www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog Forum italiano dei movimenti per la difesa del paesaggio e lo stop al consumo di suolo Sat, 23 Sep 2023 15:48:38 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.8.7 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/wp-content/uploads/2011/08/cropped-logo_salviamoilpaesaggio-32x32.jpg www.salviamoilpaesaggio.it http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog 32 32 Il 39,8% dei reati ambientali in Italia è legato al ciclo illegale del cemento http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/il-398-dei-reati-ambientali-in-italia-e-legato-al-ciclo-illegale-del-cemento/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/il-398-dei-reati-ambientali-in-italia-e-legato-al-ciclo-illegale-del-cemento/#respond Sat, 23 Sep 2023 05:03:49 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16068 Il Rapporto Ecomafia 2023 di Legambiente fa il punto sulla criminalità ambientale nel nostro Paese e denuncia la crescita degli illeciti legati al cemento

di Maria Cariota

Le violazioni delle norme poste a tutela dell’ambiente continuano a crescere. Considerando l’anno 2022 esse sfiorano quota 100.000 (97.716 quelle contestate). Di queste i reati contro l’ambiente accertati sono 30.686, in lieve crescita rispetto al 2021 (+0,3%), alla media di 84 reati al giorno, 3,5 ogni ora. Mentre gli illeciti amministrativi toccano quota 67.030 (con un incremento sul 2021 del 13,1%). Il fatturato illegale resta stabile a 8,8 miliardi di euro. A certificarlo è il Rapporto Ecomafia 2023, realizzato dall’Osservatorio nazionale Ambiente e legalità di Legambiente sulla base dei dati forniti dalle Forze dell’ordine e dalle Capitanerie di porto, pubblicato nel luglio 2023, edito da Edizioni Ambiente.

Ciclo illegale del cemento, reati contro la fauna e ciclo dei rifiuti sono le tre principali filiere su cui nel 2022 si è registrato il maggior numero di illeciti. A farla da padrone sono gli illeciti relativi al cemento illegale (abusivismo edilizio ed appalti) che ammontano a 12.216, pari al 39,8% del totale, con una crescita del 28,7% rispetto al 2021. In questo ambito crescono del 26,5% le persone denunciate (sono 12.430), del 97% le ordinanze di custodia cautelare (65), addirittura del 298,5% il valore dei sequestri (1.530) e delle sanzioni amministrative, per oltre 211 milioni di euro.

Campania, Puglia e Sicilia le Regioni più colpite

La Campania si conferma al primo posto per numero di reati legati al cemento (ben 1.747, pari al 14,2 % del totale nazionale, con un incremento del 31% rispetto al 2021), persone denunciate (1.855) e sequestri (283). Seguita dalla Puglia, con 1282 reati (10,5% del totale), 1.370 persone denunciate e 281 sequestri. Terza la Sicilia, con 1.057 reati (8,7% del totale), 1.036 persone denunciate e 141 sequestri. L’Emilia Romagna sale in classifica, con 553 reati accertati (+ 127% rispetto all’anno precedente). A livello provinciale Avellino si conferma quella con più reati (445), seguita da Napoli e Cosenza.

Ciclo illegale del cemento – Fonte: elaborazione Legambiente su dati Forze dell’Ordine e Capitanerie di porto

Cresce l’abusivismo edilizio

Viene stimato in crescita, da 1,8 a 2 miliardi di euro, anche il business dell’abusivismo edilizio. Una piaga che, tra costruzioni ex novo e ampliamenti significativi, produce migliaia di case ogni anno, devasta i luoghi più belli del Paese e si lega a doppio filo alle cave fuorilegge, alla movimentazione terra, al calcestruzzo e alle imprese dei clan.

Secondo il Rapporto Bes 2022: il benessere equo e sostenibile in Italia i numeri del cemento abusivo sono preoccupanti: in base alle stime del Cresme la proporzione fra nuove abitazioni abusive e autorizzate è di 15,1 ogni 100. L’abusivismo edilizio colpisce soprattutto il Sud, con 42,1 abitazioni abusive ogni 100 autorizzate (36,3 nelle Isole). Nelle regioni del Sud la maggior parte delle case illegali non viene abbattuta. Secondo l’indagine di Legambiente sulle demolizioni edilizie riportata nel dossier Abbatti l’abuso 2021 dal 2004 al 2020 è stato abbattuto solo il 32,9% degli immobili colpiti da un provvedimento amministrativo, con profonde differenze tra le regioni: in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria sono state eseguite solo il 17,4% delle ordinanze di demolizione emesse; cioè cinque volte su sei l’abusivo ha la quasi matematica certezza di farla franca.

Mafia e corruzione

Il Rapporto Ecomafia 2023 evidenzia che ciclo illegale del cemento non vuol dire solo costruire dove non si può, ma anche appalti truccati, opere dai costi esorbitanti per alimentare giri di mazzette, corruzione e speculazioni immobiliari con le carte truccate. La distinzione tra l’operato delle famiglie mafiose tradizionali e quello dei sodalizi criminali tra grandi imprese e mala politica si è ormai fatta sempre più labile.

I numeri sulla corruzione ambientale preoccupano: considerando non solo il cemento ma anche i reati contro la fauna, quelli legati ai rifiuti, ai roghi, al settore agroalimentare e all’archeomafia Legambiente dal 1° agosto 2022 al 30 aprile 2023 ha censito 58 inchieste su fenomeni di corruzione connessi ad attività con impatto ambientale. Ma c’è anche allarme per il numero e il peso dei Comuni sciolti per mafia (nel rapporto ne sono stati analizzati 22) e la crescita dei clan mafiosi (dal 1994 ad oggi sono 375 quelli censiti).

Le decisioni di chi ha responsabilità politiche aggravano il fenomeno

Secondo Enrico Fontana, responsabile dell’Osservatorio ambiente e legalità di Legambiente, questi dati “dovrebbero sollecitare risposte coerenti ed efficaci da parte di chi ha responsabilità politiche e istituzionali. Accade purtroppo spesso il contrario: deregulation, invece di semplificazioni; condoni edilizi più o meno mascherati, invece di ruspe”.  Consentendo la distruzione irreversibile di suolo e paesaggi e sottoponendo a stress ulteriore territori esposti al rischio idrogeologico o sismico.

Tra le soluzioni proposte nel Rapporto viene sottolineata l’importanza della prevenzione e del controllo (ad esempio nell’attuazione del PNRR), di un quadro normativo condiviso su scala internazionale (a fronte di una criminalità che non conosce confini), della revisione del subappalto a cascata introdotto dal nuovo Codice degli Appalti, di una tutela normativa adeguata in tema di agromafie, fauna e accesso gratuito alla giustizia.

Qui ulteriori approfondimenti.

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Continua ad aumentare il consumo di suolo: i nuovi dati OpenPolis http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/continua-ad-aumentare-il-consumo-di-suolo-i-nuovi-dati-openpolis/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/continua-ad-aumentare-il-consumo-di-suolo-i-nuovi-dati-openpolis/#respond Thu, 21 Sep 2023 06:49:31 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16064 di Maurizio Bongioanni

Il suolo è una risorsa vitale per la sopravvivenza del pianeta. Da esso scaturiscono i nostri alimenti, l’acqua che beviamo e le materie prime necessarie per la nostra economia. Tuttavia, il suolo è spesso vittima dell’espansione urbana e industriale, con la copertura artificiale che avanza a scapito della sua produttività. Questo fenomeno ha una serie di conseguenze negative, tra cui l’impermeabilizzazione del terreno, che rende l’ambiente più vulnerabile agli eventi climatici estremi. Nonostante gli obiettivi ambiziosi stabiliti dalla strategia per il suolo dell’Unione Europea, l’Italia continua a lottare per ridurre il consumo netto di suolo, con dati allarmanti che rivelano una crescente copertura artificiale.

Allarme suolo: Italia tra i paesi europei con la maggior percentuale

Nel 2021, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) ha registrato una copertura artificiale di oltre 2 milioni di ettari di terreno in Italia, rappresentando il 7,13% del suolo italiano. Questo dato segna un aumento costante rispetto agli anni precedenti, dal 2006, quando il tasso di copertura era del 6,75%. L’Italia si colloca così tra i paesi europei con la maggiore percentuale di suolo consumato.

In effetti, l’Italia nel 2006 si attestava al 6,75%. Secondo l’ultimo aggiornamento reso disponibile da Eurostat, relativo al 2018, il nostro era il settimo paese in Europa con la quota più elevata. Primi in assoluto tre stati di piccole dimensioni e densamente abitati: Malta (27,5%), Paesi Bassi (12,6%) e Belgio (11,7%).

I numeri italiani

Le regioni settentrionali, le più densamente abitate e industrializzate, sono le più colpite dalla copertura artificiale del suolo. In particolare, la Lombardia con il 12,1%, il Veneto con l’11,9%, e l’Emilia-Romagna con l’8,9% sono le regioni più esposte. Anche alcune regioni del Mezzogiorno, come la Campania con il 10,5% e la Puglia con l’8,2%, e il Lazio con l’8,1% nel centro, mostrano cifre preoccupanti. D’altra parte, regioni come la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige, la Basilicata, la Sardegna e il Molise hanno valori inferiori al 5%.

Un trend in aumento

Come spiegato dai dati OpenPolis, complessivamente, tra il 2020 e il 2021, il suolo consumato è aumentato di 6.334 ettari in Italia. Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte sono le regioni in cui si è verificato il maggior incremento. Ciò mette in evidenza l’urgenza di adottare misure per contenere la copertura artificiale del suolo.

Anche all’interno dei centri urbani, si registra una significativa copertura artificiale del suolo. Tuttavia, alcuni comuni mantengono spazi naturali, come parchi e campagne limitrofe, contribuendo a una variazione significativa nei dati di copertura del suolo da comune a comune.

Dei dieci comuni con la quota più elevata di suolo consumato, nove si trovano nella provincia di Napoli e uno nella provincia di Monza e Brianza. Napoli si colloca al secondo posto in Italia a livello provinciale con una quota del 34,6%, superata solo dalla Brianza con il 40,6%. Nel totale, sono 90 i comuni in cui più del 50% del territorio è coperto artificialmente, con Casavatore in testa con un impressionante 91% di terreno consumato.

In termini assoluti, è il comune di Roma ad avere la copertura artificiale più estesa, con oltre 30.000 ettari di terreno coperto, ma rappresenta solo il 23,5% della superficie totale. Tuttavia, la capitale italiana è anche il centro in cui la copertura artificiale è aumentata di più tra il 2020 e il 2021, registrando un incremento di 95 ettari. Altri comuni come Ravenna (+69 ettari) e Vicenza (+42) seguono a ruota.

L’Italia non è in linea con gli obiettivi europei

L’Italia si trova di fronte a una sfida cruciale nella protezione del suolo e la lotta contro la copertura artificiale. Mentre l’Unione Europea ha stabilito obiettivi ambiziosi per il 2050 (infatti la soil strategy europea prevede che entro il 2050 si azzeri il consumo netto di suolo) il nostro paese deve intensificare gli sforzi per ridurre il consumo netto di suolo e proteggere questa risorsa fondamentale per la nostra sopravvivenza. Le conseguenze negative dell’impermeabilizzazione del suolo richiedono un’azione urgente e coordinata da parte delle istituzioni e della società civile per garantire un futuro sostenibile per le generazioni a venire.

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L’Emilia-Romagna cancella la Valutazione ambientale strategica: il cemento governa http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/lemilia-romagna-cancella-la-valutazione-ambientale-strategica-il-cemento-governa/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/09/lemilia-romagna-cancella-la-valutazione-ambientale-strategica-il-cemento-governa/#respond Wed, 13 Sep 2023 15:27:59 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16061 di Paolo Pileri, da Altreconomia

All’Emilia-Romagna non sono bastati gli argini dei fiumi spazzati via dall’alluvione. La Giunta Bonaccini ha voluto con le sue mani abbattere altri argini, gli unici rimasti a frapporsi tra le ragioni della natura e del suolo e gli artigli del cemento: quelli cioè della Valutazione ambientale strategica (Vas). Il 7 agosto il governo regionale ha infatti approvato una delibera che toglie competenza all’Agenzia ambientale regionale (Arpae): non si pronuncerà più sulle Valutazioni ambientali strategiche dei piani urbanistici comunali (Valsat). Gravissimo. Hanno messo il lucchetto all’agenzia ambientale dove lavorano geologi, agronomi, biologi, ecologi, climatologi, fisici dell’ambiente, insomma tutte quelle competenze preziose per la transizione ecologica che mancano a Province e Comuni e che quindi possono accompagnare, correggere e/o, se occorre, respingere le proposte di trasformazione del suolo fatte dai Comuni.

Un vero e proprio bavaglio, anche umiliante per tutti quegli esperti pubblici che dovrebbero essere valorizzati e ai quali, anzi, andrebbe dato più spazio proprio nelle fasi in cui il piano si forma, per limitare i danni che l’uomo-betoniera continua a fare. La decisione di azzerare la funzione di Arpae è ancor più grave perché avviene qualche mese dopo lo sfascio alluvionale che, sappiamo bene, è stato aggravato di parecchio a causa proprio del super consumo di suolo in questa Regione, nonostante la millantata legge 24/2017 che, solo a detta di quel governo regionale, è la migliore di sempre (ma non è affatto così). Grave anche perché frutto di una Regione governata dal presidente del più grande partito di opposizione teorica alle destre e quindi c’è pure il rischio che venga presa come “buona pratica” politica. Come buona pratica ci saremmo aspettati un rafforzamento degli staff tecnici ed ecologici dell’agenzia ambientale regionale, una stretta ai cordoni dell’urbanistica consumista, un’autoverifica dopo i fatti delle alluvioni, un nuovo corso politico ed ecologico. E invece è arrivata la mannaia della semplificazione (cioè della deroga) che decapita nei fatti la Valutazione ambientale strategica (peraltro voluta dall’Unione europea).

Italia Nostra regionale, onorando la sua missione statutaria e il suo buon nome, ha scritto pochi giorni fa una lettera al presidente Stefano Bonaccini invitandolo ad annullare quella delibera (lo farà? Ne parlerà? Altre associazioni ambientaliste si uniranno alla richiesta di Italia Nostra? Le voci della cultura si faranno sentire?). Nell’attesa andiamo a vedere nel dettaglio i fatti.

Partiamo dalla legge regionale 24/2017 e per la precisione dall’art. 19 comma 4 (scritto in burocratese) nel quale, traduco, si legge che chi fa un piano urbanistico (ad esempio un Comune) deve acquisire il parere di Arpae proprio sui temi della sostenibilità ambientale riguardanti le previsioni di piano. In soldoni, la legge obbliga gli enti locali a tener conto, come è corretto che sia, del parere esterno e qualificato in materia ambientale dell’Agenzia. Se gli enti locali non sono d’accordo con le valutazioni di Arpae devono prendere carta, penna e responsabilità tecnica e politica per motivare il disaccordo. Un atto che obbliga il valutato a prendersi una forte responsabilità qualora voglia opporsi. Tutto questo che, come vedete, è già poca roba per incamminarsi nell’era della conversione ecologica, è stato spazzato via d’imperio dalla Giunta regionale il 7 agosto 2023 con la delibera 1407.

Nel concreto, i punti uno e due della delibera dicono (sempre in burocratese) che gli eventuali pareri di Arpae su piani e varianti non devono comprendere la “valutazione circa la positività o negatività” dei pareri dati da Province e dalla Città metropolitana di Bologna le quali, purtroppo, hanno meno “expertise” ecologico-ambientali rispetto ai tecnici di Arpae e, sappiamo tutti, sono affaticate da un processo di depotenziamento amministrativo dopo l’infelice riforma del Governo Renzi. Insomma: non ce la fanno. La valutazione di Arpae era quindi ancor più fondamentale e, invece, viene silenziata. L’Agenzia non può dire né sì né no, il che equivale a non dire più nulla. Ma la spallata decisiva arriva al punto tre, dove espressamente si mette fuori gioco Arpae dicendo che “nei procedimenti di approvazione dei piani urbanistici comunali e delle loro varianti attivati ai sensi della L.R. n. 24/2017, la previa istruttoria di Arpae ai fini del rilascio del parere motivato di Valsat da parte della Città metropolitana di Bologna e delle Province non è dovuta”. Disastro: fine dell’esistenza di Arpae, fine dell’esistenza di un controllore qualificato e indipendente (e già faticava a esserlo per le pressioni politiche a cui era sottoposto), via libera ai pruriti di cemento locali. Se non è grave questo non so più che cosa lo sia.

A onor del vero una piccola porta l’hanno lasciata aperta: se le Province e la Città metropolitana fanno una convenzione onerosa (tradotto, soldi) con Arpae, allora l’Agenzia può dare dei pareri. Ma sappiamo tutti che le Province sono in sofferenza finanziaria e che ci vogliono mesi per avviare una convenzione. Insomma, è come dire a un indigente che se vuole trovare una casa deve pagare un consulente e pagare pure chi redige la convenzione con il consulente. La porta che hanno lasciato aperta ma di fatto è chiusissima dalla burocrazia e dalla mancanza di denaro, una tattica che conosciamo per dire no nei fatti, ma apparentemente non del tutto.

Detto tutto ciò -che ritengo essere un attacco vero e proprio alla natura, alla cultura della valutazione ambientale e alla cultura ecologica in politica-, c’è da chiedersi che cosa spinga una Regione come l’Emilia-Romagna a uccidere l’ultimo baluardo ambientale che ancora abbiamo. Come possono andare in giro a farci lezioni di transizione ecologica, di leggi perfette e di non consumo di suolo? Anziché usare la loro storia infelice di disastri romagnoli per far girare pagina al governo del territorio ed essere di esempio per tutti, gettano in una stanza buia quel poco di argine al declino che avevano e buttano pure le chiavi a mare. In fondo è proprio vero che il cemento è una livella politica: rende uguali i governi della Lega a quelli del Partito democratico, quelli della destra a quelli della sinistra (o centrosinistra, o come li si chiami). Ultimissima cosa: perché non discutere un fatto di tale grave portata in Consiglio regionale? Vuoi dire che in tutto questo possiamo leggere anche un’erosione della democrazia?

Paolo Pileri è ordinario di Pianificazione territoriale e ambientale al Politecnico di Milano. Il suo ultimo libro è “L’intelligenza del suolo” (Altreconomia, 2022). Questo articolo è stato pubblicato da Altreconomia.it

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La logistica cancellerà i campi di Pernate http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/08/la-logistica-cancellera-i-campi-di-pernate/ Sun, 06 Aug 2023 15:16:41 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16050 Il nuovo polo occuperà un’area più grande del paese. Ma gli abitanti non si arrendono

di Maria Cariota

Nei Rapporti degli ultimi anni sul consumo di suolo elaborati dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente SNPA si evidenzia come la logistica sia diventata una delle principali cause di incremento del territorio consumato in Italia e Novara viene citata tra gli esempi più eclatanti. Eppure la situazione è destinata ad aggravarsi visto che l’amministrazione comunale è intenzionata a continuare a puntare tutto sullo sviluppo del comparto logistico.

La Delibera n. 51 della Giunta Comunale di Novara approvata il 31 gennaio 2023 adotta il Piano Strategico di Sviluppo Industriale che prevede la realizzazione di “Novara Ecologistica”, un mega polo logistico tra il casello dell’autostrada A4 e l’Interporto Centro Intermodale Merci CIM, a nord di Pernate, una frazione di Novara di circa 3.600 abitanti. Circa 11 milioni di euro entreranno nelle casse del Comune di Novara come introiti da oneri di urbanizzazione e opere pubbliche.

Quell’area si presenta oggi come una campagna integralmente coltivata; cento ettari ad elevato grado di fertilità (classe II di capacità d’uso) in cui vengono coltivati riso, mais, soia, sorgo e altri cereali. Questi terreni agricoli verranno distrutti per realizzare quello che sarà uno dei poli logistici più grandi in Italia, che coinvolgerà una superficie di 801.531 mq e sarà costituito daquattro capannoni (con una superficie coperta di 242.223 mq e con il lato a sud lungo un chilometro), piazzali di manovra dei TIR, parcheggi, strade, strutture per servizi, opere di mitigazione. Il centro sarà quindi più grande dello stesso abitato e sorgerà a soli 80 metri dalle case dei pernatesi. I capannoni alti più di 20 metri spegneranno per sempre la visuale sulle montagne.

Come evidenzia il Comitato per Pernate, con il parco agricolo saranno cancellati anche i numerosi fontanili, sorgenti naturali e perenni d’acqua, che sgorga in questi campi per poi essere utilizzata per quelli delle zone limitrofe grazie a una rete di canali, testimonianza storica di secoli passati e ancora oggi perfettamente curati. L’alterazione del profilo di scorrimento dell’acqua superficiale e di falda aumenterà sia la siccità che la criticità nella gestione del deflusso durante eventi estremi. Aumenteranno notevolmente l’inquinamento per il nuovo traffico pesante e l’effetto di isola di calore (nel novarese la temperatura è aumentata di 2,44 gradi rispetto al 1958 contro una media regionale di 1,86 – European Data Journalism Net).

Terreni agricoli che verranno distrutti per costruire il polo logistico a Pernate – ph Comitato per Pernate

La società promette che sarà un progetto “sostenibile”

Il soggetto proponente è la Develog4 srl, società di Milano che sviluppa progetti logistici dall’acquisto dei terreni ai passaggi per ottenere il permesso di costruire, per rivendere successivamente terreni e progetto (la stessa società che ha portato avanti la trasformazione di Trecate).

La società assicura che “Novara Ecologistica” è un progetto sostenibile (“dimenticatevi i grigi capannoni di un tempo” dicono), perché saranno realizzate piste ciclabili e laghetti, gli edifici saranno di colore verde e saranno messe a dimora migliaia di piante in modo da formare un bastione verde che nasconda i nuovi volumi.

Il Comitato per Pernate non si arrende

L’area a nord dell’abitato non deve essere cementificata”, il Comitato per Pernate lo ha ribadito con forza nelle audizioni in Consiglio Comunale e nelle tante iniziative organizzate per informare la cittadinanza sulle tragiche ricadute del nuovo polo sull’ambiente, sulla salute delle persone e sul valore degli immobili. Il Comitato, che era nato nel 2005 per difendere l’abitato dalla cementificazione legata all’insediamento del CIM, da tempo segnala l’urgenza di occuparsi piuttosto del grave rischio idrogeologico che grava sull’abitato di Pernate in seguito alla realizzazione del CIM (costruito nel 1987, oggi secondo terminal intermodale nazionale, si estende su una superficie di 600.000 mq, precedentemente area agricola) che ha sottratto aree alluvionali naturali del torrente Terdoppio; ora la portata di piena massima non passerebbe attraverso i ponti ferroviari di CIM.

L’amministrazione non ha ascoltato la contestazione dei cittadini, che nel tempo è cresciuta sempre di più e a marzo ha respinto una Mozione presentata dalle forze di minoranza del Consiglio Comunale che chiedeva di fare un passo indietro sul progetto. Alla fine di marzo è stato quindi presentato il Ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale, firmato da Associazione i Fontanili di Pernate/Comitato per Pernate, Legambiente, Pro Natura e 53 cittadini (grazie all’autotassazione di molti pernatesi sono stati raccolti 15.000 euro). Il ricorso chiede l’annullamento della Delibera di Giunta n 51/2023, sostenendo che il Piano Regolatore e l’Atto di Indirizzo adottato da più enti nel 2011 prevedono una destinazione d’uso legata all’intermodalità, quindi per realizzare logistica sarebbe necessaria una Variante, che dovrebbe essere approvata dal Consiglio Comunale e che dovrebbe adeguarsi al nuovo Piano Paesaggistico Regionale, il quale condiziona i nuovi impegni di suolo a fini diversi da quelli agricoli alla dimostrazione dell’inesistenza di alternative.

Novara punta tutto su infrastrutture e logistica

Chi governa Novara è deciso a “potenziare la rete stradale e sostenere la logistica avanzata”, per cogliere le opportunità legate alla sua collocazione sull’intersezione dei corridoi Lisbona – Kiev (Ovest Europa-Est Europa) e Rotterdam – Genova (Centro Europa-Sempione-Mediterraneo). Per assecondare questa “vocazione” un’ampia parte del territorio è già scomparso. Preziosi terreni agricoli sono stati cancellati a San Pietro Mosezzo (200.000 mq, dove è stato da poco inaugurato il più grande insediamento europeo di FedEx), Agognate (198.000 mq, stabilimento Amazon), Trecate (400.000 mq, polo della Kering). Altri è previsto che vangano presto cancellati: a Cameri (152.000 mq polo logistico), Corso Vercelli (615.000 mq logistica e grande distribuzione), strada Briandrate (87.500 mq logistica), allargamento del parcheggio di Amazon ad Agognate, la nuova superstrada a quattro corsie che collegherà Novara e Vercelli aprirà molto probabilmente la via a nuovi insediamenti logistici; si stanno inoltre cercando aree che dovrebbero fungere da base di supporto a Malpensa.

Ad attirare nel novarese gli operatori della logistica non è soltanto la posizione ma anche i prezzi molto bassi dei terreni e, in questo caso, persino la possibilità di espropriare i proprietari dei terreni.  A Trecate e a San Pietro Mosezzo gli sviluppatori hanno rivenduto a prezzo di mercato con margini di profitto elevatissimi.

Il Comitato per Pernate a settembre proseguirà con i presidi sotto il Municipio, le riunioni settimanali, le manifestazioni, la raccolta firme cartacea e quella on line, il ricorso al Tar. Proseguiranno anche gli incontri con esperti. Lo scorso maggio ha organizzato un convegno in cui il climatologo Luca Mercalli ha definito un crimine cementificare la campagna di Pernate, nella pianura italiana che ha i suoli più buoni del mondo e ha segnalato: “Viola palesemente l’articolo 41 della nostra Costituzione, perché lede l’ambiente e le condizioni di vita delle generazioni future, per il semplice motivo che vengono eliminati tutti i servizi ecosistemici, viene peggiorato il cambiamento climatico e il ciclo idrologico e impedita la produzione di cibo”.

Per seguire il Comitato per Pernate ed ulteriori info:

comitatoperpernate.it

https://www.facebook.com/comitatoperpernate

https://www.facebook.com/IFontanilidiPernate.rev2016

https://www.facebook.com/groups/274903232630072

Manifestazione del 1° aprile 2023

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La legge piemontese impugnata dal Consiglio dei Ministri torna a correre in consiglio regionale http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/la-legge-piemontese-impugnata-dal-consiglio-dei-ministri-torna-a-correre-in-consiglio-regionale/ Fri, 28 Jul 2023 11:40:01 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16046 Il Coordinamento dei Comitati piemontesi del Forum “Salviamo il Paesaggio – Difendiamo i Territori” – congiuntamente a Pro Natura Piemonte, Italia Nostra Piemonte e Legambiente Piemonte – ha provveduto a trasmettere all’amministrazione regionale un documento in cui si evidenziano i rischi derivanti dal non voler approvare le modifiche alla L.R. 31 maggio 2022 n. 7 (“Norme di semplificazione in materia urbanistica ed edilizia”) così come concordate con gli Uffici ministeriali (Disegno di legge regionale 267/2023 presentato dalla stessa Giunta regionale lo scorso 15 giugno) al fine di eliminare le pesanti questioni di legittimità costituzionale persistenti.

Le Associazioni Ambientaliste avevano tempestivamente osservato come la legge in oggetto ignori gli obblighi di pianificazione in coerenza con il Piano Paesaggistico Regionale – frutto di una concertata intesa tra Stato e Regione – di cui più e più volte il provvedimento del Consiglio dei Ministri del 28/07 ricorda come debba essere rispettato e attuato e non possa essere scavalcato da una normativa unilaterale, frutto di una legge regionale che viola anche altri principi, cioè quelli che hanno devoluto, innanzitutto, alle autonomie locali, in primis ai Comuni, le competenze e gli obblighi pianificatori.

Già impugnata lo scorso anno dal Governo con una apposita Delibera del Consiglio dei Ministri, la norma è ora avviata in Commissione regionale per l’approvazione di una serie di modifiche, proposte dal Consigliere regionale Marin, che non sembrano però rispondere ai profili di incostituzionalità segnalati e favoriscono così la concreta eventualità di un intervento della Corte Costituzionale e di possibili ingenti richieste di risarcimento danni da parte di chi nel frattempo dovesse avere utilizzato la legge (che – è opportuno ricordarlo – risulta attualmente in vigore, nonostante i gravi richiami del Governo).

Si tratta, pertanto, di una situazione particolarmente delicata sia sotto il profilo giuridico ed urbanistico-ambientale e sia sotto quello finanziario, che le associazioni hanno approfondito nella nota evidenziando effetti e problematiche conseguenti ad una eventuale sentenza di incostituzionalità emessa dalla Corte Costituzionale sulle norme impugnate della L.R. 31 maggio 2022 n. 7. Il tentativo di vanificarne i contenuti del P.P.R. attraverso una legislazione derogatoria e liberalizzatrice si rileva un metodo di governo pericoloso e incostituzionale. Il Governo Regionale e l’intero Consiglio Piemontese devono farsene una ragione: governare è innanzitutto operare con coerenza rispetto ad un quadro normativo sovraordinato che non può e non deve essere ignorato.

In conclusione, ricordando le responsabilità individuali degli amministratori per eventuali prevedibili danni che potrebbero ricadere sulle spalle degli operatori (privati e pubblici) “legiferando per tentativi”, si provveda a promulgare il Disegno di legge regionale n. 267 così come ora formulato e concordato con i competenti Uffici ministeriali, al fine di non far rischiare ulteriormente gli ignari utilizzatori delle norme impugnate.

A questo auspichiamo, per questo ci rivolgiamo al Governo Regionale, al Suo Presidente, ai Gruppi Consiliari, ai singoli Consiglieri, alle Associazioni dei Comuni: ANCI ANPCI e UNCEM affinché sappiano abbandonare l’illusorio pericoloso percorso di una legislazione in “deroga”, a favore invece di una seria e coerente pianificazione urbanistica che veda messa al centro l’identità della terra piemontese, con la sua ricchezza di ambienti e di paesaggi da conservare e valorizzare. E comporti certezza del diritto.

Qui il testo integrale trasmesso a tutti gli Enti interessati alla norma in discussione.

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Cave di Casorezzo: dopo le querele, la battaglia continua fuori dai tribunali http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/cave-di-casorezzo-dopo-le-querele-la-battaglia-continua-fuori-dai-tribunali/ Thu, 27 Jul 2023 09:55:21 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16043 di Giuliana Cislaghi, Comitato Salviamo il Paesaggio Casorezzo.

Come tutti o quasi sanno, da circa venticinque anni a Casorezzo, paese a nord ovest di Milano, si combatte una battaglia contro delle cave che regolarmente vengono trasformate in discariche di rifiuti di ogni genere. L’area estrattiva interessata è quella a confine tra Casorezzo e Busto Garolfo, 70 ettari di terreni agricoli in cui dal 1969 sono stati scavati oltre due milioni e mezzo di metri cubi di suolo e sottosuolo. Nei fatti, per le aziende che si sono succedute nella proprietà dell’ATE, da Ecodeco a Ecoter a Vibeco- Solter, le attività di scavo sono sempre state solo funzionali al più lucroso affare dei rifiuti attraverso la creazione di discariche, dribblando abilmente la lacunosa normativa nazionale e regionale in materia nonché le pianificazioni territoriali compiacenti  come i piani cave provinciali.

La popolazione casorezzese ha sottolineato ripetutamente le elevate criticità ambientali e le irregolarità degli innumerevoli atti autorizzativi, contrastandoli pubblicamente e nelle sedi istituzionali; negli ultimi dieci anni il contrasto ha riguardato principalmente il progetto della quarta discarica in territorio di Busto Garolfo, che inizialmente avrebbe dovuto essere riempita con amianto e poi definitivamente con rifiuti speciali (circa 150 CER). Il Comitato Salviamo il Paesaggio Casorezzo ha cercato di contrastare da subito anche le attività di un’altra discarica presente nell’area, chiusa infine nel 2022 dopo 26 anni dalla prima autorizzazione.

In aggiunta alle manifestazioni di piazza, alle assemblee pubbliche, agli articoli di stampa e agli aggiornamenti social, i Cittadini e l’Amministrazione hanno contrastato quest’ultimo progetto con ampie e documentate osservazioni alle conferenze dei servizi e con ricorsi ai Tribunali amministrativi contro la Ditta proponente e l’Ente autorizzante, cioè Città Metropolitana di Milano (ex Provincia di Milano): si contano infatti 14 ricorsi al TAR e al Consiglio di Stato da parte dei Comuni di Casorezzo, Busto Garolfo e Parco del Roccolo e 10 ricorsi più una Mediazione ambientale per Comitati, Associazioni, Cittadini, oltre a svariate istanze di prelievo e di sospensiva cautelare. Con sei sentenze favorevoli e otto contrarie, tra cui le ultime due del maggio scorso, tutti i ricorsi in Consiglio di Stato ancora pendenti, i lavori per la costruzione della discarica mai interrotti e quasi finiti, possiamo considerare che l’assalto alla diligenza sia stato infruttuoso oltre che costoso.

La lettura delle sentenze, favorevoli e sfavorevoli, e soprattutto delle memorie difensive presentate da Città Metropolitana, lascia una profonda inquietudine. In tutti i casi il pensiero della gente e delle Istituzioni del territorio viene trattato con superficialità e supponenza, bollato ripetutamente come NIMBY, le argomentazioni ambientali e economiche superate con nonchalance, il grave conflitto istituzionale ignorato. L’ultimo ricorso dei Comuni e Parco del Roccolo è stato infatti sostenuto ad adiuvandum da altri ventuno Comuni del territorio; se si sommano questi ventuno ai sei Comuni appartenenti al Roccolo, abbiamo ben ventisette Amministrazioni comunali che osteggiano l’Ente sovralocale a cui appartengono, ovvero il 20% dei 133 Comuni che compongono Città Metropolitana di Milano, nel cui ultimo bilancio sono contem- plati i soldi per le spese legali sostenute, e da sostenere,  contro i Comuni stessi.

Risulta evidente l’accordo a monte tra chi rilascia le autorizzazioni e il privato proponente che non ha nemmeno bisogno di difendersi. Prova ne sono le tre autorizzazioni reiterate in un solo anno dopo che due sentenze favorevoli ne avevano annullata la validità. Sentenze che contenevano i giusti suggerimenti per superare le opposizioni.

Che dire? No, dire o dichiarare fatti inconfutabili non si può. Pena vigliacche querele per diffamazione da centinaia di migliaia di euro, come è capitato poche settimane fa al Sindaco di Casorezzo.

Che fare? I giochi devono necessariamente continuare fuori dalle aule dei Tribunali amministrativi, alla ricerca di quella ‘pistola fumante’ che dimostri a chi di dovere i probabili danni ambientali provocati nel tempo dalle discariche; danni che, se dimostrati, potrebbero portare (il condizionale è d’obbligo) al sequestro dell’area e alla fine delle attività che vi si svolgono.

Noi del Comitato SIP Casorezzo abbiamo continuato a chiedere agli Enti competenti di aprire anche a consulenti terzi le indagini ambientali per la chiusura della vecchia discarica e di effettuare una approfondita caratterizzazione di tutta l’area estrattiva prima di autorizzare la nuova discarica; le risposte ricevute sono state elusive e, a nostro parere, poco trasparenti. Pertanto decidemmo di provare a fare noi quei controlli che ritenevamo dovessero essere fatti con le modalità che prevede la legge.

Nell’estate scorsa incaricammo, in accordo con il Sindaco di Casorezzo, un qualificato studio di consulenze chimiche forensi ad effettuare delle autonome indagini qualitative della falda acquifera, da tre pozzi usati per l’irrigazione dei campi, pescanti a livello della prima falda (20-30 metri dal livello del suolo), situati a monte e a valle (sud e sud-est) rispetto all’area estrattiva Rg17 e alle sue discariche. I risultati ci pervennero nel dicembre successivo allegati alla relazione tecnica in cui veniva certificato un elevatissimo inquinamen- to da cromo e cromo VI nel punto di prelievo del campo sportivo comunale di Casorezzo, posto a sud-est rispetto all’area di cava, nella direzione di falda proveniente dalla cava stessa.

A quel punto il Sindaco Oldani, informato dei risultati delle analisi, ha correttamente passato la pal- la agli organi di controllo per la ricerca della fonte del grave inquinamento, chiedendo una indagine di area vasta con la partecipazione di tecnici di parte comunale; a oggi i suddetti organi di controllo (Città Metropo- litana, ARPA) stanno tergiversando . In compenso la Ditta ha deciso di scrivere una querela per dichiara- zioni fatte dal Sindaco tre anni prima, guarda caso subito dopo la conferenza stampa in cui congiuntamente informavamo dell’inquinamento da cromo esavalente.  Diffamazione o intimidazione?

Il suolo con la sua immensa biodiversità, l’aria, l’acqua, sono gli elementi che permettono la vita dell’uomo sulla terra, sono quei beni comuni che devono essere preservati e tutelati evitandone la preda- zione in nome del profitto di pochi.

La battaglia di Casorezzo, nel suo piccolo, esprime questi principi. NIMBY? Why not!

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Coalizione Art 9. risponde alle associazioni rinnovabiliste sul consumo di suolo dovuto al fotovoltaico a terra http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/coalizione-art-9-risponde-alle-associazioni-rinnovabiliste-sul-consumo-di-suolo-dovuto-al-fotovoltaico-a-terra/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/coalizione-art-9-risponde-alle-associazioni-rinnovabiliste-sul-consumo-di-suolo-dovuto-al-fotovoltaico-a-terra/#comments Tue, 25 Jul 2023 11:09:19 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16041 di Coalizione Art.9

Le associazioni che si riconoscono nella Coalizione Art. 9 notano l’appiattimento, da un paio di decenni, di una parte dell’ambientalismo italiano sulla questione energetica, e in particolare sulle rinnovabili, senza mantenere la terzietà che invece va riconosciuta ad ISPRA. Infatti, 12 associazioni ambientaliste, tra cui Greenpeace Italia, Kyoto Club, Legambiente Italia, e WWF Italia, contestano l’annuale rapporto redatto dall’Istituto Superiore Protezione e Ricerca Ambientale perché annovera il fotovoltaico a terra tra le forme di consumo di suolo. Secondo queste associazioni, il FV, pur occupando il territorio, non consumerebbe suolo. Al contrario, lo preserverebbe, in diversi casi, “da usi ben peggiori” e non produrrebbe in questi “alcun impoverimento di nutrienti, humus, biodiversità”.

A parte l’assurdità di considerare ipotetici futuri usi peggiori un motivo per coprire il suolo con pannelli solari, esistono molti studi che dimostrano il contrario: solo per rimanere in Italia, uno studio dell’Università della Tuscia, pubblicato su Science Direct nel giugno del 2022 (cliccare qui per leggere l’articolo) ha paragonato le proprietà fisiche, chimiche e biologiche di un terreno coperto per 7 anni da pannelli fotovoltaici con uno limitrofo non coperto e i risultati attestano una variazione della fertilità del suolo con significativa riduzione della capacità di ritenzione idrica e della temperatura del suolo, oltre all’aumento della conducibilità elettrica (EC) e del pH. Sotto i pannelli, la materia organica del suolo è stata drasticamente ridotta, inducendo una parallela diminuzione dell’attività microbica (valutata come respirazione o attività enzimatica) e della capacità di sequestro della CO2. Ne consegue dunque una drastica riduzione dei servizi ecosistemici che le porzioni di suolo occupate per più anni dai pannelli fotovoltaici sono in grado di erogare. Una futura riconversione ad uso agricolo potrebbe richiedere molto tempo e risorse.

L’Agenzia Europea dell’Ambiente definisce consumo di suolo non solo l’estensione di aree edificate ma anche quella dei terreni soggetti a sfruttamento, soprattutto intensivo, da parte dell’agricoltura, della silvicoltura o di altre attività economiche. Una definizione che rimanda al concetto di “suolo naturale” che la copertura fotovoltaica compromette per decenni (si veda EEA Glossary)  Come si può pretendere che ISPRA venga meno alla definizione di consumo del suolo formulata ufficialmente dall’Agenzia Europea dell’Ambiente, che è la “casa madre” delle agenzie di protezione ambientale dei paesi membri dell’Unione Europea?

Le 12 associazioni contestano anche che si possa fare a meno del fotovoltaico a terra per soddisfare il fabbisogno da energia rinnovabile, pur riconoscendo che le stime di ISPRA possano essere realistiche (cioè, la possibilità di raggiungere dai 70 ai 92 GW di nuova potenza fotovoltaica utilizzando le coperture esistenti). Anche in questo caso ci sono molte evidenze che le stime di ISPRA siano corrette: un recente studio eseguito dalla tech-company Cerved avrebbe individuato 110.000 tetti di stabilimenti industriali (censiti con indirizzo e ragione sociale) su cui si potrebbero installare pannelli fotovoltaici di grande taglia, che potrebbero produrre 30 GW di potenza, ovvero più della metà del target fissato al 2030 dal piano Fit For 55 (qui l’articolo sullo studio Cerved).

Nel ribadire la piena fiducia nella competenza e terzietà di ISPRA, Coalizione Art 9. richiama quanto già sollecitato da Coldiretti: che i titolari degli impianti realizzati sul suolo delle aziende agricole siano gli imprenditori agricoli stessi e non le aziende energetiche.

Coalizione Art. 9 è in favore dei pannelli fotovoltaici sui tetti dei capannoni e delle abitazioni non gravate da vincoli di tutela e lungo le infrastrutture di comunicazione perché non compromettono l’ambiente, il paesaggio, la biodiversità e la sicurezza alimentare.

Coalizione Art. 9

Altura

Amici della Terra

Associazione Ranuccio Bianchi Bandinelli

AssoTuscania

Centro Parchi Internazionale

Comitato Nazionale del Paesaggio

Comitato per la Tutela dei Crinali Mugellani (CTCM)

Emergenza Cultura

ENPA

Gruppo Ambiente e Territorio Mongrassano

Gruppo d’Intervento Giuridico GRIG

Italia Nostra

L’Altritalia Ambiente AIA
Liberi Crinali

Memoria e Futuro

Mountain Wilderness

Movimento Azzurro

Pro Natura

Respiro Verde Legalberi

Salviamo il Paesaggio Roma e Lazio

Salviamo l’orso OdV

Wilderness Italia

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http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/coalizione-art-9-risponde-alle-associazioni-rinnovabiliste-sul-consumo-di-suolo-dovuto-al-fotovoltaico-a-terra/feed/ 3
Il Semaforo di Capo Figari (Golfo Aranci), ennesima mercificazione dei beni culturali e ambientali http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/il-semaforo-di-capo-figari-golfo-aranci-ennesima-mercificazione-dei-beni-culturali-e-ambientali/ Fri, 21 Jul 2023 14:01:54 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16034 Tratto da Gruppo d’Intervento Giuridico

Il Semaforo – Vedetta di Capo Figari domina Golfo Aranci e un’ampia parte della Gallura.

E’ in area tutelata con vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.), rientra nel S.I.C. “Capo Figari e Isola Figarolo e nella Z.P.S. “Capo Figari, Cala Sabina, Punta Canigione e Isola Figarolo della Rete Natura 2000.

Realizzato nel 1890, venne gestito per lungo tempo dalla Marina Militare e fu teatro degli esperimenti sulle telecomunicazioni condotti da Guglielmo Marconi nel 1932.

Dismesso l’utilizzo militare, è stato trasferito dal demanio statale a quello regionale (2006) e, in seguito, assegnato all’Agenzia della Conservatoria delle Coste.

Gabbiano reale (Larus michahellis) – ph Gruppo d’Intervento Giuridico

Nel 2014, dopo una lunga preparazione, l’Agenzia avviava un processo per un nuovo futuro dei Farie Semafori lungo le coste dell’Isola.  

Si trattava di un piano di recupero e valorizzazione (allegato 1 e allegato 2) connesso al progetto di cooperazione transfrontaliera MED-PHARES, finanziato con fondi comunitari, chiamato a delineare – per la prima volta su scala internazionale – lestrategie per conservare, recuperare e valorizzare i fari e le stazioni semaforiche del Mediterraneo.

Nel giugno 2017 la Regione autonoma della Sardegna decise di affittare fari e semafori in accordo con l’Agenzia del Demanio senza ben chiarire finalità, criteri d’uso e garanzie per la fruibilità pubblica.

l Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG) fin da allora, in un assordante silenzio generale, chiese a gran voce trasparenza di procedure e obiettivi.

Non si sa se in conseguenza di adeguata procedura selettiva di scelta del contraente, lo scorso 28 giugno 2023 è stato firmato il contratto di concessione trentennale del Semaforo – Vedetta fra la Regione e la New Fari s.r.l. dell’imprenditore Alessio Raggio, società che già gestisce il Faro di Capo Spartivento (Chia) e che sta riqualificando a fini ricettivi anche l’Isola di San Secondo (Venezia), il Faro della Guardia (Ponza) e il Semaforo Nuovo di Portofino.

Nel Semaforo – Vedetta il progetto vedeil Semaforo, costituito da 6 suite, sala da pranzo e tè, cantina, terrazza, vasche idromassaggio, mediateca digitale; la Batteria Serra, che prevede 2 suite, area benessere/spa ed eventi e una piscina emozionale”.

Ora, a contratto siglato, le sacrosante proteste e una petizione da parte del locale Comitato Maremosso sorto nella popolazione tenuta piuttosto all’oscuro delle intenzioni regionali, un’altra petizione promossa dal consigliere comunale di opposizione Andrea Viola, il plauso dell’Assessore regionale del bilancio Giuseppe Fasolino, già sindaco di Golfo Aranci, in quanto “un importante bene viene messo al servizio della comunità in chiave di sviluppo e crescita futura del territorio”, un’interrogazione parlamentare da parte dell’on. Roberto Giachetti.

In particolare, emerge la triste sciatteria di un’amministrazione comunale che, a parole, ha rivendicato per anni la consegna del bene per una generica e imprecisata valorizzazione, vagheggiandocentinaia di posti di lavoro diretti e dell’indotto” nella zona di Golfo Aranci, mentre, nel concreto, spendeva un bel po’ di soldi pubblici per sirenette, statue sottomarine, casette di Babbo Natale e giulive amenità simili per la felicità dei semplici.

Falco della Regina (Falco eleonorae) – ph Gruppo d’Intervento Giuridico

Sempre che sia legittima la procedura concessoria, in ogni caso, il Semaforo – Vedetta è stato dichiarato bene culturale (artt. 10 e ss. del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) con decreto Commissione regionale Patrimonio culturale Sardegna n. 65 del 22 maggio 2018, (la dismessa Batteria costiera Serra con decreto Commissione regionale Patrimonio culturale Sardegna del 16 luglio 2020), mentre con successivo decreto Commissione regionale Patrimonio culturale Sardegna n. 77 del 26 giugno 2019 è stata autorizzata la concessione in uso a privati del bene (art. 57 del decreto legislativo n. 42/2004 e s.m.i.) con svariate incisive prescrizioni, fra cui il mantenimento della pubblica fruizione con modalità concordate con la competente Soprintendenza sassarese.

Il progetto di riqualificazione dovrà, poi, acquisire le necessarie, preventive e vincolanti autorizzazioni paesaggistiche e culturali, nonchè conseguenti alla procedura di valutazione di incidenza ambientale (V.Inc.A.), in quanto rientrante in area della Rete Natura 2000.

Resta il fatto – analogamente a quanto già visto relativamente alla batteria costiera dismessa di Punta Giglio (Alghero) – di un bene pubblico ambientale e culturale riguardo cui le amministrazioni pubbliche competenti (in primo luogo Regione e Comuni) abdicano al loro ruolo gestionale per favorire l’ingresso di Soggetti privati non certo giunti per fare i disinteressati benefattori.

Gruppo d’Intervento Giuridico (GrIG)

Domus de Maria, faro di Capo Spartivento (prima della “trasformazione”) – ph Gruppo d’Intervento Giuridico
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Che cosa dice la nuova proposta di Direttiva europea per il monitoraggio dei suoli http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/che-cosa-dice-la-nuova-proposta-di-direttiva-europea-per-il-monitoraggio-dei-suoli/ http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/che-cosa-dice-la-nuova-proposta-di-direttiva-europea-per-il-monitoraggio-dei-suoli/#comments Tue, 18 Jul 2023 12:32:23 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16032 di Paolo Pileri.

Il 5 luglio scorso la Commissione europea ha pubblicato la proposta di Direttiva “Directive of the European Parliament and of the Council on soil monitoring and resilience (Soil monitoring law)”. Il codice di riferimento per chi volesse catturare il documento originale è COM(2023) 416 final. Il titolo chiarisce bene che si tratta di una legge per il monitoraggio del suolo e non per la sua tutela (ma vedremo in fondo che qualcosina arriva anche per la tutela). Ciò non toglie che la proposta mantiene un’importanza che non possiamo e non dobbiamo sottovalutare.

Innanzitutto perché la Commissione torna a occuparsi di suolo, rimettendo attenzione a una questione che sappiamo essere delicatissima e strategica per la vita del Pianeta e per il benessere di tutti, come ben detto in premessa (sebbene purtroppo il suolo non sia definito come ecosistema, e questo per l’Italia sarebbe stato assai cruciale con i venti di autonomie che ci sono). Dopodiché la proposta è importante anche perché arriva a offrire un metodo tecnico e scientifico per identificare le diverse patologie delle quali il suolo soffre così da avere un quadro chiaro, comparabile e unitario utile per allestire le riforme politiche necessarie.

E questo sarà il punto: far seguire delle azioni di tutela e gestione del suolo alla fase di monitoraggio. È evidente che uno schema comunitario di monitoraggio e di assunzione di indicatori comuni era urgente e necessario per evitare agli Stati membri di nascondersi dietro misure diverse che possono ritardare le necessarie azioni di tutela e quindi far finire il tutto in un nulla di fatto. Così la proposta offre una lunga lista di indicatori e di metodologie (allegato 1) che dovranno essere approvate dal Parlamento ma che sono in larga parte già ampiamente usate dai Paesi membri che effettuano il monitoraggio.

Nella proposta di Direttiva sono anche, e di nuovo, elencate le definizioni attinenti la materia, così da consolidare un linguaggio comune riducendo quella fabbricazione di termini e frasi dietro alle quali -lo sappiamo bene in Italia (vedi Altreconomia 260)- si sono celati continui consumi e degradi di suolo.

Oltre a queste novità, la proposta (che richiede comunque un ampio studio e quindi torneremo a parlarne) offre altre prospettive interessanti. Ad esempio propone i “Soil district” (articolo 4) secondo i quali i Paesi membri dovranno osservare la salute dei suoli. Questi distretti sono per noi Italia una novità perché superano la visione corta dei confini regionali, spostando l’attenzione almeno su macro-aree più appropriate allo status ecologico ed ecosistemico del suolo. Le macro aree sono i cosiddetti NUT1 che in Italia corrispondono a cinque gruppi di Regioni (Nord-Ovest/Nord-Est/Centro/Sud/Isole).

La prospettiva, ripeto, è sfidante per noi visto che siamo rigidamente basati sui confini amministrativi e politici elettivi. Sarebbe bello mantenere la geografia minima dei NUT1 se non addirittura migliorarla come proposto nel citato articolo 4 mixando con criteri climatici o di uso del suolo. È importante andare oltre la visione regionale. Non indietreggiare in uno schema rigido per confini amministrativi che nulla hanno a che fare con la dimensione ecologica della risorsa suolo e con le relative dinamiche causa-effetto sarà per noi uno dei primi banchi di prova.

Accetteremo la sfida o la rigetteremo? Tra l’altro la proposta chiede agli Stati membri di definire delle nuove autorità di monitoraggio sul suolo che si attestino su quelle macro-geografie: interessante perché unità del genere sono più indipendenti dalle pressioni politiche locali. Ma accetteremo anche questo?

Un’altra sfida è celata nell’articolo 6 quando si propone agli Stati membri un “regular and accurate monitoring of soil health”. Regolare e accurato, due aggettivi impegnativi ma necessari che inchiodano tutti a una presa d’atto che la questione è altamente seria e dobbiamo porvi attenzione ed energie. L’articolo 9 propone addirittura una cadenza di monitoraggio non superiore ai cinque anni e con un certo numero di campionature. Diversamente tutto questo sarà non solo vano ma rischierà di non attivare quel meccanismo preventivo di cui andiamo dicendo da tempo.

Nessuno come l’Italia ha bisogno di conoscere lo stato di salute dei propri suoli per prevenire dissesti, erosioni, inquinamenti, consumi etc.. Questo articolo-sfida sposta un po’ la mira dalla Protezione civile alla Prevenzione civile, concetto che abbiamo evocato anche da qui in occasione degli eventi alluvionali della Romagna.

Di nuovo un banco di prova per la politica perché non solo vedremo se accetterà questa regolarità ma anche se apposterà le adeguate risorse finanziarie e umane. E se lo farà senza perdere tempo. L’ambizione di questa proposta è alta e come tale deve rimanere. Pensate che si parla di un nuovo “portale suoli” in grado di dare trasparenza allo stato di salute dei suoli stessi (articolo 6) e questo non può che essere salutato come un’azione di democratizzazione ambientale.

Ma ancora una volta non mancano le insidie delle quali dobbiamo stare attenti. Tipizzare i suoli per il loro stato di salute non deve divenire la leva attraverso la quale identificare i suoli malati da destinare al consumo o al cemento. Ma dobbiamo fin da ora dirci chiaramente che i suoli malati, come i pazienti, saranno sottoposti a cure e attenzioni e non certo acquisiranno uno speciale lasciapassare per la loro morte. Al riguardo, all’articolo 10 la proposta di Direttiva si lancia in un’altra direzione, quella della definizione degli strumenti di gestione sostenibile dei suoli (buone pratiche e azioni), sia in ambito agricolo sia urbanistico. E qui scatta l’impegno alle politiche su cui i singoli Stati membri dovranno mettere la faccia. Al riguardo la Commissione non si mostra ingenua e sa bene che le cose non basta proporle in una Direttiva ma vanno accompagnate da un programma di formazione da offrire a tutti (articolo 10): tecnici, investitori, proprietari, politici e amministrazioni (“training activities and capacity building for soil managers, landowners and relevant authorities”). Non solo. Si chiede anche agli Stati membri di assicurare l’accesso a consulenti indipendenti e imparziali (“ensure easy access to impartial and independent advice on sustainable soil management”): una sfida nella sfida per tutti noi che richiederà una riflessione etica non scontata.

Come vedete, si tratta ancora di accompagnare anche questa proposta con un profondo lavoro culturale di stampo ecologico che riversa sul tavolo del decisore non solo metodi e indicatori, rapporti e mappe, ma anche un nuovo approccio filosofico ed educativo alla questione ecologica. Questo è lo spirito che si legge in questa proposta chiedendo a tutti i portatori di interesse di fare un passo culturale necessario e urgente. D’altronde, lo sappiamo, non si difende quel che non si conosce approfonditamente. Non sarà solo un monitoraggio a cambiare le cose sebbene sia un passo super necessario e non rinunciabile. La Commissione lo sa bene e non perde occasione per spingersi nel campo della formazione pubblica e della gestione dei suoli. Una sfida da non perdere assolutamente. Una sfida sulla quale far assumere nuove forme alle nostre decisioni e al mestiere politico e urbanistico.

Ultimo commento lo riserviamo all’articolo 11 sul contenimento del consumo di suolo (land take) che, per me, è ancora un po’ debole, soprattutto nel panorama italiano. Da un lato si chiede di ridurre le aree consumabili (“reducing the area affected by the land take to the extent possible”) il che fa pensare che dovremmo finalmente darci da fare per generare un articolo di legge urbanistica che consente di togliere le aree edificabili dai piani regolatori senza il contraccolpo dei ricorsi al Tribunale amministrativo regionale (Tar) di turno. E voglio così interpretare questo passaggio. Dall’altro nel medesimo articolo si apre un po’ troppo alle compensazioni (che sappiamo pericolose da noi perché alla fine consentono enormi consumi di suolo in cambio di una manciata di alberi e un po’ di energia) e si parla di ottimizzazione delle urbanizzazioni e/o di selezioni di aree dove l’impatto risulterebbe meno grave ovvero, penso, quei suoli già deboli e degradati che invece, come dicevo sopra, proverei a tutelare. Diverso se questa affermazione si rivolgesse alle sole aree dismesse, allora mi preoccuperebbe meno. Di nuovo starà anche a noi scegliere l’interpretazione più ecologica. Lo faremo? Ho dei ragionevoli dubbi, ma anche delle speranze. Per ora iniziamo ad approvare questa Direttiva il più presto possibile senza stravolgimenti ed emendamenti che possano fermarla. Anche questa è una prova politica. E non c’è tempo da perdere. 

L’articolo originale è apparso su Altreconomia: https://altreconomia.it/che-cosa-dice-la-nuova-proposta-di-direttiva-europea-per-il-monitoraggio-dei-suoli/

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Climate Social Camp: a Torino dal 26 al 28 luglio, per fermare il cemento e difendere l’acqua http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2023/07/climate-social-camp-a-torino-dal-26-al-28-luglio-per-fermare-il-cemento-e-difendere-lacqua/ Fri, 14 Jul 2023 20:32:33 +0000 http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/?p=16025 di Maria Cariota

Dopo l’evento molto partecipato che si è svolto l’estate scorsa al Parco della Colletta, il Climate Social Camp quest’anno torna a Torino, dal 26 al 28 luglio, al Giardino Caserma Lamarmora (ex Artiglieri da Montagna).

Fermare il cemento, difendere l’acqua è il titolo di questa edizione, con cui gli organizzatori intendono creare un’occasione per confrontarsi sulle sfide impegnative legate al clima e alla giustizia sociale e unire le energie di lotte diverse per “produrre la potenza e l’organizzazione necessaria a creare prospettive, alternative vive e praticabili” che riescano a contrastare il sistema di potere, sfruttamento e accaparramento di risorse e di forza lavoro che domina la società. Cercando di connettere le problematiche locali dell’acqua e del cemento alle questioni globali ed evidenziando le conseguenze della gestione delle risorse in termini di conflitti e di crisi economica, sociale ed ecologica.

La rete di realtà cittadine (di Torino e provincia) Climate Social Camp che organizza l’evento, attraverso un tour di presentazione in tutta Italia, ha invitato molti comitati e movimenti (tra cui anche lotte piccole e isolate) che sono attivi per la difesa dei propri territori e delle risorse naturali, con l’obiettivo di creare un’occasione di confronto tra esperienze e condivisione di metodi e strategie.

L’evento si svolgerà in un Giardino destinato ad essere distrutto per costruire un centro commerciale

L’iniziativa vuole essere allo stesso tempo strumento concreto di resistenza e difesa del luogo in cui si svolgerà, scelto in quanto simbolo della speculazione edilizia, che a Torino, da molti anni, è il centro delle politiche di gestione del territorio. Il Giardino Caserma Lamarmora (ex Artiglieri da Montagna, davanti al Tribunale), in piena terra, con più di cento alberi ad alto fusto, dovrebbe essere presto distrutto per realizzare un enorme Esselunga; il Comune, in un quartiere quasi privo di aree verdi, ha alienato il parco pubblico al gruppo della grande distribuzione, ricavando circa 19 milioni di euro. Da molto tempo la cittadinanza, attraverso il comitato Essenon e la Laboratoria Ecologista Autogestita LEA sta cercando di contrastare il progetto, senza riuscire ad essere ascoltata.

Campeggio, dibattiti, workshop e socialità

Il Climate Social Camp sarà una tre giorni di campeggio, con dibattiti, workshop, socialità.

Mercoledì 26 luglio i tavoli di lavoro saranno due. Il primo (“Un panorama che cambia tra militarizzazione e trasformazione energetica. Come non stare a guardare?), sarà dedicato ad approfondire il modo in cui i nostri territori continuano a cambiare, vedendo sorgere sia basi militari sia opere spesso realizzate in nome di una finta transizione energetica (come rigassificatori, dighe). Mentre il secondo tavolo (“Cemento: motore di devastazione e dominio. Quali prospettive di resistenza?”), dedicato agli effetti devastanti della cementificazione sulla popolazione e gli ecosistemi e all’insostenibilità dell’abitare in città sempre più distanti dalla natura, è finalizzato ad articolare una proposta di azione ed organizzazione tra comitati e movimenti che si oppongono a queste logiche.

Giovedì 27 luglio inizierà con il tavolo di lavoro dal titolo “Il continuo cadere della goccia scava la pietra. Una contesa sull’acqua per guadagnarci il diritto alla vita”, che si soffermerà sulla gestione delle risorse idriche, le cause della siccità, la distribuzione ineguale di queste a livello regionale e globale e le conseguenze che ne derivano per la salute delle popolazioni, l’agricoltura e l’ambiente. Tra questi aspetti particolare rilievo ha la privatizzazione delle società che si occupano dell’approvvigionamento idrico urbano, che ha provocato una gestione inadeguata del sistema di distribuzione e raccolta delle acque, facendo prevalere il profitto degli investitori sul diritto all’acqua per tutte le persone. Il secondo appuntamento sarà un talk (“Voci dal mondo. Rami che diventano foreste. Gocce che diventano tempeste”) che vuole indagare le proposte organizzative praticate da differenti movimenti rivoluzionari, sociali ed ecologisti nel mondo, in particolare sul tema della siccità e del consumo di suolo. Racconteranno le loro esperienze: La Carovana El sur resiste dal Chiapas, l’Accademia per la Modernità Democratica del Movimento di liberazione del Kurdistan, la brigata internazionalista di Askapena e il movimento Araba Bizirik dai Paesi Baschi, Soulevaments de la terre dalla Francia, Stop cop city di Atlanta, USA.

Venerdì 28 luglio si svolgerà l’Assemblea Plenaria, che chiuderà i lavori dei Tavoli che si sono svolti nei giorni precedenti, cercando di capire qual è la strada comune che le varie realtà che parteciperanno vorranno tracciare. L’Assemblea sarà seguita da un laboratorio (“Intelligenza artificiale, settore industriale ad alta tecnologia e estrattivismo. L’impatto ambientale delle nuove tecnologie”) in cui si analizzerà il lato oscuro dell’AI e delle nuove tecnologie, al servizio del modello estrattivista e causa di pesanti impatti sulle risorse naturali e sulle condizioni di lavoro.

Sul sito e sui canali social del Climate Social Camp è possibile consultare il programma aggiornato, compilare il form per poter partecipare e conoscere i dettagli dell’organizzazione.

Il campeggio sarà gratuito. Qui è possibile donare un contributo per la sua gestione.

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Campeggio del Climate Social Camp 2022 – ph Fridays For Future Torino
Uno dei momenti di dibattito al Climate Social Camp 2022- ph Fridays For Future Torino
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