Consumo di suolo: da un formale intento ad una vera e propria presa di coscienza dei limiti fisici del territorio

Un vero contenimento del consumo di suolo passa obbligatoriamente dalla presa di coscienza che tutto il territorio libero perso, senza eccezioni, genera costi e problematiche ambientali che non possiamo più permetterci. Le osservazioni all’adeguamento del Piano Territoriale Regionale presentate da Coordinamento ambientalista Osservatorio PTCP di Monza e Brianza in collaborazione con Comitato Salviamo il Paesaggio Cislago (VA).

Integrazione del PTR ai sensi della l.r. n. 31 del 2014  “Disposizioni per la riduzione del consumo di suolo e per la riqualificazione del suolo degradato”

I riferimenti e le definizioni, in particolare quella principale su “cosa si intende per consumo di suolo”, sono fondamentali. Un territorio è da considerare consumato solo quando l’urbanizzazione è definita, realizzata e conclusa. Se siamo ancora di fronte ad un semplice intento consentito dai piani urbanistici (diverse sentenze hanno stabilito che non ci sono diritti acquisiti), se l’urbanizzazione è solo formalmente avviata e ci sono margini di recupero, tale parte deve essere considerata appunto recuperabile. Solo così il risultato, vero e non solo dichiarato, sarebbe quello di fermare il consumo di suolo.

Innanzitutto sono da evitare norme controproducenti. Evitare cioè la corsa all’approvazione e quindi l’accelerata al consumo. Il limite temporale non può essere lasciato alla fase di variante dei Piani di Governo dei Territori (P.G.T.), ma deve essere definito e perseguito da subito, cioè dall’approvazione dell’adeguamento del piano regionale.

Una vera riduzione poi non può far riferimento a sovradimensionate ed ingiustificate previsioni che danno già per urbanizzabili e, quindi per perse, numerose aree. E’ indispensabile la rivalutazione delle esigenze e delle disponibilità.

E’ inoltre da evitare l’errore di considerare accettabile un determinato consumo solo perché spezzettato su piccole aree diverse. Per il “sistema suolo” quello che conta è sempre il limite fisico complessivo che può sopportare: in caso contrario l’obiettivo di riduzione non sarebbe realmente efficace per la conservazione dei servizi ecosistemici.

Per motivi fisici la soglia di riduzione deve riferirsi, ad ogni livello, alla somma tra suolo libero e suolo urbanizzato nello stato di fatto, perchè queste sono le condizioni reali del territorio. Partendo da questo, la soglia dovrebbe considerare ogni trasformazione, sia quelle da ambiti approvati sia quelle per ogni altro intervento che causa l’impermeabilizzazione del suolo. Perché il bilancio ecologico non può limitarsi alla perdita di suolo agricolo. Questa perdita, seppur importante, è solo una parte dell’insieme dei servizi ecosistemici garantiti dal suolo libero (assorbimento acque meteoriche, raffrescamento, ecc.).

Oltre alle esclusioni per definizione, la norma non può lasciare ulteriore margine di consumo di aree libere per soddisfare “eventuali necessità”: queste devono essere valutate con estrema precisione e spinte con decisione su aree di recupero. Le ingenti disponibilità di patrimonio sfitto o incompleto possono ampiamente garantire le esigenze arrivando addirittura a considerare l’opportunità di restituire naturalità a parte delle aree che oggi non lo sono. Questa riconversione positiva, insieme alla bonifica delle tante strutture che contengono ancora amianto, servirebbe veramente al territorio e alla nostra salute.

Un vero e proprio stop al consumo di suolo, con tutte le eccezioni attualmente considerate dall’adeguamento così come viene proposto, non si avrebbe neanche con soglie percentuali fissate al 100%. Se non corrette queste soglie serviranno a poco. In particolare in provincia di Monza e Brianza.

Eppure nelle analisi degli ambiti territoriali emerge la consapevolezza della situazione: si sottolinea infatti la tendenza negativa della conurbazione e il rischio che l’ulteriore consumo interrompa varchi ecologici. Gli spazi aperti a ridosso del Tessuto Urbano Consolidato (T.U.C.) sono già adesso frequentemente perimetrati ed oscurati, ad esempio con siepi, impedendo la visione del paesaggio ed anticipando l’intento di chiudere questi passaggi naturali con nuova edificazione. Eppure nell’adeguamento manca la necessaria prescrizione che gli interventi consentiti dovranno obbligatoriamente conservare tali varchi e mantenere la separazione dei centri urbani.

Luca D’Achille @LucaDAchille