La Corte di Cassazione, con un sentenza del 2024, ha confermato la condanna per truffa ai danni dello Stato nei confronti del vicepresidente di una società agricola, per la realizzazione di serre fotovoltaiche a supporto di un’attività agricola, in realtà quasi inesistente, al solo fine di ottenere ingenti incentivi pubblici per la produzione di energia rinnovabile. Con la pronuncia si consolida il principio che l’attività agricola non può essere una mera facciata per speculazioni energetiche.
a cura di Carmine Paul Alexander Tedesco – avvocato
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4185/2025, ha messo un punto fermo su un caso di truffa incentivi fotovoltaico, confermando la condanna per truffa aggravata ai danni dello Stato. La decisione chiarisce i confini tra un legittimo investimento in energie rinnovabili connesse all’agricoltura e una manovra fraudolenta volta a ottenere illecitamente fondi pubblici. Al centro della vicenda, una società che, dietro la parvenza di un progetto agricolo, ha realizzato un vero e proprio impianto industriale per la produzione di energia elettrica, ingannando gli enti preposti al controllo e all’erogazione degli incentivi.
I Fatti di Causa
Il vicepresidente del consiglio di amministrazione di una società agricola è stato condannato per aver concorso in una truffa milionaria. La società aveva presentato un progetto per la realizzazione di serre fotovoltaiche, attestando falsamente che tali strutture fossero finalizzate a supportare l’attività agricola. In questo modo, aveva ottenuto sia le autorizzazioni regionali sia l’accesso a cospicui incentivi pubblici destinati a promuovere la produzione di energia da fonti rinnovabili connessa al settore primario.
Tuttavia, le indagini e i successivi sopralluoghi hanno svelato una realtà ben diversa: l’attività agricola era pressoché inesistente. Le serre erano quasi completamente prive di colture, e il terreno sottostante versava in uno stato di abbandono, infestato da erbacce. Le poche piante presenti erano non irrigate e malate. Era evidente che l’unico, vero scopo dell’operazione fosse la produzione e la vendita di energia elettrica su scala industriale, sfruttando i vantaggi economici derivanti sia dalla vendita dell’energia a un prezzo maggiorato sia dagli incentivi pubblici ottenuti indebitamente.
La Questione Giuridica: Truffa o Indebita Percezione?
Uno dei nodi cruciali del processo è stata la corretta qualificazione giuridica del fatto. La difesa sosteneva che la condotta dovesse essere inquadrata nel reato meno grave di indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.), che si configura con la semplice presentazione di dichiarazioni false. La Corte, invece, ha confermato l’impostazione accusatoria, qualificando il fatto come truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640-bis c.p.).
La differenza sostanziale risiede nell’elemento dell’”induzione in errore”. Secondo i giudici, la società non si è limitata a presentare documenti falsi, ma ha posto in essere un complesso disegno fraudolento, caratterizzato da “artifizi e raggiri” volti a ingannare la Pubblica Amministrazione. In particolare, il frazionamento artificioso della procedura di autorizzazione – una per la realizzazione delle serre e una per la connessione alla rete – è stato considerato un espediente per eludere i controlli più rigorosi e ottenere illecitamente il via libera.
L’Analisi della Corte sul nesso tra agricoltura e la truffa incentivi fotovoltaico
Il cuore della motivazione della Cassazione ruota attorno all’interpretazione del requisito di “connessione” tra la produzione di energia e l’attività agricola. Per accedere agli incentivi, la legge richiede che la produzione energetica sia funzionale e secondaria rispetto all’attività agricola principale. Quest’ultima deve rappresentare la “risorsa primaria” dell’impresa.
La Corte ha stabilito che la quasi totale assenza di una produzione agricola effettiva rendeva superfluo persino un confronto sulla redditività tra i due settori. L’attività agricola era palesemente una “facciata”, una mera copertura creata ad arte per mascherare il vero obiettivo: una speculazione industriale. In tali condizioni, il requisito della connessione era del tutto insussistente e la sua falsa attestazione integrava pienamente l’elemento materiale del reato di truffa.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile sulla base di diverse argomentazioni. In primo luogo, ha ritenuto che l’interpretazione della normativa di settore fornita dai giudici di merito fosse corretta: la produzione di energia, per essere incentivata, deve essere “subvalente” rispetto a quella agricola, che non può essere né fittizia né marginale. L’accertamento della quasi inesistenza delle colture ha reso decisivo questo punto, dimostrando il dolo della truffa incentivi fotovoltaico.
In secondo luogo, la Corte ha validato la ricostruzione secondo cui l’artificioso frazionamento delle procedure amministrative costituiva un raggiro idoneo a indurre in errore gli enti pubblici. Tale condotta, unita all’omessa indicazione della natura fotovoltaica dell’impianto nella dichiarazione di inizio attività, ha confermato la sussistenza della truffa aggravata.
Infine, è stata confermata anche la legittimità della confisca degli impianti, collegata al reato di lottizzazione abusiva. I giudici hanno ribadito il principio secondo cui la confisca può essere disposta anche se il reato presupposto è dichiarato prescritto, purché la sua sussistenza sia stata accertata nel corso di un processo che ha garantito il pieno contraddittorio.
Le Conclusioni
Questa sentenza rappresenta un importante monito per gli operatori del settore delle energie rinnovabili. La Cassazione riafferma con forza che gli incentivi pubblici legati all’agricoltura non possono essere ottenuti attraverso operazioni speculative che sviliscono la funzione del settore primario. L’attività agricola deve essere reale, effettiva e prevalente. Qualsiasi tentativo di mascherare un’operazione industriale sotto mentite spoglie agricole, attraverso artifici documentali o procedurali, non solo è destinato a fallire, ma integra il grave reato di truffa ai danni dello Stato, con conseguenze patrimoniali significative come la confisca degli impianti e dei profitti illeciti.






