langhe – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Mon, 07 Sep 2020 09:47:26 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.5 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg langhe – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Piemonte: riparte l’ “accanimento terapeutico” contro i treni locali http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/09/piemonte-riparte-l-accanimento-terapeutico-contro-i-treni-locali/ Mon, 07 Sep 2020 09:47:20 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=14016

di Alessandro Mortarino.

Venerdì 14 agosto non tutti gli italiani erano accalcati su strade e autostrade della penisola o a sgambettare al Billionaire o a prepare gli ingredienti di ricche grigliate per celebrare il giorno di San Ferragosto, patrono dell’ozio e del divertimento. No, diversi di loro erano al lavoro e tra questi i tre membri della Giunta comunale di Nizza Monferrato che, indefessi, si dedicavano a un compito di evidente massima urgenza quale discutere e deliberare l’approvazione di un Protocollo d’Intesa per “disciplinare le modalità di progettazione e realizzazione di una pista ciclabile su sedime ferroviario in disuso che comprenda il tratto tra Alba (CN) e Nizza Monferrato (AT) per un totale di km 37″. In parole povere un addio definitivo alla riapertura del servizio ferroviario…

Nel nostro titolo, con un po’ di cinica ironia, parliamo di “accanimento terapeutico” nei confronti delle linee ferroviarie Alba-Asti e Alba-Nizza Monferrato perchè è dal 2012 che si ripete, con periodica insistenza, il tentativo di considerare il trasporto ferroviario locale come un “accessorio” poco utile anziché una risorsa primaria.

Nel 2012 le due linee furono infatti definitivamente sospese dopo che nella primavera del 2010, a causa di un movimento franoso all’interno della Galleria Ghersi (tra Alba e Barbaresco), il traffico su rotaia fosse già stato limitato alla stazione di Castagnole Lanze. Vi fu un’immediata reazione dei cittadini e dei Sindaci di allora, che diedero vita a molteplici azioni per sollecitare la Regione al ripristino del servizio ferroviario, tra cui una corposa raccolta firme e una partecipata manifestazione davanti al palazzo della Regione a Torino. La Regione (allora a maggioranza centro-destra) non cambiò però la propria idea e ribadì la sua non volontà alla riattivazione delle linee.

A fine 2014 la nuova amministrazione regionale (a guida centro-sinistra) lanciò – addirittura – per la prima volta l’idea di ricoprire i binari con una pista sintetica in pannelli di gomma triturata e riciclata e trasformare il sedime in una innaturale pista ciclabile. Anche in questo caso la reazione di cittadini e Sindaci fu immediata e unanime e la Regione fece dietrofront, rimettendo nel cassetto (ma non nel cestino dei rifiuti…) il bizzarro progetto.

Dai territori la richiesta di riattivazione delle linee si fece più pressante e nel 2017 RFI-Rete Ferroviaria Italiana preparò uno studio tecnico per valutare le possibilità per la messa in sicurezza della galleria Ghersi e il ripristino delle intere linee, con costi stimati in circa 60 milioni di euro per un ammodernamento completo oppure circa 25 milioni per la “semplice” riattivazione senza elettrificazione.

Il 25 ottobre dello stesso anno, a Neive, la Giunta Regionale siglò un Protocollo d’Intesa per la riattivazione delle linee ferroviarie Alba – Castagnole delle Lanze – Asti e Castagnole delle Lanze – Cantalupo attraverso il formale impegno che vedeva compartecipi con la Regione Piemonte i Comuni delle due tratte, l’Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e R.F.I..

Tutto bene. Sulla carta.
Ma poi la politica non ha completato l’opera. La Regione, che si era impegnata a sottoporre il progetto e a richiedere al Ministero il relativo finanziamento, pare non lo abbia poi fatto e a poco più di un anno dal “cambio della guardia” in Regione, ecco che la nuova amministrazione di centro-destra rilancia la proposta di mettere la definitiva pietra tombale al passaggio dei treni per sostituirli con una (lo ribadiamo) innaturale pista ciclabile.

Ci risiamo.

Ma questa volta la Regione sta correndo e pare molto determinata, tanto che dopo Nizza anche la Giunta comunale di Calamandrana ha deliberato l’adesione al Protocollo d’Intesa (25 agosto) e tutti gli altri Comuni paiono intenzionati a seguirne le orme. Si mormora che la decisione sia stata presa attorno ad un elegante tavolo del Relais San Maurizio di Santo Stefano Belbo, ex monastero ora albergo a 5 stelle, in una riunione organizzata dall’assessore regionale Gabusi (ex Sindaco di Canelli) – molto probabilmente in concerto con il Vice Presidente della Regione Carosso (ex Sindaco di Coazzolo), dall’altro assessore Icardi (ex Sindaco di Santo Stefano Belbo) e dal Presidente Cirio (ex assessore di Alba e della Regione stessa)- con tutti i Sindaci dell’area. In questa riunione lontana dalle stanze istituzionali gli esponenti regionali hanno riccamente elencato il ritorno economico-turistico generato dalle ciclabili di mezza Europa. Non sappiamo se a tutti è parso chiaro che la ciclabile ipotizzata (Alba-Nizza Monferrato) non scorrerebbe lungo un Danubio o una Senna locale, ma sopra una lunga serie di pannelli di gomma: un cicloturismo artificiale proposto a chi ricerca la Natura, dunque... Potremmo discuterne!

E, ovviamente, non è dato sapere quali informazioni siano state dispensate ai Sindaci presenti e quanto sufficientemente corrette; basterebbe leggere la delibera già approvata dai Comuni di Nizza e Calamandrana per rendersi conto che la linea in questione viene raccontata come una ferrovia in disuso: il che non corrisponde a verità, in quanto ben sappiamo che è una tratta semplicemente sospesa al traffico commerciale!

In un’intervista rilasciata a La Stampa, il Vice Presidente della Regione, Fabio Carosso, aggiunge altri elementi su cui occorrerebbero opportune riflessioni sia degli amministratori pubblici e sia dell’intera cittadinanza. Dice infatti Carosso che «se prendessimo 100 ragazzi di 20 anni e chiedessimo loro se vogliono una ciclabile o una linea ferroviaria, avremmo 99 favorevoli alla ciclabile e forse un nostalgico del treno».
E aggiunge: «si è chiesto ai Sindaci di sondare l’opinione dei cittadini e poi di deliberare in giunta il protocollo d’intesa. Se i cittadini la vorranno ci arriveremo. Se non la vogliono cercheremo un’altra via per realizzarla».

Non ci risulta che Nizza Monferrato abbia chiesto ai suoi residenti di esprimere un parere. Eppure la Giunta della vigilia di ferragosto ha già deliberato: c’è stato forse un errore procedurale?

E se chiedessimo non a 100 ventenni (che, molto probabilmente, si saranno già parzialmente trasferiti in qualche città fuori zona per seguire i percorsi universitari e, quindi, saranno magari meno interessati alle vere problematiche del territorio…) ma a lavoratori pendolari, ai minorenni e alle fasce di over sessantacinquenni (le statistiche ci ricordano che nel 2050 in Italia una persona su tre avrà più di 65 anni), otterremmo la stessa risposta ipotizzata da Carosso ma mai verificata in concreto e, dunque, da considerarsi labile e poco affidabile?

Intanto Associazioni e cittadini iniziano a reagire e un documento è già stato recapitato a tutte le amministrazioni comunali. Si indicano alcune informazioni primarie, si invita a non firmare “cambiali in bianco” e a coinvolgere tutte e tutti in una decisione irreversibile che toglierebbe risorse civiche in cambio di ben poco. Qui sotto trovate il testo della missiva:

OGGETTO: progetto pista ciclabile su sedime ferroviario tra Nizza Monferrato e Alba.

Preg.mo Sindaco, Gentili Assessori e Consiglieri,

siamo il Coordinamento per la Mobilità Integrata e Sostenibile e raggruppiamo alcune associazioni di pendolari, di comitati a difesa del trasporto pubblico locale e singoli cittadini.

Premesso che

siamo venuti a conoscenza di un progetto di pista ciclabile da realizzarsi coprendo il sedime della tratta ferroviaria Alessandria – Cavallermaggiore, nel tratto tra Nizza Monferrato e Alba;

al contrario di quanto si scrive nella delibera del Comune di Nizza Monferrato, che approva e promuove tale progetto, la linea in questione non è un’ex ferrovia in disuso bensì una tratta sospesa al traffico commerciale;

i costi della riattivazione delle due tratte interessate, Alessandria – Cavallermaggiore e Asti – Castagnole della Lanze,  potrebbero essere di diversa entità rispetto a quella pubblicata fino ad ora, soprattutto alla luce delle importanti risorse che saranno messe a disposizione per la ripresa post-Covid oltre a quelle annualmente stanziate dal Ministero competente e, fatto ancor più importante, nessun onere sarebbe a carico dei Comuni, al contrario della pista ciclabile, in quanto le opere di ammodernamento e ripristino sono di competenza di Rete Ferroviaria Italiana;

il tratto tra Neive e Nizza Monferrato unitamente a quello tra Asti e Castagnole delle Lanze sono stati inseriti nel programma dei treni storici della Fondazione Fs con notevoli investimenti da parte di Rete Ferroviaria Italiana per l’adeguamento alla circolazione di detti convogli, interventi che andrebbero anche a beneficio della riattivazione al traffico commerciale ed i cui costi andrebbero scomputati da quelli preventivati per tale progetto;

il 20 ottobre 2017 venne emanata una delibera della Giunta Regionale, n. 49-5811 avente titolo “Approvazione dello schema di Protocollo d’intesa per la riattivazione delle linee ferroviarie Alba – Castagnole delle Lanze – Asti e Castagnole delle Lanze – Cantalupo” a sua volta sottoscritta dal Comune di Asti – DGC 484 del 27/09/2016 – Comune di Isola d’Asti – DCC 42 del 27/09/2017; Comune di Carentino – DGC 22 del 28/06/2017; Comune di Bruno – DCC 1 del 30/03/2017; Comune di Castelnuovo Belbo – DGC 14 del 10/04/2017; Comune di Incisa Spadaccino – DGC 26 del 13/04/2017; Comune di Nizza Monferrato – DGC 59 del 08/05/2017; Comune di Calamandrana – DGC 27 del 13/04/2017; Comune di Santo Stefano Belbo – DGC del 05/04/2017; Comune di Castiglione Tinella – DGC 18 del 03/04/2017; Comune di Costigliole d’Asti – DCC 14 del 23/03/2017; Comune di Castagnole delle Lanze – DGC 25 del 21/03/2017; Comune di Neive – DGC 21 del 27/02/2017; Comune di Alba – DGC n. 71 del 09/03/2017;

è già in fase di avanzata progettazione una pista ciclabile parallela alla ferrovia;

la riattivazione della tratta comporterebbe una dovuta restituzione ai cittadini di un servizio necessario per una mobilità sicura e sostenibile ed un’opportunità per i numerosi turisti che scelgono il trasporto pubblico per gli spostamenti, anche in ragione di una nuova coscienza ecologica;

un servizio ferroviario puntuale ed efficiente, integrato con i bus, costituirebbe attrattiva per chi volesse tornare a stabilirsi nei centri della provincia, pur lavorando nelle città, con conseguente ripopolamento dei nostri piccoli e medi centri abitati;

tutto ciò premesso

siamo a chiedervi di sospendere ogni decisione in merito al progetto di cui all’oggetto e di pensare ad un disegno di più ampio respiro che possa soddisfare le esigenze di tutti, pendolari e turisti, in nome di una rinascita dei comuni della provincia e di una vera opportunità di sviluppo commerciale per le aziende e gli operatori delle nostre zone.

Evidenziamo inoltre che aderire oggi al protocollo della ciclabile, sarebbe in contrasto con tutto quello che i comuni interessati, come evidenziato sopra, hanno chiesto e parzialmente ottenuto nel 2018 per la riattivazione delle tratte ferroviarie del sud astigiano.
Infine ci rendiamo disponibili per un lavoro coordinato e condiviso per un progetto a medio/lungo termine che coniughi le esigenze di tutti e che sia inclusivo di tutti i mezzi di trasporto, treno, bus, bicicletta, monopattino, ecc.

Certi che Lei Sindaco e l’amministrazione prendiate in considerazione la nostra richiesta, la ringrazio anticipatamente per la preziosa attenzione e per il tempo che dedicherà a questa istanza.

Segue elenco adesioni al presente documento di associazioni e privati.

Giacomo Massimelli – Comitato Strade Ferrate Nizza Monferrato
Claudio Menegon – Comitato Gruppo Pendolari Cuneo-Torino
Paolo Forno – Associazione Pendolari e Trasporti Biellesi
Fulvio Bellora – Unione Ferrovie Piemontesi
Alberto Collida’ – Comitato Ferrovie Locali
Piero Canobbio – Amici della Bra Ceva e Diramazione Mondovì
Stefano Sibilla – Comitato Treno Alpi Liguri
Claudio Bongiovanni – Forum Mobilità Cuneo
Alessandro Mortarino – Forum Salviamo il Paesaggio
Uberto De Paolis
Mario Didier
Angelo Marinoni
Alberto Parone
Gabriele Balestrino
Pedro Augusto Bozzone
Federico Santagati
Ylenia Russello
Erik Eterno
Federica Ricci
Fabio Lavacca
Andrea Isabello
Sergio Argenta
Manuel Lucchini
Luca Grieco
Fabiana Catalano
Chiara Cattelani
Filomena De Pietro
Marco Santini
Silvia D’Amore
Alberto Molinari
Marco Spinolo
Caterina Plazza
Sergio Siri
Renato Ricci
Fabrizio Viarengo
Domenico Celentano
Anna Guarino
Franco Cortese

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Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2019/03/lontano-da-farinetti-storie-di-langhe-e-dintorni/ Fri, 01 Mar 2019 20:55:03 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=12730

C’è un filo rosso che accompagna e che unisce tutti i libri di Fabio Balocco: quello della volontà di dare voce a chi voce non ha: le piante, gli animali, i poveri, il paesaggio. Soggetti che inviano messaggi ma senza utilizzare le parole e che Balocco – che non si definisce scrittore, ma divulgatore – trasforma, semplicemente, come farebbe una cassa di amplificazione.

In “Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni” (editore Il Babi) Balocco ha deciso di dare la voce a quella che potremmo chiamare «l’altra Langa» (“Langa” come vezzeggiativo per sintetizzare l’intero territorio delle “Langhe”).

Ma cos’è «l’altra Langa»? Facile e al contempo difficile spiegarlo, perchè qui la questione non è di bianco e nero, di sale e zucchero, di pro e contro: diciamo che non è la Langa dei possedimenti di Oscar Farinetti (Borgogno e Fontanafredda), cioè la Langa esportata in tutto il mondo con le sue colline perfettamente pettinate, ma la Langa minore. Minore perchè meno in vetrina e meno ricca. Ma certamente più autentica e popolata di persone che hanno saputo ricercare l’essenza della vita andando a scovare radici formate attorno alla sobrietà, alla solidarietà, al rispetto dei ritmi della natura e in armonia con il territorio, con il paesaggio e con i propri simili.

Sedici testimonianze raccolte nell’arco di due anni; in Langa, ma anche in prossimità della Langa (da qui il sottotitolo). Storie, dunque. Storie di vita vissuta e di vita da percorrere e sfogliare, giorno dopo giorno. Le storie dei giovani Bruno e Lucia (con l’amico fraterno Gianluca) che decidono di ristrutturare una cascina a Ceva e di farla diventare luogo di riunione di altra gioventù, alternando la lavorazione artigiana del legno con l’attività circense e l’agricoltura famigliare; di Alessandro Mortarino, che sceglie di svestire i panni di navigato editore di periodici per iniziare ad usare le mani e godere del contatto con la terra o la calce, offrendo la sua esperienza da giornalista/comunicatore alle attività di Movimenti e Associazioni come il Forum nazionale Salviamo il Paesaggio; di Paolo Montrucchio, ingegnere di talento creativo che sta ora sperimentando l’ipotesi di una vita da agricoltore – moderno ma rispettoso – nella sua Cascina del Risveglio; di Gianna e Fiorenzo, che hanno abbandonato le colline attorno a Barbaresco per realizzare il sogno di abitare una cascina realizzata con le loro mani nell’Alta Langa, a contatto con la natura; dei coniugi Ricchiardi, che hanno speso la loro vita alla ricerca dell’essenzialità e l’hanno concretizzata a Murazzano in una piccola casa di pietra nel mezzo di un bosco solitario; di Mauro Musso, che da dipendente di un supermercato si è trasformato in uno dei migliori pastai di Langa, inseguendo la piena salubrità per l’alimentazione umana attraverso il sapiente utilizzo di ingredienti primari coltivati con passione; di Giovanni Scaglione, piccolo viticoltore biologico di qualità a Loazzolo in terreni addirittura diventati Oasi del WWF e curati con cavalli anzichè trattori, in cui trionfa la biodiversità; di Leonardo Marengo, il giovane che ha scelto di vivere in una grande cascina sulle sponde del Belbo, fra piante ed animali, praticando il silenzio e la spiritualità per riconnettere la giusta armonia tra l’infinitamente grande dell’universo e l’infinitamente piccolo delle cellule che compongono il tessuto di un filo d’erba; di Serafina Terreno, che ha inconsapevolmente riportato la coltivazione dello zafferano a Murazzano, rivitalizzando una tradizione ormai perduta; di Gino Scarsi, pacifista, fabbro, cofondatore del Movimento Stop al consumo di territorio che, con un gruppo di amici, ha collettivamente acquistato oltre 200mila metri quadrati di boschi nelle Rocche del Roero per trasformarli in un’Oasi fruibile da tutti; di Alberto Ricca, apicoltore, agricoltore, accompagnatore turistico a piedi o in bicicletta, gran conoscitore della Langa che non sa ancora cosa «farà da grande»; di Vittorio Delpiano, detto Toio, sacerdote (ma non usate con lui questa espressione…), gran conoscitore di legni del territorio ed esperto costruttore di muretti a secco; di Ferruccio Fresia, che pianta gli alberi vicino alla cascina che recuperò decine di anni addietro sognando nuovi immensi boschi di faggio; di Beppe Marasso, storico protagonista delle battaglie del movimento pacifista, che vive a Neive fra vigne, noccioli e orti che ogni giorno ospitano la collaborazione curiosa di giovani e non più giovani amici desiderosi di comprendere il segreto dell’ «ora et labora»; di Bruno Carbone, più noto come «il Brav’om», forse l’ultimo cantastorie di Langa.

Sedici voci che testimoniano che una vita diversa è possibile, a contatto con la natura e in armonia con i propri simili. A patto che le scelte di vita non siano dettate dal tintinnare della moneta…

La prefazione di Marco Revelli

Ne ha fatta, di strada, Fabio Balocco, nella sua lunga ricerca delle “belle persone” di Langa. L’ha girata in lungo e in largo quella terra impregnata di lavoro, fatica, ricordi e letteratura, dal basso all’alto, dal livello del Tanaro su su fino alla displuviale da cui con lo sguardo si può già sfiorare il mare, lungo strade e per luoghi che appartengono un po’ alla mia infanzia perché erano quelli visitati, mezzo secolo fa, da mio padre quando raccoglieva le testimonianze del Mondo dei vinti e poi dell’Anello forte: la mitica Pedaggera, nel tratto che collega Bossolasco con Murazzano, o Neive dove la collina sale verso il cucuzzolo del Mattarello, o le rive del Belbo e ancora Borgomale lungo la provinciale Alba-Cortemilia (dove alla metà degli anni ’70 erano arrivate le “calabrotte”) e Cissone, arrampicato sulle cime… Luoghi in cui sembrava – soprattutto nelle terre alte, nell’Alta Langa – che la vita si stesse ritirando per sempre e che l’antica civiltà contadina si piegasse, vinta, e dove invece la storia non ha esaurito il suo giro, perché di “belle persone” Balocco ne ha trovate.

Non tantissime, non l’immensa schiera che sarebbe necessaria per rimpiazzare il grande esercito che l’industrializzazione selvaggia dei tardi anni cinquanta e degli anni sessanta aveva strappato alla campagna e alla collina per trasferirli in fabbrica, ma un numero sufficiente per farci pensare che il deserto non è cresciuto così tanto da instaurare un totale silenzio del senso. Voci che meritano di essere sentite e vite che meritano di essere vissute sopravvivono ancora, anzi ritornano, in un paesaggio fisico e sociale certo trasformato, occupato – nella Bassa Langa – da un’economia ricca e invadente, quella dell’agricoltura industrializzata e “pesante” che ha preso il posto della tradizionale piccola proprietà contadina, e in parte desertificata – nell’Alta Langa – dove le ampie macchie dello spopolamento mostrano tutti i segni dell’abbandono, ma dove, nell’uno e nell’altro emisfero di questo microcosmo densissimo, brillano tuttavia cristalli di esperienza diversa. Storie che devono essere raccontate, perché parlano di un modo diverso di vivere il presente e di immaginare il futuro.

Chi sono questi anomali narratori, che emergono come voci distinte di un coro agreste, dalle pagine di questo libro? Sono, potremmo dire, “figure del limite” – come “terre del limite” erano state queste fino ai tempi della Malora o della Luna e i falò -: donne e uomini che sanno vedere proprio perché guardano da una prospettiva “altra” rispetto a quella prevalente. Persone che hanno, ognuna, una storia propria, una scelta alle spalle, un progetto davanti, che non si annega nel senso comune e nell’affidarsi alla corrente che scorre, al mainstream potremmo dire. Gente che cerca, oltre la linea d’ombra del guadagno facile che devasta l’habitat, della monocultura che spegne i saperi e la qualità, del cemento che cresce nelle vigne con il grigio tra i filari che ha sostituito il color bruno del legno dei pali di sostegno… Gente che con tutto ciò ha preso le distanze, con la stessa testarda determinazione dei vecchi di questi paesi quando ripiantavano la vigna dopo una grandinata disastrosa.

Quasi tutti si sono ricostruiti la casa con le proprie mani, come avevano a loro volta fatto generazioni e generazioni di contadini; qualcuno arriva da lontano, ha nella propria biografia familiare la migrazione e l’esperienza operaia; altri vengono da vicino, ma hanno alle spalle un lungo percorso esistenziale di allontanamento dai “canoni comuni” della propria vita precedente; altri ancora hanno esperienze d’impegno culturale e di militanza politica “alternative”, o nel sangue quel “nomadismo” che è il tratto comune a eretici e ribelli (di cui nel passato queste terre furono rifugio)… Tutti vedono comunque chiaro il “modello negativo” da cui vogliono scansarsi, che abbiano trovato la propria vocazione dell’attività casearia o nell’amore degli animali, in una vinificazione di qualità agli antipodi rispetto a quella del barrique e della disseminazione selvaggia dei vigneti fino a mangiare gli ultimi centimetri ai bordi delle strade, o nell’insegnamento dell’arte circense e di strada. Tutti sanno di aver scelto di camminare controcorrente (“Dicevano che eravamo pazzi perché allora scappavano tutti dalla campagna. La terra la disprezzavano”, dicono). Nessuno nasconde la propria “anomalia” o sottovaluta le difficoltà di una tale condizione (“se vogliamo qui la lotta è anche più dura, perché in fondo noi siamo quelli strani, quelli diversi”). Ma le loro vite, dal racconto che ne fanno, emanano un senso di serenità impossibile da trovare tra le maggioranze “normali”, come di chi ha finalmente trovato il proprio posto, varcando un confine invisibile per uscire dall’universo dell’insensato ed entrare nel territorio del “senso”.

Un senso – un principio di “ragione naturale” – impossibile da trovare nel paesaggio umano sconvolto delle aree urbane e metropolitane, dove la vita si è fatta appunto vuota, essiccata e nevrotica, dominata da insoddisfazione e spesso rancore, prosciugata da una velocità senza direzione, in cui accelerare è la condizione per non arretrare. Quelle stesse aree cosiddette “forti” che pretenderebbero di imporre le proprie regole e il proprio stile anche in questo spazio dell’altrove, pervertendone gli equilibri, avvelenandone l’habitat, sconvolgendone i ritmi, cancellando le tracce di quelle radici lunghe che hanno fatto della Langa ciò che è stata fino ad ora e che, proprio nel momento in cui viene riconosciuta “patrimonio dell’umanità”, rischia di perdersi, sotto i colpi di una logica industrialista che non si limita più ad attirarne lontano le braccia (come negli anni sessanta e settanta) ma che vorrebbe mutarne l’anima, dettarne i codici per restare economicamente “all’altezza”, contaminarne le relazioni interpersonali fino a dissolvere le ultime tracce di comunità sopravvissute.

I testimoni di questo libro prezioso non sono “il mondo” (e lo sanno bene). Ma sono “un mondo”: l’unico, io credo, che possa aspirare ad avere un futuro (e a mostrarlo a tutti noi), oltre il muro cieco del presente.

Lontano da Farinetti. Storie di Langhe e dintorni
di Fabio Balocco
Il Babi Editore
176 pagine – euro 15,00

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L’Arena di Barolo http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2018/03/larena-di-barolo/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2018/03/larena-di-barolo/#comments Fri, 16 Mar 2018 11:16:25 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=11808
Foto tratta da www.collisioni.it

di Maurizio Bongioanni, Alessandro Mortarino, Gino Scarsi.

«Collisioni è a una svolta. Solo se gli attori principali del territorio sosterranno questo momento critico aiutando il Comune di Barolo a sviluppare un’area idonea ai grandi eventi potremo continuare a garantire che per altri dieci anni il festival si terrà in Piemonte, e nei luoghi in cui è nato. Se ciò non avverrà, a malincuore, dovremo prendere in considerazione le tante offerte di trasferire il festival in altre regioni meno suggestive e adatte al festival, ma di certo interessate al prodotto». E’ un’affermazione di Filippo Taricco, direttore artistico di Collisioni, il festival «AgriRock» della letteratura e della musica mondiale che da dieci anni miete successi nel cuore della viticoltura piemontese: Barolo, capitale dei Re dei vini …

Il problema nasce dalla Direttiva sulle manifestazioni pubbliche emanata lo scorso anno dal Governo per garantire il massimo della sicurezza pubblica a tutela dell’incolumità delle persone, che sta mettendo in crisi molte iniziative consolidate e, nel caso di Barolo, costringerà il contenimento del flusso di partecipanti da 12 mila a 6 mila. Troppo pochi per Collisioni e per le piccole piazze di Barolo.

Così Taricco, facendo un po’ di conti, giunge a un risultato finale: la manifestazione non può reggersi su un pubblico così contenuto e occorre correre ai ripari. La soluzione, a suo avviso, non può che essere una: edificare un’arena concerti permanente, in grado di ospitare 15 mila spettatori in via Alba, là dove ora dimora il vecchio campo da calcio.

Prendere o lasciare.

Se il territorio deciderà di lasciare, Collisioni si trasferirà in altra regione: tanto le proposte non le mancano. Taricco fino a ieri era considerato da tutti come una sorta di «Santo» della cultura e del richiamo turistico piemontese; ma ora ci pare apparire come un semplice «mercante» affascinato dal risultato economico e assai poco da quel territorio che ha sempre sostenuto di voler valorizzare.
Un territorio fragile, come quello dell’intera Langa, che qualche tremore ha sempre sopportato dalla calca degli spettatori delle 10 edizioni precedenti di Collisioni. Un territorio che non ha certamente bisogno di un’Arena della musica eretta in uno dei pochi spazi ancora liberi del paese, ricco di economia reale ma già povero di natura e a rischio di vedere il proprio paesaggio «patrimonio dell’umanità» ulteriormente avvilito. Un’Arena che rischia di servire poche giornate all’anno e rimanere per il resto del tempo come un monumento allo “spatuss” o come classica “cattedrale nel deserto“.

Per sviluppare il progetto occorrerà di certo approvare una variante urbanistica: il piano regolatore lo consente ? E’ compatibile con la tutela dell’area Unesco ?

E dovrà reperire ingenti fondi, si parla di un investimento da 500 mila euro; una cifra che difficilmente potrà essere messa a disposizione da privati e ricadrebbe dunque sulle spalle e sulle casse (sempre deboli quando è ora di garantire servizi e assistenza primaria ai cittadini …) delle Istituzioni.

A noi non pare una bella idea. Anzi: la riteniamo una pessima idea.

Che merita attenzione e spirito critico. E merita di rinviare al mittente il «ricatto» declamato e immaginare ben altre soluzioni.

Peggio di questo progetto si poteva solo ipotizzare di candidare Barolo ad ospitare le olimpiadi invernali del 2026 (così lasciamo in pace gli abitanti di Torino e delle Dolomiti): cosa c’è di più “rock” di un bel trampolino nei Cannubi, del biathlon nel bosco della Fava, di una pista per lo slittino tra Vergne e i Ciocchini, di una gara di curling tra le Coste di Rose e così via ? …


AGGIORNAMENTI:

Da “La Stampa”, edizione di Cuneo, del 18/3/2018:
«Forse abbiamo usato troppa poesia nel definire lo spazio “arena” – replica il patron di Collisioni, Filippo Taricco -. Gli interventi che si andrebbero a fare sono unicamente sul suolo, di compattamento e messa in sicurezza, per rendere agibile un terreno oggi acquitrinoso. Non ci sarà alcuna opera in muratura né permanente. Penso che siano ben altre e sotto gli occhi di tutti le criticità paesaggistiche in Langa».

REPLICA DEL FORUM SALVIAMO IL PAESAGGIO LANGHE E ROERO:
Attraverso “La Stampa” di domenica 18 marzo apprendiamo la replica di Filippo Taricco alla nostra presa di posizione sulla sua idea di edificare un’arena permanente a Barolo in grado di ospitare le future edizioni di Collisioni. E’ una risposta che stempera le “rigidità” delle sue prime richieste e chiarisce la volontà di non sfregiare ulteriormente il paesaggio e l’identità del territorio, tanto da cancellare il termine “permanente” dall’idea progettuale. Per rendere le parole perfettamente aderenti allo sviluppo di un piano d’azione, suggeriamo a Taricco di voler provvedere, ora, a rendere pubblica almeno una bozza preliminare di progetto (che certamente avrà già nei propri cassetti e valido per Barolo come per un qualsiasi paese dell’area del Chianti o del Prosecco …) che consenta di ragionare collettivamente della sua bontà e metta in risalto il pieno rispetto delle esigenze ecosistemiche del nostro territorio. Questo semplice “esercizio” crediamo possa permetterci di avere finalmente ben chiari i propositi e, soprattutto, di favorire la condivisione – tutti assieme – di un progetto davvero armonico e rispettoso.
Maurizio Bongioanni, Alessandro Mortarino e Gino Scarsi, Forum Salviamo il Paesaggio

 

COLLISIONI SUL PAESAGGIO UNESCO?
La tutela Unesco dei ʺPaesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferratoʺ, decisa nel giugno 2014, comporta alcune riflessioni sulla ʺpercezioneʺ del paesaggio e sulla fruizione dei borghi inclusi nelle parti tutelate con il festival “Collisioni”. Percezione e fruizione del paesaggio e dei beni culturali sono concetti cardine, cui la tutela Unesco impronta la sua filosofia di fondo, attraverso adeguata normativa dʹuso: si constata, al contrario, che da alcuni anni, allʹinterno dei ʺPaesaggi vitivinicoli del Piemonte: Langhe-Roero e Monferratoʺ sono posti in atto consolidate azioni di apparente ʺvalorizzazioneʺ, mediante manifestazioni che attraggono un numero elevatissimo di persone, in uno spazio fisico ridotto e peculiare per le sue caratteristiche (Barolo) e concentrate nel tempo (5 o 6 giorni) …

Non si vuole qui porre in dubbio la qualità culturale (o di solo intrattenimento…) delle manifestazioni, ma il loro significativo impatto sui luoghi e sulla irrimediabile, possibile mancata fruizione e percezione del paesaggio e dei beni architettonici (i piccoli borghi), tali da incidere sui loro caratteri identitari.

Nel corso degli ultimi anni, dal 2015 al 2017 (dopo la dichiarazione Unesco), il fenomeno è stato reiterato, aggravando le condizioni percettive: il festival Collisioni provoca autentiche collisioni sul paesaggio.

Non solo problemi di sicurezza e di incolumità pubblica: durante il suo svolgimento, con la corresponsione (obbligatoria) di un biglietto a pagamento non solo per assistere agli spettacoli, bensì anche solo per accedere ai luoghi, viene meno la percezione autentica del paesaggio e la sua fruizione viene incisa nella sua natura più intima: i valori scenici e identitari, le bellezze intrinseche non possono essere occultate anche solo per un istante nella loro fruizione e percezione ʺcollettivaʺ.

L.V.

 

 

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Il Piemonte perde terreno http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2012/01/il-piemonte-perde-terreno/ Fri, 27 Jan 2012 01:10:48 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=1979

È un treno che avanza inesorabile, anche in Piemonte. Il consumo di suolo negli ultimi vent’anni si è portato via in media mille ettari all’anno di suolo fertile, al netto di infrastrutture e mobilità.

Villette a schiera, centri commerciali e capannoni industriali (spesso inutilizzati) hanno guadagnato terreno a scapito dell’agricoltura e del paesaggio, nella pianura del Po ma anche nei fondovalle di Langhe, Roero e Monferrato. Il 7,2 per cento della superficie regionale risulta “consumata” dal cemento: 182.894 ettari di suolo urbanizzato su una superficie complessiva di 2,5 milioni, che per più di un terzo è formata da montagne.

L’ultima rilevazione sul consumo di suolo condotta dalla Regione Piemonte – i dati saranno pubblicati il prossimo mese – fotografa la situazione al 2008. Per la prima volta le cifre prendendo in considerazione anche il terreno consumato dalle infrastrutture che, secondo gli analisti, incidono per circa il 20% sul totale del suolo consumato. Senza contare autostrade, ferrovie e svincoli, comunque, al 2008 la percentuale di suolo impermeabilizzato è stata del 5,9%, 25 mila ettari in vent’anni. Un dato che conferma la costante crescita registrata a partire dal 1991, con un tasso di incremento annuo del 1,2 per cento. In gran parte suoli agricoli tra i più pregiati, che al 2008 risultavano compromessi nel complesso per 117mila ettari su un totale di 182mila consumati.

La piaga del consumo di suolo non sembra destinata ad arrestarsi, nonostante la crisi del settore delle costruzioni. «Paradossalmente la crisi economica potrebbe accelerare il consumo di territorio» sostiene Fabio Minucci, urbanista del Politecnico di Torino, autore di un dettagliato studio sul problema. «La riduzione dei trasferimenti finanziari da parte dello Stato – spiega – ha spinto i comuni a utilizzare i proventi che derivano dalle concessioni edilizie per fare cassa e garantire i servizi». Il dato è impressionante, aggiunge Minucci: «A livello nazionale, solo nel 2008 i comuni hanno incassato dagli oneri di urbanizzazione 3,208 miliardi di euro, con una crescita del 58% rispetto al 2000. Serve una politica fiscale che disincentivi il consumo di suolo».

In Piemonte c’è pure chi ha provato ad andare controcorrente. La Provincia di Torino, con il recente Piano territoriale di coordinamento (Ptc) ha imposto ai nuovi piani regolatori comunali l’inedificabilità delle aree ancora vergini, dopo che nel torinese in 15 anni sono stati consumati 7500 ettari di suolo libero. «Da quando è in vigore il nuovo Ptc abbiamo già riscontrato in pochi mesi 8 progetti incompatibili, mentre dal ’99 ad 2011 le incompatibilità erano state 3» fa notare il direttore della pianificazione provinciale, Paolo Foietta. Il caso più eclatante è stato lo stop al progetto del nuovo insediamento Ikea a La Loggia, che avrebbe occupato 16 ettari di terreno agricolo.

L’assottigliarsi della superficie di suolo coltivabile tocca prima di tutto gli agricoltori. «L’agricoltura non può continuare a pagare il prezzo di qualsiasi occupazione del suolo finalizzata alla cementificazione. In vent’anni si è consumato quasi il 20% del suolo fertile di elevata qualità», evidenzia il direttore di Confagricoltura Piemonte, Giovanni Demichelis. «Il nostro strumento di lavoro, la terra non può continuare a essere cementificata indiscriminatamente» gli fa eco Tommaso Mario Abrate, presidente regionale di Fedagri. Che fare allora per arrestare il cemento che avanza? «La politica deve intervenire per frenare questo andazzo – dice Abrate –: il contenimento del consumo di suolo dev’essere l’obbiettivo primario della riforma della legge urbanistica regionale».

In cima alla lista delle richieste avanzate dagli agricoltori c’è il recupero del patrimonio edilizio esistente e la limitazione di nuove espansioni urbanistiche a macchia di leopardo, che richiedono sempre più nuove strade e infrastrutture.

«Le amministrazioni devono smettere di sottostare alla logica perversa che pretende la svendita del territorio per far quadrare i bilanci pubblici» dichiara Alessandro Mortarino, coordinatore di “Stop al consumo di territorio”, movimento nato nel 2009 su iniziativa di un gruppo di cittadini di Langhe, Roero e Monferrato, che si è esteso in tutta Italia fino alla costituzione del Forum nazionale della terra e del paesaggio. «A partire da febbraio – annuncia Mortarino – chiederemo a tutti i comuni italiani un censimento degli immobili inutilizzati, affinché ne tengano conto nei loro piani regolatori».

 

IL CEMENTO SEMPLICE

Una piccola rivoluzione nel segno della semplificazione. Il disegno di legge n. 179 presentato dalla Giunta piemontese il 15 novembre scorso recepisce a livello regionale le norme di semplificazione delle procedure edilizie previste dal “Decreto sviluppo”. Le procedure semplificate potranno essere applicate per i «programmi di rigenerazione urbana», per i cambi di destinazione d’uso degli immobili e per l’approvazione dei piani esecutivi e delle convenzioni da parte delle giunte comunali. In questi mesi, il progetto di legge è rimasto fermo in Commissione in attesa di alcune modifiche che ne amplieranno ulteriormente la portata e che saranno depositate nei prossimi giorni in Consiglio regionale.

Nello specifico la nuova normativa prevede l’introduzione di un iter semplificato per l’approvazione dei programmi di rigenerazione urbana, in variante al piano regolatore generale. Il secondo aspetto toccato dalla «liberalizzazione dell’attività edilizia dei comuni» riguarda gli edifici pubblici o di interesse pubblico, che potranno cambiare destinazione d’uso anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, purché tra loro «compatibili o complementari». La stessa cosa varrà per «gli interventi di iniziativa privata», in base a particolari requisiti che la Regione dovrà stabilire.

Ma la novità tanto attesa da comuni e operatori riguarda i piani esecutivi e le convenzioni che, qualora non comportino variante allo strumento urbanistico generale, potranno essere approvati dalla Giunta comunale, senza passare al vaglio del Consiglio comunale. Un tipo di provvedimento, spiegano dalla Direzione regionale Edilizia, destinato a «trovare collocazione organica anche nella riforma della legge urbanistica regionale».

Le nuove regole «semplificate» preoccupano le associazioni degli ambientalisti. «L’alleggerimento delle procedure – denuncia Maria Teresa Roli di Italia Nostra Piemonte – va nella direzione di una minore trasparenza nelle scelte delle amministrazioni comunali, spodestando ulteriormente i Consigli comunali del loro ruolo di controllo e di garanzia nei confronti dei cittadini, a scapito di una gestione equa del territorio».

Dalla Direzione regionale Politiche territoriali rassicurano: «Le nuove norme introducono una semplificazione molto spinta – dice il direttore Livio Dezzani –. Ma per garantire la massima trasparenza dei processi decisionali, tra gli aggiustamenti che apporteremo al disegno di legge c’è l’introduzione di un periodo di 30 giorni per presentare le osservazioni ai provvedimenti proposti, prima dell’approvazione da parte delle giunte comunali».

 

Articoli di Gabriele Guccione, Il Sole 24 Ore-NordOvest, 25 gennaio 2012

 

 

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Langhe: tesoro dell’Unesco o colata di cemento? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2012/01/langhe-tesoro-dellunesco-o-colata-di-cemento/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2012/01/langhe-tesoro-dellunesco-o-colata-di-cemento/#comments Wed, 25 Jan 2012 12:10:58 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=1946

Cemento e capannoni rischiano di intralciare l’ingresso delle colline di Langhe, Roero e Monferrato tra i siti dichiarati dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’umanità.

“La candidatura è stata accettata, ma c’è qualche problema in merito, perché il paesaggio non è intatto” dichiara oggi sulle pagine torinesi di Repubblica il vice direttore generale dell’Unesco per la Cultura Francesco Bandarin, in visita ieri alla Reggia di Venaria Reale.

La candidatura a Patrimonio mondiale dell’umanità di Langhe, Roero e Monferrato è un progetto con alle spalle una storia decennale. Ma è ora messa in discussione dalla cementificazione selvaggia, che negli ultimi anni ha disseminato le colline piemontesi di edifici deturpanti, troppo spesso del tutto inutilizzati. Il responso dell’Unesco – preannuncia Bandarin – è atteso tra un paio di mesi.

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A rischio la candidatura delle colline piemontesi a Patrimonio dell’umanità. Bandarin: ancora in corso la valutazione. Pesano negativamente asfalto e capannoni

Articolo di Marina Paglieri, da La Repubblica, 25 gennaio 2012

ASFALTO e capannoni mettono in pericolo l’ingresso delle colline delle Langhe tra le meraviglie dichiarate dall’Unesco Patrimonio mondiale dell’umanità.

Lo si apprende a margine del convegno internazionale sui risvolti economici e politici del “World Heritage” – che si è aperto ieri e prosegue oggi nell’Aula Magna del Centro di Restauro – che ha di fatto inaugurato il nuovo Centro Unesco nella Reggia di Venaria, il primo dedicato alla ricerca economica applicata alla cultura. Dalla prossima primavera avrà la sua sede – la settima nel mondo, dopo realtà come Oslo, Pechino, Rio de Janeiro, Johannesburg – nei locali sopra la chiesa di Sant’Uberto. Presto avrà uno statuto e un consiglio di amministrazione, sarà diretto da Enrico Bertacchini e presieduto, con ogni probabilità, dal professor Walter Santagata.

Torino e il Piemonte dunque nel Gotha dell’organizzazione internazionale targata Onu, anche in quanto territorio di appartenenza delle Residenze Sabaude e dei Sacri Monti, dichiarati nel 1997 e nel 2003 Patrimonio mondiale dell’umanità. Mentre altre candidature sono in via di definizione. Oltre a Ivrea, con l’architettura moderna e i luoghi dell’Olivetti, ci sono Langhe, Monferrato e Roero, alle spalle un decennale dossier di presentazione, ma un futuro incerto. Perché non è detto che le dolci colline piemontesi, deturpate da brutti edifici e capannoni, passino il duro esame. Di questa controversa new entry, e di altri temi, parla Francesco Bandarin, numero due mondiale dell’Unesco e direttore del settore Cultura, in questi giorni a Torino.

Professor Bandarin, si parla da tanto tempo della candidatura delle terre piemontesi del vino a sito Unesco. Come mai i tempi di ammissione sono così lunghi?

“Siamo in attesa del parere ufficiale, si saprà in un paio di mesi se la candidatura è stata accettata. C’è qualche problema in merito, diciamo che certo il paesaggio non è intatto. Va detto però che il Piemonte non è in questo senso tra le regioni peggiori, altre sono più rovinate”.

Voi parlate spesso, anche in questo convegno, di network culturali: ma le residenze sabaude non riescono a mettersi in rete. Avete una ricetta?

“Bisognerebbe partire dalla costruzione di un’immagine, un’operazione in fondo semplice. Oppure organizzare un giro delle varie sedi, questo però è più il compito di un tour operator. Ci sono problemi di logistica, rimane però il fatto che il patrimonio c’è e le 14 regge sabaude sono una grossa realtà. Penso a Venaria, ci si dimentica di come era. È un esempio fantastico, il più grande caso di rigenerazione culturale, con effetti turistici impensabili. Un posto che era sparito, oggi al centro dell’attenzione. Ma lo sa che le Scuderie juvarriane sono forse il più grande complesso in mattoni al mondo?”.

Bene Venaria, ma le altre regge?

“Stupinigi è un gioiello che va potenziato, di Rivoli mi piace questa idea dell’architettura incompiuta. Ecco, penso a quel sovrano visionario, Vittorio Amedeo II, affiancato da un architetto anch’egli visionario, come Filippo Juvarra… Straordinario. Ma straordinaria è anche Torino, una grande città che stupisce”.

In che senso?

“Mi aveva sempre colpito che una città così importante fosse ritenuta una succursale di Detroit. Nelle rotte turistiche non c’era. Eppure è come Firenze, Venezia, basta girarla per rendersene conto. Ora finalmente il suo patrimonio è stato valorizzato, in modo diretto e indiretto. Perché ci sono i restauri, ma ci sono anche le Luci d’Artista. Nemmeno Parigi ha qualcosa del genere, un esempio per tutte l’installazione di Daniel Buren nella piazza del Municipio”.

Che cosa comporta il progetto Unesco a Venaria?

“Intanto è un’iniziativa che ne accompagna la rinascita: la Reggia come parte di un sistema Unesco integrato. Poi, grazie alla ormai decennale attività torinese nella formazione in questo settore – penso all’Università, all’Ilo, al Centro studi Silvia Santagata, nostro consociato, e agli aiuti della Compagnia di San Paolo – il Centro torinese sarà dedicato, ed è una svolta per noi, alla ricerca nell’economia della cultura. Un campo oggi più importante che mai, che finora avevamo trascurato, privilegiando la conservazione”.

Quali iniziative verranno privilegiate?

“Ci saranno corsi di formazione, tra Venaria e la sede Ilo, ma soprattutto si farà ricerca: abbiamo bisogno per questo di nuove forze, come l’Università di Torino. L’unico modo per fare sopravvivere la cultura è investire e fare in modo che questa abbia un ruolo importante nello sviluppo economico, collegandosi in modo equilibrato con la società”.

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