionale del Paesaggio

Comitato per la Tutela dei Crinali Mugellani (CTCM)

Emergenza Cultura

ENPA

Gruppo Ambiente e Territorio Mongrassano

Gruppo d’Intervento Giuridico GRIG

Italia Nostra

L’Altritalia Ambiente AIA
Liberi Crinali

Memoria e Futuro

Mountain Wilderness

Movimento Azzurro

Pro Natura

Respiro Verde Legalberi

Salviamo il Paesaggio Roma e Lazio

Salviamo l’orso OdV

Wilderness Italia

]]>
http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/coalizione-art-9-risponde-alle-associazioni-rinnovabiliste-sul-consumo-di-suolo-dovuto-al-fotovoltaico-a-terra/feed/ 3
Messaggio e Invito a tutte e tutti gli aderenti al Forum Salviamo il Paesaggio http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/01/messaggio-e-invito-a-tutte-e-tutti-gli-aderenti-al-forum-salviamo-il-paesaggio/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/01/messaggio-e-invito-a-tutte-e-tutti-gli-aderenti-al-forum-salviamo-il-paesaggio/#comments Thu, 19 Jan 2023 09:57:27 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15770 Lo scorso venerdì 13 gennaio un ristretto gruppo del nostro Forum ha avviato una opportuna riflessione sulla possibile ristrutturazione organizzativa del Forum stesso.

L’incontro ha permesso un primo franco confronto: qui trovate un breve resoconto delle considerazioni emerse.

Partendo da questa sintesi, i partecipanti all’incontro hanno deciso di rendere pubblica la nota, di informare tutti i membri del Forum e di ritrovarsi via web con chiunque voglia confrontarsi su queste proposte il prossimo mercoledì 25 gennaio (ore 19-21).

Chi desidera partecipare è invitato a manifestarsi inviando una mail a: seminario.forumsip@gmail.com per ricevere le indicazioni per il collegamento alla piattaforma web.

]]>
http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/01/messaggio-e-invito-a-tutte-e-tutti-gli-aderenti-al-forum-salviamo-il-paesaggio/feed/ 1
Protezione e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/01/protezione-e-valorizzazione-dellarchitettura-e-del-paesaggio-rurale/ Mon, 09 Jan 2023 11:22:15 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=15743 di Giacinto Giglio, Forum Salviamo il Paesaggio e Consigliere Nazionale di Italia Nostra.

Nel PNRR è stato inserito un finanziamento (Missione 1 – Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura, Componente 3 – Cultura 4.0 (M1C3), Misura 2 “Rigenerazione di piccoli siti culturali, patrimonio culturale, religioso e rurale”, Investimento 2.2: “Protezione e valorizzazione dell’architettura e del paesaggio rurale” del PNRR) per il recupero d’insediamenti agricoli, fabbricati, manufatti e fabbricati rurali storici, colture agricole d’interesse storico ed elementi tipici dell’architettura e del paesaggio rurale. I 600 Mln euro sono destinati in gran parte per il recupero di manufatti rurali (590 Mln euro) e 10 Mln euro per il censimento dei beni del patrimonio rurale e l’implementazione de sistemi informatici esistenti.

Il riparto finanziario per le regioni

Il Dm n.107/2022 il Ministero della Cultura ha ripartito i fondi alle regioni assegnando il 48% delle risorse alle regioni meridionali e il restante 52% al resto delle regioni d’Italia; cosi ripartito il numero minimo di interventi:

Le finalità e l’ambito dell’intervento finanziario

In realtà i fondi attivabili per gli interventi saranno maggiori di quelli assegnati alle singole regioni perché i soggetti attuatori (privati, pubblico e terzo settore) dovranno cofinanziare per il 20% gli interventi e inoltre è previsto un numero minimo d’interventi finanziabile di 3.933, ma solo se sarà concesso un massimo di 150.000 € a ogni intervento. Gli interventi di risanamento conservativo e recupero funzionale hanno anche l’obiettivo di migliorare l’accessibilità per i disabili (fisici e sensoriali), migliorare la sostenibilità ambientale (energetica e climatica) e la fruizione culturale e turistica. Le Regioni da parte loro hanno fatto gli avvisi regionali, cureranno l’istruttoria delle domande e l’erogazione dei finanziamenti.

Tipologie del patrimonio culturale rurale oggetto dell’intervento

La tipologia di edifici rurali recuperabili potevano essere originariamente destinati a scopi: abitativi (casa, masserie …..), produttivi (case coloniche, stalle, mulini, frantoi ecc.), religiosi (chiese rurali,edicole votive,ecc..) didattici (scuole rurali, masserie didattiche ecc.), in strutture agricole che hanno subito un progressivo abbandono, degrado e alterazione e ne hanno compromesso le caratteristiche tipologiche e il rapporto con gli spazi circostanti. Ma anche allestimento di spazi da destinare a piccoli servizi sociali, ambientali, turistici (escluso l’uso ricettivo), ma anche l’educazione ambientale per lo sviluppo multifunzionale delle aziende agricole.
I riferimenti normativi di questo tipo d’interventi sono quelli nazionali L.378/2005 (Tutela e valorizzazione dell’architettura rurale), DM 6 ottobre 2005 MIBACT di attuazione della L 378/2005, ma anche la normativa di tutela delle singole regioni (Puglia: Linee guida riuso beni rurali PPTR 4.4.6., Linee guida architettura in pietra a secco PPTR 4.4.4. e LR 17/2013 Disposizioni in materia dei beni culturali).
I beni rurali finanziati hanno l’obbligo di mantenere il vincolo di destinazione per il tempo necessario alla realizzazione d’intervento (31 dicembre 2025) e ulteriori 5 anni. Naturalmente i beni rurali devono avere una dichiarazione d’interesse culturale ai sensi del Dlgs 42/2004 o comunque più di 70 anni e siano censiti negli strumenti urbanisti regionali e comunali. La Commissione regionale che valuterà i progetti deve tener conto anche se il bene:
• Ricade in zona a elevato pregio paesistico ai sensi Dlgs 42/2004 o inserito in un sito UNESCO, FAO GIAHS, PPTR, nel registro nazionale dei paesaggi rurali storici o in aree naturali protette;
• rientra in un “progetto d’ambito” che aggrega più di 3 domande di candidature;
• è localizzato in aree interessate da progetti di valorizzazione nazionale del PNRR: Piano nazionale borghi, percorsi della storia itinerari rustico culturali e cammini religiosi;
• il progetto promuove la legalità e per il contrasto al degrado sociale;
• se i progetti promuovono la crescita di attività di aree interne;
• all’importanza storica, urgenza dell’intervento in rapporto allo stato di conservazione e alle condizioni di sicurezza;
Altri fattori importante per la valutazione dei progetti sono: la qualità e innovativi dell’intervento di recupero, la sostenibilità ambientale (LR 13/2008), migliorare accessibilità e fruizione culturale – turistica.

Gli esiti del finanziamento non sono conosciuti perché il termine di scadenza nazionale delle domande che era fissato 31 maggio 2022, è stato prorogato al 15 giugno, poi al 29 luglio e per alcune regioni (Lazio, Liguria, Marche, Piemonte ecc.) ulteriormente prorogato al 30 settembre 2022. Forse perché alcune regioni non hanno raggiunto il numero minimo d’interventi finanziabili. Infine, ritornando alla dotazione dei fondi PNRR, non è chiaro se i 10 Mln euro per il censimento dei beni del patrimonio rurale e l’implementazione dei sistemi informatici esistenti saranno gesti dal Ministero cultura o dalle Regioni, nel qual caso Italia Nostra potrebbe collaborare al censimento a livello locale.

Piani di Sviluppo Rurale per restauro del patrimonio rurale

In agosto sono stati emanati i bandi delle regioni nell’ambito dei Piani di Sviluppo Rurale (PSR) per il sostegno per studi/investimenti concernenti il restauro e la riqualificazione dei villaggi e del patrimonio rurale per totale 15 Mln di euro. I riferimenti di legge per la definizione di paesaggio rurale sono quelli dell’art.136 del Dlgs 43/2004 e per la Puglia il piano paesistico (PPTR). Il tipo d’intervento può prevedere: la manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, anche la ristrutturazione edilizia di: trulli, lamie, casedde, pagliare, realizzate entro la metà del secolo scorso. Tutti gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia, ma nel rispetto delle: “Linee guida per il recupero, la manutenzione e il riuso dell’edilizia e dei beni culturali” (4.4.6) e Linee guida per la tutela, il restauro e gli interventi architettura in pietra a secco vedi PPTR 4.4.4. Naturalmente gli interventi (lotto funzionale o d’investimento) possono interessare l’involucro edilizio (coperture, murature e strutture orizzontali inferitori), ma anche gli impianti tecnologici, gli infissi (interni/esterni) e per motivi igienico-sanitari e/o tecnologico/funzionali sono ammessi anche modesti ampliamenti nel limite massimo del 20% della volumetria esistente. Ma anche interventi di restauro e rinnovamento sulle pertinenze esterne come: basolati in pietra, restauro pergole ecc.

L’investimento non può essere inferiore a 20.000 € e superiore 60.000 € per un finanziamento massimo del 50% della spesa ammissibile. Vige l’obbligo per il proprietario di non utilizzare l’immobile a fini commerciali nei successivi 5 anni dall’erogazione del finanziamento.
Naturalmente trattandosi di PSR gli interventi ricadenti in aree tipizzare come zona agricola dagli strumenti urbanistici vigenti, ma anche beni che ricadono in aree protette o Paesaggi rurali del PPTR e che non alterano le caratteristiche architettoniche originarie e la volumetria esistente. I proprietari devono presentare la Domanda di Sostegno (DdS) che serve a costruire o aggiornare del fascicolo aziendale è fatta presso i Centri di Assistenza Agricola (CAA) sulla piattaforma SIAN. Le DdS possono essere presentate a iniziare dal trentesimo giorno dalla pubblicazione BURP (5 settembre 2022) fino al novantesimo giorno successivo all’avviso BURP.

Visti due i tipi di finanziamento d’interventi di tutela dell’architettura rurale del PNRR e del PSR sarà cura dei Comitati Regionali di Italia Nostra di verificare il rispetto delle norme di tutela nelle varie regioni ed inoltre dare la disponibilità alle regioni per il censimento dei beni del patrimonio rurali previsti sempre dal PNRR.

]]>