Un piano di insediamento industriale nel cuore dell’areale del Taurasi. E’ questa l’ultima trovata dei politici per assestare un colpo mortale ad una delle zone più incontaminate del Sud, famosa per il suo vino. Non sono bastati i modelli fallimentari adottati dopo il terremoto del 1980, un fallimento nel quale i nuclei industriali abbandonato o in crisi sono dei mostri di cemento che hanno divorato fertile suolo agricolo per mangiare soldi pubblici. Il motivo che spinge questa decisione è il solito: appalti, magari mazzette, qualche assunzione clientelare. Poi tutto chiuderà e resteranno le mostruose cattedrali nel deserto.
Articolo di Flavio Castaldo, archeologo, azienda Contrade Taurasi
“La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, recita l’articolo 9 della Costituzione, promulgata il 27.12.1947 ed entrata in vigore l’1.1.1948. Quante sono le azioni che sono state fatte dalla nostra nazione o dagli enti locali per salvaguardare questo articolo, e quante le palesi violazioni. La necessità della tutela del paesaggio è stata prevista dalla nostra costituzione prima del boom economico che investì il nostro paese negli anni ’50-’60.
La salvaguardia del Paesaggio è meglio specificata all’interno del Codice dei Beni culturali dove il patrimonio paesaggistico è incluso tra questi ultimi. Così recita il Codice: “Si intende come paesaggio una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana e dalle reciproche relazioni” ( art. 131 del Codice D.lgs 22.1.2004 n.42). Il paesaggio irpino, in particolare l’area della Media Valle del Calore è il prodotto millenario di una convivenza tra l’uomo, la sua attività primaria, quella agricola, e l’ambiente circostante. Partendo da questa ferita aperta nel territorio, l’area del PIP, si possono vedere distese di grano, vigneti plurisecolari, che come un bosco coprono i terreni sottostanti, e in fondo su di una collina, nuovi vigneti e un bellissimo casolare in pietra, probabilmente risalente all’età altomedievale con un’aia in cocciopesto addirittura più antica. Quando è stata redatto l’articolo 9 della costituzione si sperava di bloccare qualcosa che era già in nuce in età fascista, l’uomo autorizza qualunque azione devastante con la scusa del progresso e in poco tempo avrebbe potuto distruggere quell’armonia tra storia e natura che costruita nei millenni e che rendeva il nostro paese unico.
Ma in poco tempo in molti casi la bellezza, nonostante le limitazioni legislative, si è trasformata in degrado e bruttura di cemento e ferro. Nonostante sia sempre maggiore la consapevolezza che non vi può essere sviluppo senza la salvaguardia della natura e l’unico sistema di sviluppo duraturo debba partire dal territorio circostante dalla sua ricchezza, si sta per consumare dietro la scusa del progresso, addirittura ecosostenibile l’ennesima violazione del nostro patrimonio culturale. Perché costruire un impianto di cogenerazione elettrica, che usa biomasse prodotte a migliaia di km di distanza proprio nel cuore dell’Irpinia ? In un territorio votato da secoli al un’economia che non ha bisogno e non vuole l’industria?
L’area tra Mirabilla Eclano e Bonito fa parte della D.O.P. Colline dell’Ufita, un olio di eccellenza, e della DOCG del Taurasi, un vino che negli anni, nonostante la crisi, si sta diffondendo nel mondo. Questo patrimonio è fatto di piante ultracentenarie, che uniche in Europa sono sopravissute anche alla devastante filossera , e di siti archeologici immersi nel verde. Dall’altro lato della collina dove si è realizzata l’area PIP, c’è la SS 7, forse più conosciuta con il suo nome tradizionale, via Appia. E’ più facile, più conveniente e sicuramente più lucroso, fare un pianoro artificiale di terra e cemento, ben poco resistente visto che è già palesemente crollato, costruire una centrale elettrica inquinante, piuttosto che salvaguardare le testimonianze che rendono questo territorio unico? L’idea di sviluppo di cui dovremo discutere, dovrebbe essere qualcosa di meno dispendioso e di duraturo, dovrebbe essere il rafforzamento della filiera agricola che produce eccellenze uniche ed inimitabili, dovrebbe essere la salvaguardia di quella biodiversità, necessaria per la produzione agricola e cosa non di minore valore, per il benessere fisico dell’uomo.
Mi piacerebbe che denaro fosse investito in comparti che potrebbero anche diventare redditizi per una parte della popolazione di questi luoghi. Pensate che chi compra una bottiglia di Taurasi in America, in Giappone o in Cina, è invogliato a comprarla dall’idea di una ciminiera immersa in una valle o da immagini di aree protette costituite da vigneti plurisecolari, da resti di antiche e gloriose vestigia e dell’aria salubre di una splendida campagna. Sono anni che sappiamo come gli interventi di industrializzazione forzata, che hanno rovinato il paesaggio agrario del Mezzogiorno, negli anni 80, hanno lasciato solo capannoni deserti e inquinamento ambientale. La ricchezza prodotta è stata appannaggio di pochi e benessere breve e apparente per altrettanto pochi, mentre ora partendo da Napoli per arrivare a Foggia, sono innumerevoli le aree ormai contaminate, trasformante in paesaggi di cemento e ferro, che non possono essere recuperate se non con altri apparati produttivi.
Invece la nostra tanto accorta politica propone come idea di sviluppo la stessa che già si è rivelata fallimentare. Costruire un’area industriale in una zona miracolosamente salvata dal cemento fino ad ora, e su questa costruire un impianto per la trasformazione e la produzione di energia elettrica dalle biomasse importate dalla Romania. Continua la follia, l’uomo che dovrebbe per sua natura avere memoria degli errori pregressi continua nella folle corsa della distruzione di se stesso e del proprio ambiente. Mirabella ha una ricchezza enorme male sfruttata, anzi che sta subendo ogni anno un disfacimento apparentemente inarrestabile. Uno sviluppo urbanistico incontrollato, privo della minima azione di tutela ha portato alla sistematica distruzione di un’area archeologica di primo piano, con due siti segnalati anche nella tabula Peutigheriana, una specie di carta del Mediterraneo romano e del suo territorio, redatta nel V sec. d.C. Da una parte vi era Aeclanum, e dall’altra, più in basso il ponte sul fiume Calore, di cui si conservano ancora le vestigia. Quest’area è ora nel più completo abbandono, tanto che un addetto ai lavori, pur conoscendone l’importanza stenta a trovarne notizia.
Intanto, si costruiscono edifici, dove erano il foro, si realizzano strade senza curare dell’impatto su un paesaggio, ancora, nonostante tutto, conservato nella sua integrità. Dove era il foro della città ora è un bellissimo piano in cemento che ne copre resti, e pure l’unico scampolo rimasto mentre tutti il resto è stato distrutto senza tutela ne vincoli, con una chiara assenza di interventi dello stato. Tutto questo è necessario? E’ necessario correre forsennatamente verso il baratro della bruttura, dell’inquinamento e del degrado. Ancora, nonostante tutto, una parte di questa terra era ancora bella. La bellezza è una dote che non tutti hanno e chi ce l’ha dovrebbe conservarla gelosamente. E’ anche vero che la bellezza spesso non la possono vedere se non coloro che ne conservano l’idea nel proprio animo. E’ possibile che sono così pochi?
Fonte: lucianopignataro.it