Referendum trivelle : salviamo il nostro mare e il nostro futuro con un sì, per tanti buoni motivi

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Salviamo il Paesaggio sostiene il voto Sì al referendum del 17 aprile 2016 per fermare le trivellazioni in mare entro le 12 miglia al termine delle autorizzazioni rilasciate. Un sì fondamentale per la nostra economia, la nostra salute e il nostro futuro.

L’Italia è chiamata ad esprimersi il prossimo 17 aprile 2016 per abolire la norma che consente alle concessioni già attive entro le 12 miglia dalla costa di proseguire le estrazioni di petrolio e gas anche oltre la scadenza delle autorizzazioni. Nonostante i tentativi di sminuire l’importanza del quesito, la forte campagna pubblicitaria delle compagnie petrolifere e l’invito all’astensione dell’attuale Governo, è in corso un’importante mobilitazione di comitati e cittadini che vogliono pronunciarsi sul futuro non solo del nostro mare ma di tutto il nostro Paese.  Anche Salviamo il Paesaggio sostiene il Sì.

Le ragioni del sì

Per il lavoro:

1 miliardo investito in fonti rinnovabili genere il triplo di posti lavoro rispetto ad un analogo investimento nel settore delle fonti “fossili”. Un lavoro che sarebbe pulito e duraturo ma che è stato trascurato: nell’ultimo anno e mezzo ha contato 60 mila posti di lavoro persi. La minaccia di perdita di lavoro in caso di vittoria del sì è falsa: le compagnie petrolifere non danno alcuna garanzia. Al termine delle esigue risorse l’attività è destinata comunque a cessare in poco tempo, dopo aver avvelenato e sfruttato ancora per un po’ il nostro mare.

Per i nostri bisogni energetici:

il fabbisogno energetico nazionale non sarà mai soddisfatto dalle estrazioni nel nostro territorio e nel nostro mare. Continuando a puntare sulle fonti fossili non cambieremo mai il sistema energetico e peserà sempre di più la dipendenza dall’estero. Così è stato fatto per molto tempo restando ancorati al passato (in Italia l’incidenza delle rinnovabili sul consumo di energia è più basso di Spagna, Portogallo e Grecia). Uno sviluppo diverso, innovativo, basato sulle rinnovabili e l’efficienza è possibile e il primo passo è l’abbandono di petrolio e gas.

Per l’economia:

il nostro “petrolio” sono il paesaggio, il turismo con le bellezze storiche e culturali delle nostre coste e delle nostre terre, la pesca e il settore agroalimentare. Risorse a rischio se a prevalere è l’interesse privato per le estrazioni rispetto alla tutela di questi settori e delle migliaia di posti di lavoro che generano.

Per la nostra salute:

più tempo si trivella più aumenta il rischio di incidente, presso gli impianti o durante il trasporto. In mari chiusi come l’Adriatico e in generale nel Mediterraneo sarebbe una catastrofe. Non sono eventi lontani e remoti: lo scorso 13 marzo si è registrato un incidente sulle coste della Tunisia. Vogliamo ancora poter godere delle bellezze del nostro mare e non mangiare i veleni che già oggi le piattaforme scaricano: le tecniche di estazione colpiscono la fauna e la catena alimentare. Senza alternative e strategie diverse, la ricerca continuerà anche sulla terra ferma, con impatti ambientali e sulla nostra salute.

Per una società più giusta:

lo sfruttamento del bene pubblico non può essere in mano a poche e potenti società private, italiane e straniere, che di queste risorse fanno quello che vogliono. Società che versano allo stato un piccolo importo (tra i piu bassi rispetto ad altri paesi: 7% per il petrolio estratto, 10% per il gas) a fronte di ingenti guadagni. Società agevolate ulteriormente dal fatto che entro certi limiti di estrazione (franchigia) non devono pagare proprio niente. Ulteriori trucchi e regali che ci portano al fallimento. Fanno notizia in questi giorni le indagini giudiziarie a fronte dei forti interessi in gioco sulle estrazioni di petrolio in Basilicata. Vantaggi economici che non ricadono sui territori: questa regione, da tempo al centro dell’attività estrattiva a terra, rimane tra le più povere d’Italia. È da preferire invece un modello distribuito, di piccole e medie imprese innovative.

Per rispetto e coerenza verso le generazioni future: 

non vogliamo più soffocare a causa dello smog. Gli idrocarburi sono “veleno” per i nostri polmoni. Perché non tornare al limite autorizzativo che già c’era invece di regalare ulteriore guadagno a discapito della nostra salute? I morti causa tumori ai polmoni sono già in aumento. Il metano è sì migliore del petrolio, ma comunque inquinante in fase di estrazione e fonte clima alternate. Il nostro paese deve rispettare gli impegni presi di fronte al mondo per ridurre le emissioni di CO2. Come può sostenere ancora le fonti fossili che in questo campo rappresentano il nemico numero uno? Chi pagherà gli effetti dei cambiamenti climatici che sono già realtà? Di certo non le compagnie petrolifere.

www.fermaletrivelle.it

8 commenti

  1. Condivido quasi tutto, ma manca un tassello.I fossili non possono essere del tutto sostituiti dalle rinnovabili. L’eolico ci deturpa il paesaggio e ci da l’1,30%. Meglio il fotovoltaico che porta la copertura a 3,5. Con le rinnovabili più tradizionali il nostro paese arriva ad una copertura del 17,3%.A questo punto occorrerebbe un ritorno al nucleare moderno che è poco invasivo, non inquinante e che permetterebbe di soddisfare le esigenze di energia della nuova mobilità urbana tutta su base elettrica.Forse si potrebbe lasciare un modesto spazio al gas che è il meno nocivo dei fossili. N.G.Scalzini

  2. Se tanta gente non capisce che le attività di trivellazione fanno molti più danni che utile (in Basilicata si estrae il 2% del fabbisogno italiano!) allora siamo mal messi. Come al solito in questo bel paese il primo fattore causa del malgoverno è dato dalla folta schiera composta da ignoranti e interessati (che antepongono il business alla salute). Nel governo prevale un orientamento che recepisce da questa gente e poi abbiamo un bravo parlatore che fa esposizioni tipo gioco delle tre tavolette per far credere che è bene far lavorare le trivelle, business che rende a pochi e fa danni a tanti. Il tutto facendo finta di dimenticare che l’Italia ha un patrimonio paesaggistico, culturale, storico, artistico che, se ben valorizzato, darebbe introiti ben superiori alle trivelle, impiegherebbe più persone SENZA FARE DANNI.

  3. Premesso (e non concesso), come alcuni sostengono, che da un punto di vista strettamente ambientale il quesito comunque non cambia molto le cose, ma un forte e maggioritario “SI” servirà a far capire all’attuale governo che l’attuale politica energetica è completamente opposta a quanto promesso da Renzi (leggi Green Act). Renzi non può andarsene in giro per il mondo a parlare in difesa del clima (vedi Conferenza sul Clima a New York – Settembre 2014 o Conferenza di Parigi – Dicembre 2015 o ancora la recente presentazione in Usa di un importante progetto di Enel Greenpower) e poi, checchè ne dica lui, favorire l’incremento di emissioni inquinanti con progetti e concessioni che garantiscono profitti a società che comunque costituiscono una lobby del petrolio.

  4. Allora va bene cosi. Tutto a posto! IL
    17 SI RESTA A CASA….. La devono smettere, il pianeta non ci appartiene e lo abbiamo sfruttato anche troppo. La devastazione che hanno fatto in Basilicata è raccapricciante e ci guadagna un’azienda francese no?
    io farei chiudere tutto.

  5. Sono tutti bei propositi ma molto generali qui la questione è un altra.
    1)Cosa succede se da questa sponda si dice no alle trivellazioni e la Croazia come sembra intenzionata da il via a poderose estrazioni a pochi passi dal confine marittimo?
    2) Si pensi poi alla Norvegia che in fatto di sostenibilità ambientale non è seconda a nessuno eppure da decenni estrae enormi quantitativi di petrolio dal Mar del Nord con grandi benefici per la popolazione. Se decidiamo che la nostra è una scelta ambientalista allora dovremmo smettere di acquistare petrolio da altri paesi. Salvare l’Adriatico per condannare il mar Caspio o il mare venezuelano mi sembra puro nimbismo.
    3) Se invece la nostra è una scelta paesaggistica si sappia che ci sono già diverse piattaforme operative e che la loro presenza non è di fatto notata.
    Ben maggiore è lo scempio che quelle popolazioni ora chiamate al referendum hanno accosentito a volte perpetrato con le cementificazione di tutta la costa adriatica, e che ora continua sulle colline con una dispersione urbanistica del tutto insostenibile perche vincolata all’uso costante dell’automobile e di conseguenza a quei combustibili fossili che non si vorrebbe estrarre di lì a presso.

  6. E il divorzio? Non è stato realizzato? Se le concessioni sono oltre le 12 miglia che problema di non concederne altre entro le 12 migla?

  7. Purtroppo GLI AMBIENTALISTI DEL NO…., invece di preoccuparsi dei “mari italiani” che assorbono ogni secondo scarichi contaminati dalle fogne, torrenti, fiumi, smaltimenti abusivi, vogliono proporsi per eliminare un lavoro pulito. La speranza è che… o i cittadini italiani non vanno a votare così che non si raggiunge il 50 per cento. O che vinca il NO. La storia dei referendum ha insegnato che quasi mai l’interrogativo presentato, anche se vincente, è stato realizzato.
    Le concessioni di coltivazione (sviluppo e produzione) dei giacimenti di idrocarburi liquidi e gassosi nel sottofondo marino italiano, sono 69 (dati aggiornati al 29 febbraio), ma la maggior parte di esse sono situate oltre la soglia delle 12 miglia, e non sono quindi interessate alla legge e al referendum. Le società titolari di concessioni di coltivazione di idrocarburi in acqua sono 7: Adriatica Idrocarburi, Edison, Eni, Eni Mediterranea Idrocarburi, Gas Plus Italiana, Ionica Gas e Rockhopper Italia. Notizia segnalata dal sito della Direzione generale per le risorse minerarie ed energetiche del Ministero dello Sviluppo Economico.

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