Abruzzo verso il 2030 sulle ali dell’Aquila ovvero L’Aquila addio

E’ un po’ fuori dalle mie terre ma non potevo esimermi dal pubblicare questo articolo di Vezio De Lucia postato su eddyburg.it il 15 marzo c.a. relativo all’incredibile vicenda che riguarda L’Aquila post terremoto.

 

Rendere le Regioni più forti in seguito a un disastro naturale. Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aquila. Si intitola così il documento che l’OCSE e l’università di Groningen hanno reso pubblico in questi giorni e che dovrà essere discusso nel Forum previsto all’Aquila per sabato 17 marzo. Lo studio è stato finanziato dal ministero dello Sviluppo economico (Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica) e da CGIL, CISL, UIL. [Abruzzo verso il 2030 – sulle ali dell’Aquila]

È un testo inverosimile. Da anni, da decenni, non si leggevano stoltezze simili, sembrano chiacchiere da bar. Non riesco a credere che invece sono state scritte da istituzioni autorevoli come l’Ocse, l’università di Groningen, il ministero dello Sviluppo e le confederazioni sindacali. Mi riferisco alla parte seconda del documento, in particolare ai paragrafi Raccogliere la sfida della ricostruzione e L’aquila: concorso internazionale di architettura e candidatura al titolo di Capitale europea della cultura. Molto in sintesi, eliminando preamboli e preliminari, si propone di “utilizzare moderne soluzioni architettoniche e ingegneristiche per modificare gli interni degli edifici con lo scopo di creare luoghi moderni destinati alla vita quotidiana, al lavoro e al tempo libero, conservando e migliorando allo stesso tempo le facciate storiche degli edifici. I requisiti architettonici possono essere incentrati sulla celebrazione del passato, vista come mezzo di costruire un futuro nuovo e sostenibile”.

Sta scritto proprio così. E non è finita. Per realizzare lo scempio si dovrebbe organizzare un concorso internazionale di architettura consentendo “che venga modificata la destinazione d’uso” degli edifici, permettendo altresì ai proprietari di “modificare la struttura interna delle loro proprietà (in parte o in totalità)”.

Alla giuria del concorso dovrebbero partecipare “architetti di fama mondiale e di livello internazionale” e per pubblicizzare l’iniziativa al concorso verrebbero affiancati un documentario televisivo e altre operazioni di comunicazione che valorizzino la natura della sfida.” Aiuto!

A questo punto – per ora – solo qualche domanda. Lo sanno gli autori del documento che esiste una cultura del recupero, che da più di mezzo secolo ha messo a punto principi, procedure e regole per intervenire nei centri storici? Lo sanno che questa cultura è un vanto dell’Italia e che dall’Italia si è a mano a mano diffusa in Europa e nel resto del mondo? Hanno mai sentito parlare della Carta di Gubbio? Fu approvata nel 1960 e per la prima volta dichiarò che i centri storici sono un organismo unitario, tutto d’importanza monumentale, dove non è possibile distinguere, come si faceva prima, gli edifici di pregio (destinati alla conservazione), dal tessuto edilizio di base (disponibile invece per ogni genere di trasformazione, come quelle che propongo Ocse e soci). Lo sanno che l’impostazione della Carta di Gubbio fu raccolta da una legge della Repubblica nel 1967 (allora, negli anni del primo centro sinistra, succedeva che governo e parlamento fossero sensibili ai progressi della cultura). Lo sanno che la stessa impostazione, approfondita e perfezionata, nella prima metà degli anni Settanta guidò la formazione del piano per il centro storico di Bologna che diventò un modello apprezzato, imitato, invidiato in mezzo mondo? Che da allora altre città, grandi e piccole, anche esposte a rischio sismico, hanno seguito la stessa strada (cito solo Como, Venezia, Palermo, Napoli)?

Al Forum di sabato 17 dovrebbe partecipare il ministro Fabrizio Barca delegato dal presidente Monti a seguire la ricostruzione della sventurata città dell’Aquila. Siamo certi che chiederà agli autori di cancellare le eresie insensatamente proposte e che l’Aquila faccia tesoro delle migliori esperienze italiane in materia di centri storici e di politiche di recupero.

Un commento

  1. Il terremoto dell’Aquila è una ferita aperta e tale rimmarrà, credo, per molto tempo. Non credo serva essere un esperto per capire che la questione del recupero è complicatissima. Uno degli aspetti del problema è questo: che motivo c’è, oggi come oggi, di mantenere un capoluogo lontano dal resto della regione, in mezzo all’appennino, già depauperato (per altri motivi) del suo piccolo indotto industriale, e ora privato pure del terziario da un terremoto che l’ha distrutto e ne ha quasi dimezzato la popolazione? Siamo sicuri che il problema sia solo quello del recupero di un – pur nobilissimo – centro storico? Lo chiedo con umiltà, perché già all’indomani del terremoto, nella marasma della facoltà di Scienze, ci siamo accorti che “la Pompei del XXI secolo” era uno degli esiti possibili.

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