Proprietà collettiva: valorizzare e tutelare i boschi con la gestione diretta della comunità

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Un ritorno al passato che diventa un’importante azione per il futuro, perché il bosco è una risorsa fondamentale per il territorio. Come nasce la gestione collettiva? L’abbiamo chiesto al Coordinamento regionale della proprietà collettiva del Friuli.

La gestione «collettiva» dei boschi di pianura è una realtà in Friuli Venezia Giulia. In passato anche in altre regioni era pratica molto diffusa  che gli agricoltori durante l’inverno, quando erano meno impegnati, si occupassero di ripulire e mantenere i boschi per gestirli come patrimonio pubblico da tutti riconosciuto.

Oggi in molte zone d’Italia sopravvivono queste esperienze con la proprietà collettiva: la comunità, sotto forma di soggetti collettivi pubblici o privati, si attiva e mantiene il bene pubblico. Si tratta di aree, come boschi e campi, gestiti senza speculazioni e senza cambi di destinazione per il solo interesse collettivo. Ne abbiamo parlato con Luca Nazzi Portavoce del Coordinamento della Proprietà collettiva in Friuli Venezia Giulia.

Le origini dell’iniziativa

“Da anni l’Unione nazionale dei Comuni ed Enti montani denunciava il fatto che il 75% del patrimonio forestale italiano non era attivamente gestito. Ancora oggi è così” ci dice per capire da dove nasce tale iniziativa “e buona parte delle foreste regionali è a carico di enti pubblici”.

Con un progetto della Consulta nazionale della Proprietà collettiva è stato possibile restituire alla loro destinazione produttiva 3 milioni di ettari di beni collettivi (per lo più in zone montane), creando 6 mila posti di lavoro. Sono stati inoltre sfruttati contributi comunitari previsti per i Piani di sviluppo rurale“.

Come si attiva e quali vantaggi ha la proprietà collettiva

“Le proprietà collettive devono essere riconosciute come «bene comune» di pubblico e generale interesse, attraverso i princìpi delle leggi statali 1766/1927 e 278/1957. Le Comunità possono così curare la gestione diretta dei propri patrimoni, progettare e realizzare interventi, nel rispetto dei tradizionali principi di equità intergenerazionale e di rinnovabilità delle risorse”.

Con uno sguardo al passato si ripropone quindi una pratica importante ancora oggi: “Dall’epoca dei primi insediamenti umani al 1800 le proprietà collettive hanno garantito il sostentamento alle Comunità rurali e sono tuttora una realtà considerevole e preziosa in tutto il territorio italiano e friulano. La crisi degli ultimi anni sta facendo riemergere l’importanza dell’Economia primaria (agricoltura, allevamento e silvicoltura) e torna finalmente in primo piano la questione della sussistenza, sia alimentare che energetica, che le false promesse della globalizzazione non hanno affatto risolto”.

Si sfrutta la Filiera foresta-mercato” continua “commercializzando legno oltre che per lavorazione anche per produzione energetica tramite biomasse, con il controllo ambientale e la pianificazione pubblica, attraverso uno sviluppo locale sostenibile che coniuga innovazione e qualità sociale migliorando le condizioni di vita in aree montane che soffrono lo spopolamento“.

Questo esercizio diretto da parte della comunità innesca rapidamente meccanismi virtuosi che garantiscono molti vantaggi:

benefici economici:
• valorizzazione delle risorse e dei saperi locali
• rilancio delle attività agricole
• manutenzione del territorio
• integrazione fra attività primarie, culturali e turistiche

benefici sociali:
• contenimento della disoccupazione e dello spopolamento
• potenziamento dei servizi di prossimità
• sviluppo del senso civico e della partecipazione democratica
• attualizzazione degli “Usi civici” di legnatico, rifabbrico, fungatico, caccia, pesca ecc.

benefici ecologici:
• gestione e protezione del territorio
• perseguimento dell’autonomia energetica e alimentare
• transizione verso l’agricoltura estensiva e multifunzionale”.

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I numeri delle realtà operanti e in via di costituzione in Friuli Venezia Giulia

I Comuni del Friuli V. G. ove sussistono proprietà collettive ufficialmente riconosciute sono 55. I Comuni con Usi civici accertati in base alla legge statale 1766/1927 sono 46 cui vanno aggiunti i 9 con Comunioni familiari costituite in base alla legge regionale 3/1996. Se si calcola la popolazione che vive in questi 55 Comuni, abbiamo un totale di oltre 418mila cittadini coinvolti (pari al 34,5% dell’intera popolazione regionale), su una superficie di 3mila 644 chilometri quadrati (pari al 46,3% dell’intero territorio regionale). 

A questa parte consistente della regione, vanno aggiunti altri 93 Comuni, ove le rispettive comunità locali – a oltre 80 anni dalla promulgazione dalla legge del 1927 – attendono ancora la verifica dei loro più che probabili diritti di proprietà sulle Terre comuni, che è la condizione primaria per un concreto autogoverno e una gestione condivisa del territorio e delle risorse naturali”.

Come denunciano le tante testimonianze raccontante in questo sito, in molte zone d’Italia il territorio è considerato esclusivamente fonte di arricchimento per privati a danno della qualità della vita e della salute della cittadinanza. Queste esperienze di gestione sembrano essere rare eccezioni, ma dimostrano che con l’iniziativa collettiva si può fare ancora molto per salvare il territorio.

Luca D’Achille

6 commenti

  1. Trovo nel concetto di gestione collettiva una risposta intelligente alla crisi e anche un modo per risvegliare uno spirito di collaborazione che può dare grandissimi risultati. Questa iniziativa seppur in una zona completamente diversa mi ricorda molto il progetto dei fondi rustici che stanno portando avanti in una zona della Valdera, Peccioli per esser precisi. Si è deciso di puntare tutto sul risparmio degli amanti dello sviluppo locale, sulle competenze e la volontà di chi un certo territorio lo vive giorno dopo giorno. L’idea è quella di dare nuova vita a 40 casolari agricoli che altrimenti andrebbero distrutti per creare nuove opportunità di lavoro e attirare turismo in una zona che per me che ci vivo è splendida.

  2. Forse sarebbe interessante adottare una strategia di societing intesa, non come sfruttamento del luogo, ma chi “consuma” questi luoghi possa semplicemente appagarsi della loro bellezza!Le comunità locali dovrebbero attivarsi per difendere questi luoghi che purtroppo davvero stanno andando via via scomparendo…

  3. Queste iniziative apportano diversi benefici alle comunità locali. La valorizzazione di un territorio e soprattutto la presenza di saperi locali altamente specializzati che sappiano “fare impresa” per la società, ovvero fare societing, possono essere un valido contributo per contrastare la crisi economica che ci attanaglia.

  4. penso che, sul tema in discussione e su altre tematiche , noi di AGER e di Terra e Boschi, la pensiamo esattamente come Gaja Baracetti. Anche se proprio in pianura, bisognerebbe ricostruire i “deserti” maisicoli, risicoli e vitivinicoli, con formazioni boschive e filari, di varia natura, come i paesaggi bioculturali un tempo presenti e di cui proponiamo da tanto tempo la ricostituzione.

    paolo debernardi – AGER

  5. per uscire da questa crisi dobbiamo solo tornare a piantare alberi, anche in pianura ed anche in città…. alberi lungo le strade, alberi a confine e protezione dei campi coltivati, alberi al posto dei parcheggi.
    sul bosco collettivo in Friuli quanto fu visionario il mitico Sgorlon nei suoi romanzi!

  6. Gestione collettiva dei boschi di pianura? Penso sia un errore, dovrebbe essere scritto “di montagna”. In pianura i boschi sono rarissimi.
    Riguardo poi alla montagna, purtroppo in Friuli c’è questa mentalità per cui il bosco se non è sfruttato non vale niente. Sento sempre lamentarsi che c’è “troppo” bosco in montagna, e mi chiedo: troppo rispetto a cosa? Rispetto a ottant’anni fa quando la montagna era povera e sovrappopolata? Molti animali selvatici – la lince, l’orso, persino il lupo – stanno ritornando proprio perché parte della montagna è stata abbandonata e il bosco si è ripreso zone che erano state disboscate. E noi non facciamo altro che chiederci come “sfruttare” il bosco.
    Ma anche qui prevale la mentalità per cui la natura esiste solo per generare profitto, e la biodiversità, l’ossigeno, la bellezza, il semplice sapere che esiste ancora qualcosa di selvaggio, non hanno valore. Non sono contraria ad abbattere qualche albero, e di sicuro è meglio che a farlo siano i friulani piuttosto che gli austriaci, ma mi dispiace che nessuno, e dico nessuno tranne forse qualche biologo dell’università, capisca che il ritorno del bosco è una cosa positiva e che si potrebbe anche lasciarlo dov’è senza preoccuparsi ossessivamente di come sfruttarlo.

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