salviamoilpaesaggio – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Fri, 03 May 2024 17:10:43 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.2.5 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg salviamoilpaesaggio – www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Camminata in difesa dell’Appennino Mugellano, 11 maggio a Vicchio http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/camminata-in-difesa-dellappennino-mugellano-11-maggio-a-vicchio/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/camminata-in-difesa-dellappennino-mugellano-11-maggio-a-vicchio/#respond Fri, 03 May 2024 16:57:08 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16546 Comunicato del Comitato CTCM Tutela Crinale Mugellano – Crinali liberi

Chi difende l’Appennino ama il futuro

Giù le mani dal Monte Giogo di Villore, Vicchio

Giù le mani dalle montagne toscane!

Sabato 11 maggio 2024 il Comitato Tutela Crinale Mugellano, Crinali liberi, organizza una Camminata in difesa dell’Appennino Mugellano dal degrado a sito industriale, come previsto dall’impianto eolico Monte Giogo di Villore.

Si tratta di un’iniziativa congiunta con i Comitati del Pratomagno, della Valle del Serchio, della Montagna pistoiese e delle Apuane, uniti nella difesa delle montagne e degli ecosistemi montani attaccati da opere devastanti per il paesaggio e per l’ambiente naturale.

Chi scende in campo nei propri territori, lo fa per tutti i territori che sono beni comuni.

Radicati nella difesa dell’ambiente, delle comunità locali, botaniche, animali ed umane, delle specie a rischio di estinzione, ci teniamo per mano abbracciando come Comitati tutto l’Appennino, minacciato dalla speculazione di grandi opere industriali finanziarie, fino a raggiungere le Apuane divorate da interessi e profitti privati stratosferici che annichiliscono le montagne, inquinando l’acqua, distruggendo ecosistemi e provocando ripetute alluvioni nei centri abitati.

Punto di partenza della Camminata, il parcheggio del cimitero, di fronte all’Oratorio della Madonna di Meleto, per procedere sul Sentiero CAI 18, che dalla frazione di Villore, nel Comune di Vicchio, porta al crinale del Monte Giogo di Villore.

Nei punti sosta, parleremo, accompagnati da interventi letterali e musicali, dell’importanza delle foreste contro il dissesto idrogeologico, dell’acqua, degli habitat dove vivono specie protette a rischio di estinzione, parleremo di aquile, anfibi, chirotteri, gamberi autoctoni e gatti selvatici, di espropri forzati e di produzioni locali, del Sentiero 00 Italia che rischia di essere coperto e irrimediabilmente compromesso dall’impianto industriale eolico, pregiudicando per sempre i territori ai confini del Parco Nazionale Foreste Casentinesi,  la vocazione turistica ed escursionistica di luoghi, immobili e attività del territorio mugellano.

Ora è centrale e prioritario affermare in tanti:

GIU’ LE MANI DALL’APPENNINO

GIU’ LE MANI DALLE MONTAGNE TOSCANE!

Comitato CTCM Crinali liberi

Ritrovo alle 9,30 davanti al cimitero di Villore dove si lasceranno le macchine e con fuoristrada saremo trasferiti al punto di partenza della camminata verso il crinale. Durata della camminata circa 3h. Difficoltà: media-bassa, suddivisione del percorso in tappe con sosta. Pranzo al sacco in loc. Pian dei Laghi. Rientro per le ore 17,30.

Segui la pagina FB del Comitato e l’evento

Sul nostro blog ne avevamo parlato qui

Eolico Giogo di Villore
Crinali Mugellani
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Storie di borghi cancellati dall’uomo. Per produrre energia… http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/storie-di-borghi-cancellati-dalluomo-per-produrre-energia/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/storie-di-borghi-cancellati-dalluomo-per-produrre-energia/#respond Thu, 02 May 2024 20:29:29 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16538 Osiglia è un piccolo comune sulle Alpi Liguri in provincia di Savona, nel cuore della Val Bormida, piuttosto noto grazie al suo lago che, nel periodo estivo, attrae molti turisti interessati a praticare in tutta serenità attività sportive, anche agonistiche, legate alla risorsa acqua: canottaggio, vela, windsurf, pesca, nuoto, kayak. Non tutti sanno, però, che non si tratta di un lago naturale ma di un bacino artificiale, cioè creato dall’uomo attraverso un’opera ingegneristica dalla finalità squisitamente produttiva: un accumulo di ampie masse di acqua per ricavarne energia elettrica.
E ancor meno persone sanno che per realizzare questo invaso fluviale fu scelto “a tavolino” di sacrificare per sempre alcune borgate pur abitate (nel 1861 Osiglia ospitava quasi 1500 residenti, più di tre volte l’attuale popolazione). E sacrificare significò sommergerle d’acqua.
Per sempre.
Per un progetto mastodontico che, per giunta, prevedeva inizialmente la realizzazione di sette invasi poi ridottisi, nella realtà e nel tempo, al solo bacino di Osiglia. Un sacrificio, dunque, di grande portata per un’opera via via sempre più contenuta.

Ma l’invaso di Osiglia non è l’unico caso italiano di borghi sommersi dall’uomo per soddisfare (altri) differenti bisogni dell’uomo o, come potrebbero discettare i filosofi latini o greci, per perpetrare l’eterna rivalità dualistica tra acqua e fuoco (per noi moderni, quest’ultima da intendersi energia e calore). Come ci ricorda Fabio Balocco nel suo ultimo lavoro “Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi, in cui oltre al caso di Osiglia vengono narrate – attraverso testimonianze indirette e dirette e anche immagini fotografiche d’epoca – le situazioni di Pontechianale (nel cuneese, in Alta Val Varaita), di Ceresole Reale (nel canavese, in Val Locana), di Agàro (nell’Ossola), di Beauregard (in Valle d’Aosta, nella Valgrisenche), di Morasco (in Val Formazza).
Tutti invasi realizzati, raccontati e contrapposti a quello previsto a Badalucco (Alpi Liguri, nella Valle Argentina) e mai realizzato grazie al fermo rifiuto della popolazione locale.

Storie molto differenti tra loro, ma dal comun denominatore: la produzione di energia da fonti naturali attraverso tecnologie specifiche, una situazione che ci riporta inevitabilmente ai giorni nostri e alla aspra diatriba legata al proliferare di impianti fotovoltaici su suolo libero e di pale eoliche a punteggiare crinali e paesaggi al fine di alimentare il bisogno sempre crescente di energia. Da consumare e, ovviamente, da produrre.

I lavori per la diga di Pontechianale iniziano nel 1936, ma già l’anno prima i sondaggi tecnici procurarono danni ad abitazioni e alla torre campanaria dell’Assunta in borgata Castello. Nel 1942 l’invaso fu riempito deviando in parte le acque del rio Vallanta e quelle del Varaita di Bellino; la gente fu allontanata dalle sue case.

La storia di Ceresole Reale inizia negli anni venti, quando fu avviato il progetto di realizzazione della grande diga che poi cancellò borgate, sommergendole ed espropriando gli abitanti. Negli ultimi anni, la siccità estrema ha reso tutto il sommerso pienamente visibile: le vecchie strade e le vecchie case, testimoni silenziosi di ciò che era un tempo.

La realizzazione dell’invaso di Beauregard risale agli anni cinquanta: sostanzialmente inutile come quello di Osiglia, ma per ragioni diverse, fu successivamente messo in sicurezza riducendo al minimo la portata da 70 milioni di metri cubi a 2 milioni di metri cubi, diminuendo l’altezza a 80 metri rispetto ai 132 iniziali.

Agàro è l’unico paese stabilmente abitato (da popolazioni Walser) dell’arco alpino occidentale che fu interamente spazzato via dalla realizzazione del relativo invaso, avviato progettualmente nel 1930. Di origini Walser anche la popolazione di Morasco, che abbandonò quel luogo trasformandolo in un puro alpeggio estivo prima che Edison, nel 1936, lo sommergesse completamente per creare una diga.

Negli anni sessanta, invece, la tenace popolazione di Badalucco si ribellò contro il progetto di una nuova diga a Molini di Triora, circa quattro chilometri a monte dell’abitato. Erano gli anni delle tragedie del Frejus e del Vajont e la gente si oppose con tutte le proprie energie; vi furono scontri con le forze dell’ordine, arresti, manifestazioni di massa che indussero il Prefetto di Imperia a sospendere i lavori. Nel 1984 Enel cercò di riproporre il progetto, ma anche in questo caso Sindaci e popolazione, assieme e con fermezza, si opposero e riuscirono a far fare dietrofront all’azienda. L’unione e la passione della gente vinse.

Tutte storie raccontate da Fabio Balocco con un metodo che ricorda le opere di Nuto Revelli, con un paziente lavoro di ricostruzione basato su brevi interviste biografiche con uomini e donne testimoni di quelle epoche, da cui escono ritratti di una società ed economia contadina messa ai margini dall’impeto dello sviluppo e della crescita a tutti i costi.

(Recensione di Alessandro Mortarino)

Sotto l’acqua. Storie di invasi e di borghi sommersi
di Fabio Balocco
LAR EDITORE
Anno di pubblicazione, 2024
92 pagine
Prezzo di copertina: 15,00 €

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La vergogna della Ti-Bre: l’autostrada che finisce nei campi e che nessuno ha il coraggio di inaugurare http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/la-vergogna-della-ti-bre-lautostrada-che-finisce-nei-campi-e-che-nessuno-ha-il-coraggio-di-inaugurare/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/la-vergogna-della-ti-bre-lautostrada-che-finisce-nei-campi-e-che-nessuno-ha-il-coraggio-di-inaugurare/#respond Thu, 02 May 2024 16:48:13 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16534 di: N. B.

Il nastro d’asfalto dell’autostrada Ti-Bre (Tirreno-Brennero) è pronto da un anno. Ma quei 10 Km che vanno dal casello Parma Ovest a Sissa Trecasali, nella bassa parmense, rimangono vuoti, chiusi al traffico.

Mancherebbe qualche dettaglio tecnico per il collaudo, ma nessuno dei fautori dell’autostrada ne chiede l’apertura. Politici di destra e di sinistra, industriali… tutti zitti. Un silenzio che tradisce la consapevolezza dell’inutilità di quest’infrastruttura che termina in aperta campagna, su stradine che portano a poderi agricoli, lontana da qualsiasi insediamento produttivo.

In teoria la Ti-Bre doveva collegare l’AutoCisa (A15) con l’AutoBrennero (A12), ma ora che questo tratto è terminato, tutti si possono rendere conto di quanto sostenevano da sempre gli ambientalisti.

Ovvero che la realizzazione del moncone autostradale non aveva un senso trasportistico, non serviva a spostare merci e persone dal Tirreno al Brennero, ma aveva altri obiettivi. La proroga senza gara fino al 2031 della concessione autostradale di Autocisa, in mano al gruppo Gavio. E la commessa per l’impresa costruttrice, la Pizzarotti di Parma, specializzata in opere inutili e inservibili come la pista da bob di Cortina.

E così 74 ettari di campagna fertile della Food Valley sono spariti sotto una colata di cemento, 10 chilometri costati 360 milioni più altri 150 per opere compensative che in realtà non compensano un bel nulla. Il tutto pagato con gli aumenti dei pedaggi di Autocisa.

E ora? Per completare il restante 90% del raccordo autostradale, servono oltre 3 miliardi di euro, tutti a carico dello Stato. Fondi che non esistono, ma che vengono costantemente invocati per finire l’opera. L’opera di distruzione del territorio.

Viene immediato prendersela con le imprese. Ma i responsabili di questa vergogna di asfalto sono anche altri. Gli amministratori a tutti i livelli del partito bipartisan del cemento. Che hanno pervicacemente voluto questo pezzo di autostrada pur sapendo che non c’erano le risorse pubbliche per proseguire. E che hanno chiesto, invece di vere compensazioni ambientali, ulteriori strade, rotonde, viadotti, tangenzialine per flussi di traffico inesistenti. Completando l’opera di distruzione in una bulimia cementizia senza freni in nome dello “sviluppo”.

Questi amministratori del partito unico del cemento sono i veri mandanti. I vandali di casa, come li chiamava Cederna. Al danno fatto non c’è più rimedio. Ma non si può più lasciare nelle loro mani il nostro futuro.

Guarda il VIDEO (ideato da Nicola Dall’Olio e Enrico Ottolini, regia di Francesco Dradi, colonna sonora di Francesco Camattini)

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Nuova stagione per il Parco Nazionale dello Stelvio…? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/nuova-stagione-per-il-parco-nazionale-dello-stelvio/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/05/nuova-stagione-per-il-parco-nazionale-dello-stelvio/#respond Thu, 02 May 2024 14:53:43 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16535 Il Comune rinuncia al progetto di captare le acque dal Lago Bianco per alimentare il sistema di innevamento artificiale degli impianti sciistici di Santa Caterina Valfurva. Si pensi ora a restituire al Lago la propria naturalità

dell’Osservatorio delle Associazioni sul Parco Nazionale dello Stelvio (CAI, Federazione Pro Natura, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness, Touring Club Italiano, WWF Italia)

Comunicato del 30.04.2024

Lago Bianco: ora si proceda con bonifica, restauro, ripristino e rinaturalizzazione

Un successo della ragione e per la natura, ma ora interveniamo sul territorio violentato. L’Osservatorio delle Associazioni sul Parco Nazionale dello Stelvio (CAI, Federazione Pro Natura, Italia Nostra, Legambiente, Lipu, Mountain Wilderness, Touring Club Italiano, WWF Italia)  saluta con favore la delibera n. 35 del 26/4/2024 della Giunta comunale di Valfurva, che ha deciso  lo stralcio dell’opera di presa sul Lago Bianco a 2.607 m slm, ma chiede, in una lettera inviata oggi,  di discutere subito con Franco Claretti, direttore del Settore lombardo del Parco Nazionale dello Stelvio, su quali possano essere gli interventi di bonifica, restauro, ripristino e rinaturalizzazione necessari.

“Siamo disponibili, sin da subito a sopralluoghi e incontri tecnici per restituire alla sua naturalità l’Area Parco dello Stelvio e la ZPS IT2040044 ‘Parco Nazionale dello Stelvio’, zona di grande pregio. La tutela dei valori naturalistici costituisce una delle ricchezze del territorio” dice l’Osservatorio. Valori naturalistici che l’Osservatorio ha difeso chiedendo conto dei lavori di prelevamento delle acque del Lago Bianco per il potenziamento dell’impianto per l’innevamento artificiale con: due Diffide del 29/9/2023 e del 15/42024; la richiesta di accesso agli atti del 5/3/2024; e, soprattutto, con la denuncia alla Commissione Europea nell’ambito della Procedura EU Pilot – 2024 6730 – sulla Valutazione di incidenza.

L’Osservatorio si augura che ci sia un cambio di passo. E ricorda come con i nulla osta del 25/7/2017 (Protocollo ERSAF.2017.0011471) e del 12/6/2018 (Protocollo ERSAF 6506), Alessandro Meinardi, allora direttore del PNS settore lombardo, aveva dato il suo assenso ai lavori relativi al potenziamento dell’impianto per l’innevamento artificiale e di emungimento delle acque del lago Bianco.

Il PNS Settore lombardo non ha svolto negli anni passati un ruolo attivo nella difesa dei beni tutelati dalle normative nazionali e comunitarie. Ora si apre una nuova stagione in cui ci deve essere un concorso collettivo in difesa dei beni comunidichiara l’Osservatorio.

Per maggiori info sul progetto vai al nostro precedente articolo sul tema.

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Tuscia Romana: terra da valorizzare, non da sfruttare http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/tuscia-romana-terra-da-valorizzare-non-da-sfruttare/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/tuscia-romana-terra-da-valorizzare-non-da-sfruttare/#comments Tue, 30 Apr 2024 20:45:15 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16526 di Marisa Pessione e Alessandro Mortarino.

Chi ama camminare cerca puntualmente nuovi luoghi in cui immergersi, cercando ogni volta percorsi considerati minori, cioè non le abituali “grandi” direttrici sul genere della Francigena o di Santiago di Compostela, ma itinerari magari prossimi, occasionalmente intersecanti, dai comuni punti di arrivo pur provenendo da snodi alternativi.
A noi è recentemente capitato di percorrere uno di questi, denominato Cammino 103 di Tuscia, progettato magistralmente dal CAI di Viterbo: un percorso che si sviluppa lungo l’antica terra dell’Etruria meridionale, dalla valle del fiume Tevere fino al mar Tirreno. Un percorso breve ma intenso, che abbiamo trasformato creativamente in un viaggio al contrario (partendo da Tarquinia) e dalle tappe a dir poco “personalizzate”. Breve ma intenso, appunto.

Questo blog tratta di tutela del paesaggio e del territorio e non è quindi lo spazio adeguato per lasciarci trasportare in un resoconto di viaggio a piedi che merita, però, almeno un aggettivo: splendido!
Una immersione totale in una sequenza di luoghi e spazi naturali su sentieri poco percorsi (ad aprile, quando noi ci siamo avventurati), tra boschi, faggete e radure, costeggiando il fiume Mignone e le ferme acque del lago di Vico, osservati con discrezione da animali allo stato brado placidamente intenti a godersi sterminate distese di prati, papaveri, orchidee, coltivi.
Ma anche un viaggio nel passato tra necropoli etrusche, una meravigliosa via cava, all’interno di un bosco fiabesco che giunge fino a un eremo silenzioso scavato nella roccia vulcanica.

Se ancora non lo conoscete, il cammino 103 di Tuscia è ora di iniziare a scoprirlo almeno da qui.

Splendido.
E schizofrenico.

Già, perchè mentre i nostri passi procedevano, le orbite oculari registravano segnali di benessere benché la nostra “antica” militanza all’interno del Forum Salviamo il Paesaggio continuasse a segnalarci ad intermittenza segnali di pericolo. Da anni riceviamo, infatti, informazioni da questo territorio su progetti sempre più sorprendenti che, anziché concentrarsi su ipotesi di valorizzazione vera in chiave di fruizione turistica sostenibile, snocciolano progetti di sfruttamento basati su un comune denominatore: la produzione di energia “rinnovabile”.

Viterbo vanta un primato, quello di essere la prima provincia del Lazio per presenza di pannelli fotovoltaici posizionati su terreni, pari a quasi il 50% della superficie agricola utilizzata (Sau). Come non bastasse questa violenza al suolo fertile, la provincia di Viterbo è anche leader nella produzione da impianti eolici con 133,3 Gwh pari a circa l’80% degli impianti dell’intera regione: centinaia di pale eoliche alte fino a 250 metri e prossima a sperimentare anche quelle di altezze superiori.
E per non farsi mancare nulla, i comuni di Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Piansano, Arlena di Castro, Tessennano rientrano nell’elenco delle 51 zone d’Italia individuate da Sogin SpA come aree adatte ad ospitare il futuro deposito nucleare nazionale. 21 aree nel viterbese su 51 in totale…

Una follia. Due follie. Tre follie.
Ancora più folle se vissuta con gli occhi di chi cammina. In una natura che chiederebbe solo di essere accettata, senza altri accessori antropici.

La Regione Lazio sembra essersi accorta del problema “delle infrastrutture ad estesa occupazione territoriale” e della disomogeneità degli insediamenti produttivi. Ma oltre a quanto già è stato installato, pare infinita la sequela di nuovi progetti autorizzati o in fase di autorizzazione, che toccano persino borghi dalla bellezza unica come Tuscania.
Le amministrazioni comunali si oppongono, con piglio non sempre privo di balbettii, mentre uno specifico protocollo d’intesa tra Regione e Terna promette di superare le criticità legate al “sovraffollamento” di impianti a fonti di energia rinnovabile. Ma la situazione resta critica.

Dal Cammino 103, nel mezzo di flora e fauna che riempiono anima ed occhi, tutto questo sembra lontano.
Ma lontano non è.

E di fronte al pericolo incombente, chissà, forse se tanti camminatori iniziassero a “vivere con lentezza” questa via, potrebbe essere più chiaro che il territorio non ha bisogno di essere sfruttato ma di essere – semplicemente – tutelato.
Altrimenti le centinaia di tombe etrusche presenti, testimonianze d’arte di una civiltà esaurita, finiranno per confondersi con l’ingombrante ombra tecnologica di una nuova civiltà votata, senza alcuna possibilità di scampo, a vestire le sembianze algide dell’ultimo cimitero naturale.
Siamo ancora in tempo, volendo…

Qui qualche immagine fotografica tra le tante scattate lungo un percorso da non perdervi…

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Mobilità, salute, tutela del suolo e del paesaggio: e la nuova tangenziale di Asti? http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/mobilita-salute-tutela-del-suolo-e-del-paesaggio-e-la-nuova-tangenziale-di-asti/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/mobilita-salute-tutela-del-suolo-e-del-paesaggio-e-la-nuova-tangenziale-di-asti/#respond Tue, 30 Apr 2024 20:02:13 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16520 Martedì 9 aprile il Consiglio comunale di Asti si è riunito in Seduta Aperta per ospitare le riflessioni di molti rappresentanti civici sui progetti per il Collegamento Asti Sud-Ovest (C.A.S.O.). Vi proponiamo l’intervento di Daniele Allara a nome del Movimento Stop al Consumo di Territorio/Forum Salviamo il Paesaggio e della Rete Asti Cambia che propone una rilettura complessiva delle ipotesi formulate dall’ANAS: partire dai veri bisogni della città a prescindere dai fondi stanziati.

Questo il testo integrale dell’intervento, anche consegnato come memoria scritta all’attenzione dell’intero Consiglio comunale, diametralmente opposto rispetto alle posizioni espresse – ad esempio – dall’Unione Industriale di Asti.

Vi ringrazio innanzitutto per l’invito, che ci consente di esprimere alcune valutazioni sul progetto del collegamento Sud/Ovest a nome del Movimento Stop al Consumo di Territorio Astigiano/Forum Salviamo il Paesaggio e dell’intera Rete di Asti Cambia.

Ci sono alcuni aspetti su cui crediamo sia necessaria una riflessione attenta a prescindere dal fatto che in questo momento la città disponga di cinque ipotesi progettuali elaborate dall’ANAS e un rilevante finanziamento da parte del CIPES; ci riferiamo ai vantaggi – ambientali e sociali – di cui necessita Asti. In particolare ne evidenziamo due che, ripetiamo, riteniamo occorra valutare con estrema obiettività.

Il primo riguarda il rapporto delicatissimo tra mobilità e salute, cioè la situazione connessa all’emergenziale condizione dell’inquinamento atmosferico urbano.
Il secondo, peraltro non scollegato, concerne la funzione del suolo naturale per il benessere ecosistemico e umano.

Potrebbe apparire come una riflessione teorica, ma a nostro parere si tratta, invece, del punto di partenza di un corretto approccio al problema; sarebbe erroneo ridurre la questione al semplice dilemma su quale strada sia meglio realizzare, senza porci il quesito superiore: quali sono le vere criticità su cui agire?

Sentiamo dire che Asti ha bisogno di “spostare” parte del traffico veicolare privato verso le periferie.
Perché?
Vogliamo dire che il traffico urbano è oggi così congestionato da paragonarci alle insidie di una metropoli?
E su quali dati basiamo questa affermazione? Conosciamo i dati sul traffico odierno, ovvero quante auto/ora transitino in ingresso e quante di queste non si dirigano dalla periferia alla città ma da un lato al suo opposto?
Se questi dati sono noti, che vengano allora resi pubblici per tutte le opportune valutazioni di tecnici e semplici cittadini…

Noi oggi sappiamo con certezza solo che Asti è uno dei capoluoghi di provincia dell’Italia intera afflitto dal più alto tasso di rischio sanitario collegato al grave fenomeno dell’inquinamento dell’aria, di cui le emissioni veicolari rappresentano uno dei fattori più rilevanti.
Poichè “prevenire è meglio che curare”, un obiettivo primario dovrebbe essere quello di ridurre le emissioni e non di spostarle di pochi metri o chilometri grazie ad una nuova via tangenziale che non toglierebbe neppure un’auto (e le sue emissioni) dalle strade ma, semplicemente, le porterebbe “un po’ più in là”, senza incidere sul vero problema.

Capovolgendo quindi la riflessione progettuale, e potendo riflettere su precisi dati rilevati, a nostro avviso la questione andrebbe analizzata attraverso un differente approccio: quali azioni/strategie possiamo e dobbiamo mettere in campo per ridurre drasticamente l’ingresso di mezzi privati in città (che rappresenta, secondo noi, il vero problema) e per stimolare una mobilità non urbana su trasporto pubblico?
Qui i 104 milioni del CIPES, che si aggiungono ai 40 milioni di euro già stanziati nel 2022, ci farebbero molto comodo per ipotizzare risposte ben diverse dal collegamento sud/ovest: metropolitana leggera sfruttando le linee ferroviarie già riattivate, riprogrammazione di una rete capillare del Trasporto Pubblico Locale, nuova definizione delle linee urbane, piste ciclabili a rete, servizi di mobilità collettiva e soprattutto un piano strategico di sensibilizzazione, comunicazione ed educazione rivolto alla cittadinanza, capace di stimolare un vero cambiamento nelle nostre abitudini in tema di mobilità.

Ricordiamo che i trasporti generano un quarto delle emissioni di gas a effetto serra e il 70% di esse sono causate dall’auto privata. Dato che ha indotto l’Unione Europea ad emanare una Strategia che ha l’obiettivo, entro il 2030, di ridurre le sue emissioni nette di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990. Per contribuire all’obiettivo, il settore dei trasporti deve subire una trasformazione che richiederà una riduzione del 90% delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050, con step progressivi a cui gli Stati membri sono obbligati.
Una nuova tangenziale risponde a questi obiettivi?

Il secondo aspetto che vogliamo richiamarVi questa sera riguarda il consumo di suolo. Anche in questo caso occorre ricordare che è in discussione una Proposta di Direttiva Europea sul suolo che indica con chiarezza che “il consumo di suolo arreca un danno permanente all’ambiente”.
A livello nazionale il Piano per la transizione ecologica (PTE), trasmesso dall’Italia all’Unione Europea, ha fissato l’obiettivo di giungere a un consumo netto pari a zero entro il 2030, allineandosi alla data fissata dall’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile.
Non sono dati trascurabili: significa che l’Unione Europea intende tutelare il suolo naturale e che anche l’Italia si è impegnata a fare la sua parte.
E Asti no?
Per essere ancora più chiari: tutte e cinque le ipotesi progettuali definite dall’ANAS prevedono impatti molto rilevanti sul suolo naturale esistente, sia in termini di impermeabilizzazione perenne e sia sotto il profilo dei prevedibili numerosi cantieri temporanei.
Il collegamento sud/ovest andrà a devastare prati, colline, coltivi, intere aziende agricole, paesaggio. Una situazione che confligge pesantemente con gli orientamenti indicati dall’Unione Europea e che fatichiamo a ritenere come un’opera indispensabile tale da giustificare una deroga dagli impegni assunti dal nostro Paese.

Vi ricordiamo che la perdita di suolo genera un “danno” non soltanto sotto il facilmente intuibile profilo ambientale, ma anche sotto quello economico-finanziario: un aspetto, purtroppo, poco valutato dalle nostre amministrazioni. Il suolo è uno “strumento” essenziale per contrastare il cambiamento climatico e fornisce molteplici preziosi servizi ecosistemici, in particolare: stoccaggio e sequestro di carbonio, qualità degli habitat, produzione agricola, produzione di legname, impollinazione, regolazione del microclima, rimozione di particolato e ozono, protezione dall’erosione, regolazione del regime idrologico, disponibilità di acqua, purificazione dell’acqua.
La perdita di suolo, cioè la sua impermeabilizzazione, rappresenta dunque un costo anche in volgare moneta: l’Istituto Superiore di Protezione e Ricerca Ambientale (ISPRA), Ente scientifico dello Stato, lo ha calcolato pari a 88 mila euro per ogni ettaro di suolo consumato. Suolo che perde tutte le sue funzioni, vitali per l’essere umano.

Oggi dovremmo preoccuparci di aggiungere suolo e spazi verdi naturali, non certamente eliminarli. Tanto meno per progetti che non offrono altri contributi utili al benessere di una comunità.
Per questi motivi, qui appena accennati per ovvie esigenze di orario, vogliamo esprimere a tutta la cittadinanza – e, ovviamente, all’intero consiglio comunale – l’invito accorato a voler riflettere con cautela e provvedere ad ulteriori approfondimenti non sulle singole ipotesi prospettate da ANAS ma sui reali bisogni della città e su soluzioni alternative che, se basate su strategie di medio/lungo termine, sono alla nostra portata.
Se, naturalmente, lo vogliamo.

Restiamo a Vostra disposizione per ogni ulteriore opportuno approfondimento e Vi ringraziamo per l’attenzione.

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GRIG lancia la Petizione popolare. Sì all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica! http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/grig-lancia-la-petizione-popolare-si-allenergia-rinnovabile-no-alla-speculazione-energetica/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/grig-lancia-la-petizione-popolare-si-allenergia-rinnovabile-no-alla-speculazione-energetica/#comments Tue, 30 Apr 2024 13:08:50 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16517 La Petizione promossa dal Gruppo d’Intervento Giuridico chiede la moratoria nazionale delle autorizzazioni per impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili

Comunicato stampa del Gruppo d’Intervento Giuridico, pubblicato il 30 aprile 2024

Qui è possibile firmare la Petizione

Si all’energia rinnovabile, no alla speculazione energetica!  Firmiamo e diffondiamo la petizione popolare!

Nessun cittadino che voglia difendere il proprio ambiente e il proprio territorio, salvaguardando contemporaneamente il proprio portafoglio, può lavarsene le mani.

Quanto sta accadendo oggi in Italia nell’ambito della transizione energetica sta dando corpo ai peggiori incubi sulla sorte di boschi, campi, prati, paesaggi storici del nostro Bel Paese.

Il sacrosanto passaggio all’utilizzo delle fonti di energia rinnovabile (sole, vento, acqua) dalle fonti fossili tradizionali (carbone, petrolio, gas naturale) in assenza di pianificazione e anche di semplice buon senso sta favorendo le peggiori iniziative di speculazione energetica.

E’ ora che ciascuno di noi faccia sentire la sua voce: firma, diffondi e fai firmare la petizione popolare per la moratoria nazionale delle autorizzazioni per nuovi impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili!

Petizione popolare per la moratoria nazionale delle autorizzazioni per impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili

Al Presidente del Consiglio dei Ministri,

al Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica,

al Ministro della Cultura,

al Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste,

Gent.mo Sig. Presidente, Gent.mi Sigg.ri Ministri,

i sottoscritti Cittadini,

premesso che

l’Italia, come tutti gli altri Paesi della Terra, deve affrontare la difficile sfida vitale del contrasto al cambiamento climatico e conseguentemente ha la necessità di abbandonare quanto prima le tradizionali fonti fossili di produzione energetica.

Il passaggio alle fonti rinnovabili di produzione energetica non può e non deve trasformarsi in una disastrosa speculazione energetica ai danni dell’ambiente, del paesaggio, dei suoli agricoli, dei contesti economico-sociali locali, della stessa identità storico-culturale di tanti luoghi d’Italia, come purtroppo sta accadendo in questi ultimi tempi.

L’enorme numero di progetti di impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili (5.678 al 31 marzo 2024) ha già ampiamente superato il target previsto a livello comunitario al 2030 (oltre 336 GW rispetto ai 70 GW concordati) .

Essi sono finanziati o incentivati a vario titolo con fondi pubblici, in particolare del piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), e l’intervento pubblico per la promozione di fonti di energia rinnovabile non può trasformarsi in un incentivo ad imprese predatorie per puro business.

In tutto il territorio nazionale le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a.(gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2024 risultano complessivamente ben 5.678, pari a 336,38 GW di potenza, suddivisi in 3.642 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 144,84 GW (43,06%), 1.897 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 101,14 GW (30,07%) e 139 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica  a mare 90,41 GW (26,88%).

La Soprintendenza speciale per il PNRR, organo del Ministero della Cultura, dopo approfondite valutazioni, ha evidenziato in modo chiaro e netto che “è in atto una complessiva azione per la realizzazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile (fotovoltaica/agrivoltaica, eolico onshore ed offshore) …  a livello nazionale, ove le richieste di connessione alla RTN per nuovi impianti da fonte rinnovabile ha raggiunto il complessivo valore di circa 328 GW rispetto all’obiettivo FF55 al 2030 di 70 GW” (nota Sopr. PNRR prot. n. 51551 del 18 marzo 2024), cioè 4,7 volte l’obiettivo previsto a livello europeo.

In alcune regioni, per giunta aventi un sistema elettrico collegato al resto d’Italia con connessioni a portata contenuta (massimo 2 mila MW nei prossimi anni), come la Sardegna, la Soprintendenza speciale per il PNRR ha registrato “una complessiva azione per la realizzazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile (fotovoltaica/agrivoltaica, eolico onshore ed offshore) tale da superare già oggi di ben 7 volte quanto previsto come obiettivo da raggiungersi al 2030 sulla base del FF55, tanto da prefigurarsi la sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio con impianti di taglia industriale per la produzione di energia elettrica oltre il fabbisogno regionale previsto” (nota Sopr. PNRR prot. n. 27154 del 20 novembre 2023 e nota Sopr. PNRR prot. n. 51551 del 18 marzo 2024).

Qui siamo alla reale sostituzione paesaggistica e culturale, alla sostituzione economico-sociale, alla sostituzione identitaria

In Sardegna, le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2024 risultavano complessivamente ben 809, pari a 57,67 GW di potenza, suddivisi in 524 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 22,99 GW (39,87%), 254 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 16,86 GW (29,23%) e 31 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica  a mare 17,82 GW (30,90%).

57,67 GW significa quasi 30 volte gli impianti oggi esistenti in Sardegna, aventi una potenza complessiva di 1,93 GW (i 1.926 MW esistenti, di cui 1.054 MW di energia eolica a terra + 872 di energia solare fotovoltaica,dati Terna, 2021).

Un’overdose di energia che non potrebbe esser consumata sull’Isola (che già oggi ha circa il 38% di energia prodotta in più rispetto al proprio fabbisogno), non potrebbe esser trasportata verso la Penisola (quando entrerà in funzione il Thyrrenian Link la potenza complessiva dei tre cavidotti sarà di circa 2 mila MW), non potrebbe esser conservata (a oggi gli impianti di conservazione approvati sono molto pochi e di potenza estremamente contenuta).

Significa energia che dovrà esser pagata dal gestore unico della Rete (cioè soldi che usciranno dalle tasse dei contribuenti).

Gli unici che guadagneranno in ogni caso saranno le società energetiche.

Ma sono anche tante altre le aree del Bel Paese ormai aggredite da una speculazione energetica priva di remore e di utilità collettiva: la Tuscia, la Puglia, la Sicilia, la Maremma, i crinali appenninici.

Insomma, siamo all’overdose di energia producibile da impianti che servono soltanto agli speculatori energetici.

Attualmente, in attesa della pianificazione delle aree idonee e non idonee per l’installazione degli impianti (direttiva n. 2018/2001/UE, art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53) esiste soltanto una fascia di rispetto nel caso delle centrali eoliche estesa tre chilometri dal limite delle zone tutelate con vincolo culturale e/o con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

Essere a favore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili non vuol dire avere ottusi paraocchi, non vuol dire aver versato il cervello all’ammasso della vulgata dell’ambientalismo politicamente corretto.

Pertanto,

RITENGONO

che debba essere lo Stato a pianificare in base ai reali fabbisogni energetici le aree a mare e a terra dove installare gli impianti eolici e fotovoltaici e, dopo coinvolgimento di Regioni ed Enti locali e svolgimento delle procedure di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), metta a bando di gara i siti così individuati al migliore offerente per realizzazione, gestione e rimozione al termine del ciclo vitale degli impianti di produzione energetica e conseguentemente

CHIEDONO

alle SS.VV., nell’ambito delle rispettive competenze (vds. sentenza Corte cost. n. 27/2023), l’adozione di un provvedimento di moratoria nazionale che sospenda qualsiasi autorizzazione per nuovi impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili in attesa della suddetta necessaria pianificazione condivisa.

Si ringrazia per l’attenzione.

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Scheda – la realtà della speculazione energetica, con particolare riferimento alla Sardegna

La realtà della speculazione energetica è di banale quanto spaventosa evidenza.

Essere a favore dell’energia prodotta da fonti rinnovabili non vuol dire avere ottusi paraocchi, non vuol dire aver versato il cervello all’ammasso della vulgata dell’ambientalismo politicamente corretto.

Ma non sono solo le associazioni e i comitati realmente ambientalisti a sostenerlo.

La Soprintendenza speciale per il PNRR, dopo approfondite valutazioni, ha evidenziato in modo chiaro e netto: “nella regione Sardegna è in atto una complessiva azione per la realizzazione di nuovi impianti da fonte rinnovabile (fotovoltaica/agrivoltaica, eolico onshore ed offshore) tale da superare già oggi di ben 7 volte quanto previsto come obiettivo da raggiungersi al 2030 sulla base del FF55, tanto da prefigurarsi la sostanziale sostituzione del patrimonio culturale e del paesaggio con impianti di taglia industriale per la produzione di energia elettrica oltre il fabbisogno regionale previsto” (nota Sopr. PNRR prot. n. 27154 del 20 novembre 2023 e nota Sopr. PNRR prot. n. 51551 del 18 marzo 2024).

Altro che la vaneggiata sostituzione etnica di Lollobrigidiana memoria, qui siamo alla reale sostituzione paesaggistica e culturale, alla sostituzione economico-sociale, alla sostituzione identitaria

La cartografia elaborata dalla Soprintendenza speciale per il PNRR è emblematica di quanto sta accadendo nell’Isola.

Ma questo vale per tutto il territorio nazionale: “tale prospettiva si potrebbe attuare anche a livello nazionale, ove le richieste di connessione alla RTN per nuovi impianti da fonte rinnovabile ha raggiunto il complessivo valore di circa 328 GW rispetto all’obiettivo FF55 al 2030 di 70 GW” (nota Sopr. PNRR prot. n. 51551 del 18 marzo 2024).

Il fenomeno della speculazione energetica, oltre che in Sardegna, è pesantemente presente in modo particolare nella Tuscia, in Puglia, nella Maremma, in Sicilia, sui crinali appennnici.

I motivi del “no” al Far West energetico in Sardegna.

In tutto il territorio nazionale le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2024 risultano complessivamente ben 5.678, pari a 336,38 GW di potenza, suddivisi in 3.642 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 144,84 GW (43,06%), 1.897 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 101,14 GW (30,07%) e 139 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica  a mare 90,41 GW (26,88%).

In Sardegna, le istanze di connessione di nuovi impianti presentate a Terna s.p.a. (gestore della rete elettrica nazionale) al 31 marzo 2024 risultavano complessivamente ben 809, pari a 57,67 GW di potenza, suddivisi in 524 richieste di impianti di produzione energetica da fonte solare per 22,99 GW (39,87%), 254 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica a terra per 16,86 GW (29,23%) e 31 richieste di impianti di produzione energetica da fonte eolica  a mare 17,82 GW (30,90%).

57,67 GW significa quasi 30 volte gli impianti oggi esistenti in Sardegna, aventi una potenza complessiva di 1,93 GW (i 1.926 MW esistenti, di cui 1.054 MW di energia eolica a terra + 872 di energia solare fotovoltaica,dati Terna, 2021).

Un’overdose di energia che non potrebbe esser consumata sull’Isola (che già oggi ha circa il 38% di energia prodotta in più rispetto al proprio fabbisogno), non potrebbe esser trasportata verso la Penisola (quando entrerà in funzione il Thyrrenian Link la potenza complessiva dei tre cavidotti sarà di circa 2 mila MW), non potrebbe esser conservata (a oggi gli impianti di conservazione approvati sono molto pochi e di potenza estremamente contenuta).

Significa energia che dovrà esser pagata dal gestore unico della Rete (cioè soldi che usciranno dalle tasse dei contribuenti.

Gli unici che guadagneranno in ogni caso saranno le società energetiche.

Insomma, siamo all’overdose di energia producibile da impianti che servono soltanto agli speculatori energetici.

Le normative di salvaguardia provvisoria.

La delega contenutanell’art. 5 della legge 22 aprile 2021, n. 53(legge di delegazione europea) sull’attuazione della direttiva n. 2018/2001/UEsulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili prevede esplicitamente l’emanazione di una specifica  “disciplina per l’individuazione delle superfici e delle aree idonee e non idonee per l’installazione di impianti a  fonti  rinnovabili  nel rispetto delle esigenze di tutela  del  patrimonio  culturale  e  del paesaggio, delle aree agricole e forestali, della qualita’ dell’aria e dei corpi idrici, nonche’ delle specifiche competenze dei Ministeri per i beni e le attivita’ culturali e per il turismo, delle politiche agricole alimentari e forestali e dell’ambiente e  della  tutela  del territorio e del  mare,  privilegiando  l’utilizzo  di  superfici  di strutture edificate, quali capannoni industriali e parcheggi, e  aree non  utilizzabili   per   altri   scopi”. 

Disciplina a oggi non emanata, sebbene alcune disposizioni precedenti siano recenti, come il Piano energetico regionale della Sardegna 2015-2030 – Individuazione delle aree non idonee all’installazione di impianti energetici alimentati da fonti rinnovabili (deliberazione Giunta regionale n. 59/90 del 27 novembre 2020).

In attesa della pianificazione delle aree idonee e non idonee, l’art. 6, comma 1°, del decreto-legge n. 50/2022, convertito con modificazioni e integrazioni nella legge n. 91/2022, in relazione all’installazione di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili è stata individuata una “fascia di rispetto … determinata considerando una distanza dal perimetro di beni sottoposti a tutela di sette chilometri per gli impianti eolici e di un chilometro per gli impianti fotovoltaici”.

Successivamente, con l’art. 47, comma 1°, del decreto-legge n. 13/2023, convertito con modificazioni e integrazioni nella legge n. 41/2023, la fascia di tutela è stata ridotta a “tre chilometri” per gli impianti eolici e a “cinquecento metri” per gli impianti fotovoltaici.

Detta fascia di rispetto risulta, quindi, nel caso delle centrali eoliche estesa tre chilometri dal limite delle zone tutelate con vincolo culturale (artt. 10 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) e/o con vincolo paesaggistico (artt. 136 e ss. e 142 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.).

A esse dovrebbero quantomeno aggiungersi le aree ricadenti nella Rete Natura 2000, S.I.C., Z.P.S., Z.S.C. individuate ai sensi delle direttive n. 92/43/CEE sulla salvaguardia degli habitat naturali e semi-naturali, la fauna e la flora e la direttiva n. 09/147/CE sulla salvaguardia dell’avifauna selvatica

Le proposte alternative.

Ribadiamo ancora una volta la nostra proposta: sarebbe cosa ben diversa se fosse lo Stato a pianificare in base ai reali fabbisogni energetici le aree a mare e a terra dove installare gli impianti eolici e fotovoltaici e, dopo coinvolgimento di Regioni ed Enti locali e svolgimento delle procedure di valutazione ambientale strategica (V.A.S.), mettesse a bando di gara i siti al migliore offerente per realizzazione, gestione e rimozione al termine del ciclo vitale degli impianti di produzione energetica.

La nuova Presidente della Regione autonoma della Sardegna Alessandra Toddeha annunciato in proposito: “Abbiamo già pronta una bozza di moratoria da presentare, in attesa del completamento della mappa delle aree idonee e vorrei che si affronti immediatamente. Sappiamo già che la moratoria potrà essere respinta e impugnata ma vuole essere un segnale forte per chiudere in fretta sulla mappa delle aree idonee a livello nazionale e dare delle regole che si possono mettere in campo per proteggere quelli che per noi sono beni non negoziabili, ambiente, paesaggio e beni culturali, e li difenderemo“.

In realtà, la prima cosa necessaria sarebbe una moratoria nazionale (non regionale, già dichiarata costituzionalmente illegittima con sentenza Corte cost. n. 27/2023), una sospensione di qualsiasi autorizzazione per nuovi impianti di produzione energetica da fonti rinnovabili.

La Regione autonoma della Sardegna è coordinatrice della Commissione Ambiente ed Energia della Conferenza permanente delle Regioni e Province autonome (delibera del 31 marzo 2016, vds. deliberazione Giunta regionale Sardegna n. 37/26 del 21 giugno 2016): in quella sede può esser approvata una proposta di moratoria nazionale da portare alla Conferenza permanente Stato – Regioni e Province autonome, così da farla divenire provvedimento a efficacia nazionale.

Siamo ancora in tempo per cambiare registro.

In meglio, naturalmente.

p. Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Stefano Deliperi

Ulteriori informazioni sul sito del GrIG

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A proposito del fotovoltaico a terra http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/a-proposito-del-fotovoltaico-a-terra/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/a-proposito-del-fotovoltaico-a-terra/#respond Sun, 28 Apr 2024 06:41:01 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16509 di: Salviamo il Paesaggio Mogliano Veneto e Comitato difesa ex cave di Marocco

Pubblicato su Tera a Aqua aprile-maggio 2024 (bimestrale dell’Ecoistituto del Veneto Alex Langer)

Siamo a favore delle rinnovabili, ma non vuol dire che possano essere posizionate ovunque e comunque. All’agri-fotovoltaico si può, valutandolo caso per caso, non essere pregiudizialmente contrari.

Riportiamo la posizione dell’agenzia statale ISPRA in merito agli impianti fotovoltaici a terra, su suolo non già utilizzato/consumato, quindi libero o a destinazione agricola. Ecco alcuni stralci di quanto risponde a diverse associazioni.

Con questa lettera ufficiale, vogliamo evidenziare agli amministratori pubblici (soprattutto statali e regionali) dati molto importanti per valutare attentamente ogni richiesta di nuovi impianti a terra.

“Le attività di monitoraggio nazionale e il report annuale “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” sono in linea con quanto previsto a livello comunitario e riconoscono la differenza tra le diverse tipologie di consumo di suolo e, quindi, ad esempio, tra quello dovuto al fotovoltaico a terra e quello dovuto a nuove costruzioni.

Nel monitoraggio si distinguono poi il consumo di suolo dall’impermeabilizzazione,dal degrado e dalla desertificazione: il consumo di suolo permanente (dovuto a una copertura artificiale permanente, per es. il cemento) è distinto dal consumo di suolo reversibile (dovuto a una copertura artificiale reversibile). Gli impianti fotovoltaici a terra appartengono a quest’ultima categoria e sono, quindi, considerati diversamente dal suolo utilizzato per la realizzazione di edifici, infrastrutture e altre aree impermeabilizzate.

I due obiettivi, la tutela del suolo e la spinta alle rinnovabili, non sono necessariamente in conflitto ed è preferibile privilegiare le installazioni su edifici esistenti, infrastrutture, parcheggi e altre aree già consumate.

Per limitare al massimo l’impatto paesistico e la perdita di aree agricole, molti dei circa 35.000 ettari ulteriori previsti per il fotovoltaico a terra (stima ISPRA e GSE al 2030) potrebbero essere realizzati su quel 7,14% del territorio nazionale dove il suolo è già occupato (2,15 milioni di ettari).

Buona parte dei tetti degli edifici esistenti, gli ampi piazzali associati a parcheggi o ad aree produttive e commerciali, le aree dismesse o i siti contaminati sono esempi evidenti di come si potrebbe conciliare la produzione di energia da fonti rinnovabili con la tutela del suolo, dei servizi eco-sistemici e del paesaggio.

Considerando solo i tetti degli edifici al di fuori delle aree urbane centrali e di tutti i centri abitati minori (circa 385.000 ettari in Italia), si stima che quelli dove è potenzialmente possibile installare pannelli siano compresi tra i 75.000 e i 100.000 ettari, escludendo le aree non utilizzabili e assicurando le distanze per la manutenzione (applicando la metodologia del Centro comune di ricerca della Commissione Europea). A questa superficie si potrebbe aggiungere una parte di aree di parcheggio, piazzali e altre superfici pavimentate (65.000 ettari), di infrastrutture (600.000 ettari), di siti contaminati (150.000 ettari, considerando solo quelli di interesse nazionale), di aree dismesse o altre aree impermeabilizzate, senza aumentare il consumo di suolo.

La possibilità di far convivere sullo stesso suolo un doppio uso produttivo, agricolo ed energetico, attraverso l’installazione di impianti agri-voltaici sostenibili, è una strada che si sta facendo sempre più spazio ma che dovrà essere valutata meglio sulla base di dati effettivi”.

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Terra delle mie brame: il caso Valpolicella http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/terra-delle-mie-brame-il-caso-valpolicella/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/terra-delle-mie-brame-il-caso-valpolicella/#respond Sat, 27 Apr 2024 17:06:43 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16506 Discorrendo con Gabriele Fedrigo

di Laura Sestini, tratto da https://www.theblackcoffee.eu/terra-delle-mie-brame-il-caso-valpolicella/

Gabriele Fedrigo è originario di Negrar di Valpolicella, in provincia di Verona, ed oltre ad aver pubblicato altri interessanti volumi sui protagonisti della filosofia, e sui quesiti umani dell’età contemporanea, da qualche anno ha intrapreso un percorso di denuncia etico-filosofica, una resistenza percettiva – come lui stesso la descrive – sullo stravolgimento del territorio della sua amata Valpolicella.

Da poco in libreria, la sua ultima pubblicazione Terra delle mie brame: il caso Valpolicella – con la prefazione di Tomaso Montanari, storico dell’arte, nonché Rettore della Università per Stranieri di Siena – descrive, attraverso un registro di scrittura e lessico elevati ma allo stesso tempo chiari e non raramente ironicamente amari e diretti, cosa si compie da decenni nell’area geografica della Valpolicella attraverso il processo di mercificazione del territorio operato da attori capitalisti neoliberisti che, con la complicità (spesso ignorante o indifferente) delle amministrazioni comunali, invadono e si appropriano di parti di storia locale, ambienti naturali, paesaggio.

Montanari, nella sua breve ma intensa prefazione scrive: “Libri così potrebbero e dovrebbero essere scritti per il Chianti o per Firenze, per Venezia o per la costa del Salento. Cosa abbiamo fatto in una o due generazioni, al giardino del mondo?” Una frase che perfettamente sintetizza le puntuali argomentazioni che Fedrigo riporta sul suo saggio, che anche contiene prove documentarie o riferimenti ad esse, fotografie, e molte note a fondo pagina a completamento dei dettagli sul discorso principale.

Il fenomeno della mercificazione dei territori, da cui neanche i Parchi naturali sono esenti, come riportano le righe di Fedrigo, é un processo legato piuttosto alle economie ed alle politiche locali, ma anche nazionali, spesso cieche (o fingendosi tali) di fronte alle loro delibere di piani di ristrutturazione urbana e territoriale. Nel caso della Valpolicella il valore economico del territorio afferisce al mercato del vino, delle colture intensive a vigna, e di tutto l’indotto ludico-turistico.

In questi giorni alla Fiera di Verona si svolge la 56° edizione di Vinitaly, il quale slogan è “World wine bussiness since 1967” a cui non c’è da aggiungere altra spiegazione o traduzione, tanto esprime da sé il vero hard core del comparto. Molti grandi produttori blandiscono retoriche di sostenibilità e rispetto dell’ambiente per attirare nuovi acquirenti, ma spesso a conti fatti, ciò non è altro che fumo negli occhi per chi non vuol vedere o sapere. I vigneti industriali non potrebbero mantenere le quantità da produrre, da smerciare all over the world, se non usassero pesticidi in abbondanza, benché a norma di legge.

Terra delle mie brame: il caso Valpolicella è senz’altro una lunga riflessione sul destino, non solo di qualche territorio italiano specifico, ma del futuro di tutti noi; un volume che non può lasciare il lettore indifferente su quanto accade ai nostri ambienti naturali, paesaggi e borghi, sempre più stretti dentro logiche di falsa apparenza estetica, di sfruttamento dei territori e di profitto economico per pochi imprenditori, a discapito dei cittadini che in quei luoghi vivono e che pochi strumenti hanno per contrastare “l’autodistruzione avvertita come benessere“- come riporta Fedrigo dalla videoricerca Apocalypse Wine.

Un libro-saggio (sia inteso come tipologia, che come attributo) che ci è parso subito valevole di lettura, che offre spunti potenziali anche per riflettere sul proprio stile di vita.

Lei ha scritto più di un volume sul territorio della Valpolicella, sulle sue trasformazioni paesaggistiche, la sottrazione dell’ambiente naturale alle persone, la cementificazione, lo sfruttamento industriale. Quando ha percepito che qualcosa non andava? C’è stato un episodio preciso che le ha dato modo di “aprire gli occhi”?

Gabriele Fedrigo: – Con Terra delle mie brame: il caso Valpolicella (2024) sono al mio terzo lavoro su quanto è accaduto e sta tutt’ora accadendo in Valpolicella. Scrivere sul territorio in cui si è nati non è mai semplice, almeno non lo è per me. E non lo è appunto perché in quel territorio ci siamo nati. Nel bene e nel male, che lo voglia o no, da esso mi sono fatto nutrire e plasmare, non solo materialmente, ma anche culturalmente e spiritualmente. E se lo spirito è infetto dall’ideologia corrente, se i valori che esso propina sono malati (di una malattia che qui conoscono tutti e che in pochi riescono a riconoscere come tale), allora più che piangermi addosso per sentirmi parte di questo tutto malato che mi circonda, ho preferito cercare un modo per non morire anzitempo di questo morbo. La mia terapia è stata ed è la scritturaScrivere per dare testimonianza, per rompere la cortina di silenzio che circonda la sempre lodata operosità veneta, che qui, in Valpolicella, si è ingoiata e si sta ingoiando il paesaggio e i cervelli di quella gente incapace di uscire dall’ossessione del lavoro, del profitto, della produttività. Un territorio veicola sempre e in continuazione i valori che lo hanno fatto essere quello che esso è. Noi siamo imbevuti di quei valori. Mettere in discussione questi valori, giudicarli, disfarsene, non è una questione di giorni, ma di anni. E non sempre ci si riesce. Eppure sono proprio questi valori, materialmente veicolati dal territorio, che condizionano il nostro agire, il nostro stesso sentire, il nostro pensare. Quando ho “aperto gli occhi”?… Le voglio raccontare questo: i miei genitori erano contadini. Lo erano tutti in Valpolicella prima che arrivasse l’industria. Ma quando sono venuto al mondo, nel 1967, il loro esser contadini era già entrato profondamente in crisi per via dell’imporsi di valori legati al rampantismo del turbo capitalismo italiano in salsa veneta che anche qui in Valpolicella stava facendo piazza pulita del mondo valoriale contadino, e con quel mondo il territorio che ne era l’incarnazione. L’imperativo categorico era (ed è) il tristissimo far schèi, in barba a tutto e a tutti. Far schèi a tutti i costi! Anche a costo della propria salute fisica e mentale; anche a costo di arrivare allo scasso ambientale e paesaggistico e al baratro umano di un vivere insieme retto da meri scambi basati sul calcolo d’interesse in cui è piombato il Veneto dei capannoni, dell’agro-industria, dei PFAS, delle pedemontane, delle grandi navi in Laguna, di una pista da bob inutile per le prossime Olimpiadi probabilmente senza neve, che non sia quella sparata dai cannoni… Di questo Veneto del far schèi lo scrittore Vitaliano Trevisan è stato il più implacabile demistificatore. Non la prenda come una provocazione, per capire a cosa siamo arrivati dalle mie parti, Trevisan lo si dovrebbe far leggere a scuola come si fa con Dante e Manzoni. Allora per tornare al mio ricordo, quando frequentavo le scuole del mio paese (Negrar) e mi si chiedeva la professione dei miei genitori, mi vergognavo di dire che mio padre era contadino e mia madre casalinga. Da dove veniva quella vergogna? Da qualche parte sarà pur venuta… Eppure era quella vergogna di appartenenza al mondo contadino che proiettava in me il proprio film. E di questo film intitolato Far Schèi faceva parte anche la mia vergogna… Nessuno avvertiva nella propria testa l’incessante funzionamento dell’imperativo del far schèi tanto era assordante… Ha presente il film Matrix di Wachowksi? C’è una scena in cui Morpheus dice a Neo: E’ tutta la tua vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra nel mondo. Non sai bene di che si tratta, ma l’avverti, è un chiodo fisso nel cervello, da diventarci matto. Quando uno è in Matrix non sa neppure di esserci dentro… Far schèi in Valpolicella e in Veneto, questo Veneto alla deriva di se stesso e della sua storia, è il film che va per la maggiore nella testa della gente, anche in quella che dice di no, quella che pensa di essere fuori dal giro. Far affari… non importa di che cosa… Altro che rispetto per ambiente, paesaggio, bellezza. Basta guardarsi intorno per rendersene conto. Da ragazzino non avevo ancora la forza di capire la mia vergogna. La vivevo come l’aria che respiravo. Nel frattempo però vedevo sparire sotto una coltre di cemento i campi del paese (Negrar); vedevo l’assalto alle colline, un assalto violento e ingordo da parte di un’edilizia scriteriata; vedevo spuntare i capannoni industriali dove c’erano campi; vedevo nascere i nuovissimi campi di vigne su colline stravolte dalle ruspe… Questo vedere non mi lasciava inerte. Mi lavorava dentro. Mi faceva male. Dalla mia parte sentivo però di avere due fortissimi alleati: amore e sete di e per la bellezza. E’ stato questo amore che mi ha aperto gli occhi e che ancora oggi mi spinge a scrivere e a denunciare quanto di più mortifero per la salute e per la bellezza produce sul territorio e sul paesaggio l’attuale economia del vino, del cemento, del marmo, ecc… Perché, come per la malattia del far schèi, che qui però scambiano per salute, allo stesso modo, non riesco a vedere in ciò che si costruisce altro che distruzione, naturalmente a norma di legge. L’alleato più forte di questa distruzione si chiama appunto legge. In Terra delle mie brame mi ostino a vedere scasso dove altri vedono il contrario. Nel mio lavoro cito una frase che riassume benissimo quanto detto finora: “l’autodistruzione avvertita come benessere”. La battuta è tratta da Apocalypse Wine, un’importantissima video ricerca di denuncia realizzata nel 2022 dagli studenti dell’Istituto superiore Luciano Dal Cero di San Bonifacio (Verona), guidati dal professor Simone Gianesini, sul massacro dei boschi dovuto all’attività vitivinicola nella Valle d’Alpone. Lo ha visto?


Casa Prunea (Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella), di proprietà privata ora in stato di grave abbandono
Foto: Archivio G. F. (tutti i diritti riservati)

Può spiegare cosa accade esattamente in Valpolicella, esteticamente e naturalisticamente?

G.F.:- In Terra delle mie brame ho cercato di analizzare lo stato in cui versa il paesaggio della Valpolicella focalizzando l’attenzione non sono solo sui danni provocati dal virus edilizio della negrarizzazione, ma sui danni sempre più gravi dovuti alla brama delle aziende vitivinicole, soprattutto le più potenti, che hanno stravolto con impattanti vigneti industriali il paesaggio rurale della Valpolicella. Tanto che i lembi di campi che si sottraggono a questa logica produttivistica ormai non si trovano quasi più. Brama che si è e si sta attualmente incarnando nella costruzione di alieni e alienanti fabbricati del vino, spacciati per cantine, che per dimensioni e per qualità dei progetti non hanno nulla da spartire con la storia della Valpolicella. La scintilla che ha acceso la mia scrittura è stata infatti la costruzione del nuovo impattante fabbricato del vino del gruppo vitivinicolo Masi Spa nel Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella, battezzato dalla committenza Monteleone21. Questo ennesimo fabbricato, ma altri ne verranno, è la punta dell’iceberg di un modo di considerare il territorio della Valpolicella come mero supporto a una attività economica, qual è appunto quella del vino, basata fondamentalmente sul petrolio e sulla chimica (dai fitosanitari ai nitrati di azoto…), alla faccia di chi si vanta di essere sostenibile. Ma di quale sostenibilità stiamo parlando? E così man mano che la speculazione edilizia intaccava violentemente la trama storico-estetica della Valpolicella, di pari passo avanzava un’aggressiva industria del vino. Industria che, per come la vedo io, ha fatto morire la cultura contadina a tutto vantaggio di un modo di considerare la terra come mero strumento di massimizzazione del proprio profitto e di guadagno anziché come bene comune da rispettare, conservare e da destinare al futuro. E così, per non darla vinta alle forze che si sono incarnate nel territorio e che lo stanno conducendo verso il nulla, appoggiando la mia argomentazione sulle spalle del filosofo francese Michel Foucault, ho deciso di esplorare una possibilità di contro-canto e di contro-condotta: la resistenza percettiva. Che è tanto esercizio con cui dis-imparare a vedere ciò che vediamo come un va-da-sé che le cose stiano proprio così come sono, quanto atto di impegno civile perché questo modello di conduzione strumentale e tecnologica della terra trovi un ostacolo alla propria continuazione. Ciò che ho cercato di esplorare è la possibilità di percorrere una via altra, che faccia del nostro stesso corpo un corpo di resistenza agli scempi paesaggistici causati dalla speculazione edilizia, dall’industria del vino e dallo story-telling del marketing, che fa del vino un dio, dei produttori i suoi nuovi sacerdoti e dei fabbricati del vino le nuove chiese. La mia resistenza percettiva è soprattutto resistenza a ciò che noi stessi siamo diventati, cioè al nostro essere strumento di consumo per il profitto altrui e di autoalienazione di noi stessi…

Il caso Valpolicella si ripresenta similmente in altri luoghi d’Italia: tutti quelli dove si può mercificare il territorio?

G.F.: – La mercificazione del territorio è lo specchio della mercificazione della nostra esistenza. C’è qualcuno che se ne possa chiamare fuori? Ci sono forse territori in Italia che si siano salvati? Pensiamo, per fare l’esempio più eclatante, a quanto è avvenuto e sta avvenendo in Val D’Orcia e la sua trasformazione in villaggio turistico, così come denunciato nel giugno del 2023 da Alessandro Calvi. Il ristoro sorto in prossimità della cappellina di Vitaleta che cosa ci dice? Nel mio lavoro sostengo che il paesaggio che giudichiamo a sua volta ci giudica. E giudica proprio ciò che esso manifesta e mostra di noi: atomizzazione, parcellizzazione e zonizzazione di una esistenza succube di un sistema che considera la stessa esistenza merce di scambio: lavoro alienato in cambio di consumo, non importa di che cosa, anche di paesaggio. Non si tratta di un gioco di proiezione che parte da me, esce da me e si cristallizza in ciò che è fuori di me. Ma è ciò che è fuori di me, per come esso è, per come lo abbiamo miseramente ridotto, per le ferite che esso porta, che parla di me/di noi. Neppure i Parchi Nazionali si sottraggono a questo processo. E non per le ferite che essi portano materialmente (benché ce ne siano), ma per le ferite che essi sono chiamati a curare, cioè per il desiderio di fuga da contesti urbani e ibridi (come quello in cui si è ridotta la Valpolicella) che essi sono chiamati a soddisfare. Insomma, tanto più ci sentiamo fuori posto nel paesaggio in cui non ci riconosciamo più, quanto più forte è il desiderio di fuga da quello stesso posto anche se una fuga del tutto immaginaria. Un desiderio che però muore nelle camere della nevrosi se non si trasforma in presa di coscienza di voler rompere le catene che ci costringono a sentirci fuori posto, in perenne fuga da noi stessi, in perenne ricerca di un posto dove sentirsi in armonia con tutto ciò che ci circonda, uomini inclusi. Imparare a resistere percettivamente è appunto un rimettersi in cammino per fare di tutto ciò che il paesaggio rimanda di negativo in termine di attentato alla sua bellezza, un campo di esercizio dove forgiare uno sguardo altro: uno sguardo dissidente, che non fa più sconti al percepire gregario in cui siamo piombati, che non si concilia con ciò che lo circonda, uno sguardo da dis-adattati

Mercificazione del territorio significa anche “venderlo” al turismo mordi e fuggi. Ha mai riflettuto sul fregio de I Borghi più belli d’Italia? Se è vero che da un lato il turismo può migliorare l’economia di un piccolo Comune (in verità solo di chi ha attività commerciali, salvo tassa di soggiorno), altrettanto è reale che la vita dei residenti del borgo, per alcuni mesi all’anno e talvolta l’anno intero, viene stravolta nei suoi abituali ritmi, nei rumori diurni e notturni, nelle attività pratiche quotidiane, banalmente stare più a lungo in fila al panificio

La costruzione di Monteleone21 (Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella) – Foto: Archivio G.F. (tutti i diritti riservati)

G.F.: – Lo sa che anche qui in Valpolicella c’è uno dei Borghi più belli d’Italia? E’ San Giorgio di Valpolicella. E’ nella lista dei ‘salvati’ (la chiamo così) dal 2016. Si trova nel Comune di Sant’Ambrogio di Valpolicella. Lo stesso Comune dove è in costruzione Monteleone21 della Masi Spa….E vuole saperne un’altra? Nell’ultimo Consiglio Comunale del 29 marzo 2024 l’amministrazione uscente di Roberto Albino Zorzi (centro-destra in carica dal 2019) ha adottato un P.A.T. (Piano di Assetto del Territorio) che prevede, fra gli altri, un ulteriore consumo di suolo per 120.000 metri quadrati (ma non è detto che, a partita chiusa, non siano molti di più, come sa l’urbanistica è l’urbanistica…) e, a dimostrazione dell’amore di questa amministrazione per l’ambiente, una nuova pista ciclabile nella bellissima oasi di protezione faunistica di Ponton, lungo la riva dell’Adige. Vede a che cosa può servire l’etichetta “I Borghi più belli d’Italia”? L’amministrazione Zorzi vanta di avere in casa uno dei borghi più belli d’Italia. Ma nella realtà delle cose, a P.A.T. adottato, il borgo lungi dall’essere la carta d’identità di una politica locale del territorio volta a una reale tutela del suolo, del territorio, del paesaggio, da cui il borgo nasce storicamente e da cui è nutrito, ma diventa la bella foglia di fico da far mangiare a turisti (e non solo) che di quel contesto in cui il borgo è radicato forse nemmeno sanno l’esistenza, abituati come sono a una percezione che ha perso la capacità di relazionare il particolare al tutto e all’orizzonte… Con “I Borghi più belli d’Italia” funziona come per le belle etichette incollate sulle bottiglie di vino… Che cosa nascondono quelle etichette? Eppure sono così belle a vedersi… Ma che valore ha quella bellezza confezionata se dietro a essa si celano sbancamenti collinari, vigneti industriali, fitosanitari e via di questo passo? Siamo sicuri che l’etichetta “I Borghi più belli d’Italia” non faccia subire alla bellezza di cui i borghi si fanno messaggeri una distorsione semantica tanto da renderla una finzione e una menzogna a cielo aperto? Sì, perché se andiamo a indagare ciò che quella bellezza nasconde e produce come effetti collaterali o di come essa può essere strumentalizzata e sfruttata, scopriamo che essa non può essere altro che ipocrita. E così mi mette tristezza leggere lo storytelling riportato nel sito internet dell’Associazione “I Borghi più belli d’Italia”. Come triste è essere arrivati al punto di dover redigere una “Carta di Qualità” per far sì che un borgo possa essere ammesso alla lista dei ‘salvati’. Ma mi chiedo, serve un DOCG anche per il nostro patrimonio di arte, di storia, di cultura? Ed è ancora più triste farmi prendere dal bavero della retorica dell’eccellenza, della lentezza, di un tempo fuori dal tempo, dell’avvicendarsi delle stagioni, della genuinità e amenità varie, propinata dal sito dell’Associazione. Così come non sopporto farmi passare da turista che sono mio malgrado come un “azionista della Bellezza”. Ma stiamo scherzando? Come se i borghi più belli d’Italia fossero titoli da quotare in borsa o fossero per davvero delle oasi paradisiache esenti dalla profonda alienazione in cui continuamente viviamo. Un’alienazione che per chi ha la fortuna/sfortuna di abitare in uno di questi borghi più belli d’Italia non fa che esacerbare, messo/a/* com’è nella condizione di dover sopportare un turismo di massa sempre più volgare e onnivoro… Mi permetta di chiudere tornando al caso di San Giorgio di Valpolicella. Ci torno per amore di verità di una bellezza altra, non di quella frutto di aggressioni al territorio. Prima che il nostro borgo fosse iscritto alla lista dei ‘salvati’, la precedente amministrazione retta da Nereo Destri, di cui Roberto Albino Zorzi era assessore all’urbanistica, fece pavimentare la piazza di San Giorgio. E quella bella pavimentazione chi la pagò mai? Una società immobiliare! Siamo in Veneto o no? Nulla di illegale, ci mancherebbe! E un P.I.R.U.E.A. (Programma Integrato di Riqualificazione Urbanistica, Edilizia e Ambientale) è sempre un P.I.R.U.E.A… E fu così che un campo di vigne passò a area edificabile… Ora quel campo non esiste più. La variante, naturalmente, mica poteva essere gratuita! Ci ha pensato la pavimentazione a regolare tutto. E i turisti? Loro che ne sanno di varianti, di P.I.R.U.E.A. e di cementificazione del campo? Passeggiano sulla piazza ignari di tutto, godono della sua bellezza, bevono lo storytelling immersivo di trovarsi in uno dei borghi più belli d’Italia… C’è un bel libro che le consiglio per capire dove siamo arrivati con questa storia dei borghi più belli d’Italia. E’ un volume collettaneo pubblicato da Donzelli nel 2022. Il titolo dice già tutto: Contro i borghi. Il Belpaese che dimentica i paesi.

Le amministrazioni comunali non sono sensibili alla protezione, con più accezioni del termine, dei propri territori?

La copertina del volume – Libreria Editrice Fiorentina (2024)

G.F.: – Troviamo in Italia un’amministrazione che non sia sensibile alla protezione del proprio territorio? Lo sono tutte! Lo sono a parole e anche sulla carta. Infatti le narrazioni raccontate dai PAT sono sempre quelle, da Nord a Sud Italia. Sempre la stessa nenia: sostenibilità, tutela, valorizzazione, ecc. Sembra quasi che i PAT e i Piani territoriali paesistici regionali siano uno il copia-incolla dell’altro. Dopo, non si sa perché, oppure lo sappiamo, lo sappiamo così bene che non ci facciamo più caso, tanto che sintomo di questo non farci più caso è smettere di andare a votare, ci troviamo a vivere in un paesaggio offeso e umiliato; un paesaggio la cui storia materiale parla il linguaggio del far schèi, dell’affarismo e di “un’urbanistica contrattata” che ha soggiogato l’agire politico a scapito degli interessi delle comunità.

E a livello regionale/statale? Quale modello di salvaguardia del paesaggio, della natura e del benessere dei cittadini, si dovrebbe attuare per invertire la tendenza?

G.F.: – L’unico modello di salvaguardia del paesaggio, della natura e del benessere dei cittadini si chiama decrescita dei consumidecrescita energetica, uscita dal sistema neoliberista attuale, smantellamento della logica di sfruttamento delle risorse a tutti i livelli, riduzione della nostra impronta ecologica. Il che vuol dire cambiare radicalmente il nostro stile di vita e di consumi. Non ci sono alternative. Impossibile pensare che ciò sia appannaggio di chi ci governa. Impossibile! Chi ci governa è piegato a una economia della crescita che ci sta portando dritti all’auto-distruzione. Per la cura del nostro paesaggio penso che in questo momento il passo più importante da compiere a livello nazionale sia l’approvazione urgente della legge di contrasto al consumo di suolo e l’approvazione altrettanto urgente di piani regionali di localizzazione per una transizione energetica sganciata però dall’attuale logica della crescita, pena la copertura dell’Italia di impianti fotovoltaici e di impianti eolici (e ancora non basterebbe). Dobbiamo scongiurare in nome di un’altraeconomia lo “sterminio dei campi” di cui parlava il poeta Andrea Zanzotto; sterminio che l’attuale PNRR sta ‘regalando’ agli italiani.

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https://www.youtube.com/watch?v=A0yq8OJ2Qp8 (dal minuto 30.44 si può visionare il rendering di Monteleone21).

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Nature Restoration Law, appello di 31 associazioni: “Stiamo perdendo un’opportunità, il Governo cambi rotta” http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/nature-restoration-law-appello-di-31-associazioni-stiamo-perdendo-unopportunita-il-governo-cambi-rotta/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2024/04/nature-restoration-law-appello-di-31-associazioni-stiamo-perdendo-unopportunita-il-governo-cambi-rotta/#respond Mon, 22 Apr 2024 21:49:33 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16499 “I benefici che deriverebbero dal ripristino della natura sono in media 10 volte superiori ai costi”.

Oggi l’appello di 31 associazioni alla presidente Giorgia Meloni e al ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin: l’Italia cambi posizione e sostenga la legge. Il Forum Salviamo il Paesaggio aderisce all’appello e sostiene le iniziative in difesa della Nature Restoration Law

L’Italia cambi la sua posizione e sostenga la Nature Restoration Law, la legge sul ripristino della natura in grado di rigenerare la biodiversità, mettere in sicurezza il territorio, contribuire alla soluzione della crisi climatica e a un futuro più sostenibile per economia e società.

E’ il cuore dell’appello che 31 associazioni lanciano oggi, in occasione della Giornata della Terra 2024, che si unisce a quello di numerose altre associazioni europee ai loro governi.

Dopo la mancata approvazione, il 22 marzo scorso, della legge da parte del Consiglio europeo, che doveva sancire la conclusione del lungo percorso che aveva portato alla sua approvazione da parte del Parlamento europeo lo scorso 27 febbraio, ora il rischio, tra elezioni europee incombenti, fake news e interessi di parte, è quello di perdere questa opportunità, proprio nel momento in cui ne abbiamo più bisogno.

La legge sul Ripristino della natura, in realtà – sostengono le associazioni – porterebbe benefici straordinari, oltre che alla biodiversità e alla lotta ai cambiamenti climatici, proprio ai territori, all’agricoltura, alla pesca e all’economia tutta, smentendo la narrazione anti-ambientale di alcuni gruppi politici e organizzazioni agricole.

In termini economici – spiegano le associazioni – i benefici che deriverebbero dal ripristino della natura sono in media 10 volte superiori ai costi. Ad esempio, per l’agricoltura la presenza di piccoli spazi naturali ridurrebbe l’uso della chimica e migliorerebbe rese agricole e salute del suolo, a beneficio della biodiversità, delle aziende agricole e della società in generale”.
Inoltre, riportare più natura nel territorio, piantare alberi nelle aree urbane, restituire ai fiumi spazi più ampi dove farli scorrere senza fare danni ridurrebbe i rischi di alluvioni e altre catastrofi naturali, con grandi benefici economici e di salvezza di vite umane.

A ciò si aggiungono gli effetti positivi che l’applicazione di questa legge avrebbe sul clima poiché habitat marini, forestali e delle zone umide in salute trattengono e assorbono CO2 e altri gas climalteranti, mitigando l’aumento delle temperature, che ogni anno si fanno sempre più estreme.

“Per tutti questi motivi – sostengono le 31 associazioni – chiediamo al Governo italiano, la cui posizione è determinante per le sorti della legge sulla Nature Restoration law, di rivedere la propria decisione contraria alla legge e sostenerne l’approvazione. Non si assumano la presidente Meloni e il ministro Pichetto Fratin la responsabilità di affossare un provvedimento così prezioso. Ne va del nostro futuro”.

Le associazioni organizzano oggi dalle 12,30 alle 13,30 un Twitt storm su X per coinvolgere i cittadini nella richiesta al Governo di approvazione della Nature Restoration Law. #WeAreNature #RestoreNature #earthday

Elenco delle associazioni aderenti
1. Actionaid
2. AIDA – Associazione Italiana di Agroecologia
3. AITR – Associazione Italiana Turismo Responsabile
4. Altura
5. Apinicittà aps
6. CIPRA
7. CIRF – Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale
8. Cittadini per l’Aria
9. CIWF Italia
10. ENPA
11. Federbio
12. Forum Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori
13. Free Rivers
14. Greenpeace Italia
15. ISDE
16. Italia Nostra
17. LAV
18. Lega abolizione caccia – LAC
19. Legambiente
20. Lipu – BirdLife Italia
21. MareVivo
22. mountainwilderness.it
23. OIPA
24. Pro Natura
25. Rete Semi Rurali
26. Slow food Italia
27. Terra!
28. The good lobby
29. Touring club Italia
30. VAS – Verdi Ambiente e Società
31. WWF Italia

Foto in copertina: Lipu

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