Una riflessione sulle centrali a biogas nelle Marche: l’handicap degli incentivi

 Avevamo già trattato l’argomento controverso delle centrali a bio-gas, sottolineando la strana vicenda della numerosa proliferazione di questi impianti, che se usati in modo intelligente risulterebbero un valore aggiunto, ma se utilizzati soltanto a scopo di lucro potrebbero risultare più dannosi che altro. L’interessante opinione di un pianificatore territoriale della scuola empolese.

Con il recente exploit dei prezzi dei combustibili tradizionali e l’obbligo di raggiungimento dei Parametri di Kyoto, c’è stato un maggiore e sempre più cospicuo investimento di quanto finora era rimasto più che altro solo sulla carta. Si è aperta una economia chiamata ‘verde’ o green-economy e anche una ricerca al miglioramento di tutto il comparto di nuovi marchingegni alternativi. Questi, per quanto eticamente virtuosi, non sono esenti da un evidente strascico di commenti negativi e interrogativi sui reali vantaggi come nella nostra regione Marche abbiamo modo di assistere. Queste critiche, comunque, non sono né un limite, né una verità, ma se ben vagliate sono una spinta ulteriore al miglioramento del comparto. Ad esempio, se ripercorriamo la storia del mercato dell’automobile, i motori e tutto ciò che li riveste, sono sicuramente migliorati nel tempo, ma attorno sono nate norme e leggi che hanno codificato gli utilizzi creando una cartellonistica, un codice stradale, delle scuole per guidare, dei limiti di consumo, ecc. sono tutti regolamenti creati non subito, ma mano, a mano che ci si rendeva conto di mettere dei limiti.

Le amministrazioni fatte dai nostri rappresentanti eletti computano attentamente questa nuova economia verde e i loro macchinari in quelli che dovranno essere i codici di buon vivere?

Sicuramente uno sbaglio agghiacciante è stato avere permesso che una bella regione agricola come le Marche sia stata deturpata da innumerevoli pannelli solari, con un regolamento regionale un po’ fiacco e distante dai cittadini con dei risultati, sotto gli occhi di tutti, fallimentari. Troppi pannelli, andati a sostituire le rese di un altro ottimo convertitore di energia solare da sempre usato dagli esseri viventi – la fotosintesi clorofilliana – un processo che crea meno entropia (confusione) quindi è una energia di migliore qualità, se non pure di migliore rendimento rispetto ai pannelli solari (sia fotovoltaico, sia solare termico).

Per quanto riguarda l’attualità di questi giorni per le centrali a biogas è normale, quindi, che l’opinione pubblica marchigiana si interroghi onde evitare danni come quelli dei pannelli solari. Ora, però, c’è da rimanere con i piedi per terra diversamente da come può fare una folla invasata e tentare di proseguire un po’ meno alla carlona di quanto fatto finora.
In Italia utilizziamo molto metano per ottenere appartamenti e locali con climi caraibici in inverno; nelle Marche il mercato delle auto a metano è fiorente da decenni, quindi sarebbe opportuno non accapigliarsi tanto perché non si può continuare ad avere gli stivali sporchi che non lascino le impronte!

Questo deve essere detto a chi è contro a priori, quando d’altra parte le centrali hanno dei pro: innanzitutto producono del metano, ma non sarà il solito idrocarburo come quelli dei fossili tradizionali (il bio-metano si rigenera in una scala di tempi umani e non più geologici quindi ci rende tutti più ecologicamente sostenibili, cioè non andremo ad intaccare quella quantità di risorse che saranno utili anche ai nostri figli); a parità di produzione energetica non occupano tanto spazio rispetto ai pannelli fotovoltaici; smaltiscono i rifiuti vegetali consegnandoci indietro un concime migliore rispetto alla “torbaccia” delle discariche tradizionali dei rifiuti organici (che molto spesso viene data agli agricoltori che ancora deve terminare il suo ciclo di decomposizione).

Hanno poi dei contro: necessitano di tanta biomassa che deve essere portata da automezzi pesanti che creano traffico e inquinamento atmosferico; servono gli stessi mezzi, ma in numero inferiore, che portano via i sottoprodotti finali (concimi); se queste centrali dovessero aumentare, senza controllo, potrebbe verificarsi che una parte consistente delle produzioni agricole non servano più al fabbisogno alimentare di esseri umani e animali, ma per non fermare le centrali; dicono che possano emanare cattivo odore intorno, ma chi le produce afferma di no; generano rumore, ma suppongo meno di tante fabbriche o di un aeroporto (male col quale molti, in questo mondo moderno, convivono); infine non sono paesaggisticamente… accattivanti.

Dopo quanto detto chiunque capisce due cose: che bisogna stare attenti al numero di queste centrali e al luogo.

Relativamente al luogo le bio-imputate chiaramente non sono oggetti da piazzare in una qualunque area, ma in zone industriali e comode cioè vicino alle infrastrutture di grande comunicazione perché, al di là dell’inquinamento paesaggistico, atmosferico e di traffico, conviene anche in termini di costi di trasporto e allo stesso tempo si spreca meno energia.

Inoltre il grano turco o la segale, maggiori fonti organiche che alimentano le centrali, crescono rigogliose solo dove possono essere irrigati mentre nella collinosa regione Marche sono pochi gli ettari irrigabili su terreni non di valle, tanto è vero che attualmente chiunque può osservare che, non appena ci si allontana dalla pianura irrigabile, il mais non lo coltiva nessuno, perché non rende. Quindi la localizzazione di queste centrali deve considerare un intorno non troppo ampio di aree coltivate e irrigabili. Certo, un Paese serio potrebbe progettare di rifornire queste centrali anche con convogli ferroviari da luoghi ancora più lontani, ma in Italia i binari sono considerati un retaggio da abbandonare quindi questi sono progetti considerati come ingenue follie!

Un altro problema delle centrali a biogas, il più importante, sono gli incentivi che possono annebbiare le considerazioni sul fabbisogno, cioè sui pericoli futuri che può creare aprire un “mercato viziato”.

Infatti grazie a questo appetitoso affare degli aiuti di Stato, a differenza del fotovoltaico, si aprono diversi livelli di mercato vicini alla nostra quotidianità (cibo, paesaggio, agricoltura, turismo) che ne subiranno gli effetti, quindi stiano attenti gli amministratori anche al fattore numero. Le centrali a biogas incentivate fomentano molti guadagni, ma quegli incentivi drogano il mercato di quell’indotto. Ciò espone il fianco a crisi, nel momento in cui dovessero saltare gli aiuti, in quanto i costi e benefici diventerebbero soggetti al mercato globale con alterazioni sugli indotti troppo repentini per assorbire un’inevitabile ricaduta.

Certo, con le centrali funzionanti i concimi potrebbero subire una diminuzione del prezzo e andranno ad aiutare le aziende che producono quelle materie prime che mantengono a loro volta in attività la centrale a biogas, ma per quanto riguarda il prezzo del metano non aspettiamoci evidenti variazioni, avverranno, ma qui vi incidono altri fattori internazionali che non si controllano tanto facilmente.

Il bio-metano è un gas naturale bio, ma è pur sempre metano, e non deriva solo da una bio-centrale: in Italia abbiamo già dei collegamenti coi giacimenti di metano russi, con la Tunisia (direttamente dalla Nigeria), la Libia, l’Olanda, stiamo costruendo i metanodotti dall’Algeria (GALSI), dal Caucaso (NABUCCO – TAP), stiamo progettando dei rigassificatori per fare arrivare metaniere da ogni parte del mondo quindi il costo del gas-naturale non è possibile controllarlo e molti fattori mostrano che il prezzo sarò destinato a scendere (fonti CNR). Ora, dentro questo panorama programmatico che in parte già c’è e in parte dovrà essere realizzato entro dieci, quindici anni, ipotizziamo che gli incentivi, che finiranno sicuramente tra quindici anni, a causa di congiunture economiche sfavorevoli dovessero finire prima: che cosa succederebbe? È probabilissimo che a quel punto si creerebbe una bolla finanziaria dove, sia bene inteso, la colpa non sarà del libero mercato visto che gli incentivi avevano drogato il sistema! Avverrà un crollo dei prezzi del grano turco, dell’affitto dei campi o del prezzo per ettaro, tutti fattori che creano crisi troppo veloci per essere assorbite senza danni su una fetta della società. Alcune centrali a biogas, invece, dovranno essere fermate e rimarranno così davvero come inutili cattedrali da smaltire. Lo ha considerato il Consiglio regionale questo fattore o approva a scatola chiusa ogni cosa che riguarda l’economia verde?

Non solo, la tecnologia futura potrà salvaguardare poco questo affare se di centrali ne sono “fiorite” troppe: è una tecnologia di elevata specializzazione con una ricerca piuttosto elitaria che può avvenire solo nei grandi centri di studio quindi, per quanto il comparto possa innovarsi, come si potrebbe a quel punto reperire soldi per rendere le centrali più efficienti se sono tante e il mercato sta implodendo? Si rischia di finire come le enormi industrie pesanti dei paesi del blocco comunista che troppe, grazie a filosofie pro-operaie e con un mercato con prezzi calmierati da decisioni di Stato, non hanno più avuto convenienza nel momento in cui sono entrate in competizione col mondo globale e sono diventate così obsolete e inquinanti che era più economico chiuderle!

Una strategia energetica e delle infrastrutture quindi è importante. Ricordiamo per chi non lo sa che per una nazione la migliore strategia energetica è avere una produzione che derivi da un numero maggiore di differenti fonti e diminuire gli sprechi. Ora sono certo (spero) che l’Italia ha fatto bene i suoi conti e darà incentivi in entità tale che venga accontentato il suo fabbisogno e ponderando ogni giusta quantità per fonte energetica, ma il Consiglio delle Marche, la Giunta e tutti gli organi delle provincie, hanno pensato al loro specifico territorio? A quanto vogliono arrivare con le centrali biogas? Sulla base di quali dati?  Hanno fatto i conti di quante ne servono per non andare fuori regime? O per non rendere, grazie agli incentivi, la nostra regione come digestore nazionale di rifiuti da smaltire e concimi da sottovendere, giocandoci, così, il mercato delle nostre eccellenze enogastronomiche che invece non ha incentivi? Hanno considerato nel dare i permessi i luoghi di edificazione per non sprecare i costi di trasferimento dai punti di produzione delle materie prime alle centrali biogas e del trasferimento dei sottoprodotti dalle centrali ai magazzini?
Insomma si può essere favorevoli al biogas, ma l’agricoltura su territori vocati deve rimanere quella della produzione di derivate alimentari finché un mercato, libero, afferma che è più conveniente. Sono in gioco anche valori etnoculturali che prima di renderli un ricordo da museificare bisogna almeno non distruggerli quando sono vivi. E sono vivi perché su un mercato libero riescono ancora a rendere!

Il biogas può funzionare, ma in assenza di Piani energetici e alle conseguenti VAS e fino a quando vive di incentivi, il numero delle centrali deve essere ponderato affinché esse diventino complementari alla già importante e attenta agricoltura delle Marche. Anzi gli diventerebbe di supporto!

Giulio Becattini

5 commenti

  1. Svantaggi degli impianti a biogas

    Tuttavia il biogas ha molte controindicazioni. Se si escludono le centrali che sfruttano il biogas prodotto dalla decomposizione di prodotti organici delle discariche, molte centrali a biogas usano liquami animali combinati con vegetali (nel rapporto di 25-75), poiché la resa del biogas si ottimizza mescolando più tipologie di prodotti organici[3].

    Quindi, primo fra tutti, per questo tipo di centrali (il più diffuso), c’è il problema che per alimentare una centrale da 1 MW occorre coltivare un terreno di circa 300 ha, che viene così sottratto alla produzione di derrate alimentari per l’alimentazione umana o animale. Gli ultimi anni sono stati però caratterizzati da un progressivo abbandono dei terreni a causa della scarsa redditività dell’agricoltura e dalla concorrenza dei paesi esteri. La sostituzione di colture a basso reddito con il mais da biomassa ha permesso a molte aziende di sopravvivere a questo momento di crisi. Questo pone però il problema della conversione di territorio agricolo a fine alimentare in territorio agricolo a fine energetico.[4] In questi casi, poiché i vegetali necessari per la fermentazione non sono destinati all’alimentazione umana e poiché quello che conta è la resa, i terreni coltivati vengono irrorati con dosi massicce di fertilizzanti e di pesticidi, inquinando il terreno stesso e le falde acquifere sottostanti. Il problema, tuttavia, si presenta solo il primo anno, perché negli anni successivi i fertilizzanti sono sostituiti dal digestato prodotto dall’impianto stesso. Il digestato infatti, è un ottimo ammendante sia dal punto di vista chimico che dal punto di vista meccanico in quanto, apportando fibra al terreno, lo alleggerisce, permettendone una lavorazione meno onerosa.

    Un altro problema è legato ai cattivi odori emessi dalla fermentazione dei vegetali e/o dal liquame associato. Il problema è risolvibile mediante una corretta gestione dell’impianto, infatti le vasche per lavorare devono essere completamente sigillate. Molte di queste centrali, in genere per sfruttare il calore in eccesso in una rete di teleriscaldamento, stanno sorgendo lontano dalle zone di produzione del liquame e vicino alle abitazioni con conseguente pesante disagio per le popolazioni.[5][6] Questo comporta tra l’altro uno spostamento di migliaia di camion a livello esclusivamente locale in quanto gli impianti sono alimentati da filiera corta con una conseguente diminuzione dell’inquinamento derivante dal trasporto su lunghe distanze.

    Un ulteriore e preoccupante svantaggio emerso pesantemente negli ultimi anni ma noto sin dalla fine degli anni ’90 è che i digestori non riescono a neutralizzare completamente i batteri presenti, in particolare i clostridi che sono batteri termoresistenti (a questa famiglia appartengono i batteri che provocano botulismo e tetano). In ogni caso la riduzione dei batteri all’interno dei digestori, benché non completa, rende il digesato piu sicuro del letame talquale [3][7][8] Questi batteri sono presenti nel digestato, cioè nello scarto dei digestori che viene successivamente smaltito nei terreni. Per questo motivo la regione Emilia-Romagna, nelle sue linee guida per la localizzazione delle centrali a biogas (delibera dell’Assemblea regionale n. 51 del 26 luglio 2011), stabilisce che il territorio di produzione del Parmigiano-Reggiano è considerato non idoneo all’installazione di impianti di produzione di energia da biogas. [9]Una recente sperimentazione condotta dal CRPA in reattori da laboratorio ha dimostrato come nella produzione di biometano con l’impiego di insilati (nella prova sono stati utilizzati insilati di mais e di sorgo) si riscontri un incremento di circa 17 volte del numero delle spore nel digestato rispetto al numero di spore presenti nell’insilato introdotto. Al contrario, non si è verificato alcun aumento di spore nel digestore utilizzando solo deiezioni. Pur con tutti i limiti di una sperimentazione realizzata in laboratorio, il risultato rimane assai significativo perché conferma come nel processo anaerobico di produzione di biometano si creano nel digestore le stesse condizioni favorevoli allo sviluppo delle spore, presenti sia nella produzione dell’insilato, sia nell’apparato digerente dei ruminanti. In Germania alcuni ricercatori hanno suggerito che l’epidemia di Escherichia coli che ha colpito la Germania, causando nell’estate del 2011 18 morti e tra l’estate del 2011 e l’inizio del 2012 migliaia di casi di botulismo osservato negli animali, sarebbero state causate dalle centrali a biogas.[10], salvo poi scoprire che il biogas non c’entrava nulla, mentre i germogli di soia infetti da Escherichia Coli, per i quali si imputò a un certo punto il digestato sparso sui campi, venivano dall’Egitto.
    Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Biogas

  2. Sono favorevole alla produzione di energia da biomasse solo quando questo non comporti la sottrazione di risorse destinate direttamente o indirettamente all’alimentazione umana. Altrimenti si verifica una doppia speculazione: gli agricoltori intascano gli aiuti di stato e contemporaneamente i maggiori utili derivanti dal generale aumento dei prezzi delle materie prime alimentari. Al Gore qualche tempo fa, dopo essersi reso conto dello spaventoso aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, ha fatto “mea culpa” per aver appoggiato i produttori di bioetanolo, promuovendo con sussidi governativi l’utilizzo di biocarburanti negli USA.

  3. La produzione di biogas è in assoluto ottima se impiega pressoché esclusivamente liquami e/o sottoprodotti-scarti organici così da non entrare in competizione con produzioni vegetali utilizzabili per l’alimentazioone umana (es. mais); causa di aumento dei prezzi a danno soprattutto del Terzo Mondo. Oltre a regolare le sedi e le modalità di impianto, conviene (come in Emilia-Romagna) che l’ente pubblico si faccia rilasciare una fidejussione per garantire la demolizione dell’impianto e il ripristino del luogo a fine vita produttiva.

  4. Il mio lavoro mi porta a dialogare con i conduttori di aziende agricole dedicate alla zootecnia. Pochi giorni fa ho avuto modo di parlare con un imprenditore con un allevamento di diversi centinaia di capi di mucche dal latte che vorrebbe installare una centrale biogas che gli permetterebbe di essere autosufficiente sotto l’aspetto energetico e di trasformare i liquami derivati dall’allevamento da un”fastidio” a una risorsa ma purtroppo non riesce ad attingere ai fondi regionali nè ad ottenere prestiti dalle banche….A questo porta la politica energetica della Regione Marche. Questi dovrebbero essere i progetti finanziati.

    1. Sono perfettamente d’accordo con la posizione del pianificatore della scuola empolese in merito ai rischi speculativi associati al biogas e nello stesso tempo riconosco le potenzialità di impiego di questa tecnologia nel caso sia dimensionato con le disponibilità di sottoprodotti da parte dell’azienda(e eventualmente anche di prodotti, qualora non vadano ad intaccare le produzioni tradizionali ma si aggiungano a queste, attingendo da terreni marginali). Vorrei chiedere alla redazione se sia possibile avere dei contatti del pianificatore della scuola empolese (indirizzo e-mail, numero di telefono) o della scuola empolese stessa, dal momento che sto preparando un documento volto a promuovere il “biogas fatto bene” nel mio territorio, riportando anche dei riferimenti di questa intervista. Per Gabriele, mi piacerebbe conoscere l’imprenditore di cui parlava, dal momento che mi pare strano che non sia riuscito ad avere dei finanziamenti per avviare un impianto… Grazie in anticipo per le risposte.

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