Tutelare il territorio per la nostra sicurezza fisica, sanitaria e alimentare

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Eventi meteorologici intensi, inquinamento e consumo di suolo agricolo: le emergenze ambientali sono sempre più una realtà ma, nonostante l’importanza, trovano ancora poco spazio nell’azione politica.

Alcuni partiti sollevano periodicamente il tema della sicurezza per ottenere consenso. Con l’avvento della crisi è diventata poi idea comune la necessità di parlare “alla pancia” delle persone in difficoltà economica. Un’emergenza sociale che monopolizza attenzioni e programmi. Il dibatto politico forse non lo comprende ancora, ma presto potrebbero essere le emergenze ambientali a condizionare completamente le priorità e le scelte. Si dovrà parlare quindi “alla pelle” dei cittadini.

SICUREZZA FISICA

Sarà sempre più importante la sicurezza fisicanon è più possibile rinviare gli interventi per la difesa del suolo. Molti territori italiani, Liguria e Toscana per citare solo gli ultimi casi, hanno già affrontando i primi effetti delle piogge intense di questo periodo. Le preoccupazioni non possono che aumentare. Si è costruito troppo, anche dove non si poteva, e questo ha causato disastri e morti. Come si può non considerare prioritaria l’incolumità delle persone?

SICUREZZA SANITARIA

Un altro necessario obiettivo è quello della sicurezza sanitaria, un problema particolarmente sentito a livello locale. I veleni nell’aria che si respira a Taranto e quelli della terra contaminata dai roghi dei rifiuti in Campania sono pericoli diretti per la salute dei cittadini, diventati purtroppo realtà. Il consumo di suolo e di risorse naturali, l’inquinamento che porteranno le nuove autostrade, le trivellazioni, i rigassificatori, ecc. aumenteranno i pericoli. Come è possibile che la visione politica sia ancora così miope e preferisca sostenere la necessità del progresso subito e ad ogni prezzo? Eppure di recente è stata rinfrescata la memoria con le commemorazioni per i 50 anni dalla tragedia del Vajont . Chiedere attenzione e sicurezza è un’indispensabile condizione da cui partire per affrontare correttamente qualunque progetto di sviluppo.

SICUREZZA ALIMENTARE

Sembra ancora lontana ma non va trascurata infine la sicurezza alimentare. Un paese deve mantenere indipendenza nella produzione di cibo, bisogno primario. Gli effetti negativi della dipendenza da importazione si vedono già chiaramente in ambito energetico. Per evitare drammatiche conseguenze è necessario conservare il suolo agricolo e salvare questo fondamentale settore, vantaggioso sia per l’opportunità di nuova occupazione che per la conservazione e valorizzazione del territorio.

Attraversando il nostro paese da nord a sud si incontrano problemi diversi ma al tempo stesso molto simili, crisi che si ritrovano in diverse regioni e città costituendo un’emergenza diffusa a livello nazionale. Non c’è inoltre confine nazionale all’emergenza: la Pianura Padana è da tempo segnalata a livello continentale come una delle aree più critiche per la qualità dell’aria. Questo bisogno di sicurezza viene ancora pericolosamente ignorato e non diventa oggetto di decisioni stringenti nonostante la vitale importanza. Sono erroneamente considerati altri obiettivi e altre esigenze per affrontare quei problemi sociali ed economici che in realtà molto spesso derivano proprio dalle problematiche del territorio.

Qualsiasi programma per una società più equa, prospera e pacifica è privo di significato se si lasciano i cittadini in condizioni di pericolo o privati dei bisogni primari. Sembra ovvio e banale eppure, per ignoranza o volontaria dimenticanza, nelle politiche attuali questo prioritario obiettivo continua a mancare.

Luca D’Achille

9 commenti

  1. Ricordiamoci sempre che l’emigrazione “per migliorare il proprio tenore di vita” ha visto gli italiani protagonisti per anni, verso il Nord Europa e l’America. E potrebbe esserci ancora… Nel nostro paese c’è una classe politica per nulla “comprensiva e compassionevole”: chi dice “basta a questi flussi migratori” lo fa principalmente per spaventare e prendere voti. Come può affrontare seriamente il problema? E ritornando al senso dell’articolo (che purtroppo non è stato colto) se non cambiano i principi e le priorità, saremo sempre allo stesso punto: anche a flusso migratorio zero, le problematiche descritte ci sarebbero ancora. Perché purtroppo tra gli italiani c’è, e ci sarà, chi, per aumentare ancora di più il “suo” tenore di vita, non emigra ma punta ad appropriarsi del bene comune a suo esclusivo vantaggio e a danno dei connazionali.

  2. Non serve la “patente di ipocrisia” per capire che le tante case vuote non sono state costruite per soddisfare un bisogno generato dall’immigrazione, ma solo per l’arricchimento dei costruttori.
    Non sono per immigrati né quelle case o capannoni che vengono realizzati nell’alveo dei fiumi, né tanto meno le ville e gli alberghi a pochi metri dalle coste della Sardegna.
    Così come non è l’immigrazione che causa l’inquinamento dell’aria e delle terre né la diminuzione di suolo agricolo, anzi in agricoltura gli immigrati costituiscono la principale manodopera.
    L’incremento del consumo del suolo legato all’aumento della popolazione è ovvio, ma i problemi descritti nell’articolo non si risolvono di certo tutelandosi dall’incremento di popolazione dovuto all’immigrazione e controllando la mobilità interna. Si deve cambiare la nostra società. E’ tanto facile quanto stupido scaricare le nostre colpe sugli immigrati.

    1. L’immigrazione, in quanto unica causa in Italia dell’aumento della popolazione, non richiede solo case, ma anche che l’economia continui a crescere, per soddisfare i nuovi bisogni. Ci vuole quindi più di tutto: più industria, più commercio, più servizi, più turismo… se vogliamo recuperare gli edifici inutili o abbatterli, la popolazione deve smettere di crescere, altrimenti per ogni casa riempita o recuperata intanto si sarà creato il bisogno di una nuova casa ancora.
      Non porre freno alla crescita di popolazione significa non risolvere mai il problema: è come svuotare un lavandino mentre il rubinetto resta aperto.
      Ovviamente non è il solo fronte su cui agire, ma non ho mai sentito di un problema complesso che si risolva in un modo solo.

      1. Attualmente la crescita delle abitazioni non è per niente proporzionata e non risponde all’aumento della popolazione, ma è maggiore e non incontra le esigenze, da qui il surplus dimostrato dal censimento del cemento.
        Considerando giustamente la complessità del problema e allargando la riflessione, è notizia di questi giorni http://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/2013/11/12/981038-imprese-immigrati-lavoro.shtml che grazie agli immigrati e alle loro imprese i posti di lavoro aumentano. Del resto una società multiculturale, un po’ come per il principio della biodiversità, è più forte. E un’altro principio naturale, quello del raggiungimento dell’equilibrio, potrebbe far pensare che quando sarà vicino il punto in cui un territorio e le sue risorse non possono più rispondere alle richieste, allora i flussi migratori cambieranno automaticamente destinazione.
        Quindi ad una soluzione drastica, quella di chiudere il rubinetto e privarsi dell’acqua, è forse preferibile un altro obiettivo, quello di un uso consapevole della risorsa per condividerla, senza esaurirla, in modo equo.

        1. Gli italiani, o meglio le persone residenti in Italia, consumano quattro volte quanto il nostro paese è in grado di produrre (http://www.footprintnetwork.org/en/index.php/GFN/page/trends/italy/). Paradossalmente, riusciamo ad andare avanti in questo modo insostenibile solo prelevando le risorse da quei paesi da cui poi giungono gli immigrati. Come facciamo a porre fine a questo sfruttamento, con una popolazione in costante crescita? Dovremo aumentare il prelievo anziché ridurlo!
          Per rientrare nei limiti delle nostre risorse dovremmo o ridurre a un quarto (A, non DI) la popolazione, oppure i consumi. Consumare un quarto di quello che consumiamo ora è molto difficile, per quanto auspicabile, e ridurre la popolazione non è possibile finché continuano ad arrivare immigrati.
          Dire che la crescita delle abitazioni sia sproporzionata rispetto alla crescita della popolazione non smentisce il fatto che comunque le due procedono nella stessa direzione.
          Se fosse come dici tu, cioè che l’equilibrio viene raggiunto automaticamente, questo dovrebbe già essere successo da un pezzo. Invece la popolazione continua ad aumentare sia nelle aree povere, che in quelle ricche, e ben al di sopra della capacità dell’ambiente di sostenerla. Altro che equilibrio!
          Che i posti di lavoro aumentino non significa nulla. Innanzitutto, con un aumento della popolazione possono aumentare i numeri assoluti sia dei posti di lavoro, che dei disoccupati. Ma soprattutto, la necessità costante di creare posti di lavoro, che siano occupati da italiani o da stranieri, sta distruggendo le risorse naturali. Edilizia, servizi, agricoltura, industria… tutto consuma risorse e crea scarti e rifiuti da smaltire. Anziché preoccuparci di avere più posti di lavoro in assoluto, dovremmo pensare a rientrare nei ranghi rispetto al consumo di risorse – e quindi a decrescere come popolazione.
          L’unica soluzione è disincentivare, nella maniera più umana possibile, l’immigrazione. Può non piacere, ma è così.

          1. Giusto considerare l’impronta ecologica per comprendere il problema: di pianeti ne avremmo bisogno 3, l’Italia consuma per 4, gli USA per 10. la Somalia è a 0,2, il Monzambico a 0,6. E’ indiscutibile l’iniqua distribuzione delle risorse, c’è lo sfruttamento che non consente l’equilibrio naturale.
            Come facciamo a porre fine a questo sfruttamento? Considerando i numeri di cui sopra, cito una frase: se vogliamo riportare l’attività umana nell’ambito della sostenibilità, a chi tocca fare un passo indietro? Direi che non ci siano dubbi su chi puntare il dito.
            La popolazione va ridotta e regolata? Chi sceglie come ridurla e chi deve essere “escluso”?
            Il problema si risolve con la testa ma anche con la coscienza, che fino ad ora non è mai stata usata ed ha generato tutto questo. Cosa dire a chi è solo più sfortunato e nasce in paese in guerra, in carestia e sfruttato (proprio da noi)?
            “Hai la mia solidarietà ma resta lì, altrimenti aumenta la popolazione e dobbiamo consumare suolo per creare case, lavoro, ecc”. La mia testa può anche capire la proporzione numerica, la mia coscienza no.

          2. Un rallentamento della crescita della popolazione si può ottenere rendendo accessibili i contraccettivi a quei milioni (spesso leggo la cifra di oltre duecento milioni) di donne che li vorrebbero e non li hanno. Questo tra l’altro avrebbe notevoli benefici anche per la salute delle donne e dei bambini, spaziando le nascite e permettendo famiglie più piccole con figli più seguiti.
            Non tutti quelli che vengono qui fuggono da carestia e guerra: spesso la motivazione è migliorare il proprio tenore di vita, avvicinandolo a quello consumistico occidentale. Sono assolutamente d’accordo sul fatto che siano i paesi ricchi a dover fare delle rinunce riguardo ai consumi, ma paradossalmente il fatto che la popolazione di questi paesi ricchi continui ad aumentare (causa immigrazione) rende di fatto impossibile ridurre i consumi. Se per esempio gli italiani, collettivamente, diminuiscono i consumi dell’1% annuo, ma allo stesso ritmo la popolazione cresce, il consumo totale del paese è pari. Ogni sforzo è vanificato.
            Inoltre, come per noi una volta, l’emigrazione è una valvola di sfogo anche per crescite insostenibili della popolazione: accogliere flussi migratori massicci non risolve il problema né qui, né lì, semplicemente lo scarica su di noi.
            Questo ovviamente non vale per i paesi dell’Europa dell’Est, dove il problema sono solo i salari bassi.
            Quello che secondo me andrebbe fatto è aprire un dibattito onesto sull’immigrazione, senza nascondersi dietro a concetti belli come compassione e comprensione, che forse ci fanno sentire persone migliori ma non risolvono i problemi – e qui il problema è la qualità della vita di tutti e la nostra stessa sopravvivenza come specie!
            Bisogna finanziare iniziative che riducano la natalità senza coercizione, come appunto campagne informative e fondi per i tanti metodi contraccettivi che ci sono; bisogna avere il coraggio di dire basta a questi flussi migratori capendo chi ne profitta (trafficanti, chi vuole manodopera a basso costo) e chi ne patisce le conseguenze (migranti che rischiano la vita, lavoratori dei paesi occidentali confrontati con concorrenza a basso prezzo e basse pretese). Bisogna anche ridurre i consumi dell’Occidente, certo, ma questo da solo nona risolve il problema.

  3. Completamente d’accordo. Eppure quasi nessuno ha il coraggio di dirlo. Guardare i dati Istat: la popolazione italiana sta ancora crescendo, a causa dell’immigrazione
    http://demo.istat.it/
    Ci sono un sacco di organizzazioni non governative che si occupano di diffondere i contraccettivi nei paesi ad alta e altissima natalità, il che comporta tra l’altro benefici anche per la salute delle madri e dei figli e per le economie. Bisognerebbe finanziare i loro progetti.

  4. Preminente, per affrontare la questione della tutela del territorio, è affrontare la questione della tutela dalla sovrappopolazione. L’Italia è già sovrappopolata del suo, la sovrappopolazione porta a deterioramente del territorio, incrementare la sovrappopolazione aumenta il deterioramento del territorio. Considerando la bassa natalità autoctona, non si può fare a meno di osservare che l’incremento della popolazione che grava sul territorio italiano è oggi come oggi interamente da attribuire ai moti migratori e alla proliferazione dei forestieri. Ergo, quando si parla di tutela del territorio non si può non prendere in considerazione la necessità di tutelarsi contro l’incremento di popolazione dovuto all’immigrazione. Anzi, occorrerebbe assicurarsi che il controllo dei moti migratori venga messo in atto in modo da permettere una graduale ma rilevabile ed immediata riduzione della quantità di persone presenti sul territorio italiano in ogni sua realtà locale (col che intendo includere anche i fenomeni mobilità interna). Se si intende essere sordi e muti in merito a questo tema, si abbia almeno la coerenza di tacere sulla necessità di tutelare il territorio in toto. In caso contrario, la patente di ipocrisia è garantita.

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