Il mare privato: il cancro dei porticcioli turistici

Qualche anno fa destò scalpore/curiosità la boccetta con in vendita l’aria di una località valdostana. Nient’altro che una estremizzazione di un processo in atto da tempo: la privatizzazione di beni di noi tutti. Del resto, la stessa proposta di legge popolare frutto della Commissione Rodotà sente la necessità di annoverare fra i beni pubblici l’aria (quasi che possa essere in teoria privata…). E comunque, l’acqua, che rappresenta l’altro elemento essenziale per la vita, privata spesso lo è già.

Tanto siamo entrati nell’ottica che i beni pubblici possano non essere più pubblici, che non ci si fa nemmeno caso quando li si perde. E’ il caso dei porti turistici (impropriamente definiti “porticcioli”) che sempre più costellano le nostre già martoriate coste.
In Italia, secondo gli ultimi dati forniti dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, ci sono la bellezza di 158.548 posti barca, con relative strutture di accoglienza, che solo in minima parte sono all’interno di porti già esistenti: nella stragrande maggioranza sono appunto porticcioli realizzati ad hoc.

Nessuno se ne è occupato fino ad oggi della problematica, eppure un porticciolo significa, nella maggior parte dei casi, almeno: eliminazione di una spiaggia o comunque di un litorale; occupazione di una più o meno vasta porzione di mare per gli ormeggi ed i servizi conseguenti; colata di cemento sul fronte porto. Questo per quanto riguarda l’aspetto della privatizzazione e del consumo di suolo. In più mettiamo sul piatto le conseguenze sull’ambiente marino: inquinamento, alterazione dei fondali (se c’è la Posidonia, scompare), alterazione del moto ondoso con relativi riflessi sul resto della costa.

Un fenomeno enorme, quindi, che interessa costa e mare. Eppure, colpevolmente trascurato.
Ben venga, dunque questa pubblicazione edita da Altreconomia (casa editrice che meritoriamente si occupa anche della salvaguardia dei beni comuni) e curata da Fabio Balocco, con prefazione dell’urbanista Paolo Berdini.

Abbiamo rivolto qualche domanda all’autore, Fabio Balocco.

Come è nata l’idea del libro?

È nata dalla costante frequentazione della mia terra madre, la Liguria. Io nacqui a Savona, mi trasferii a Torino nel 1981 per ragioni lavorative, ma ho mantenuto negli anni un legame con le mie origini. E non dico ogni volta, ma quasi che mi reco giù, scopro qualcosa di brutto, un’ennesima ferita al territorio, all’ambiente. Ed una delle ferite che più mi colpiscono sono proprio i porticcioli turistici che hanno alterato per sempre lunghi tratti di costa.

 

La Liguria ha un primato al riguardo?

Esatto. La Liguria con i suoi 23.775 posti barca è di gran lunga la regina delle regioni italiane, seguita a debita distanza dalla Sardegna con 19.482. La Liguria racchiude un ventiduesimo del totale delle coste italiane, ma ha più di un sesto dei posti barca!

 

Come se la Liguria non fosse già abbastanza infrastrutturata.

Io sono nato nel 1953 e nell’arco di questi sessanta e più anni ho visto scomparire porzioni enormi di territorio vergine o votato all’agricoltura per la realizzazione soprattutto di alloggi (in massima parte residenze), ma anche aree industriali. Hanno perso naturalità due delle più belle e più produttive piane della Liguria, come quella di Vado Ligure e di Albenga. Il litorale è stato sfruttato in ogni dove, mancava solo lo sfruttamento del mare, prima limitato solo ai porti. Mancava solo il cancro dei porticcioli.

 

Le comunità locali quindi hanno sacrificato sull’altare dell’interesse privato anche il mare oltre che la costa.

Certo, c’è stata in questi decenni una volontà politica locale favorevole alla privatizzazione, ma agevolata da provvedimenti legislativi ad hoc volti a snellire le procedure per la realizzazione dei porti. Primo fra tutti il “decreto Burlando” (D.P.R. 509/1997), cosiddetto perché la paternità è di quel Claudio Burlando (allora Ministro ai Trasporti e alla Navigazione nel primo governo Prodi), che, appena in carica ebbe modo di notare che in Italia ci fossero troppo pochi porti turistici. E qui consentimi di aprire una parentesi. Burlando era in teoria un ministro di estrazione di sinistra che operava in un governo di sinistra. Bene. I porticcioli rendono privati beni pubblici a favore di una ristretta minoranza di persone abbienti: cosa c’è di sinistra in tutta questa operazione? Ma nulla di nuovo sotto il sole: in Italia le privatizzazioni più importanti sono state volute proprio da quelli che io definisco “i sinistri”. Ma torniamo al decreto. Esso definisce la procedura per la realizzazione dei porti. Agile, breve, senza gara, ed in più oltre al porto si possono anche realizzare opere sulla costa. Burlando dà il via libera non solo al mare privato ma anche ad una ulteriore cementificazione della costa, quasi che la Liguria ne abbia ancora bisogno. I porticcioli diventano assimilabili ai campi da golf: in ambedue i casi il progetto è anche un cavallo di troia per fare residenze: con vista mare o con vista “green”.

 

Il libro parla anche di rapporti fra politica e malaffare.

Sì, ma neanche questa è una novità: dove c’è il cemento spesso in Italia c’è la malavita. In Liguria in particolare c’è l’ndrangheta (che del resto anche recenti inchieste vedono presente in Piemonte ed in Valle d’Aosta). La DIA ha accertato che la Liguria è la regione con maggiore infiltrazione di ‘ndrangheta in Italia con ben nove “cellule”, che vengono chiamate “locali”. Il libro dimostra come essa si sia infiltrata anche nel settore dei porticcioli. E talvolta le amministrazioni locali sapevano. Senza contare che nei porticcioli non vi sono controlli su merci in entrata ed in uscita e quindi essi diventano un porto franco anche per quanto riguarda la droga. Così l‘ndrangheta ci guadagna due volte: nella realizzazione e/o nella gestione del porticciolo; nel traffico conseguente di stupefacenti.

 

Un quadro a tinte fosche, dunque.

Molto fosche. E che sembra destinato a perpetuarsi ed anzi ad ampliarsi. In Liguria si sta completando un nuovo porticciolo per maxi yacht a Ventimiglia ed a breve riprenderanno i lavori del porticciolo di Ospedaletti che rovinerà per sempre la baia. Qui come anche altrove c’è stata finalmente un po’ di protesta da parte della società civile, vivaddio, come in alcuni altri casi che il libro cita, tipo il porticciolo della Margonara a Savona. Il comitato di Ospedaletti è riuscito anche ad ottenere una sentenza del Consiglio di Stato che accerta che la procedura di concessione del porticciolo era tutta illegittima, ma nonostante ciò adesso lo completeranno lo stesso. In compenso membri del comitato hanno ricevuto minacce, lettere anonime, pallottole in busta. Questa è la Liguria, quando ti metti di traverso rispetto ad interessi economici forti. Ma il resto dell’Italia non mi sembra da meno.

 

Il tuo lavoro si apre con una acuta prefazione di Paolo Berdini.

Paolo è un amico, ma soprattutto uno dei maggiori studiosi in Italia nel campo del consumo di territorio e di alterazione del paesaggio. Quando l’ho contattato perché facesse la prefazione, ha accettato con entusiasmo.

 

“IL MARE PRIVATO. LO SCEMPIO DELLE COSTE ITALIANE. IL CASO DEI PORTI TURISTICI IN LIGURIA” di Fabio Balocco, con prefazione di Paolo Berdini (Altreconomia, 2019, 13 euro)

 

Un commento

  1. ciao a tutti, forse… si tratterebbe di definire, coinvolgendo le associazioni veliche più ambientalmente sensibili, attraverso il ruolo delle regioni ed i relativi responsabili delle politiche sul paesaggio, gli ambiti costieri DEFINITIVAMENTE IMMODIFICABILI e smetterla, con ogni cambio di giunta, nella cementificazione di tratti di costa, pronubi i cementieri di turno…..forse il modello del ” Conservatoire du Littoral ” francese può insegnarci qualcosa….nel senso che si potrebbero ampliare forse e migliorare i porti esistenti …senza compromettere gli ultimi tratti di costa..forse..è necessaria una visione europea condivisa su queste tematiche

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