Veneto: nuove case per chi?

La Giunta Regionale del Veneto il 10 marzo 2009 ha approvato un provvedimento volto al rilancio dell’attività edilizia e, per questa via, anche dell’economia dell’intera regione.

In sintesi la proposta di legge prevede la possibilità di ampliare tutti gli edifici per una cubatura del 20%, mentre, per quelli realizzati prima del 1989, vi è la possibilità di abbatterli e ricostruirli con aumento di cubatura del 30% (35% se la ricostruzione avverrà con tecniche di bioedilizia).

Per valutare l’efficacia e gli effetti dell’iniziativa è necessario analizzare la situazione del mercato immobiliare nel Veneto e dell’attività edilizia nel recente passato. Nel 2001, stando ai dati del censimento della popolazione, il numero di abitazioni occupate nel Veneto era sostanzialmente uguale a quello delle famiglie. Se trascuriamo i comuni turistici, sempre a quella data, vi era circa il 10% delle abitazioni non occupate. Pur non trascurando la presenza di alcune situazioni di disagio a livello locale, questi dati evidenziano che nel Veneto la domanda residenziale nel 2001 era pienamente soddisfatta. In questa situazione, al fine di evitare tensioni sul mercato delle abitazioni, le nuove costruzioni avrebbero dovuto essere circa pari alla crescita della popolazione.

In realtà, come noto, si è avuto un vero e proprio boom edilizio, solo in parte motivato dalla forte immigrazione di lavoratori dall’estero. Tra 2001 e 2006 sono state rilasciate concessioni edilizie per nuove abitazioni o ampliamenti per un volume pari a 94,6 milioni di metri cubi. Nello stesso periodo la popolazione è aumentata di 243.000 abitanti (+5,37%) con una crescita media annua di oltre 40.000 persone. Il tasso di crescita è stato più che doppio rispetto a quello del periodo 1995-2000 quando si era attestato sul +2,44%. Considerando che ogni abitante abbia una richiesta di 120 metri cubi, dal 2001 al 2006 sono state realizzate abitazioni sufficienti a dare alloggio a circa 788.000 persone. Questo significa che nel 2006 nel Veneto vi era una dotazione di abitazioni che eccedeva notevolmente il fabbisogno dei cittadini.

Si può stimare che agli elevatissimi tassi d’immigrazione degli ultimi anni, le concessioni edilizie rilasciate per la realizzazione di nuove case siano sufficienti a soddisfare la domanda di case per i prossimi 13 anni. Ai pur elevati tassi di immigrazione del periodo 1995 – 2000, le abitazioni sarebbero sufficienti per circa 25 anni.

Ma è ipotizzabile che in futuro l’immigrazione possa proseguire ai ritmi del periodo 2001-2006? Con ogni probabilità no, poiché buona parte dei nuovi posti di lavoro creati nel Veneto in questo periodo ha riguardato proprio l’edilizia.

In altri termini, uno dei motori dell’immigrazione è stato il boom edilizio: il 65% dei nuovi posti di lavoro creati nel Veneto dal 2001 al 2006 ha riguardato il settore delle costruzioni. L’incidenza sul Valore Aggiunto della Regione delle costruzioni è passata dal 5,2% del 2001 al 7,15% del 2006. In un periodo in cui la produzione dell’industria manifatturiera è diminuita del 5,6%, di fatto è stata l’attività edilizia a garantire la crescita economica alla regione. A fronte di una crescita del prodotto interno lordo regionale dell’8,6% in sei anni, quasi 2,7 punti sono da ascrivere alle costruzioni.

Questa distorsione nell’economia regionale ha portato ad esiti per certi versi paradossali e indesiderabili. Ad esempio, mentre nell’industria non aumentava l’occupazione e diminuiva il fatturato, sono state rilasciate concessioni edilizie per la realizzazione di 110 milioni di metri cubi di capannoni. Chi li utilizzerà mai, considerando anche le incertezze generate dall’attuale crisi economica che sta colpendo in prevalenza il settore manifatturiero? In secondo luogo, va posto in evidenza che l’eccesso di offerta immobiliare ridurrà inevitabilmente il valore degli immobili, al di là della naturale flessione connessa all’andamento ciclico del mercato immobiliare. Di quanto si ridurrà la ricchezza (il patrimonio) dei cittadini veneti a causa del boom edilizio? Ovviamente è difficile stabilirlo.

Una regola dell’economia comunque afferma che, per i beni che hanno una funzione di domanda rigida (tendenzialmente quelli di prima necessità quali la casa), se la crescita dell’offerta sopravanza di molto quella della domanda, il valore totale della produzione tenderà a diminuire. Quindi, l’assenza di una accorta gestione delle politiche urbanistiche che ha caratterizzato gli ultimi anni, finirà per causare un danno patrimoniale ai cittadini del Veneto.

Alla luce di queste osservazioni è ora possibile cercare di comprendere se, ed in che misura, il provvedimento della Giunta Regionale del Veneto potrà contribuire al rilancio dell’economia regionale. In primo luogo, in base a quanto osservato, sembra del tutto evidente che la realizzazione di nuove cubature residenziali andrà ad aggravare la situazione di un settore già notevolmente in difficoltà. Si potrebbe forse obiettare che gli ampliamenti non dovrebbero interferire con il mercato immobiliare, poiché si tratterebbe in prevalenza di interventi di miglioramento dell’esistente. Tale ipotesi non pare però plausibile, poiché uno dei fattori che alimentano la domanda immobiliare è costituito dalla tendenza delle famiglie ad acquistare nuove abitazioni mano a mano che cambiano le esigenze del nucleo familiare.

Quindi, se il provvedimento riuscisse effettivamente a rilanciare l’attività edilizia aumentando la capacità insediativa nel Veneto, l’effetto sui valori immobiliari potrebbe essere molto pesante, anche perché andrebbe a sommarsi al declino dei prezzi già in atto. Questo potrebbe anche aumentare i rischi per il sistema creditizio, poiché le banche, in caso di difficoltà di coloro che hanno acceso dei mutui per comperarsi la casa, potrebbero rientrare solo di una frazione del capitale prestato. Si potrebbe obiettare che la riduzione dei prezzi potrebbe favorire una ripresa del mercato. Si è però visto che il mercato delle abitazioni nel Veneto era sostanzialmente in equilibrio nel 2001, e la domanda è stata alimentata in prevalenza dall’immigrazione. L’enorme stock abitativo accumulato va molto oltre le attuali esigenze dei residenti nella regione.

Un altro dato su cui si dovrebbe meditare è che certe tipologie edilizie, e in particolare le abitazioni singole, potrebbero usufruire più facilmente dell’opportunità di ampliare i volumi esistenti. Si tratta di edifici che sono prevalentemente sparsi nel territorio. Ne deriva che questo provvedimento finirebbe per aumentare l’elevatissima dispersione insediativa della popolazione che causa costi sociali e ambientali ingentissimi, rendendo inoltre del tutto inefficaci alcuni strumenti di pianificazione territoriale. Nel caso delle fabbriche, la possibilità di demolire e ricostruire ampliando andrebbe a contrastare la necessità di riqualificare l’assetto territoriale del sistema produttivo regionale caratterizzato da una miriade di piccole o piccolissime zone industriali e artigianale sparse in modo casuale nella regione. In altri termini, si finirebbe per perpetuare un assetto insediativo irrazionale che causa gravi costi logistici e ambientali.

Ciò sarebbe in palese contraddizione con l’affermazione, più volta ripetuta nei documenti ufficiali della Regione Veneto (si veda ad esempio il Piano Regionale di Sviluppo), della necessità di avviare forme di sviluppo sostenibile. L’intervento della Giunta Regionale potrebbe comportare quindi una tendenziale depianificazione del territorio, poiché gli ampliamenti delle abitazioni sparse non sono in genere considerati nel dimensionamento degli strumenti urbanistici, né si vede come potrebbero esserlo.

Da ultimo, è opportuno cercare di capire se effettivamente un rilancio dell’attività edilizia possa fare da volano alla crescita economica della regione.

Un dato utile al riguardo è costituito dalla quantità di metri cubi di abitazioni che sarebbero necessari per determinare un aumento dell’1% del prodotto interno lordo della regione. Analizzando i dati ISTAT sul rilascio di concessioni edilizie e sul valore aggiunto del settore costruzioni, si può stimare che nel Veneto, per aumentare dell’1% il prodotto interno lordo, sia necessario realizzare ogni anno non meno di 6,5 milioni di metri cubi di abitazioni, pari a una capacità insediativa aggiuntiva di circa 55.000 abitanti. Non sembra perciò plausibile che, in una situazione di crisi del credito e di eccesso di offerta di abitazioni, il provvedimento della regione sia in grado di far aumentare ogni anno la produzione di case di un’entità tale da sopperire alla perdita di produzione causata dalla crisi dell’industria.

Concludendo, perciò, pare si possa affermare che se la proposta della Giunta Regionale fosse efficace, e fosse quindi in grado di stimolare una massiccia ripresa dell’edilizia residenziale o produttiva, ne potrebbero derivare problemi rilevanti per il mercato immobiliare, per l’ambiente e, in una certa misura, per la stabilità finanziaria degli istituti di credito.

Qualora non lo fosse, e la realizzazione di nuove cubature fosse molto contenuta, avrebbe avuto l’effetto di minare la fiducia sulla stabilità della politica urbanistica regionale, favorendo implicitamente rendite speculative che, a lungo andare, potrebbero finire per condizionare la crescita del nostro territorio.

E’ anche abbastanza paradossale considerare che, in un momento in cui in tutti i settori economici vi è una stagnazione della domanda, la Giunta Regionale pensi di rilanciare l’economia stimolando l’offerta, cioè la produzione di case e capannoni.

In ogni caso, in un periodo di grande incertezza, quale quello attuale, sarebbe auspicabile da parte degli organi di governo, una maggiore cautela e una minore estemporaneità nella formulazione di politiche volte a fronteggiare la grave crisi economica in corso.

Prof. Tiziano Tempesta
Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali – Università di Padova

Padova, 11 marzo 2009

 

Fonte: http://www.legambientepadova.it/files/Nuove_case_per_chi.pdf