Difendere il paesaggio significa difendere la nostra anima
di Giovanni Appolloni.
Quando si parla di paesaggio, molti pensano subito a un bel panorama da cartolina, a un luogo dove fare una passeggiata domenicale o scattare qualche foto. Ma il paesaggio non è soltanto estetica: è identità, memoria, appartenenza. È la trama sottile che lega le comunità al territorio in cui vivono, e che la Costituzione italiana, con lungimiranza, ha voluto tutelare esplicitamente all’articolo 9: “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Eppure, questa tutela sembra oggi poco compresa. Lo vediamo ogni volta che si discute di grandi progetti che incidono sull’Appennino, come ad esempio il parco eolico “Energia Caldarola”. Di fronte a questi interventi, tanti dicono con disarmante semplicità: “A me non da nessun fastidio, sta lassù…”. Una frase che rivela un problema culturale profondo consistente nella difficoltà a percepire il paesaggio come qualcosa che ci riguarda intimamente, non come uno sfondo lontano e ininfluente, e nell’incapacità di recepire l’idea che il paesaggio non è un “di più” ma è l’anima stessa di un paese. E se un paese sacrifica il suo paesaggio diventa un luogo senz’anima, privo di radici; se lasci morire la tua anima stai ammazzando te stesso.
Pensiamo all’Appennino: montagne che hanno custodito la memoria di generazioni, sentieri battuti dai nostri nonni, borghi che si riconoscono in una certa armonia tra natura e architettura. Distruggere quella armonia significa intaccare la nostra stessa identità. Non si tratta di essere “contro” le energie rinnovabili. Al contrario: il futuro dell’energia sostenibile è una necessità. Ma la transizione ecologica non può diventare un nuovo alibi per trasformare i territori in zone di sfruttamento, dove pochi guadagnano e molti perdono. Il rischio è che in nome del “verde” si compiano operazioni che verdi non sono, se misurate sui costi paesaggistici, sociali e culturali. Immaginiamo un’Italia senza i suoi paesaggi riconoscibili: senza le colline marchigiane, senza gli Appennini che disegnano lo scheletro del paese, senza i borghi arroccati che dialogano con i monti. Saremmo ancora noi? O saremmo un territorio indistinto, simile a mille altri nel mondo, senza voce, senza memoria, senza anima? Se perdiamo il paesaggio, perdiamo noi stessi. Chi pensa che “tanto stanno lassù” dimentica che quei luoghi “lontani” ci appartengono.
Anche se non viviamo accanto a una cima, quelle montagne fanno parte della nostra storia collettiva. E se lasciamo che vengano snaturate senza criterio, lasciamo che si sgretoli anche il senso profondo di comunità.
Difendere il paesaggio non significa opporsi al progresso, ma pretendere che il progresso non diventi devastazione. Significa chiedere che le scelte energetiche siano ponderate, partecipate e rispettose. Significa pretendere che la voce dei cittadini conti quanto gli interessi economici. La protesta civile è un diritto e, in questo caso, quasi un dovere: non serve gridare, serve informarsi, discutere, partecipare alle consultazioni, scrivere ai sindaci e agli amministratori, unirsi alle associazioni che difendono il territorio. Serve dimostrare, con fermezza e rispetto, che il paesaggio non è negoziabile. Se lasciamo che l’anima di un paese venga distrutta, permettiamo che venga distrutta anche la nostra anima. Non si tratta di nostalgia o romanticismo: si tratta di dignità. Un popolo che non difende il proprio paesaggio si condanna a diventare ospite, e non più custode, della propria terra. Non restiamo indifferenti. Non lasciamo che la luce dell’articolo 9 della Costituzione si spenga sotto il rumore delle pale che girano “lassù”. Il paesaggio siamo noi. Difendiamolo!!






