Il nuovo Piano territoriale regionale di coordinamento del Veneto (Ptrc 2020): un “visconte dimezzato”

di Endri Orlandin.

“Meno male che la palla di cannone l’ha solo spaccato in due -dicevano tutti – se lo faceva in tre pezzi, chissà cosa ancora ci toccava di vedere.”
Italo Calvino, Il visconte dimezzato, Einaudi, 1952 (pag. 81).

Dopo quasi vent’anni di gestazione[1] e intricate vicende procedurali ha visto la luce (il 30 giugno 2020) uno strumento di pianificazione territoriale “dimezzato” che perde, in dirittura d’arrivo, la valenza paesaggistica per mano del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBACT) che, così facendo, ha rimesso in discussione le decisioni assunte dai propri organi periferici (le Soprintendenze) che a lungo hanno collaborato alla redazione del piano.

Un piano che visto da questa prospettiva (la metà urbanistica) appare come una sorta di compromesso al ribasso dimostrandosi scarsamente efficace, poco lungimirante e assai retrospettivo.

Uno strumento che guarda al futuro con lo sguardo ben fisso al passato soprattutto per quanto attiene a molte scelte che si trascinano una zavorra di questioni figlie di altri disegni territoriali e di altri assetti politici, che forse alla luce degli eventi più recenti avrebbero necessitato di maggiore riflessione e cautela nella loro formulazione/riproposizione finale[2].

In questo scritto non interessa tanto condurre un esercizio di esegesi del nuovo Piano territoriale regionale di coordinamento (Ptrc), quanto piuttosto riflettere su alcune questioni preminenti in termini di attuazione e gestione della pianificazione territoriale urbanistica messe in atto dalla Regione Veneto.

Questioni di forma: profilo di legittimità amministrativa

La prima questione che si ritiene la più controversa in termini di reale efficacia del nuovo Ptrc è relativa alla sua tenuta sotto il profilo della legittimità amministrativa.

Per parlare di questo dobbiamo entrare all’interno di una procedura alquanto complessa e farraginosa (che sfiora quasi l’opacità) che ha portato dapprima all’adozione (avvenuta nel 2013) della Variante parziale[3] al Ptrc[4] che gli ha attribuito valenza paesaggistica[5] e successivamente all’approvazione di uno strumento (il Ptrc 2020) di cui appare difficile comprendere la reale origine, ovvero se si tratti della naturale prosecuzione dell’iter di formazione della Variante parziale (che in realtà come vedremo sembrerebbe essere decaduta se si considerano i tempi e le date registrate nelle diverse fasi dell’iter della sua formazione) oppure se siamo, come sembra, al cospetto di un vero e proprio nuovo Ptrc (il che sovvertirebbe la normale prassi procedurale che invece avrebbe dovuto vedere in approvazione la Variante parziale).

La Variante ha delineato un processo di pianificazione paesaggistica articolato in due diversi momenti: uno di carattere generale, che ha per oggetto il Ptrc a valenza paesaggistica[6], e uno più di dettaglio che riguarda la pianificazione paesaggistica regionale d’ambito (attraverso lo strumento del Ppra[7]). Inoltre a fronte delle mutate condizioni, rispetto al 2009, dei settori dell’economia, dell’energia, della sicurezza idraulica e in adeguamento alle nuove linee programmatiche definite dal Documento di Economia e Finanza Regionale (Defr), la Variante prevedeva anche una profonda revisione dei contenuti urbanistico-territoriali riguardanti la città, il sistema relazionale e la difesa del suolo.

Il percorso evolutivo-procedurale dello strumento regionale appare alquanto singolare in quanto la prima versione del piano (quella adottata nel febbraio 2009) prevedeva un piano urbanistico-territoriale a valenza paesaggistica, pur in assenza del Protocollo d’intesa con il Mibact (siglato nel luglio dello stesso anno); la seconda versione quella riconducibile alla variante del 2013 che attribuiva “piena” valenza paesaggistica al Ptrc introduceva significative modifiche sia all’assetto insediativo che infrastrutturale (come si evince dalle nuove tavole 04 “Mobilità” e 08 “Città, motore di futuro”); infine la terza versione, il piano approvato nel 2020, che perde la valenza paesaggistica e rimane “solo” un piano urbanistico-territoriale che però ha acquisito i suoi caratteri fondativi attraverso le modifiche introdotte da una variante parziale che attribuiva al piano la valenza paesaggistica. Tutta questa procedura sembra veramente la negazione del principio di raziocinio che dovrebbe stare alla base di ogni processo di pianificazione.

La seconda questione di legittimità è forse ancora più seria della precedente in quanto mina l’intera stabilità dello strumento portato in approvazione.

La Variante parziale ha prodotto la propria salvaguardia dal 2013 al 2018 e nell’agosto 2018 è stata trasmessa dalla Giunta al Consiglio regionale per la sua approvazione. Occorre ricordare come i cinque anni di salvaguardia della Variante scadessero nel maggio del 2018 e come tale condizione possa inficiare significativamente l’assetto regolativo dello strumento facendolo decadere.

A questa considerazione si aggiunge un’ulteriore riflessione sull’assetto formale del piano. Il Ptrc giunto ad approvazione, oltre ad essere un piano all’apparenza disgiunto sia temporalmente sia in termini di continuità e validità normativa dalla Variante, sembra configurarsi a sua volta come un vero e proprio nuovo strumento.

A fronte di quanto sinora affermato l’impressione che ne deriva sembra essere quella che la Regione abbia deciso di abbandonare l’iter di formazione della Variante adottata nel 2013 (forse perché considerata decaduta?) in favore di una nuova elaborazione del Ptrc (2020) trasferendo però su quest’ultimo gli esiti del processo di formazione sia della Variante sia del Ptrc 2009, forse attraverso l’applicazione della proprietà transitiva (non a caso le osservazioni controdedotte formano il pacchetto che accompagna l’ultimo piano approvato).

Se così fosse saremmo all’alba di un nuovo modo di intendere la procedura di formazione degli strumenti di pianificazione in regione Veneto, quella in cui si presentano via via dei piani, o loro varianti, e invece di portare a compimento la loro istruttoria li si fa decadere ma, utilizzando le osservazioni ad essi presentate, si fa risorgere dalle loro ceneri (come l’araba fenice) un nuovo strumento che viene approvato in via definitiva, senza essere stato pubblicato né tantomeno essere passato attraverso la fase della presentazione delle osservazioni da parte dei cittadini e delle relative controdeduzioni (e sostenendo magari che ha continuato a percorrere il medesimo iter procedurale).

Questioni di sostanza: attuazione e gestione della pianificazione urbanistica territoriale

Una premessa generale è indispensabile a questo secondo insieme di riflessioni: pur avendo la consapevolezza che la Regione Veneto ha realizzato un disegno pianificatorio costruito metodologicamente sulla giustapposizione tra assetto urbanistico e paesaggistico rappresenta tuttavia un suicidio tecnico portare ad approvazione esclusivamente la componente urbanistica che, scindendola da quella paesaggistica, perde completamente di significato, sostanza ed efficacia rispetto ai propri obiettivi e strategie sia generali che locali.

Venendo al secondo gruppo di questioni questo è riferito ai contenuti e agli effetti di alcune delle scelte urbanistiche che il piano compie sull’assetto territoriale di una regione che ha ormai palesato evidenti limiti al processo di urbanizzazione e infrastrutturazione.

Basta partire dal presupposto che il “Sistema degli obiettivi di progetto” (tavola 10) è rimasto immutato negli undici anni di eventi che si sono susseguiti tra l’adozione e l’approvazione del Ptrc, anni attraversati da una profonda crisi economica globale che ha determinato ingenti ricadute sui sistemi territoriali sia in termini di impoverimento delle attività produttive che di accelerazione del processo di abbandono e dismissione delle aree industriali e artigianali presenti in Veneto. A tal fine non serve ricordare la sovraurbanizzazione del territorio, oppure gli indici di copertura/impermeabilizzazione del suolo, o l’incessante frammentazione paesaggistica (provocata da fattori insediativi e infrastrutturali) a cui è stato ed è sottoposto il Veneto negli ultimi decenni[8].

Il ridisegno dei segni cartografici unitamente al restyling delle icone ideogrammatiche, nella più gran parte dei casi costituiscono una mera operazione di maquillage grafico del complesso sistema territoriale veneto ma, potrebbero rivelarsi, se declinati cinicamente a scala comunale, insidiosi escamotage aventi ricadute significative in termini di ri-assetto del sistema insediativo e infrastrutturale.

Tuttavia basta un’osservazione, anche distratta, della tavola 8 “Città motore del futuro” e dei suoi contenuti per comprendere immediatamente come la scarna restituzione della caratterizzazione del tessuto insediativo regionale[9] costituisca il naturale viatico verso una inarticolata formulazione di strategie e indirizzi per la componente urbana del Veneto che viene puntualmente ribadita dalle norme di attuazione (Titolo IX, artt. da 63 a 66). Un aspetto in particolare colpisce: la presenza nella tavola 8 del “sistema del verde territoriale” costituito da quattro “archi verdi metropolitani” (collocati a ridosso della gronda lagunare veneziana, del fronte occidentale del nodo urbano di Padova, tra Verona e Vicenza, a nord di un ipotetico confine dell’ambito metropolitano pedemontano), che di per sé potrebbero costituire un’affascinante suggestione progettuale (oppure una “provocazione ecologista”?) ma che non trova alcun riscontro tangibile all’interno dell’apparato normativo del piano, finendo per uccidere nella culla un’idea che poteva rivelarsi interessante in una prospettiva di connessioni ecologiche a scala territoriale (se sapientemente declinata e progettata).

Allo stesso modo rivolgendo uno sguardo alla tavola 4 “Mobilità” non si può non provare un senso di smarrimento e forse anche di sconforto di fronte alla anacronistica presenza nella cartografia di piano della “linea sub lagunare: aeroporto Tessera-Venezia Lido-Cavallino Treporti-Chioggia”, frutto di una meccanica estensione a tutto il bacino lagunare del primo progetto di sublagunare presente nel Programma di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio (Prusst) “Il sistema urbano Tessera-Arsenale”, risalente al 1999 e promosso dal Comune di Venezia. Anche in questo caso all’interno dell’apparato normativo (Titolo V, artt. da 38 a 44) non compare alcun riferimento alla linea sub-lagunare, in questo caso verrebbe da dire fortunatamente viste le aspre discussioni che si sono susseguite nel corso degli ultimi vent’anni a Venezia su tale questione.

Un altro esempio concerne il turismo tavola 5B “Sviluppo economico turistico” (Titolo VII, artt. da 51 a 58 delle norme di attuazione). Una delle maggiori afflizioni degli operatori turistici soprattutto del “distretto balneare” è rappresentata dalla costante necessità di prevedere negli strumenti di pianificazione generale e settoriale di politiche volte alla destagionalizzazione dell’offerta ricettiva. All’interno delle norme di attuazione l’unico riferimento che viene fatto al prolungamento della stagionalità è riferito alla “creazione di servizi e attività aggiuntivi” nelle “ʻdestinazioni emergentiʼ, dotate cioè di intrinseche caratteristiche di offerta turistica, ma ancora inespresse o non conosciute” (art. 58, Turismo emergente); talmente inespresse o sconosciute che non vengono nemmeno mappate nella tavola 5B (e senza una loro individuazione cartografica ne risulta assai complicata la normazione) ma, forse è fatto solo al fine di non svelarne la presenza prima che queste ultime si omologhino immediatamente a quelle mature e in declino.

Continuando nella disanima del nuovo Piano si finisce inesorabilmente per incappare in questioni simili e non volendo reiterare crudelmente osservazioni analoghe finendo per annoiare il lettore si preferisce limitarsi a queste concise note di sintesi.

Una questione infine si pone in termini di ricadute sui disegni urbanistici e sugli effetti regolativi del sistema di pianificazione sotto-ordinato (provinciale, costituito dagli agonizzanti Ptcp; intercomunale con i rari Pati; comunale rappresentato dai Pat). Le scelte progettuali cartografate e le norme tecniche dettate da questo Ptrc incideranno assai debolmente sulle scelte future delle comunità locali perché la scala di rappresentazione delle dodici mappe di piano (1:250.000) non aiuta a eseguire un’accurata e certa localizzazione delle indicazioni progettuali e, al tempo stesso, deve far riflettere l’ampio ricorso all’uso di “approssimazioni iconografiche” senza un’effettiva geolocalizzazione e normazione di quanto individuato nelle mappe ai fini delle opzioni urbanistiche. Questione che lascia un ampio margine di interpretazione e discrezionalità, rappresentativa e normativa, alle amministrazioni locali in fase di adeguamento dei propri piani di assetto del territorio (comunali o intercomunali) al piano urbanistico regionale (ai sensi dell’art. 12, comma 5 della Legge regionale n. 11 del 2004). Discrezionalità che, se usata in maniera opportunistica come visto in precedenza, potrà essere foriera solo di distorsioni e deformazioni del disegno pianificatorio generale che non potranno generare altro che contenziosi e ricorsi legali in sede di applicazione locale del piano.

Ma forse, in ultima analisi, questo era il vero obiettivo che si voleva raggiungere cioè “un colosso dai piedi d’argilla” (un gigante buono) che non spaventasse nessuno e che fosse sufficientemente adattabile alle universali necessità delle province e dei comuni veneti, perché il vero spavento, se mai ci sarà, potrà essere determinato dall’emanazione del sistema dei vincoli paesaggistici (ma questa è un’altra storia che chissà quando la si potrà raccontare).

Per concludere, ritornando alla citazione iniziale tratta da “Il visconte dimezzato” di Italo Calvino: “meno male che la palla di cannone l’ha solo spaccato in due, …, se lo faceva in tre pezzi, chissà cosa ancora ci toccava di vedere”. Vien da pensare che in realtà l’operazione che ha compiuto la Regione Veneto di approvare il nuovo Ptrc senza la parte paesaggistica “generale” (quella riferita al sistema dei vincoli ope legis) e la posposizione della pianificazione paesaggistica “operativa” attraverso 14 (per ora[10]) Piani paesaggistici regionali d’ambito (Ppra) ha “spaccato” in tre fasi/pezzi il processo di pianificazione territoriale riuscendo a superare anche le aspettative degli abitanti della metaforica Terralba (in questo caso caso noi abitanti del Veneto) che “chissà cosa ancora ci toccherà di vedere”.

Ed è una vicenda quest’ultima che con il tempo prima o poi si dovrà affrontare…

NOTE:

1] La pubblicazione del primo atto formale, “Documento programmatico preliminare per le consultazioni”, del processo di formazione del secondo Ptrc risale al 2004.

[2] Alcune delle scelte presenti nella versione finale del piano risalgono alla versione adottata nel 2009 altre alla variante parziale con attribuzione della valenza paesaggistica adottata nel 2013. È evidente quindi come l’esito del processo di formazione risenta del tanto tempo trascorso per giungere all’approvazione.

[3] Per tale definizione si veda la Deliberazione della Giunta Regionale n. 427 del 10 aprile 2013.

[4] Adottato con Deliberazione della Giunta Regionale n. 372 del 17 febbraio 2009.

[5] A seguito della sottoscrizione del Protocollo d’intesa (avvenuto in data 15 luglio 2009) tra il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e la Regione Veneto.

[6] Ai sensi del comma 1, art. 135 del DLgs 42/2004 e ssmmii, il Ptrc è un piano urbanistico-territoriale con specifica considerazione dei valori paesaggistici.

[7] Piano Paesaggistico Regionale d’Ambito.

[8] Se invece si volesse approfondire il tema basterebbe analizzare le serie statistiche prodotte annualmente (a partire dal 2014) dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) sul consumo di suolo in Italia per comprendere che non sarà certo il “pannicello caldo” della legge regionale n. 14 del 2017 sul contenimento del consumo di suolo (tra l’altro derogabile) a determinare l’inversione di tendenza presente in piani regolatori comunali costantemente sovradimensionati di previsioni insediative e infrastrutturali. Inoltre basta confrontare alcuni dati di “base” per comprendere come le cose in Veneto, relativamente al consumo di suolo, non vadano e non siano mai andate troppo bene. Il dato che esprimeva il calcolo della superficie trasformabile a livello comunale dal Pat ai sensi dell’atto di indirizzo lettera C-Sau (ex art. 50 lett. C) della vigente legge regionale sul governo del territorio (11/04) è di circa 9.000 ettari complessivi per tutti i comuni veneti; il valore che viene espresso invece dai calcoli presenti nella Lr 14/2017 “disposizioni per il contenimento del consumo di suolo” è pari invece a circa 25.000 ettari entro il 2050 (esito della somma tra superficie territoriale consumata all’ottobre 2017 dai comuni all’interno dei propri strumenti di pianificazione e superficie territoriale residua calcolata attraverso gli algoritmi della medesima legge). I 16.000 ettari di differenza rappresentano alquanto plasticamente lo iato tra una legge regionale considerata piuttosto “lassista” (la n. 11 del 2004) e una legge che invece avrebbe dovuto essere, al contrario, assai “rigorista” (la n. 14 del 2017).

[9] Che si regge su una rappresentazione cartografica “di base” costruita sui dati del Censimento della popolazione e delle abitazioni predisposto dall’Istat nel 2001.

[10] Occorre ricordare come ai sensi dell’articolo 73, comma 2, delle Norme tecniche, la Giunta regionale può prevederne una riarticolazione volta a ridurne la quantità. E se il numero degli ambiti può ridursi e con esso possono modificarsi i rispettivi confini, quale sarà l’effetto sull’impianto generale del Piano? E ancor di più la suddivisione degli ambiti/Ppra quando verrà definitivamente licenziata? E una volta licenziata all’interno del Ptrc componente paesaggistica la dovremo considerare definitiva o la Giunta regionale potrà ridefinirne al ribasso la quantità? Gli ambiti di paesaggio dapprima e i Ppra successivamente, per come sono venuti evolvendosi in Veneto, hanno ridefinito la dimensione del paesaggio in funzione di una geografia amministrativa piuttosto che di un vera e propria ontologia paesaggistica e costituiranno la vera e propria pianificazione paesaggistica “operativa” regionale. Tale condizione non la possiamo ricondurre a una mera operazione di contabilità amministrativa (quanti comuni entrano o escono da un ambito di paesaggio e viceversa) perché trattandosi di paesaggio e quindi di legami semiologici e identitari, connessi fortemente alla forma, alla natura dei luoghi e alla percezione che di essi ne hanno le popolazioni, questo muta radicalmente il punto di vista e gli effetti del Piano sul complesso mosaico paesaggistico veneto.