Tuscia Romana: terra da valorizzare, non da sfruttare

di Marisa Pessione e Alessandro Mortarino.

Chi ama camminare cerca puntualmente nuovi luoghi in cui immergersi, cercando ogni volta percorsi considerati minori, cioè non le abituali “grandi” direttrici sul genere della Francigena o di Santiago di Compostela, ma itinerari magari prossimi, occasionalmente intersecanti, dai comuni punti di arrivo pur provenendo da snodi alternativi.
A noi è recentemente capitato di percorrere uno di questi, denominato Cammino 103 di Tuscia, progettato magistralmente dal CAI di Viterbo: un percorso che si sviluppa lungo l’antica terra dell’Etruria meridionale, dalla valle del fiume Tevere fino al mar Tirreno. Un percorso breve ma intenso, che abbiamo trasformato creativamente in un viaggio al contrario (partendo da Tarquinia) e dalle tappe a dir poco “personalizzate”. Breve ma intenso, appunto.

Questo blog tratta di tutela del paesaggio e del territorio e non è quindi lo spazio adeguato per lasciarci trasportare in un resoconto di viaggio a piedi che merita, però, almeno un aggettivo: splendido!
Una immersione totale in una sequenza di luoghi e spazi naturali su sentieri poco percorsi (ad aprile, quando noi ci siamo avventurati), tra boschi, faggete e radure, costeggiando il fiume Mignone e le ferme acque del lago di Vico, osservati con discrezione da animali allo stato brado placidamente intenti a godersi sterminate distese di prati, papaveri, orchidee, coltivi.
Ma anche un viaggio nel passato tra necropoli etrusche, una meravigliosa via cava, all’interno di un bosco fiabesco che giunge fino a un eremo silenzioso scavato nella roccia vulcanica.

Se ancora non lo conoscete, il cammino 103 di Tuscia è ora di iniziare a scoprirlo almeno da qui.

Splendido.
E schizofrenico.

Già, perchè mentre i nostri passi procedevano, le orbite oculari registravano segnali di benessere benché la nostra “antica” militanza all’interno del Forum Salviamo il Paesaggio continuasse a segnalarci ad intermittenza segnali di pericolo. Da anni riceviamo, infatti, informazioni da questo territorio su progetti sempre più sorprendenti che, anziché concentrarsi su ipotesi di valorizzazione vera in chiave di fruizione turistica sostenibile, snocciolano progetti di sfruttamento basati su un comune denominatore: la produzione di energia “rinnovabile”.

Viterbo vanta un primato, quello di essere la prima provincia del Lazio per presenza di pannelli fotovoltaici posizionati su terreni, pari a quasi il 50% della superficie agricola utilizzata (Sau). Come non bastasse questa violenza al suolo fertile, la provincia di Viterbo è anche leader nella produzione da impianti eolici con 133,3 Gwh pari a circa l’80% degli impianti dell’intera regione: centinaia di pale eoliche alte fino a 250 metri e prossima a sperimentare anche quelle di altezze superiori.
E per non farsi mancare nulla, i comuni di Montalto di Castro, Canino, Cellere, Ischia di Castro, Soriano nel Cimino, Vasanello, Vignanello, Corchiano, Gallese, Tarquinia, Tuscania, Piansano, Arlena di Castro, Tessennano rientrano nell’elenco delle 51 zone d’Italia individuate da Sogin SpA come aree adatte ad ospitare il futuro deposito nucleare nazionale. 21 aree nel viterbese su 51 in totale…

Una follia. Due follie. Tre follie.
Ancora più folle se vissuta con gli occhi di chi cammina. In una natura che chiederebbe solo di essere accettata, senza altri accessori antropici.

La Regione Lazio sembra essersi accorta del problema “delle infrastrutture ad estesa occupazione territoriale” e della disomogeneità degli insediamenti produttivi. Ma oltre a quanto già è stato installato, pare infinita la sequela di nuovi progetti autorizzati o in fase di autorizzazione, che toccano persino borghi dalla bellezza unica come Tuscania.
Le amministrazioni comunali si oppongono, con piglio non sempre privo di balbettii, mentre uno specifico protocollo d’intesa tra Regione e Terna promette di superare le criticità legate al “sovraffollamento” di impianti a fonti di energia rinnovabile. Ma la situazione resta critica.

Dal Cammino 103, nel mezzo di flora e fauna che riempiono anima ed occhi, tutto questo sembra lontano.
Ma lontano non è.

E di fronte al pericolo incombente, chissà, forse se tanti camminatori iniziassero a “vivere con lentezza” questa via, potrebbe essere più chiaro che il territorio non ha bisogno di essere sfruttato ma di essere – semplicemente – tutelato.
Altrimenti le centinaia di tombe etrusche presenti, testimonianze d’arte di una civiltà esaurita, finiranno per confondersi con l’ingombrante ombra tecnologica di una nuova civiltà votata, senza alcuna possibilità di scampo, a vestire le sembianze algide dell’ultimo cimitero naturale.
Siamo ancora in tempo, volendo…

Qui qualche immagine fotografica tra le tante scattate lungo un percorso da non perdervi…

2 commenti

  1. L’attivita’ agricola, la superstite bellezza ancestrale ed identitaria, storico culturale delle ns terre deve sopravvivere. Si al rinnovabile ma gestito onestamente e razionalmente, possibilmente dal “pubblico”, senza gigantesche speculazioni aggressive che finiscono per distruggere inutilmente e irreversibilmente i beni comuni, la disponibilità, l’utilità e la bellezza che appartiene a tutti e soprattutto ai nostri discendenti.
    Il paesaggio italiano è il principale motivo di turismo. La Sardegna e i crinali appenninici sono la spina dorsale del nostro paesaggio e la loro valorizzazione turistica tra i pochi redditi possibili per frenare l’abbandono delle aree interne. La loro deturpazione con enormi serie di pale o lugubri paramenti funebri fotovoltaici a terra per decine di ettari, e poi strade di accesso, piazzole per la manutenzione degli impianti, collegamenti e squallido cementoasfalto non sono certo un bene per un territorio fragile come quello di questi ambienti ancora integri (e per questa “colpa” fonte di appetiti speculativi”) che sarebbero sviliti definitivamente per decine di km. Meglio favorire le comunità energetiche e il mini eolico anziché i grandi speculatori, ricordando che i TETTI di migliaia di capannoni fatiscenti (e responsabili di devastazione ambientale e folle consumo di suolo fertile) da soli già basterebbero a sopperire al fabbisogno energetico da rinnovabili, come ampiamente dimostrato scientificamente da ISPRA

I commenti sono chiusi.