Firenze: una Variante per la degenerazione urbana

di Ilaria Agostini.

Proprio in nome della “rigenerazione urbana”, una Variante al Regolamento Urbanistico sottopone a trattamento degenerativo il corpo esangue della città storica e lo predispone a nuova speculazione immobiliare. La Variante al RU, approvata dalla Giunta e a breve in discussione consiliare, aggredisce il patrimonio edilizio storico e abolisce l’obbligatorietà del restauro sui monumenti architettonici: la loro tutela viene demandata alla libera discrezionalità della Soprintendenza, ridotta allo stremo dalla riforma Franceschini.

Nel feudo del declinante potere renziano
All’ultimo anno di mandato, la Giunta Nardella si esprime con questo pericoloso provvedimento che apre la strada agli appetiti sulle architetture monumentali del centro città e delle colline, che agevola la sciagurata vendita di edifici storici di proprietà pubblica e che, infine, legittima vecchie speculazioni bloccate dal sistema giudiziario.

È l’estrema torsione amministrativa, liberista e servile, un regalo agli “investitori”, agli immobiliaristi, ai parassiti della rendita.

Ma è principalmente un atto di selezione sociale.

L’accelerazione impressa dalla Variante rafforza infatti il processo di esclusione della vita civile e delle funzioni sociali dai luoghi rappresentativi della comunità cittadina, prodromo dello spossessamento degli spazi pubblici e comuni. Corrobora ulteriormente la già avviata sostituzione dei residenti con «utenti» che, dotati di notevole disponibilità economica, influiscono sull’assetto urbano senza tuttavia partecipare alla vita politica [1]. Tutta urbs niente polis, verrebbe da dire. La popolazione ideale da governare.

Tutto il contrario di quanto sarebbe auspicabile per ridar vita alla città storica. La soluzione è da ricercare semmai in politiche cariche di valenza sociale, che tutelino l’ambiente di vita urbana tutelando la vita ivi condotta, secondo l’esempio originario di Bologna (anni Sessanta-Settanta), certo da rinnovare, perfezionare e rendere applicabile nei giorni presenti.

Carico di tali connotati sociali, il restauro è stato consacrato dalla cultura e dalle pratiche urbanistiche come il metodo di intervento più indicato sulle città storiche. Mai era stato messo in crisi, formalmente, il principio della tutela dell’edificato storico. Ci prova ora – sotto le insegne dell’innovazione urbana, ma da solida posizione di retroguardia culturale – il Comune di Firenze.

Ristrutturazione “alla fiorentina”
La proposta Variante all’art. 13 delle Norme Tecniche di Attuazione del Regolamento Urbanistico agisce sulla disciplina delle trasformazioni del patrimonio immobiliare storico introducendo un’inedita “ristrutturazione edilizia limitata” su quasi metà dell’edificato del territorio comunale [2] (sono esclusi i beni culturali, ma su di essi torneremo subito).

La “ristrutturazione edilizia limitata” pur preservando la sagoma, le facciate – ancorché “sostanzialmente” – e alcuni elementi distributori (scale, androni), non tutela la configurazione interna degli edifici ed espone il patrimonio edilizio a ulteriori frazionamenti finalizzati agli affitti turistici. Del rischio di “façadisme” abbiamo scritto su queste pagine nell’articolo Dietro la facciata niente, a cui rimandiamo.

Se già appariva surreale l’invenzione di una ristrutturazione “alla fiorentina”, appare fuor di ragione la normativa che il Comune ha delineato per i monumenti architettonici: i pezzi più pregiati, dagli Uffizi a Forte Belvedere, dalla Villa di Rusciano alla Manifattura Tabacchi, saranno suscettibili di “ristrutturazione edilizia” tout court (“senza limitazioni” si precisa nella delibera). Non è un caso che molti di essi corrispondano alle “Aree di Trasformazione” del RU e alcuni siano anche presenti nei Piani di alienazione.

La sostituzione del restauro con la “ristrutturazione” contravviene alla prescrizione di tutela del Bene culturale espressa nell’art. 29 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. La ristrutturazione edilizia è infatti la classe di intervento che consente la maggior libertà nelle opere di trasformazione, persino la demolizione dell’edificio e la sua ricostruzione in forme diverse da quelle originali. Quanto a previsioni urbanistiche dunque, sui monumenti si potrà agire con la stessa libertà con cui si opera su un capannone industriale.

La tutela sarà demandata totalmente alla Soprintendenza, che finora ha lavorato a fianco del Comune autorizzando le trasformazioni consentite dal RU (poiché sono due i dispositivi che rispondono al precetto di tutela del Bene Culturale: il permesso di costruire, in capo al Comune, e l’autorizzazione del soprintendente). Ma come ognun sa, la Soprintendenza non è il Comune, non è un organo rappresentativo della cittadinanza, ha funzioni di diversa natura, non tratta di pianificazione, non è suo compito occuparsi della disciplina in materia di attività edilizia ed urbanistica. In altre parole: il Soprintendente non può sopperire alla mancata pianificazione comunale.

Degenerazione amministrativa
Rimettendo alla Soprintendenza il destino degli edifici monumentali, il Comune recede da un obbligo costituzionale. Elude le funzioni attribuitegli dalla Legge urbanistica (L 1150/1942), dall’art. 118 della Costituzione, definite dal “Testo unico degli enti locali” che specifica:

«Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori […] dell’assetto ed utilizzazione del territorio» (DLgs 267/2000, art. 13, co. 1).

L’urbanistica, quale funzione primaria ed essenziale, rientra tra tali compiti amministrativi: attraverso il Piano Regolatore (nelle sue varie denominazioni regionali) il Comune ha l’obbligo di dettare la disciplina delle trasformazioni e dell’uso di ogni immobile ricadente nel territorio comunale, nell’interesse generale. Nessuno escluso.

[L’articolo è la trascrizione del contributo dell’autrice all’incontro All’assalto della città pubblica! Firenze elimina il restauro e spiana la strada ai grandi capitali organizzato da Spazio InKiostro, tenutosi a Firenze il 28 marzo 2018. In apertura: Santo Stefano al Ponte Vecchio, aprile 2018, fotografia dell’autrice]

Note al testo

[1] Si veda su questo argomento il sintetico: Alessandro Barile, Utenti contro residenti. La nuova dialettica metropolitana tra cittadini e fruitori, “Alias”, supplemento a “il manifesto”, 17 marzo 2018.

[2] Ossia, sulle «emergenze di valore storico architettonico» non vincolate; sugli «edifici di interesse documentale» e sugli «edifici storici o storicizzati» (ricadono in questa voce le case popolari di via dei Pepi poste in vendita nel piano comunale delle alienazioni).

Tratto da: http://www.perunaltracitta.org/2018/04/04/firenze-una-variante-per-la-degenerazione-urbana/

Si veda inoltre la presa di posizione di Italia Nostra attraverso questa lettera inviata al Sindaco Nardella.

 

4 commenti

  1. Semplicemente spaventoso, stiamo svendendo l’unico patrimonio che c’è rimasto. Raschiare il fondo del barile, e per cosa? Per assimilarci ai non luoghi cari al mercantilismo anglosassone, ovviamente in salsa mafiosa.

  2. Esiste un censimento dei Beni Culturali Architettonici, facciamone uso, ristrutturiamoli e metteteli nelle mani giuste e capaci di gestirle.
    Un esempio di proposta: diamoli alle gestione privata in conto gestione; non dovete venderli per far cassa. Franceschini hai prodotto più danni che benefici!

I commenti sono chiusi.