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Le nostre città in balìa dei fondi immobiliari

La rigenerazione urbana è piegata alla speculazione. Espellere i “non ricchi” dal centro tutela il valore degli asset. Chi si preoccupa della fasce più deboli?

di Alessandro Volpi

Pubblicato su Altreconomia – ottobre 2025

La trasformazione delle città in prodotti finanziari è un fe­nomeno sempre più diffuso nel nostro Paese e presenta al­cuni elementi ben chiari e ricorrenti a Milano come a Roma, Firenze e Bologna. Il dato dal quale partire è rappresentato dal basso costo degli oneri di urbanizzazione ovvero il con­tributo dovuto da chi costruisce per l’equilibrio e il miglio­ramento della qualità urbana. Nel caso delle principali città italiane sono infatti così ridotti da non essere comparabili con quelli versati da chi edifica in altre metropoli europee.

A Milano gli oneri, dopo essere stati stabili per oltre 15 anni, sono stati aumentati nel 2023 ma rappresentano ancora solo il 6% circa del valore dell’immobile nelle aree di pregio, così come a Firenze, mentre a Roma e Bologna sono più esigui. A Berlino, a Parigi e a Londra questi arrivano al 30% del valore dei fabbricati realizzati.

A questo primo dato se ne aggiunge un secondo. In Italia ne­gli ultimi anni ha avuto un gran successo l’idea della “rige­nerazione urbana”, finalizzata a eliminare il degrado di vaste aree. Ciò ha comportato la semplificazione delle procedure di abbattimento di edifici esistenti e della loro ricostruzio­ne con volumi superiori senza procedimenti amministrativi e autorizzativi particolarmente complessi, anzi persino con incentivi pubblici.

Già da simili primi elementi è facile capi­re che le grandi città italiane sono diventate l’obiettivo dei sempre più ricchi fondi che si occupano di risparmio gestito. Nel 2024 in Italia il patrimonio complessivo dei fondi immo­biliari era pari a 138 miliardi di euro, saliti a 145 nel corso del 2025, nelle mani di 60 società operanti nel settore del rispar­mio gestito attraverso un totale di 665 fondi. Questi ultimi in larghissima misura sono posseduti dalle stesse società di gestione del risparmio (Sgr): per essere più chiari le prime 25 società di risparmio gestito in Italia possiedono ben 640 fon­di.

Risparmiatori, casse di previdenza, fondi pensione sono diventati così i sottoscrittori di prodotti finanziari creati dai fondi immobiliari italiani ed esteri, riconducibili a banche, a colossi internazionali e a gruppi familiari. Ma questa fi­nanziarizzazione delle città ha avuto conseguenze pesanti in relazione allo spostamento verso la periferia sempre più estrema delle fasce di popolazione con redditi medio-bassi.

Per essere prodotti finanziari remunerativi, gli immobili “ri­generati” hanno bisogno di essere progettati da grandi firme e soprattutto non possono essere inseriti in quartieri dove esista un’edilizia “non all’altezza”. Quindi ogni forma di pe­requazione, di contributo da pagare dai costruttori, oltre agli oneri, per la nuova edificazione o per i cambi di desti­nazione d’uso, deve tradursi nella costruzione di quartieri di edilizia popolare lontani dal centro, non solo dove trasferire le fasce più deboli in termini di reddito della popolazione ma anche chi ha conosciuto l’esproprio dalla propria abitazione.

Il processo che hanno sperimentato le principali città italia­ne è dunque molto chiaro: i fondi immobiliari, con il rispar­mio gestito da remunerare, hanno comprato le aree centrali e hanno tenuto i prezzi artificialmente alti per valorizzare i propri asset, trasformando la pianificazione urbanistica nel più speculativo spostamento dei “non ricchi” da un centro in costante allargamento e di loro proprietà. A Milano i fon­di immobiliari possiedono 7,2 milioni di metri quadrati, che rappresentano circa il 10% dell’intero patrimonio immobi­liare milanese, mentre a Roma 6,8 milioni. Siamo davvero di fronte al duplice fenomeno dell’usurpazione del diritto alla qualità della vita urbana e alla creazione di un porto sicuro per un risparmio gestito destinato a trovare forme che ren­dono inutile lo Stato sociale.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)