Salute pubblica e TAV: chiesto confronto pubblico sui rischi dello scavo

Marcia del popolo NoTav a Susa

Sabato 1 marzo presso il Salone dei Congressi della Regione Piemonte si è svolto un convegno sul tema: “Salute pubblica: i rischi dello scavo del tunnel della Maddalena di Chiomonte per il TAV Torino-Lione”.

Il convegno ha messo in evidenza, tramite le relazioni degli esperti intervenuti e i molteplici dati presentati, il considerevole impatto che hanno grandi cantieri, quale quello per la realizzazione del tunnel geognostico della Maddalena e a maggior ragione, in prospettiva, quello che avrebbe il cantiere del tunnel internazionale di una eventuale nuova linea ferroviaria Torino-Lione.

Nello specifico della Valle di Susa un elemento di criticità è legato alla presenza in valle di rocce amiantifere che durante operazioni di scavo vaste quanto quelle in corso o previste hanno elevate probabilità di essere interessate, con annesso rischio di emissione di fibre di asbesto nell’ambiente.

All’amianto si aggiunge l’altrettanto certa presenza di minerali uraniferi che a loro volta hanno elevate probabilità di essere interessati dagli scavi. A tali minerali è connessa la dispersione di pulviscolo radioattivo e lo sviluppo di radon.

Bisogna infine segnalare la pura e semplice emissione di micro polveri da parte dei cantieri e durante le operazioni di trasporto dei materiali di scavo.

Gli impatti su citati si manifestano su di un ambiente già parzialmente compromesso in passato da altre dispersioni di inquinanti (in particolare diossine) tuttora presenti nel terreno. Inoltre la configurazione morfologica della valle rende estremamente improbabile la stabilizzazione e il confinamento delle polveri.

Dal punto di vista del contesto umano si può sottolineare come esso sia già sottoposto a stress sanitari legati alle situazioni pregresse e che la compresenza di una pluralità di fattori inquinanti quali quelli ricordati comporta effetti negativi sinergici molto più che proporzionali, come ben documentato dalla letteratura medica specializzata.

Senza entrare qui, essendo fuori dagli obiettivi del convegno, nel merito di altri impatti, come ad esempio quello idrogeologico, o, a monte di tutto, della rilevanza economica dell’opera siamo portati a chiedere agli organi responsabili e di controllo come stanno monitorando e come intenderanno monitorare la situazione e tutelare la salute dei cittadini.

E’ stato rilevato come, nel quadro normativo attuale, si proceda preventivamente attraverso il rilascio di prescrizioni a carico dei responsabili dei lavori del cantiere.

Come però viene concretamente verificato il rispetto delle prescrizioni?

Quali salvaguardie immediate si possono attivare nel momento in cui le prescrizioni risultino non assolte?

Come viene effettuato il monitoraggio dello stato dell’ambiente in cui si inserisce il cantiere attivo?

Vorremmo avere delle risposte chiare a questi quesiti in un confronto pubblico, rilevando come un controllo a posteriori non possa essere accettabile, in quanto, a danno fatto, a poco valgono le azioni sanzionatorie e/o risarcitorie.

Non riteniamo che il conteggio finale dei malati o dei morti sia una buona forma di tutela della salute dei cittadini abitanti nella zone, senza dimenticare i lavoratori del cantiere che sono i più esposti.

Ricordiamo un episodio di storia italiana: la denuncia del proprietario della cava d’asbesto di Balangero contro il direttore del giornale “Il progresso del Canavese”, che aveva riferito sui danni sanitari del minerale (a seguito delle scoperte del Prof. Antonio Scarpa di Torino).

La Corte di Torino (1906) respinse la denuncia in primo grado, tale giudizio fu poi confermato dalla Corte d’Appello dello stesso foro l’anno successivo (1907) (Ezio Bonanni – Johnson Conference on Asbestos-Burlington – 28.07.2011).

Nonostante queste scoperte e le illuminate sentenze di inizio ’900, purtroppo quasi un secolo dopo, abbiamo avuto “Casale Monferrato”.

Vi invitiamo quindi  a non trascurare la nostra richiesta di approfondimento e di confronto e prendere di petto il problema prima che sia troppo tardi.

Riportiamo qui di seguito l’intervento introduttivo di Angelo Tartaglia e i collegamenti alle registrazioni video del convegno.

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Introduzione di Angelo Tartaglia

Prima di entrare nel merito del tema salute in connessione con il tunnel geognostico della Maddalena, è opportuno richiamare il problema che sta a monte, ovvero quello della rilevanza o irrilevanza della ipotizzata nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione. Ricordo che stiamo parlando di un’opera che i proponenti vorrebbero per ora realizzare solo nella sua parte centrale, consistente in un tunnel di base lungo 57 km. La maggior parte della galleria (circa 4/5) sarebbe in territorio francese, il resto in Italia. Lo scavo oggi iniziato riguarda non l’opera principale ma un tunnel esplorativo lungo circa 7 km e mezzo, destinato in prospettiva a diventare discenderia e tunnel di servizio del traforo principale.

Il costo ufficiale del tunnel di base è di circa 8 miliardi e mezzo di Euro di cui non meno di 2,9 sarebbero a carico dell’Italia. Fino al 40% del totale verrebbe coperto dall’Unione Europea (i proponenti comunemente indicano 40%, ma nessuna cifra, a parte il tetto massimo, è stata ancora deliberata in sede europea), del resto, circa il 57% resterebbe a carico dell’Italia e il 43% della Francia (anche se solo 1/5 del tunnel sarebbe in Italia). Per ora nessuna decisione formale è stata assunta in merito all’opera principale: il più recente accordo tra i governi italiano e francese (gennaio 2012) dice che la realizzazione del tunnel di base sarebbe subordinata ad un nuovo accordo tra i due paesi, da definire dopo che l’Unione Europea avrà comunicato l’effettivo ammontare del proprio contributo.

Quanto al collegamento completo, la Francia dovrebbe ulteriormente spendere sul proprio territorio, secondo la Court des Comptes francese, 23 miliardi di Euro. Il completamento del lato italiano fino a Settimo, con sottoattraversamento della periferia ovest di Torino, potrebbe costare. secondo una stima molto prudenziale, altri 20 miliardi di euro. Sommando il tunnel internazionale con le tratte nazionali, si ottiene una stima iniziale di circa 50 miliardi di Euro. RTF ed LFI, viceversa, dichiarano solo 23 miliardi.

Il tunnel della Maddalena ora iniziato dovrebbe avere un costo superiore ai 600 milioni di Euro (teoricamente coperti da un contributo europeo, in parte già speso e fin ora non completamente erogato). La cifra è da confrontare con quanto a inizio anno risultava stanziato in Italia per interventi di messa in sicurezza dell’intero territorio nazionale: 30 milioni (dichiarazione del neo presidente del consiglio Renzi nel discorso sulla fiducia tenuto di fronte al Senato).

Dopo i costi, veniamo al traffico. Nel 1992 i proponenti della linea affermavano che i passeggeri, all’epoca circa 2000 al giorno, sarebbero in dieci anni divenuti 20.000. In realtà nei più di 20 anni da allora l’offerta di posti sulla Milano-Torino-Parigi ha continuato ad oscillare tra i 2000 e i 3000. Tra Torino e Lione il traffico passeggeri è irrilevante.

Passando alle merci, si nota che, dal 1997 (massimo storico), il traffico sulla linea ferroviaria è precipitato da più di 10 milioni di tonnellate (Mton) all’anno a 3,4 milioni di tonnellate/anno. Va ricordato che, fino al 2006, i proponenti della nuova linea continuavano ad agitare lo spettro di una imminente saturazione della ferrovia storica. Questo mito è stato dissipato dal primo quaderno dell’osservatorio sulla nuova linea istituito nel 2005 dal Governo. Malgrado ciò vari politici ‘distratti’ , a volte anche con responsabilità di governo, continuano saltuariamente a riesumare la favola della saturazione incombente.

Passando dalla ferrovia della Valle di Susa all’intero arco alpino, troviamo, consultando i dati del Bollettino Alpinfo diramato annualmente dal ministero federale svizzero dei trasporti, che l’intero traffico commerciale terrestre tra Italia e Francia, sommando strada e rotaia, è in calo continuo dal 2002, mentre negli stessi anni, fino al 2010, il traffico tra Italia e Svizzera e tra Italia e Austria è stato ed è in regolare aumento (notare che fino al 20071 le linee ferroviarie che attraversano le Alpi in Svizzera erano dello stesso tipo e classe di quelle della Valle di Susa e quella del Brennero è sempre la stessa anche ora).

Questi andamenti non sono privi di spiegazione ragionevole. Le linee in direzione nord-sud collegano l’Europa ai porti della sponda settentrionale del Mediterraneo e questi a loro volta sono collegati con i mercati dell’oriente (Cina e Sudest asiatico) ben lontani dalla saturazione; quelle aree poi sono in grado di produrre beni di sostituzione di quelli europei, a costi inferiori per via del molto minore costo del lavoro. I collegamenti est-ovest, viceversa, uniscono diverse regioni dell’Europa con mercati materialmente saturi, in cui quindi la quantità complessiva di ‘materia lavorata’ (e quindi anche trasferita) non può più crescere più di tanto.

Guardando tra l’altro le curve dei traffici transalpini degli ultimi cinque anni, anche non considerando la brusca contrazione del 2009 abbinata alla crisi finanziaria internazionale, si intravede una tendenza alla saturazione complessiva su valori ben al di sotto di quella che è la capacità delle strade e ferrovie esistenti, nel loro insieme.

Con tutto ciò le ‘previsioni’ presentate in modo ricorrente dai proponenti raccontano un futuro del tutto diverso, dichiarando andamenti del traffico attraverso la Valle di Susa in crescita rigogliosa nei decenni avvenire. È così per le ‘previsioni’ pubblicate nel 1997, smentite dalla realtà; è così per le ‘previsioni’ elaborate nel 2006, smentite dalla realtà; è così per le previsioni ribadite nel 2010, smentite dalla realtà immediata, ma proiettate addirittura fino al 2053. Contestualmente, previsioni elaborate da un soggetto diverso, quale la società BBT (progettista della futura nuova linea del Brennero) indicano, a partire dal 2006, una stabilizzazione dei flussi attraverso la Valle di Susa.

A un orizzonte più ravvicinato, il 2035 (teoricamente 10 anni dopo la conclusione dei lavori del tunnel di base,) LTF ‘prevede’ sulla nuova linea della Valle di Susa il passaggio di 39,9 Mton/anno di merci (più di dieci volte quelle del 2012) e 32,4 Mton/anno ai valichi stradali del Monte Bianco e del Fréjus (1,6 volte quelli del 2010). Questa ‘previsione’ (pubblicata nel Quaderno n. 8 dell’Osservatorio) comporta, attraverso una semplice proporzione, che nel 2035, attraverso la Valle d’Aosta e la Valle di Susa insieme, dovrebbero passare circa 800.000 camion in più di oggi. Questo risultato elementare è particolarmente rilevante perché si scontra con un ‘tentativo di circonvenzione di disinformati’ perpetrato dai proponenti e ripreso in sede ministeriale (nonché da vari politici disinformati per scelta e programma); nello stesso quaderno n. 8 si dice infatti e si sottolinea che nel 2035, con la nuova linea in funzione, i camion sarebbero 700.000 in meno. Chiunque intenderebbe ‘in meno di oggi’, ma in realtà i proponenti intendono “secondo le ‘previsioni’, nel 2035, senza la nuova linea, ci sarebbero sulle strade 1500000 camion in più di oggi, ma con la nuova linea una parte rilevante andrebbe sulla ferrovia e così ci sarebbero 700.000 camion in meno dell’1.500.000 in più”; insomma, appunto, 800.000 in più di oggi. Questo ragionamento non viene però reso esplicito dai proponenti.
L’imbroglio in realtà è ancora peggiore, perché in base alle decisioni prese fin qui, nel 2035 sarebbe in funzione soltanto il tunnel di base e non l’intera linea, di conseguenza la portata complessiva resterebbe comunque quella di oggi che non supera i venti milioni di tonnellate all’anno (se in mezzo ad una strada di montagna si decide di rimpiazzare un ponte ordinario con uno degno di un’autostrada a quattro corsie lasciando invariato tutto il resto, è evidente che la portata della strada resta quella di prima). Stando così le cose, prendendo sul serio la ‘previsione’ del quaderno n.8 (che per fortuna non è una cosa seria) le tonnellate che dovrebbero passare sulla strada sarebbero 52,3 milioni, cioè nientemeno che 2,1 milioni di camion in più di oggi.

Questo è lo sfondo su cui possiamo procedere a ragionare sull’impatto del cantiere della Maddalena, ed eventualmente del tunnel di base, sulla salute dei cittadini della Valle di Susa.

ALLEGHIAMOLA REGISTRAZIONE VIDEO DEL CONVEGNO DEL 1° MARZO:

– 1a Parte: http://www.youtube.com/watch?v=IudFXeINV1E

– 2a Parte: http://www.youtube.com/watch?v=p6SFv2Y_ko8

(la parte mancante delle foto pubblicate dal prof Zucchetti si può trovare su:

https://drive.google.com/file/d/0B4zoX5HeBQpgaVF0cGk3YWFfeDA/edit?usp=sharing)

MATERIALE UTILIZZATO NELLA SUA RELAZIONE DAL DAL PROF UGAZIO:

– MANIFESTO ASBESTO Torino 1.03.14:

http://www.notav.eu/notav/Articoli/2014/03/MANIFESTO ASBESTO Torino 1.03.14.pdf

– MANIFESTO SMARINO AERODISPERSO Torino 1.03.14:

http://www.notav.eu/notav/Articoli/2014/03/MANIFESTO SMARINO AERODISPERSO Torino 1.03.14.pdf

– TRIADE INTERATTIVA X TORINO 1.03.14:

http://www.notav.eu/notav/Articoli/2014/03/TRIADE INTERATTIVA X TORINO 1.03.14 e Roma 20.03.14-28 slide.pptx

Segreteria presso Pro Natura Piemonte
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1 Nel 2007 è entrato in funzione il tunnel di base del Loetschberg (a una sola canna), ma il resto del collegamento attraverso la frontiera italo-svizzera è sempre lo stesso, fino ad oggi.

Un commento

  1. VIGILANZA O ALLARMISMO STRUMENTALE?
    È sempre auspicabile la vigilanza di cittadini e associazioni su attività che possano nuocere all’ambiente e ancor più alla salute; e così pure l’esigere un’informazione ampia, veritiera e trasparente. È però cosa ben diversa la pretesa di sostituirsi nelle valutazioni ai soggetti istituzionalmente preposti alla rilevazione di danni ambientali e all’adozione di eventuali misure di sicurezza. Relativamente ai cantieri della nuova linea Torino-Lione tali responsabilità ricadono infatti su Arpa e Ispra; persino in una misura senza riscontro nella storia delle opere pubbliche italiane (cfr. http://www.arpa.piemonte.it/arpa-comunica/file-notizie/2014/presentazione-torino-lione-27-marzo-2014). Ma ad alimentare sospetti di un utilizzo strumentale del tema della salute è la stessa relazione di Angelo Tartaglia interamente dedicata agli alti costi e alla supposta inutilità della nuova linea. Materia che mi sembra ben poco pertinente perché qualora l’opera comportasse realmente effetti letali per la salute non sarebbe giustificabile neppure se poco costosa e molto utile. Ricordo poi che sensibili sforamenti del limite del PM10 si sono registrati in Clarea già prima che lo scavo avesse inizio e in tal caso la responsabilità si doveva al traffico autostradale. Ma se i valori anomali possono essere considerati tollerabili in una zona aperta e disabitata, dovrebbero suscitare forti preoccupazioni in altri luoghi della valle densamente abitati, dove la concentrazione è massicciamente incrementata da altre fonti emissive. Dire male del traffico autostradale non torna però utile a chi osteggia una linea ferroviaria che trova giustificazioni anche nel contenimento delle emissioni.

    COSTI REALI E COSTI SUPPOSTI
    Secondo Tartaglia il costo della parte italiana della NLTL è “prudenzialmente” stimabile in 20 miliardi. Per produrre una stima tanto strabiliante s’includono i costi della gronda di C.so Marche, omettendo tuttavia di ricordare che la sua utilità prescinde dal tunnel, essendo ingiunta dal nuovo passante ferroviario torinese che preclude il transito alle merci pericolose. Mi sembra comunque prematuro preoccuparsene, dal momento che la sua realizzazione è rinviata a dopo il 2030. Tanto più che se a quel tempo mancheranno le risorse per realizzarla, le merci pericolose continueranno a prendere la via della linea Torino-Asti, mentre le altre utilizzeranno il nuovo passante che ha capacità adeguata. Soluzione ottimale sarebbe un’opera alternativa meno costosa; del resto, a sostenerne l’utilità sono gli autori del progetto FARE tra i quali c’è lo stesso Tartaglia. Immagino che un’opzione low cost troverebbe oggi consensi anche nella politica, ma se sia realisticamente ipotizzabile FARE non lo spiega. Analoghe considerazioni possono riguardare la tratta di valle e il progetto del costoso tunnel dell’Orsiera, la cui realizzazione è differita a dopo il 2035. Ma, a detta dei documenti governativi, solo nel caso in cui se ne ravvisasse l’effettiva necessità dopo il potenziamento della linea storica e l’apertura del nuovo tunnel. Si lasci dunque ai posteri l’ardua sentenza. Mentre riguardo all’oggi possiamo solo parlare di una spesa certa di circa 3 miliardi, spalmata tra 2016 e 2029 con oneri annui di 150 milioni (che non si capisce poi perché mai si dovrebbero “confrontare con l’attuale spesa per la messa in sicurezza del territorio” piuttosto che con i quasi 200 miliardi di evasione fiscale o i 70 bruciati dalla corruzione o le eccessive spese militari, come la portaerei Cavour che da sola è costata più di quanto si spenderà per il tunnel).

    CROLLO DEI TRASPORTI: UNO SLOGAN SPECULARE A QUELLO DELLA SATURAZIONE
    Basta leggere i quaderni dell’Osservatorio per riconoscere ad Angelo Tartaglia il merito di avere denunciato da subito l’insensatezza di previsioni di saturazione della linea storica; che invece stava già avviandosi a lenta agonia.
    Ma i tempi sono cambiati e il termine “saturazione” non compare neppure una volta nel recente accordo italo-francese (persino con superamento delle posizioni di Tartaglia, che aveva a sua volta pagato un piccolo tributo all’idolo della crescita irreversibile escludendo la saturazione per il primo quarto di secolo ma non per il secondo; cfr. Quad. Oss. II, p. 137).
    Altro discorso è quello riguardante la realtà del traffico che interessa l’arco alpino orientale; che tuttavia utilizza oggi la strada undici volte più della rotaia. A riguardo di questi flussi – imponenti – Tartaglia vede diminuzioni in atto e preconizza crolli. E ciò, curiosamente, facendo riferimento ai dati di Alpinfo che invece, a riguardo del traffico sull’arco alpino occidentale, confermano stabilità con 2.707.000 TIR transitati nel 2000 e 2.733.000 nel 2011 (scesi a 2.589.000 nel 2012 a seguito della più grave recessione economica degli ultimi decenni). Un traffico che non è affatto minimizzabile neppure a confronto dei flussi di direzione nord-sud.
    La previsione di futuro è poi consegnata a poche e dubbie formule (mercati saturi, diverse direttrici dei principali flussi di traffico) che sembrano non tenere conto della complessità del problema. Non viene infatti distinto il traffico di scambio da quello di attraversamento (che hanno diversa entità e diverse prospettive di crescita); si dà per scontato che le grandi navi che trasportano dall’Oriente merce destinata al nord facciano scalo a Genova (ma il carico può essere smistato con destinazioni differenziate e inoltre non sempre esiste la possibilità di scelta di scalo tra Genova, Marsiglia o Barcellona); non si tiene conto dei crescenti scambi con l’est (e dire che basterebbe guardare le targhe dei TIR che congestionano le autostrade del Piemonte o considerare i possibili effetti dell’apertura di nuovi mercati in Ucraina e Bielorussia); si dimentica che la Francia è il secondo partner commerciale dell’Italia; si ignorano il Zürich Process e il progetto UE di una rete ferroviaria centrale, che accolgono il principio di complementarità e non di concorrenza tra corridoi.

    LA DIMENSIONE EUROPEA
    Tartaglia dimentica soprattutto la dimensione internazionale della nuova infrastruttura. In recente intervento (http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/02/tav-esposto-sulloperato-del-commissario-straordinario-per-la-torino-lione/) ricordavo che lo scorso novembre il 96% dei senatori francesi ha approvato il trattato italo-francese e l’84% dei parlamentari europei il progetto “Collegare l’Europa” che riconosce al corridoio mediterraneo un ruolo insostituibile nella rete centrale. Non si può credere che sia oggi possibile tornare indietro e pensare di poter compromettere il disegno organico delle rete concepita dopo anni di studi e consultazioni con la finalità del riequilibrio modale soltanto perché in Italia si devono scavare 13 km di tunnel. E non può durare l’anomalia italiana di oppositori che non vogliono riconoscere che dal 2005 a oggi tante cose sono cambiate. Come quella di sostenitori che troppo spesso dimenticano che l’infrastruttura non è un fine, ma il semplice strumento di una nuova e più sostenibile politica europea dei trasporti.

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