Rimettere l’IMU sulla prima casa? Riflessioni per un dibattito

Gaia Baracetti, autrice di “Perché bisogna abolire i contributi all’agricoltura“, ci trasmette queste sue riflessioni su un tema che connette il rapporto tra l’IMU e la prima casa. Un contributo volutamente “provocatorio” che pubblichiamo ritenendolo utile per una discussione opportuna.

Nessun politico ne avrebbe il coraggio, in Italia oggi. Eppure sarebbe una misura di equità, lungimiranza e tutela dell’ambiente di cui beneficerebbe l’intera collettività. Per molti motivi.
Innanzitutto, quando si parla di introdurre una tassa, non necessariamente si parla di aumentare il livello di tassazione totale, anzi: sarebbe meglio che così non fosse. Mettere l’IMU sulla prima casa significherebbe accumulare risorse che poi non sarebbe più necessario reperire altrove – per esempio dalla tassazione sul lavoro, o dalle innumerevoli marche da bollo o ticket che sono la forma più regressiva di tassazione…

Non è nemmeno necessario che i più poveri paghino: niente impedisce, come si fa per il reddito e com’era prima, di stabilire una soglia sotto la quale si è esenti. Questo dovrebbe però valere solo per case molto piccole: il problema principale, infatti, è lo spazio che le nostre case occupano. In Italia di spazio ce n’è poco, pochissimo (abbiamo una densità di popolazione più alta di quella della Cina), e lo sprechiamo in modo assurdo – ad esempio permettendo a chiunque di costruire case enormi ovunque, con giardini da signore rinascimentale, con tutto il corollario di strade, luci, tubature, parcheggi, mezzi pubblici e raccolta rifiuti che devono per forza seguire l’espansione infinita della città. Prima, almeno, si pagavano in parte questi servizi con la tassa sulla casa – ma da quando non c’è più, un individuo o una famiglia si gode la sua casona senza spese, mentre tutti gli altri – compresi quelli costretti in piccoli appartamenti in zone trafficate – pagano tanto quanto lui per garantirgli tutte le comodità e servizi.

Le tasse, come principio generale, non dovrebbero servire soltanto per raccogliere soldi ma anche per incoraggiare comportamenti considerati virtuosi e scoraggiare comportamenti che danneggiano la collettività. Anche per questo è sbagliato tassare così pesantemente il lavoro – che è un contributo del singolo alla società – e poco o nulla la rendita e la proprietà, che dà benefici al singolo che ne gode a spese di tutti gli altri che ne sono esclusi.
L’IMU, quindi, dovrebbe essere innanzitutto un modo per compensare la collettività dei costi che la nostra proprietà impone. In primis perché lo spazio che chiamiamo nostro non può più appartenere a nessun altro, né singolo, né comunità, né – ce ne dimentichiamo sempre! – natura selvatica. Lo spazio della nostra casa diventa lo spazio negato al vicino, al povero, alla piazza e al capriolo. Pagarci una tassa sopra è un modo per risarcire gli altri di questa perdita irreversibile, e ci disincentiva dall’arraffare più spazio possibile perché tanto è gratis; nonché, come si è detto sopra, serve per contribuire ai servizi di cui usufruiamo, e più grande è la casa, più se ne rendono necessari per ogni persona.
Inoltre, le tasse secondo la nostra costituzione dovrebbero essere progressive; aver eliminato quasi del tutto una tassa sulla proprietà viene meno a questo principio fondamentale, trattando allo stesso modo chi ha la villa e chi sta in un monolocale.

Non solo.
L’espansione urbana antiestetica e disordinata a cui ci siamo ormai abituati è in realtà un fenomeno estremamente recente. Le città storiche sono tutte costruite allo stesso modo ovunque nel mondo, seguendo la stessa logica: le case sono strette, spesso a più piani, attaccate il più possibile e vicine ai servizi essenziali. Questo perché l’umanità ha sempre saputo che lo spazio è prezioso. Che vicini si vive meglio. E che spostarsi consuma energie. Quando ero in visita a Bruxelles, un’amica mi ha spiegato che le case sono così strette perché quando furono costruite si pagava la tassa sul suolo occupato, e quindi ognuno cercava di minimizzare la propria impronta. In montagna ho sentito storie simili: lo spazio era talmente scarso e prezioso che nessuno avrebbe sprecato il proprio orto costruendoci sopra un villone su un piano. Una IMU per tutti gli immobili dovrebbe avere una funzione simile: scoraggiare lo sperpero di spazio. Vuoi allargarti? Paghi. Fai un uso razionale dello spazio? Risparmi.

Non dovrebbe sfuggire il fatto che sono queste città storiche, dense ma non prive di verde, varie ma armoniche, che andiamo a visitare per vedere qualcosa di bello. Nessuno fa il turista nelle periferie di villette e capannoni, nessuno va a vedere i casermoni popolari, le monofamiliari con parcheggio, le case-cubo dei tempi del boom. Tutti le vogliono avere – forse per sentirsi come re con mille metri quadri di regno – ma nessuno le apprezza. Avete mai visto un turista che si fermi a fotografare una via asfaltata fiancheggiata da case stile dopoguerra?
Tutte queste nuove tipologie abitative spreca-spazio non solo sono brutte, non solo sottraggono spazio alla collettività: sono tra le principali responsabili del traffico che soffoca le nostre città e, al tempo stesso, sua conseguenza. In un tempo senza automobili, costruire città a bassissima densità abitativa sarebbe stata una follia: per comprare il pane o andare al lavoro ognuno avrebbe dovuto camminare ore ogni giorno. L’automobile ha reso possibile vivere lontano da tutto, ma paradossalmente lo ha reso anche desiderabile: per sfuggire al traffico si va a vivere fuori città, e poi quel traffico si contribuisce a crearlo quando si è costretti a tornarci per fare qualunque cosa che non sia mangiare a casa propria o dormire.

Tutto è cambiato con l’auto, ma non in meglio. Il singolo proprietario di villone con giardino magari è contento, se la benzina e il tempo perso nel traffico non gli sembrano un problema. Ma la città risente dell’inquinamento che le masse di pendolari producono, e tutto l’ambiente soffre: per permettere la costruzione di case così enormi con spazi così grandi intorno, sempre più lontane dal centro, si sono costruite strade asfaltate, che necessitano di manutenzione e impermeabilizzano il suolo; si è portata l’acqua e l’elettricità – e più tubi corrono a portare l’acqua, e più lontano vanno, più aumentano le possibilità di perdite, mentre l’inquinamento luminoso causato dall’estendersi delle luci pubbliche e private che seguono le case ha privato tutti della bellezza di un cielo stellato. Nessuno vuole vivere in buie periferie, e quindi la vecchia campagna misteriosa di un tempo oggi è illuminata come il parcheggio di un centro commerciale. Ancora: i camion dei rifiuti devono fare sempre più strada, aumentando il costo ambientale pro capite della raccolta differenziata, gli autobus hanno bisogno di nuove fermate, e così via.
E tutte queste cose le paghiamo tutti indipendentemente da dove abitiamo; paghiamo per gli spreconi anche se siamo virtuosi. Certo, la TARI viene calcolata anche in base all’estensione della casa, ma quello che manca sono le pertinenze e il giardino. È questo il problema. Il motivo principale per cui bisognerebbe rimettere l’IMU sulla prima casa è di creare l’occasione per ridisegnare questa tassa perché soppesi il grande lusso dello spazio e includa anche i giardini – in alcuni casi davvero enormi, ma, anche quando sono piccoli, capaci tutti assieme di mangiarsi il poco che resta di boschi e campagne.
Non è solo una questione di bellezza. La terra ci serve – per mangiare.

Chiunque abbia provato ad avviare un’attività agricola senza averla ereditata si sarà accorto che in molte zone è praticamente impossibile ormai. I terreni costano e sono troppo frammentati, le strutture mancano e le norme impediscono di costruirle vicino alle case, e le case sono dappertutto, tutto è recintato, bloccato, ci sono conflitti ovunque… Questo è in gran parte una conseguenza dell’espansione della città dentro la campagna: strade, case e parcheggi si sono mangiati quelli che una volta erano fertili campi e bellissimi prati stabili. L’estensione della periferia ha creato necessità di supermercati e centri commerciali dotati di immensi parcheggi perché tutti si muovono in macchina, mentre cittadini facoltosi hanno comprato case con stalle e fienili e li hanno trasformati in gigantesche depandance per le loro ville: le mucche accudite dalle famiglie di un tempo sono state sfrattate assieme a tutto ciò che era autenticamente contadino e sono finite ammassate in enormi capannoni. Lo stile “rustico” è sbocciato a spese della vita rustica, quella vera. E, come beffa finale, spesso i cittadini che hanno voluto la casa in mezzo al verde poi pretendono che quel verde sia ordinato e senza vita: si lamentano se canta il gallo, se si sente puzza di stalla, se passano le pecore, se l’erba osa crescere appena appena la falciano senza pietà… E siccome continuiamo a mangiare uova e formaggi, e da qualche parte bisogna pur produrli, questo ha significato la concentrazione dell’allevamento nelle poche zone in cui è ancora possibile, magari con gli animali chiusi in grigi hangar dove non danno fastidio, anziché in piccole stalle vicino alle case o all’aperto nei prati, come dovrebbero stare.
Per chi vorrebbe tornare all’agricoltura tradizionale, su piccola scala, tutto questo è un incubo. Con le migliori intenzioni del mondo di produrre cibo in maniera sostenibile, di tenere gli animali in piccoli numeri, seguiti come si deve, permettendo loro una vita naturale, si fa tanta, troppa fatica a trovare uno spazio adeguato, ci si scontra con norme assurde, vicini vendicativi, e per quanto lontano si vada a cercare un po’ di spazio ci si ritrova sempre circondati da enormi giardini inutilizzati – per bellezza, per avere spazio vuoto attorno, per far correre il cane ogni tanto, per prendere il sole o fare griglie, per tenere un triste asinello solitario… per gli animali utili, quelli che producono cibo per tutti, non è rimasto più spazio; un campo da coltivare costa un occhio della testa, perché ne restano così pochi ormai… e quindi gli italiani importano cibo prodotto distruggendo foreste altrui.
Non è un caso che molti dei neo-rurali, dei nuovi contadini, dei giovani che “tornano alla terra”, sono gli stessi che hanno ripreso a disboscare la montagna: in pianura non c’è più posto!

Chi non ha provato la rabbia di vedere i più benestanti tra i propri concittadini potersi permettere immense recintate estensioni di nulla, mentre chi non è già ricco non trova lo spazio sufficiente per un orto commerciale o un pollaio come si deve, non può capire il senso di ingiustizia che si prova per questo mondo capovolto trattato come fosse normale.
Non è solo questione di cittadini: anche i contadini, non pagando l’IMU sui terreni agricoli né, come tutti, sui giardini, una volta ereditata o comprata una tenuta possono sprecarne gran parte senza conseguenze economiche.
E non è nemmeno finita qui. Chiunque abbia passato un po’ di tempo in vivai o consorzi agricoli avrà presente la scena: un cliente o una giovane coppia che si appoggiano al bancone e sciorinano una lista di pesticidi ed erbicidi che gli servono per il “giardino” – perché tutti vogliono il prato inglese, costi quel che costi, e le piante di proprio gradimento anche se vengono regolarmente attaccate da insetti che ci sentiamo in perfetto diritto di sterminare. Tra irrigazione (con acqua potabile!), pesticidi, erbicidi, e consumo di carburanti per lo sfalcio, i giardini privati sono uno dei peggiori buchi neri ecologici dei paesi occidentali moderni.

La terra è fonte di ricchezza. Non per niente esiste una teoria economica, che alcuni stanno riscoprendo, che si chiama georgismo e propone di tassare soltanto o principalmente la terra e le risorse naturali, perché è da essere che viene tutto ciò che abbiamo, e chi ne ha diritto d’uso deve qualcosa a tutti gli altri.
Nel nostro paese è difficile acquisire terra e proprietà, ma facile tenersele – dovrebbe essere il contrario. Le tasse sull’eredità sono basse, e così anche quelle sulla proprietà, mentre avere accesso al credito è difficile e costoso e quindi una parte significativa di ogni investimento va alle banche, non a spese produttive.
Un paese organizzato in questo modo non è equo: è fossilizzato e iniquo. Una tassa sulla proprietà risolverebbe in parte tutti i problemi finora elencati. Chi non riesce a permettersi questa tassa si prenderà un’abitazione o un terreno più piccolo, oppure – e questo sarebbe uno degli obiettivi – inizierà a fare un orto o allevare qualche animale utile nella propria tenuta, così da recuperare i costi, oppure ad affittare a chi non trova casa o terra un po’ della propria. E per non penalizzare i più poveri si potrebbe stabilire una soglia in metri quadri sotto alla quale non si esige nessuna tassa, e addirittura redistribuire parte degli introiti a chi non ha nulla e paga un affitto.

Se qualcuno possiede edifici o terreni che non può mantenere e non riesce a vendere neanche a un prezzo più basso, si potrebbe istituire un sistema per cui questi vengono acquisiti dagli enti pubblici e trasformati in aree protette, orti comunitari o alloggi sociali. Ricominceremmo a stare assieme, anziché ognuno rinchiuso nel proprio giardino.
Ci sarebbero benefici ulteriori. Tassando la proprietà immobiliare l’evasione diventerebbe quasi impossibile, a differenza del lavoro che può non essere dichiarato o dei capitali che possono essere spostati. E la truffa per cui alcuni prendono residenze fittizie in seconde case per non pagare l’IMU potrebbe finire se si tassassero anche le prime case. Si potrebbe usare un IMU comprensivo della prima casa anche per ridurre i costi dell’imposta di registro: possedere una casa dovrebbe avere un costo, ma non acquistarla o cambiarla. Come si legge in questo articolo di Franco Osculati sul tema, “un’operazione di questo tipo potrebbe essere intesa come un’iniziativa a favore dei giovani, che più dei genitori o dei nonni sono interessati a vendere e comprare case” (si potrebbe aprire qui tutto un discorso sulle parcelle dei notai…).

Non sarebbe un sistema perfetto: finché esistono diseguaglianze di reddito e di rendita estreme come quelle odierne, chi guadagna molto più degli altri non avrà problemi a pagare le tasse per la propria casa di lusso e il proprio enorme giardino. Un motivo in più per intervenire anche sulle diseguaglianze – ma questo è un argomento per un’altra volta.

(Immagine di Paolo Baldi).

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