Il terzo piano casa e la legge per il contenimento del consumo di suolo della regione Veneto: il suolo come merce

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Le maglie della rete che il legislatore nazionale e regionale vuol erigere per fermare il consumo di suolo sono larghissime. Esaminando i contenuti del Terzo Piano Casa e il Progetto di legge per il contenimento di suolo della Regione Veneto mi convinco sempre di più della urgente necessità di predisporre una proposta di legge di iniziativa popolare che contrasti, con il giusto rigore, il consumo di suolo.

La legge regionale Nr. 14 del 2009 (Piano Casa) e’ stata prorogata nel 2011 e nel 2013, dando vita, con questa ulteriore proroga, al terzo Piano Casa della Regione Veneto: la regione più cementificata d’Italia dopo la Lombardia. Il terzo Piano Casa, che scadrà il 31.12.2017, prevede, in deroga ai piani urbanistici, oltre all’ampliamento del 20% del volume o della superficie degli edifici esistenti (e con un bonus di 150 mc. per le prime case), la possibilità, per chi abbatte e ricostruisce, un premio volumetrico del 70% anche se la “ricostruzione del nuovo edificio viene fatta in un’area diversa purché di proprietà”. Lo spirito vandalico della legge Nr. 14 del 2009 non si manifesta solo in questa occupazione di altro suolo, ma anche nella previsione che l’occupazione di suolo fertile​ , conseguenza della demolizione con ampliamento volumetrico, avvenga in DEROGA alle previsioni dei regolamenti comunali e degli “strumenti urbanistici e territoriali”, comunali, provinciali, regionali. Quest’ultimo intervento di natura autoritaria si materializza anche nel caso sussistano vincoli ambientali, paesaggistici o culturali: in poche parole non si può impugnare direttamente la DIA (dichiarazione inizio lavori).

In questa legislazione regionale, che fa del suolo una “merce” da consumare per fini elettorali e non una risorsa “limitata” e “non rinnovabile”, ci sono altri aspetti negativi. Ad esempio: i premi volumetrici del 50%, anche in “zona agricola”, se in sostituzione di un insediamento abitativo in una zona a rischio idrogeologico o la previsione di edifici residenziali in “zona agricola” se destinati alla conduzione del fondo. I sostenitori del “terzo piano casa” affermano, con dichiarazioni autocelebrative e irresponsabili, che si tratta di “una legge a costo zero per la collettività”, “per il bene superiore collettivo”, “per il bene della nostra regione”, dimenticando che i premi volumetrici e di superficie sono ingiustificati e controproducenti in una regione con decine di migliaia di nuovi alloggi invenduti e con centinaia di migliaia di vecchi edifici da ristrutturare e recuperare.

Il Veneto ha una Superficie Agricola Utilizzata (per produrre il cibo declamato da Expo) in costante e significativa riduzione e presenta dati drammatici sull’aumento vertiginoso della superficie complessiva del suo territorio resa impermeabile dalle colate di cemento, che aumentano il rischio idrogeologico e inibiscono la capacità drenante del suolo, reso “permanentemente” impermeabile e con la perdita irreversibile della sua fertilità. Una strada alternativa da seguire nel corso di questi anni, senza occupare nuovo suolo e andare contemporaneamente incontro alle esigenze delle imprese edili, dei cittadini, degli architetti e senza calcoli elettorali, c’era ed è stata confermata anche dalla recente legge di stabilità. Si basava sulla possibilità di fruire delle detrazioni per spese per “ristrutturazioni edilizie” il cui ammontare e’ passato nel periodo dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2015 dal 36% al 50%, mentre le detrazioni per spese per interventi di “efficientamento energetico”, sempre nello stesso periodo, sono passate dal 36% al 65%. Dal 2016 ritorneranno al 36%, ma è prevista la detrazione fiscale anche nel caso di “acquisto” di un immobile che è stato oggetto di ristrutturazione. Il piano casa della Regione Veneto e’ mosso dalla condivisibile intenzione di rivitalizzare il settore edilizio, profondamente in crisi proprio perché, per decenni, si è costruito troppo e male​.

Ma la rivitalizzazione del comparto non si può realizzare a scapito di un bene prezioso come il suolo, che ci dà cibo, combatte i cambiamenti climatici assorbendo CO2, assorbe l’acqua piovana e limita il dissesto idrogeologico.

Bisogna farsene una ragione: la nuova edilizia dovrà essere più qualificata e professionale perché rivolta ad attività di recupero, ristrutturazione, efficienza energetica, miglioramento architettonico e urbanistico, riqualificando il già costruito, senza deroghe e senza incentivi basati sul consumo di nuovo suolo.

Il Piano Casa della Regione Veneto non aveva fra i suoi obiettivi principali quello di bloccare il consumo di suolo, che, nelle intenzioni del legislatore, costituiva un obiettivo secondario. Ora, la Regione Veneto, con il progetto di legge Nr. 14:

“Disposizioni per il contenimento del consumo di suolo, la rigenerazione urbana e il miglioramento della qualità insediativa” questo obiettivo se lo pone, ma, nei fatti, sembra più un nuovo e non tanto mascherato Piano Casa attento alle richieste dei costruttori e degli immobiliaristi​ . E’ un progetto di legge che al comma 5 dell’art. 2 prevede nuovo consumo di suolo all’interno di quello che viene definito come il “tessuto urbano consolidato” ossia “l’insieme delle parti del territorio già edificato, comprensivo delle aree libere intercluse o di completamento destinate dallo strumento urbanistico alla trasformazione insediativa, con esclusione di quelle che presentano potenziale continuità ambientale e paesaggistica con le aree rurali esterne”. Vedo molto complicato delimitare i confini del “tessuto urbano consolidato” visto e considerato che tra un comune e l’altro le abitazioni si susseguono senza soluzione di continuità, penalizzando l’agricoltura, il paesaggio, l’ambiente, la biodiversità, il turismo. L’art. 5 al comma 6, ai fini della rigenerazione urbana di ambiti urbani degradati, per cui e’ prevista la demolizione, stabilisce che “i comuni possono prevedere incentivi volumetrici o di superficie fino al 30%” (un piano casa a tempo indeterminato) “anche su altra aera all’interno del tessuto urbano consolidato”. Da qui la previsione, che un po’ mi ricorda la pianificazione del “ventennio”, di demolire interi ambiti urbani degradati dal punto di vista urbanistico, edilizio e socio economico (e magari la demolizione ad opera degli stessi amministratori che quel degrado urbanistico l’hanno creato) per ricostruire su suolo fertile​ . Gli uomini che hanno rispetto per la natura e pensano alle future generazioni hanno una grande missione: bloccare l’emorraggia di una “risorsa non rinnovabile”, che una volta consumata e’ persa per sempre e non darà più i suoi eco servizi alla comunità degli uomini.

La sfida riguarda anche architetti, ingegneri, geometri, impresari, artigiani che devono saper sviluppare competenze, capacità, progettualità, innovazione e creatività, per riportare in vita e riqualificare edifici o aree urbane degradate senza “rubare altro suolo fertile”, oltre a quello che inconsapevolmente abbiamo già perso per sempre. In Veneto il suolo e’ come una specie in via di estinzione, quindi va protetto, tutelato. Va salvato ogni metro quadrato, anche dentro questo mostro urbanistico chiamato “tessuto urbano consolidato”, visto che stiamo consumando suolo ad una velocità di 8 metri quadrati al secondo. La proposta di legge della Regione Veneto non parla di blocco del consumo di suolo perché voler fermare drasticamente il consumo di suolo significherebbe ammettere le proprie responsabilità nella “iper urbanizzazione residenziale” e nella “capannonizzazione” della campagna.

C’e’ un passaggio nella proposta di legge dove emerge con forza la superficialità nell’approccio e l’ignoranza delle leggi della natura e degli studi scientifici. Infatti, l’art. 3 comma 4 recita: ”Nel caso di edifici dismessi e inutilizzati, la relativa demolizione deve precedere l’avvio dei lavori delle nuove costruzioni” (su suolo non edificato), “mentre nel caso di edifici ancora utilizzati la relativa demolizione deve avere inizio entro il termine improrogabile di 90 giorni dal rilascio del certificato di agibilità dei nuovi edifici” (su suolo non edificato) “…comprensivo delle opere di eventuale bonifica e ripristino della permeabilità dei suoli interessati”. Mi chiedo: perché un Amministratore di un comune, che deve misurarsi con il continuo contrarsi delle superfici permeabili e con la necessità di contrastare i cambiamenti climatici, dovrebbe demolire vecchi edifici con l’obbligo di bonificare e ripristinare la “permeabilità” dei suoli interessati e poi edificare su “suolo libero” che è già “ naturalmente” permeabile e bonificato? E’ paradossale: invece di ristrutturare e riqualificare vecchi edifici, si preferisce demolirli e illudersi di poter ripristinare la permeabilità originaria, che solo un suolo non edificato può dare.

Perché cementificare quegli spazi verdi, grandi e piccoli, che una disordinata e massiccia urbanizzazione non ha avuto il tempo di divorare? Quegli spazi, quegli scampoli di suolo sfuggiti allo scempio ambientale servono alla comunità, possono, rimanendo non edificabili, diventare parchi, giardini, orti, campi coltivati, frutteti. I prati possono essere un presidio di biodiversità con fiori, piante, insetti, arbusti. Su quegli spazi verdi, che rendono bello il paesaggio e armonizzano l’uomo con la natura e con i suoi simili, possono essere “piantumati alberi” che assorbono CO2 dall’atmosfera (nei primi 30 cm. di un suolo agricolo si accumulano 60 tonnellate di carbonio per ettaro) e ci donano frescura nel caldo afoso indotto dai cambiamenti climatici (per l’effetto serra). I prati stabili, i campi coltivati e tutti gli spazi verdi sfuggiti alla cementificazione assorbono le piogge copiose indotte dai cambiamenti climatici (un ettaro di suolo, se non cementificato, può trattenere fino 3,8 milioni di litri d’acqua), che spesso trasformano le nostre strade in fiumi impazziti che travolgono uomini e cose e ci fanno spendere miliardi di spesa pubblica.

Il terzo piano casa della Regione Veneto e la proposta di legge sul contenimento di suolo ci fanno capire l’urgenza di una proposta di legge di iniziativa popolare che fermi il consumo di suolo​.

Una proposta di legge che recuperi l’impianto normativo predisposto dall’ex Ministro per le politiche agricole Mario Catania che più si avvicinava alle richieste del territorio e dell’associazionismo ambientale. Con un occhio attento ad alcune funzioni del suolo: la funzione agroalimentare, la funzione di attenuazione del rischio idrogeologico, la funzione di cattura della CO2. Gli uomini di buona volontà e l’associazionismo ambientale, culturale e civile non possono attendere oltre: la politica, regionale e nazionale, condizionata da interessi economici, da conflitti di interesse più o meno evidenti, da calcoli elettorali, da una profonda ignoranza delle conseguenze a lungo termine delle scelte politiche e amministrative operate solo con uno sguardo miope sull’oggi e non sul domani, non è in grado di operare autenticamente per il bene comune. La consapevolezza del “limite” da non superare non è patrimonio della classe politica. Lo constatiamo con le misure estreme del blocco del traffico, nonostante si discuta da decenni sull’uso abnorme di combustibili fossili. Sul suolo, costruttori e immobiliaristi sono lì, vicino alla stanza dei bottoni, che chiedono alla politica di farli lavorare non importa come, con quali conseguenze. Nel caso della Regione Veneto stanno per essere accontentati: si potrà demolire il vecchio e costruire su suolo libero, ristrutturare costa di più e non importa se non avremo la terra su cui far crescere il nostro cibo: potremo sempre importare pomodori dalla Cina.

Dante Schiavon, un “angelo del suolo”