In Parlamento si discute (ancora) di consumo di suolo. E ora (anche) di rigenerazione urbana e perequazione…

di Alessandro Mortarino.

Le Commissioni congiunte Ambiente e Agricoltura del Senato hanno completato il ciclo di audizioni di Esperti, Enti e Associazioni in merito alla proposta di legge per il contrasto del consumo di suolo. Un lavoro corposo, se pensiamo che in aula sono state raccolte le idee e i contributi tecnici e scientifici di ben 86 soggetti che concorrono ad offrire uno spaccato “enciclopedico” di indubbio valore (molti interventi sono documentati anche per iscritto in questo utile archivio).

Ora, dunque, dovrebbe iniziare la fase più complessa dell’iter legislativo: le Commissioni si trovano in mano ben 17 Proposte di Legge (10 al Senato e 7 alla Camera) e da esse dovrà saltar fuori (come da un cilindro magico…) la norma da tutti noi agognata, frutto dell’omogenea sintesi dei testi attualmente in competizione. I quali, giova ricordarlo, hanno almeno un punto in comune: i “cappelli introduttivi” che precedono i rispettivi articolati e disegnano la situazione di assoluta emergenza del suolo italico. Per poi, purtroppo, offrire come risposta normativa un timido e balbettante “contenimento” o “riduzione” o “limitazione” o “contrasto” del consumo di suolo. Solo una Proposta di Legge, infatti, indica senza indugi la strada maestra dell’ “arresto” e del conseguente riuso dei suoli urbanizzati: ovviamente è quella formulata dal nostro Forum nazionale, recepita e presentata nel marzo dello scorso anno dal Movimento 5 Stelle sia al Senato e sia alla Camera (A.C. n. 63 del 23/3/2018 On. Daga ed altri – A.S. n. 164 del 27/3/2018 On. Nugnes ed altri).

Decisamente ingrato il compito che la Relatrice (la Senatrice Paola Nugnes) ha ora l’incarico di portare a termine: dopo le chilometriche audizioni, è necessario “fondere” tutte le proposte normative in un documento unificato e le differenze temiamo siano tali da rendere molto problematica una sintesi omogenea e condivisa. A complicare ulteriormente lo scenario, si aggiunge la posizione della stessa Nugnes che durante la legislazione in corso ha più volte assunto posizioni critiche e, addirittura, contrarie agli orientamenti della sua stessa maggioranza di governo e nelle scorse settimane, dopo l’ennesimo voto in aula opposto ai voleri della sua forza politica, ha annunciato la resa e la sua volontà di lasciare il M5S. Una scelta dolorosa che non ha avuto necessità di affrontare poiché, come risaputo, lo stesso M5S ha provveduto ad espellerla.

Paola Nugnes è quindi entrata a far parte del Gruppo Misto e al momento non sappiamo se resterà confermata nel suo ruolo di Relatrice per la norma sul consumo di suolo e, in ogni caso, se la sua autorevolezza non sarà indebolita dal nuovo scenario.

Nelle prossime settimane capiremo le evoluzioni e probabilmente avremo nuovi indizi per decidere le azioni necessarie “dal basso” per sostenere con forza la “nostra” legge: che è ormai evidente dia fastidio a tutte le forze politiche.

In questi minuti veniamo informati che Paola Nugnes ha depositato in Senato un suo DdL che sintetizza quel documento unificato di cui parlavamo più sopra e che prossimamente verrà presentato anche al Comitato Ristretto per una prima discussione. Lo analizzeremo in dettaglio e, come sempre, formuleremo le nostre proposte in merito.

RIGENERAZIONE URBANA, PEREQUAZIONE, COMPENSAZIONE E INCENTIVAZIONI URBANISTICHE

A rendere ancora più grigio il cielo sopra al nostro suolo libero (prendetela come una immagine poetica e non come un segnale di sconforto…) si aggiunge l’avvio di un altro ciclo di audizioni su un tema assai collegato. Questa volta alla Camera, in Commissione Ambiente, territorio e lavori pubblici. L’oggetto delle audizioni è la proposta di legge C. 113 dell’On. Roberto Morassut (Partito Democratico) dal titolo eloquente “Principi generali in materia di rigenerazione urbana nonché di perequazione, compensazione e incentivazioni urbanistiche“.

Tra i primi soggetti “auditi” dalla Commissione troviamo l’INU-Istituto Nazionale di Urbanistica e la Rete delle Professioni Tecniche-RPT (ovvero nove Ordini e Collegi Nazionali: Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori; Chimici; Dottori Agronomi e Dottori Forestali; Geologi; Geometri e Geometri Laureati; Ingegneri; Periti Agrari e Periti Agrari Laureati; Periti Industriali e Periti Industriali Laureati; Tecnologi Alimentari).

INU ha poi diramato un comunicato stampa decisamente “diplomatico” in cui ha sottolineato che uno dei pregi della proposta in esame è quello di «individuare un arco di tempo determinato per la componente operativa del piano, e quindi la cessazione dell’edificabilità a tempo indeterminato. Nel nostro Paese, infatti, i piani urbanistici contengono spesso in gran misura previsioni non realizzate che non perdendo efficacia finiscono nel tempo per pesare sull’operatività della pianificazione urbanistica e territoriale. Tra l’altro stabilendo un arco di tempo determinato per l’edificabilità si determinerebbe una situazione di corrispondenza rispetto al potere pubblico espropriativo, che ha un’efficacia limitata nel tempo, e quindi si arriverebbe a un’auspicata comparabilità tra potere pubblico e potere privato in ambito urbanistico».

Decisamente critica, invece, la posizione dei rappresentanti degli Ordini Professionali che hanno detto di «condividere le finalità generali del ddl ma con riserva, ritenendo che una proposta di legge con l’ambizione di diventare una nuova legge quadro per il governo del Territorio, debba contenere precisi elementi, quali l’utilizzo dei temi elencati dall’Agenda Urbana Europea (Patto di Amsterdam) all’interno della Strategia Urbana Nazionale; la consapevolezza dell’importanza delle parti storiche delle città e dei territori e la necessità di una loro specifica valorizzazione sotto il profilo ambientale, sociale, culturale ed economico, in coerenza con le relazioni che essi svolgono nei confronti delle altre parti; la formalizzazione del concetto di “Bene comune” applicato a quegli ingredienti dell’organismo urbano che, a prescindere dalla loro proprietà o uso, contribuiscono alla qualità della vita dei cittadini (è bene comune la qualità dell’ambiente urbano come prodotto degli spazi viari, degli spazi aperti, della qualità delle costruzioni, delle infrastrutture verdi e blu ecc); la necessità di una Strategia Urbana di medio termine da affiancare a proposte mirate al breve periodo; la necessità di una Cabina di Regia in capo alla Presidenza del Consiglio che coordini le necessarie risorse che dovranno essere programmate e inserite nelle Leggi di Bilancio annuali; la necessità di coordinamento tra norme statali e norme Regionali; la necessità di definire specifiche tipologie di interventi che classifichino i diversi interventi di rigenerazione».

La proposta Morassut pare, dunque, non tener conto che gli ultimi decenni sono stati caratterizzati dal progressivo abbassamento della qualità della vita nelle periferie dei centri urbani, dall’aumento del numero delle unità immobiliari inutilizzate, da un incontrollato consumo di suolo, da centri urbani sfrangiati che hanno invaso la campagna sottraendo terreno all’agricoltura, e che hanno compromesso irrimediabilmente il paesaggio, il patrimonio culturale e il segno identitario della nazione.

«Partendo dal presupposto che rigenerare è molto più oneroso che costruire sul nuovo e che è quindi indispensabile ribaltare il sistema delle convenienze che tuttora privilegia l’edificazione su terreni liberi, piuttosto che la rigenerazione degli ambiti urbani degradati, è necessario prevedere, accanto ad un quadro di regole trasparenti, un sistema di convenienze che garantiscano la “sostenibilità economica” dell’intervento».

(Qui il documento che RPT ha consegnato alla Commissione Ambiente della Camera al termine dell’audizione).

LE IMPRESSIONI DEL FORUM SALVIAMO IL PAESAGGIO

Quando la Proposta di Legge Morassut fu depositata alla Camera, i 75 Esperti del nostro Gruppo di lavoro Tecnico-Scientifico multidisciplinare – protagonisti dell’elaborazione del nostro testo normativo sull’arresto del consumo di suolo – l’avevano laconicamente commentata con un “siamo alle solite” e anche un “cerchiamo di concentrarci sui temi importanti“, quasi a voler scacciare le ombre contenute in questa proposta normativa e augurandosi che la Commissione non avesse reale intenzione a dedicare tempo ed energie alla sua discussione. Purtroppo non è così e certamente anche il Forum sarà chiamato a produrre un proprio articolato documento di “osservazioni”. In attesa, qualche considerazione preliminare la possiamo già avanzare.

Nel suo libro “100 parole per salvare il suolo“, Paolo Pileri spiega benissimo il concetto di “perequazione“, parola magica usata spesso anche come sinonimo di pratica virtuosa per evitare il consumo di suolo, puntualmente smentito dagli effettivi dati statistici registrati. Teoricamente è un “pareggiamento dei diritti urbanistici“, che permette a un proprietario terriero che non può costruire nell’area di sua appartenenza di cedere la propria capacità edificatoria a un altro proprietario. Si tratta di una compravendita apparentemente “libera”, ma in pratica soggetta a mille condizionamenti e rapporti di forza che nascono tra piccoli e grandi proprietari.

Aspetti positivi della perequazione sono l’idea di distribuire i vantaggi della rendita su più mani, ma in effetti ciò non si traduce in realtà e non vi sono particolari tutele dei proprietari più deboli. In seconda battuta, vi sono i presunti vantaggi per i soggetti pubblici che attraverso questo strumento possono entrare in possesso di aree da utilizzare per fini sociali/scopi pubblici evitando il complesso meccanismo dell’esproprio; ai Comuni, però, in questi anni non sono arrivati “in dote” migliaia di ettari e le contrattazioni tra proprietari si sono spesso trasformate in autentiche lotte intestine, riversatesi anche negli scontri tra fazioni politiche. Spesso, inoltre, i Comuni hanno ricevuto solo parti di aree e non tutta la superficie necessaria per i servizi pubblici che si intendevano realizzare.

Il limite maggiore della perequazione resta comunque quello di continuare a considerare il suolo come una merce, con tanto di compratori e venditori, di crediti e di bond, con una borsa valori: fattori che legano pericolosamente il suolo esclusivamente alla sua edificabilità potenziale e a null’altro. Ribadendo così l’idea – benchè rigettata da innumerevoli sentenze della giurisprudenza – che il proprietario di un suolo edificabile possegga un diritto inalienabile, che è uno dei punti su cui noi da anni stiamo battagliando duramente.

Il Forum è parecchio dubbioso sull’introduzione obbligatoria di queste metodologie di pianificazione (in analogia alle famigerate proposte di Lupi dei primi anni 2000), ed è sempre più convinto che i Comuni non debbano più prevedere nuove aree edificatorie (sia con metodo tradizionale o perequativo), non essendoci reali necessità: sarebbe sufficiente effettuare le analisi sul patrimonio edilizio inutilizzato, recuperabile e trasformabile…

Dalla lettura della Proposta di Legge Morassut emerge con chiarezza che l’obiettivo primario è di rendere uniforme in tutta Italia la normativa già in vigore in molte regioni dotate di nuove leggi urbanistiche riguardante gli strumenti della perequazione (sia urbanistica che territoriale), della compensazione e degli incentivi volumetrici finalizzati a favorire l’attuazione di interventi e programmi complessi introdotti già con leggi nazionali fin dai primi anni ’90; strumenti derogatori dei PRG e dei Piani Attuativi ordinari che hanno di fatto scardinato le previsioni e le regole dei Piani Generali Comunali, affidando l’iniziativa delle trasformazioni ai privati, motivando tali deroghe con il reperimento “gratuito” delle aree pubbliche (gli standards urbanistici).

Sappiamo bene che la motivazione “politica” che ha portato all’abbandono delle procedure espropriative è stata la presunta scarsezza di risorse finanziarie del Comuni, incapaci di garantire un livello minimo di dotazioni territoriali pubbliche (vedi DM 1444/68); si è così generato un consolidato e pernicioso circuito vizioso che ha fatto diventare “ordinarie” procedure di varianti urbanistiche che dovevano rimanere “straordinarie” (i famosi e famigerati “accordi di programma“).

Le incentivazioni urbanistiche non hanno mai fatto bene all’Urbanistica ma solo ai privati, perchè elargiscono premi volumetrici senza controllo e fuori dalle previsioni di Piano e l’aumento delle superfici libere da consumare che sono anche più appetibili per il privato.

Oltre a questo elemento critico, quello che riteniamo più pericoloso della pdl è il fatto che non si pongano limiti alcuni al consumo di suolo, sia interno che esterno alla città, nell’attuazione degli strumenti perequativi e compensativi, oltre naturalmente alla concessione degli incentivi volumetrici (in continuità con i disastrosi “piani casa”!).

Siamo di fronte al perenne equivoco sostenuto con forza dalla rendita immobiliare: si contenga pure il consumo di suolo in aree marginali e periferiche (dove gli immobili sono vuoti) e si incentivi il consumo di suolo nelle aree urbanizzate (dove gli spazi ancora liberi sono una risorsa preziosa per la sostenibilità ambientale e sociale degli agglomerati urbani). Proprio quelli sui quali la speculazione edilizia fa i migliori affari, distruggendo la vivibilità nelle aree urbane che senza superfici permeabili si inondano, che senza verde soffocano.

L’articolo 2 prevede di superare il piano regolatore tradizionale, uniformando gli strumenti di pianificazione locale ad un modello ritenuto più “flessibile” dello sdoppiamento del piano urbanistico, in una componente strutturale (di lunga durata) ed una operativa (questa con durata di un mandato, per questo solitamente chiamato “piano del sindaco”), oltreché una componente regolamentare; in alcune regioni questo è già avvenuto/sperimentato (a partire fin dalla metà degli anni ’90 del secolo scorso) e ci pare non abbia creato alcun miglioramento della qualità dei piani, anzi … ha nel contempo moltiplicato la loro formazione: se non andiamo errati, alcune regioni che hanno introdotto questa tipologia ora vorrebbero ritornare ad una tipologia più tradizionale. L’introduzione di questa nuova fattispecie a livello nazionale, obbligherebbe tutti quei comuni che ora hanno dei piani urbanistici “tradizionali” a rifarli, con notevole dispendio di energie (tempi e soldi).

L’unico elemento positivo poteva essere quello dell’introduzione della cosiddetta “decadenza della potenzialità edificatoria” delle aree dopo cinque anni di inerzia da parte dei soggetti attuatori, se non fosse che questa normativa potrebbe incentivare una corsa alla presentazione degli interventi di trasformazione per arrivare perlomeno alla stipula della relativa convenzione, al solo fine di far decadere la previsioni di edificabilità, oltreché purtroppo confermare l’intenzione della Proposta di Legge di salvaguardare le attuali aree edificabili dei PRG vigenti, esattamente il contrario di quanto noi abbiamo previsto nella nostra pdl e che auspichiamo possa realizzarsi rapidamente…