Via dalle campagne i pannelli solari stanno meglio in città

Il fotovoltaico è diventato una tecnologia portante del nuovo modello energetico che si sta affacciando a fronte di una nuova – la terza – rivoluzione industriale, più comunemente indicata con “rivoluzione verde”. Vi sono tuttavia crescenti perplessità sull’uso intensivo e centralizzato che si è cominciato a farne su molti terreni agricoli d’Italia e d’Europa. Se si configura secondo il modello energetico cui siamo stati abituati fin’ora rischia infatti di fare danni quali erosione dei suoli, perdita di fertilità, quindi di terreni agricoli, quindi di biodiversità, cibo e sovranità alimentare.

 

Il fotovoltaico rimane centrale e importante nella rivoluzione energetica, bisogna soltanto fare in modo che non comprometta altre risorse utili e sfrutti invece la miriade di altri spazi che ci sono in Italia e che sarebbero più adatti. Sono questioni che vanno prese molto seriamente come dimostra uno studio scientifico dell’ARPA Puglia inviato alla Regione il 2 marzo scorso. La Puglia rientra tra quelle regioni europee che, in buona fede, stanno facendo ricorso in maniera massiccia al fotovoltaico. Nel 2009 la stima dell’ARPA sostiene che siano stati installati in Puglia impianti fotovoltaici per 738 MW, per una superficie agricola impegnata di circa 2.214 ettari, mentre i primi due mesi del 2010 presentano già una richiesta d’installazioni per 405 MW, a fronte di altri possibili 1217 ettari rubati all’agricoltura: un vero e proprio boom, giustificato dallo sforzo dell’amministrazione di portarsi avanti nel raggiungimento del famoso obiettivo 20-20-20 (la riduzione del venti per cento delle emissioni di CO2 e l’implementazione del 20% dell’energia totale prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020). Sforzo apprezzabile negli intenti ma che in questo caso merita un minimo di cautela: gli impianti hanno un effetto cumulativo collaterale, un impatto ambientale da tenere assolutamente in considerazione se, come sta avvenendo, sono fortemente concentrati in alcune aree. Con distese enormi di pannelli fotovoltaici i suoli sottostanti perdono permeabilità; l’attività biologica tende a morire dando luogo a fenomeni di desertificazione che aumenterebbero il pericolo di alluvioni, nonché decreterebbero di fatto la morte di questi suoli. Non è da sottovalutare neppure l’effetto microclimatico che si fa molto sentire portando squilibri dannosi all’ambiente e alla biodiversità. Infine non si può poi calcolare che succederà quando tutti questi pannelli andranno smaltiti perché anche loro hanno un ciclo di vita oltre il quale vanno sostituiti. Oltretutto le reti energetiche che abbiamo non sono pronte a livelli d’incremento di energia prodotta così grandi, sono strutturalmente inadeguate e danno luogo a ingenti perdite. Basti il dato che in Puglia le perdite di energia per trasmissione sulla rete ammontano a circa il 70% dell’energia prodotta da fonti rinnovabili.

 

“Andiamoci piano con i pannelli”, verrebbe da dire, e non è un caso che in alcune regioni si sia già provveduto al blocco delle autorizzazioni per nuovi impianti, scatenando tra l’altro le critiche delle associazioni dei produttori di fotovoltaico.

 

Questo tipo di critiche sono viziate però da una visione che risente ancora della vecchia logica centralistica delle energie fossili, secondo cui per creare economie di scala nella produzione energetica bisogna “concentrarle” in poche centrali produttive, quando invece le fonti del 20-20-20 (il sole, il vento, l’acqua, la biomassa) sono per loro natura distribuite e non concentrate in alcuni punti strategici del Pianeta come avviene per l’uranio, il gas, il carbone o il petrolio. Questa idea che le energie rinnovabili vadano raccolte in “grandi centrali” anziché in milioni di piccole installazioni distribuite, rappresenta un ibrido per cui le energie del futuro andrebbero prodotte secondo le logiche del passato. Questo provoca l’equivoco di fondo secondo cui l’energia rinnovabile sarebbe “sostenibile” per definizione, mentre non è così. Se si creano dei danni entropici e ambientali, anche il fotovoltaico (e qualunque altra tecnologia rinnovabile) diventa “insostenibile”.

 

In realtà c’è un modo sostenibile di inserire il fotovoltaico nel mix energetico e nel contesto agricolo, rendendolo funzionale all’agricoltura e contribuendo ad abbassare i costi di produzione per gli agricoltori. Per farlo bisogna privilegiare l’autoconsumo e la produzione più distribuita possibile. In pratica questo si traduce con politiche mirate a portare il fotovoltaico sui tetti in ambito urbano e industriale – e in luoghi abbandonati, come capannoni o strade dismesse – mentre per quanto riguarda l’ambito agricolo, a seguire regole che lo rendono compatibile con la sovranità alimentare del territorio e la produzione locale del cibo.

 

Esistono oggi tecnologie che permettono di integrare il fotovoltaico nei cicli produttivi dell’agricoltura tradizionale, in modo da aiutare l’economia agricola locale invece che minarne le basi: il fotovoltaico su serra; quello per azionare pompe irrigue e sistemi di refrigerazione o altri consumi legati alla trasformazione del prodotto agricolo. Per quanto riguarda i terreni coltivati poi, nulla vieta di utilizzare pannelli montati su inseguitori solari (che fanno ruotare i pannelli in funzione del sole) montati su piloni abbastanza alti da permettere la coltivazione dei prodotti nella terra sottostante.

 

All’impiego in aree agricole, aggiungiamo poi le potenzialità in ambito urbano e industriale, che sono ampiamente al di sopra delle nostre necessità: per esempio da uno studio condotto in Sicilia, emerge che anche utilizzando soltanto il 6,5% delle superfici disponibili su fabbricati sia residenziali, sia industriali nella regione, si potrebbe ottenere una potenza fotovoltaica pari a 1000 Megawatt, ossia una potenza superiore a quella complessiva attualmente installata su tutto il territorio nazionale.

 

Un modello distribuito di questi tipo, oltre che a una permettere un’integrazione nel tessuto urbano, industriale e agricolo, garantisce anche un altro enorme vantaggio: la redistribuzione della ricchezza prodotta dall’energia. Si darà lavoro a migliaia di piccole e medie aziende installatrici e se ne creeranno di nuove; ma anche il cittadino, il piccolo imprenditore e chiunque disponga di una superficie atta a ospitare il fotovoltaico distribuito, potranno godere del reddito supplementare ventennale garantito dall’incentivo statale.

 

A questo punto la sfida per i governi diventa come promuovere al massimo questo modello distribuito che evita di consumare il territorio, semplificando le procedure autorizzative, con sistemi originali per garantire l’accesso al credito senza che il cittadino sia costretto a impegnarsi la casa o ipotecarsi il capannone e, non da ultimo, a ottenere dai produttori delle tecnologie fotovoltaiche prezzi accessibili alla piccola e media impresa locale.

 

Le regioni che per prime implementeranno questo modello saranno molto avanti nella corsa verso una “green economy” che permetta a tutti, e non solo ai grandi gruppi finanziari e alle banche, una reale uscita dalla crisi e una crescita duratura e legata alle risorse del territorio, a sistemi di economia locale.

 

Di Carlo Petrini

Fonte: La Repubblica

3 commenti

  1. Salve, le posso chiedere copia o link de:

    dello studio scientifico dell’ARPA Puglia inviato alla Regione il 2 marzo scorso

    dello studio condotto in Sicilia, emerge che anche utilizzando soltanto il 6,5% delle superfici disponibili su fabbricati sia residenziali, sia industriali nella regione, si potrebbe ottenere una potenza fotovoltaica pari a 1000 Megawatt

    dello studio da dove emerge “Con distese enormi di pannelli fotovoltaici i suoli sottostanti perdono permeabilità; l’attività biologica tende a morire dando luogo a fenomeni di desertificazione che aumenterebbero il pericolo di alluvioni, nonché decreterebbero di fatto la morte di questi suoli.”

    Grazie anticipatamente

  2. I pannelli solari stanno rovinando il paesaggio agrario, un bene da tutelare e già compromesso dal cemento. Mettiamoli sopra i tetti delle case e dei capannoni e ovunque non deturpino il paesaggio, altrimenti sarà più il danno che l’utilità.

  3. L’unica vera soluzione è consumare di meno, sempre di meno. La crescita economica è una terribile patologia della Terra.
    Inoltre l’aumento della popolazione umana deve cessare al più presto.

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