di Frederick Bradley.
Cos’è il paesaggio? Una domanda tutt’altro che retorica, e che, anzi, potrebbe apparire velatamente provocatoria per l’esistenza delle diverse definizioni che attengono alle molte discipline che a vario titolo si occupano di paesaggio. Volendo ricorrere alla storia si potrebbe ricordare che per il Petrarca il paesaggio, in questo caso ante litteram, è motivo di introspezione, mentre per Tiziano Vecellio, a cui si deve il termine paesaggio come traduzione dal francese paysage di Molinet, è la rappresentazione artistica di vedute naturali, oppure che per Turner è l’espressione pittorica del sublime.
In tempi più recenti alla visione umanistica del paesaggio si è associata quella propriamente scientifica per cui il paesaggio è materia di studi geografici e ecologici per divenire infine uno strumento di pianificazione del territorio.
Benissimo. Alla domanda iniziale vi è però una risposta, in verità poco considerata ma su cui credo non si possa non convenire: il paesaggio è prima di tutto una fonte di informazioni sul territorio che rappresenta.
Dico prima di tutto perché è questo che il paesaggio ha rappresentato per noi fin dalla comparsa dei primi individui della nostra specie, e che in realtà rappresenta tutt’ora per ogni essere vivente in grado di comprendere il significato dei segni del territorio.
Per millenni, chi osservava il paesaggio lo faceva per trarvi informazioni indispensabili per la propria sopravvivenza: procurarsi il cibo, trovare un rifugio, individuare i nemici, trovare risorse o indicazioni utili per le proprie necessità, ecc.
Ma cosa centra questo con la visione del paesaggio dell’uomo moderno dal momento che oggi non abbiamo più l’esigenza di aver tutte queste informazioni?
In effetti il nostro rapporto con il paesaggio come fonte di informazione sembra terminare con la fine della civiltà contadina e la concomitante comparsa dell’urbanesimo. In poche parole: con il distacco delle nostre necessità essenziali dal contatto diretto con il territorio.
Ora non abbiamo più bisogno di guardare la terra per capire se ci darà buoni frutti, così come non serve guardare il cielo per sapere se domani pioverà, oppure capire quale sia la strada migliore per la transumanza, e così via.
Ora osservare il territorio è divenuto sostanzialmente un fatto estetico o emozionale, e quindi ciò che osserviamo è un panorama, cioè la scena del territorio, e non un paesaggio, cioè il contenuto di quel territorio.
La conseguenza è che stiamo progressivamente perdendo la capacità di capire, con la sola osservazione, il significato del mondo in cui viviamo.
La Convenzione Europea del Paesaggio, promulgata ormai più di venti anni fa, invitandoci a percepire il significato del paesaggio ha posto le basi per poterci riappropriare di questa capacità. Con la percezione, l’osservatore mette in pratica un approccio al paesaggio che non è né umanistico, né scientifico, bensì cognitivo, quindi rispondente a quello che ci ha accompagnato per millenni nella nostra evoluzione.
E’ un atteggiamento di cui credo ci sia estremo bisogno. Anche se non siamo più contadini o cacciatori, il paesaggio ha sempre molto da dirci sul mondo che ci circonda. Solo conoscendo e interpretando correttamente i segni di un paesaggio saremo in grado non solo di capire a fondo la storia di un territorio, ma anche di percepirne lo stato di salute e perfino se può essere all’origine di problemi socio-ambientali importanti.
Qualche esempio? Riconoscere nel paesaggio i tipici segni di una coltivazione agraria di tipo intensivo ci informa dei pericoli che corriamo vivendo in quel territorio o mangiando il cibo che vi viene prodotto.
Oppure percepire una discrasia tra lo sviluppo urbano e le effettive necessità abitative della popolazione ci potrebbe rilevare un fenomeno speculativo.
Per far fronte all’esigenza di una visione consapevole del territorio è necessario un nuovo approccio culturale che veda la lettura del paesaggio come strumento conoscitivo essenziale e accessibile anche all’osservatore non specialista. E’ questo il motivo che mi ha portato a divulgare e diffondere una pratica di lettura del paesaggio semplice e intuitiva per la cui applicazione è sufficiente un buon spirito di osservazione e una conoscenza degli elementi che formano il territorio facilmente conseguibile.
Per soddisfare questi propositi è stato creato il sito Occhio al paesaggio (http://wikitinera.it/index.php/it/occhio-al-paesaggio) nell’idea, e nella speranza, che possa costituire uno strumento al tempo stesso informativo, divulgativo e didattico.
Il sito è a disposizione sia delle comunità locali per far conoscere il proprio territorio, anche per scopi turistico-culturali, e le sue eventuali problematiche, sia del corpo insegnante per trasformare la lettura del paesaggio in una pratica formativa delle nuove generazioni.
Con questo articolo si dà il via a una collaborazione con il Forum Salviamo il Paesaggio che prevede la pubblicazione periodica di schede di lettura del paesaggio tratte dal sito citato. In realtà, per esigenze di spazio qui si riporterà solo la lettura finale del paesaggio con un rimando alla scheda originale per chi volesse approfondire la procedura pratica applicata.
Come prima scheda ho volutamente scelto un paesaggio molto conosciuto per facilitare la trasmissione del concetto sopra illustrato.
Buona lettura…
Paesaggio del territorio di Corniglia, 5 Terre (SP)
Il tratto più caratteristico del paesaggio sono i terrazzamenti che si estendono lungo tutto il versante costiero, chiamati localmente fasce (A). Sono stati realizzati nei secoli scorsi per rendere coltivabile un territorio la cui forte pendenza lo rendeva inadatto all’agricoltura. Per vincere l’inclinazione del pendio si è ricorso alla costruzione di muretti a secco utilizzando la pietra disponibile in loco secondo una particolarissima tecnica costruttiva che è entrata a far parte del patrimonio immateriale della popolazione locale.
Nelle fasce si coltivava, e si coltiva tutt’ora, la vite per produrre un vino la cui qualità è legata oltre che alla forte insolazione, anche alla stretta vicinanza della macchia mediterranea e all’influenza dell’aria di mare. Le caratteristiche ambientali del territorio hanno portato all’adozione di tecniche di coltivazione manuali particolarmente faticose il cui costo è giustificato solo dalla produzione di un vino di alta qualità, in genere destinato a un mercato di fascia alta (B).
L’inselvatichimento di molte fasce, seguìto all’abbandono dell’attività agricola, indica che in passato le quantità di vino prodotte dovevano essere molto maggiori dell’attuale: una riduzione dovuta probabilmente proprio all’elevato costo di produzione.
L’intero territorio vitato sembra far capo a un unico centro abitato, il piccolo paese di Corniglia, che seppur sorto vicino al mare non presenta i caratteri propri di un borgo marinaro (C). In effetti il paese ha da sempre una spiccata vocazione agricola e rappresenta una delle zone a maggior produzione vitivinicola delle 5 Terre.
Pur a fronte di un’attività produttiva importante, il territorio non mostra importanti vie di comunicazione se non la ferrovia costiera che rappresenta il principale sistema di collegamento da, per, e tra le 5 Terre (D). Di fatto, le asperità del territorio costiero hanno sempre costituito un forte ostacolo alla circolazione di uomini e merci, che per secoli fu limitata a difficoltosi collegamenti marittimi. Fu solo con la costruzione della ferrovia, avventa a fine ‘800, che la popolazione locale poté uscire da un isolamento storico e dar vita a una vera svolta del quadro socio-economico del territorio, a cui seguirà anche la sua valorizzazione dal punto di vista ambientale e culturale.
Tratto da: http://www.wikitinera.it/index.php/corniglia-5-terre-sp-liguria