Rapporto Agromafie: emergenza Pfas in Veneto

PFAS

Ancora una volta si torna a parlare di presenza di pfas – sostanze perfluoroalchiliche nelle province venete di Verona, Vicenza e Padova.

Pubblicato il quarto rapporto sulle Agromafie – i crimini commessi nell’agroalimentare – di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura. La ricerca riporta il dato della presenza di pfas – sostanze perfluoroalchiliche nelle acque venete oltre i limiti consentiti. La pubblicazione fa eco alle ripetute uscite di Legambiente, Movimento 5 stelle e testate locali che da anni denunciano la situazione delle falde acquifere. Il merito della ribalta mediatica va anche al documentario “Bandiza” (2015) che documenta il caso pfas e altri disastri ambientali in corso nella regione.

Gli pfas, sostanze perfluoroalchiliche sono composti utilizzati nella produzione di impermeabilizzanti tra le più conosciute “teflon” e “goretex”  ma vengono utilizzate anche per detersivi, pesticidi, insetticidi, contenitori per alimenti.

Gli pfas sono riconosciuti dall’Istituto Superiore della Sanità come interferenti endocrini e si attesta la probabile correlazione tra l’esposizione e gravi malattie: tumori, problemi alla tiroide, ipertensione della gravidanza, aumento del colesterolo. Negli Stati Uniti la multinazionale Dupont (brevetto teflon), coinvolta in un caso analogo di inquinamento da pfas è stata obbligata a finanziare uno studio indipendente che ha dimostrato la correlazione tra sovra esposizione e insorgenza delle patologie sopracitate.

Stando alle indagini effettuate dall’Arpav  risalenti al 2013, il principale responsabile è la multinazionale Miteni , ex “Rimart”, situata a Trissino (VI)  che dagli anni Sessanta produce composti fluororati. I primi dati raccolti sull’inquinamento da pfas risalgono ad uno studio del CNR per il Ministero dell’Ambiente sull’inquinamento delle acque, studio che ha evidenziato il rischio sanitario rappresentato dall’alta concentrazione di pfas per le popolazioni che attingono all’acqua di falda nell’area interessata.

Secondo l’Arpav, la Miteni ha imesso per anni i reflui nel fiume Agno e in un depuratore civile che scarica nel Fratta- Gorzone; così facendo l’acqua è stata utilizzata anche per irrigare campi ed allevare animali. Le falde interessate dalla contaminazione si estendono per 180 kilometri quadrati.

In seguito alla scoperta nel 2014 si è costituito il Coordinamento Acqua Libera dai Pfas che assieme a Legambiente ha avviato campagne di sensibilizzazione pubblica e si è posto l’obiettivo di spingere la regione Veneto ad avviare uno studio epidemiologico approfondito sulla popolazione esposta e di costituirsi in giudizio contro i colpevoli.

I dati su un primo biomonitoraggio della popolazione non sono ancora stati resi pubblici ma sappiamo che per quanto riguarda le analisi sugli alimenti la situazione è critica: pesci e uova sono contaminati e la questione degli pfas entrando nella catena alimentare assume carattere nazionale. 

In regione Veneto la situazione è caotica e si consiglia la lettura degli articoli del “Fatto Quotidiano” e delle testate locali per una panoramica sui contaminanti che dividono i rappresentanti regionali. Una cosa è certa alle indagini e agli esposti nessuna azione è stata avviata nei confronti dei colpevoli nonostante i soldi pubblici stanziati per i monitoraggi e nuovi filtri per gli acquedotti e soprattutto nonostante la grave emergenza ambientale di cui  pare non ci si sia resi ancora conto.

Fonti:
“Agromafie. Rapporto sui Crimini Agroalimentari in Italia”
“Il Fatto Quotidiano”
“Il Sole 24 ore”
“La Nuova di Venezia”
“Ecopolis”

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