Se 400 ettari vi sembran pochi…

di Dante Schiavon.
La legge regionale sul suolo è stata pensata e ideata con un obiettivo “mediatico” formidabile: convincere la massa dei Veneti (autonomisti “par i schei” e “indifferenti” al futuro del loro ambiente) che anche il problema della “cementificazione devastante” del Veneto il governatore, con un guizzo dei suoi, lo ha risolto.

Ma non è così.

Dire che “la montagna ha partorito un topolino” è già riconoscere dei meriti ad una legge fatta “strutturalmente” a “più mani”: governatore, giunta regionale, sindaci e assessori di tutte le forze politiche (il cemento li accomuna), commissioni edilizie ed esercito di professionisti che gravitano nei comuni con appalti e consulenze (costose e a carico dei contribuenti), tutti, consapevolmente o meno, al servizio della “rendita fondiaria. Prima di passare alle cifre, sottolineo come, per l’ennesima volta, la narrazione di Zaia di un fenomeno nella nostra Regione fra i più gravi d’Italia, allontani la massa dei Veneti, autonomisti e indifferenti, dalla realtà: quella fisica, materiale, morfologica.
Non servono i rapporti Ispra, basta guardarci intorno, affidarci ad uno dei nostri cinque sensi, con uno sguardo non inquinato dalla propaganda e dalla narrazione politica corrente. E la legge sul suolo non inverte questo trend drammatico.

Dei 21.323 ettari nel mirino della vorace pianificazione urbanistica dei 541 comuni del Veneto, secondo le modalità applicative della legge sul suolo e applicando il fattore di riduzione pari al 40%, ne resterebbero consumabili 12.793 ettari, suddivisi in 400 ettari/l’anno per 32 anni, per arrivare al 2050 ad azzerare il consumo di suolo.

La legge sul suolo di Zaia è una “rappresentazione” della realtà “artificiosa” e palesemente “omissiva”. La manipolazione nella rappresentazione della realtà avviene in più modi:

1) manipolando i dati dell’Ispra a proprio piacimento, mettendo a confronto “impropriamente” gli obiettivi “futuri” della legge regionale (incremento annuale percentuale dello 0,17%) con la media nazionale relativa al “periodo trascorso” 2015/2016 (pari allo 0,22%);

2) ignorando il dato “drammatico” ed “esplosivo” del suolo già consumato;

3) ignorando l’immensa quantità di cubature industriali, commerciali e civili inutilizzate;

4) ignorando che ogni ettaro consumato dei 12.793 previsti genera costi pari a 36.000/55.000 €/l’anno dovuti alla perdita dei “servizi ecosistemici” (stoccaggio del carbonio e assorbimento del particolato e dell’ozono, produzione agricola, controllo dell’erosione, infiltrazione e depurazione e accumulo di acque nelle falde, biodiversità e impollinazione, regolazione del microclima);

5) escludendo dai 12.793 ettari previsti il “conteggio delle infrastrutture” che hanno inciso a livello nazionale (nel Veneto Superpedemontano di più) nel 2016 per il 47% del consumo di suolo, contro il 30% dell’edilizia civile e industriale e il 17% di discariche e cave;

6) escludendo dal conteggio dei 12.793 ettari previsti le trasformazioni dei suoli liberi nelle “aree urbanizzate”, dove si è realizzato nel periodo 2012-2016 l’80% del consumo di suolo in Veneto: 1.600 ettari sui 1950 cementificati;

7) ignorando colpevolmente “evidenze scientifiche” incontrovertibili, quali il ruolo fondamentale del “suolo libero” compreso nelle “aree urbanizzate”: nel contrasto ai “cambiamenti climatici” (ad un aumento di 20 ettari di suolo consumato per chilometro quadrato corrisponde un aumento di temperatura di 0,6 gradi centigradi e le ondate di calore, ci dicono gli osservatori del Nature Conservancy, uccidono oltre 12.000 persone all’anno in tutto il mondo) e agli “allagamenti” (per gli effetti combinati di cementificazione e cambiamenti climatici e conseguenti bombe d’acqua), nonché la “funzione vitale” che esso svolge nelle aree antropizzate, in termini di “qualità dell’aria”, “microclima”, “biodiversità”, “benessere” e “qualità della vita” e del “paesaggio urbano”.

Sono tre i passaggi “degenerativi” per l’ambiente veneto di questo iter legislativo regionale, che si è ben presto trasformato in una sorta di “monopoli amministrativo”, con la Regione che ripartisce fra i diversi comuni gli “ettari da consumare” rinunciando al suo dovere politico di guida e indirizzo.

le “modalità” con cui si è giunti a determinare la “quantità massima di suolo consumabile” e la sostanziale differenza metodologica nel rilevamento dai dati tra Ispra e Regione. Questa riduzione di consumo di suolo, a 400 ettari all’anno, fa dire agli estensori della legge che in Veneto l’incremento percentuale sarebbe dello 0,17%, inferiore alla media nazionale stimata dello 0,22%. Operazione doppiamente scorretta: primo, perché lo 0,22% è riferito all’incremento pregresso del dato nazionale (periodo 2015-2016), mentre lo 0,17% è l’obiettivo che si propone di raggiungere la Regione da qui al 2050 e poi perché nei 400 ettari all’anno previsti dal Veneto “non ci sono”, rispetto alle rilevazioni dell’Ispra, gli ettari consumati per “infrastrutture”, “opere pubbliche e di interesse generale”, “attività produttive”, “cave” ed “edificazioni civili e industriali nell’area urbanizzata consolidata”.

“l’omissione sui dati statistici del suolo consumato in Veneto”: il 12,21% contro la media nazionale del 7,64% e la media europea del 4,3%. Sono dati che spaventano e che avrebbero dovuto far riflettere il legislatore: per il passato, sulla totale mancanza di “tutela” di una risorsa non rinnovabile; per il futuro, sulla necessita’ di una “moratoria” prima di procedere ad ulteriori espansioni edilizie. La Regione non ha applicato il principio di “precauzione”, un principio del “diritto comunitario”. Nel 2015 l’Ispra ci dice che in Italia il mancato stoccaggio del carbonio, a causa del consumo di suolo vegetale, ha provocato una liberazione in atmosfera di 1,3 milioni di tonnellate di carbonio (non più immagazzinato dal suolo cementificato) e generato “costi sociali” (decessi e malattie) per 145 milioni di euro, oltre a 90.000 morti premature (dati Agenzia Europea per l’Ambiente). Nella nostra Regione il consumo di suolo, da novembre 2015 a giugno 2016, ha ridotto i volumi d’acqua immagazzinabili di quasi 1.000.000 di m3. L’invecchiamento della popolazione e la decrescita demografica rendono disponibili in Italia ( e una quota rilevante nella nostra Regione) circa 7 milioni di abitazioni non utilizzate. Confartigianato e lo Iuav hanno recentemente censito in Veneto ben 1363 aree produttive, che hanno precluso un essenziale e necessario sviluppo del “settore primario” (eccezion fatta per la devastante e velenosa monocoltura del Prosecco) e lasciandoci un’eredita pesante: 1940 capannoni dismessi. Un dato estremamente negativo che dovrebbe far riflettere sulla deroga al conteggio di consumo di suolo per ulteriori espansioni produttive commerciali e industriali. Il consumo di suolo pro-capite in Veneto ( Ispra) è di 455 mq per abitante a fronte dei 378 mq della media nazionale. I dati sul consumo di suolo nel Veneto (Ispra 2017), che andrebbero citati negli allegati alla legge regionale e notificati ai comuni, sono in molti casi sconvolgenti: escludendo i corpi idrici la provincia di Padova ha un 19,3% di suolo cementificato, la provincia di Treviso 16,9%, la provincia di Venezia 17,2%. A livello nazionale l’incremento maggiore di consumo di suolo nel periodo novembre 2015 e giugno 2016 si è registrato nella provincia di Treviso: ben 186 ettari (che la legge regionale esclude dal conteggio del suolo consumato). Considerando solo il territorio di pianura il consumo di suolo della Provincia di Treviso dal 16,9% sale al 20,2%, quello della Provincia di Vicenza dal 13,1% sale al 23,2%. Altivole e Riese Pio X nel periodo novembre 2015 giugno 2016 hanno avuto un incremento di suolo consumato per effetto della SPV rispettivamente di 27 e 29 ettari e la Regione, imperturbabile, assegna 35 ettari a Riese Pio X e 28,61 ettari ad Altivole di suolo consumabile, indifferente alla “deturpazione del paesaggio rurale” e compromettendo per sempre una delle poche aree tradizionalmente agricole della provincia di Treviso. 240 comuni su 541 sono sopra il 15% di consumo di suolo, addirittura 23 comuni sono sopra il 30%: Padova 49,2o%, Treviso 39,7%, Venezia 45,1%, Casier 35,7%, Villorba 30,7% e nonostante dati di consumo che si configurano come veri e propri “reati ambientali”, per la sottrazione alla “collettività” dei “servizi ecosistemici” forniti dal suolo, la legge regionale assegna ancora (un monopoli amministrativo) a questi comuni, da qui al 2050, quote di consumo di suolo: a Padova 353 ettari, a Treviso 50 ettari, a Casier 13,85 ettari, a Villorba 43 ettari, a Riese 35 ettari, ad Altivole 28,61 ettari. La previsione della legge parla di una fase chiamata “di prima applicazione”, perché tutto è rivedibile in funzione del 2050, anche revisioni e rideterminazioni negli anni, della serie: io Regione provo a vedere se riesco a stare dentro i 400 ettari l’anno ( pur con tutte le deroghe previste) e, se i comuni e la rendita fondiaria fanno pressione, posso sempre alzare l’asticella a 665 ettari di consumo medio all’anno e raggiungere comunque nel 2050 l’obiettivo di “zero” consumo di suolo. Non importa se si arriva al 20% di consumo di suolo ed essere responsabili della distruzione “biologica”, “morfologica”, “idrogeologica”, “paesaggistica” della Regione. Per dare il senso della misura con cui si procede , basta pensare che la sola costruzione della SPV assorbirebbe il consumo di suolo della Regione per 2 anni (800 ettari), oltre a togliere la possibilità, per 80 aziende agricole di 10 ettari cadauna, di produrre cibo, lavoro e controllo del territorio.

“l’omissione” di una richiesta ai comuni di un “censimento preventivo obbligatorio degli edifici inutilizzati” e l’uso di “artifici lessicali, amministrativi e tecnici” per mascherare un persistente consumo di suolo. L’artificio più inquietante riguarda gli “ambiti urbanizzati consolidati”. Nella figura 3.1 si vede come sia prevista l’occupazione degli “spazi liberi interclusi”, in deroga alle limitazioni di consumo di suolo e con la possibilità, nei processi di rigenerazione urbana a seguito di demolizioni, di occupare suolo limitrofo agli ambiti di urbanizzazione consolidata, con il rilascio di “crediti edilizi” per espansioni residenziali e produttive. In caso di demolizioni si prevedono misure di mitigazione e compensazione ecologica, come si potesse “rinaturalizzare” e “compensare ecologicamente” un suolo cementificato, reso “impermeabile” e ormai definitivamente “compattato” e non più in grado di fornire alcun “servizio ecosistemico”. Nella legge passa un messaggio permissivo: “quando rigeneri puoi demolire e occupare suolo dentro e fuori “l’ambito urbanizzato consolidato” o puoi trasferire attività in ambiti territoriali più funzionali”. Il Veneto questo non se lo può più permettere: l’enorme patrimonio edilizio “civile e industriale” in eccesso va riutilizzato per risparmiare suolo, non per rianimare le aspirazioni della “rendita fondiaria”. Urbanisti, architetti, ingegneri, amministratori, imprenditori e maestranze devono far sfoggio delle loro competenze, delle loro abilità, della loro creatività, riuscendo a far rivivere spazi di vita e di lavoro in vecchi edifici inutilizzati, garantendo alla comunità superfici libere: naturali, seminaturali, agricole. L’individuazione di “ambiti sovracomunali omogenei” ha un senso, se dopo un censimento del patrimonio edilizio inutilizzato, si procede ad una pianificazione urbanistica in cui il fabbisogno, civile e industriale, viene soddisfatto, non più su un piano “comunale”, ma su di un piano “comprensoriale e/o distrettuale”. Il fabbisogno “abitativo” e “produttivo” può essere soddisfatto attraverso la “ristrutturazione” e la “riqualificazione”, individuando edifici da riutilizzare attraverso una “pianificazione urbanistica” in un bacino più ampio del singolo comune: a livello “distrettuale” o “comprensoriale”.

Il progetto di legge della Giunta Zaia era stato presentato a settembre 2015. Da settembre 2015 a giugno 2017, nell’imminenza di una legge sul suolo, amministratori, sindaci, giunta regionale, rappresentanti del mondo delle costruzioni, immobiliaristi, liberi professionisti e i beneficiari della rendita fondiaria hanno cercato di mettere le mani avanti e “l’edificabilità progettata” dai comuni ha raggiunto la cifra di 33.547 ettari, di cui 12224 ettari già cementifcati e 21323 ettari da cementificare. Gli articoli 12 “disposizioni finali” e 13 “disposizioni transitorie” hanno sostituto il mingherlino art.10 della proposta di legge, che in modo succinto le raccoglieva entrambe. Sono due articoli, nel loro insieme corposi, che raccolgono la “sostanza politica” e legislativa della normativa: “le deroghe”.

Poiché secondo Zaia non siamo in presenza di un assetto del territorio deficitario di servizi ecosistemici e la lobby del cemento reclama la salvaguardia dei propri interessi, le “deroghe” alla limitazione di consumo di suolo valgono, non solo per chi ha un “permesso di costruire”, ma anche per i “procedimenti in corso”, i piani degli interventi che hanno anche solo “formalmente avviato la procedura” di formazione del piano, i piani di assetto del territorio “avviati”, i piani urbanistici attuativi i cui procedimenti sono completati con la “presentazione della proposta” corredata dagli elaborati.

In parole semplici: l’art.12 riassume le deroghe per consumare suolo al di fuori della soglia dei 400 ettari l’anno (attenzione: in fase di prima applicazione!); l’art.13 riassume le deroghe artificiose di tipo “burocratico-temporali” per aggirare il blocco del consumo di suolo e vanificare il senso di una legge. Quindi, con buona pace del mondo scientifico, dei tecnici dell’ambiente e urbanisti indipendenti, dei cittadini liberi e consapevoli, la legge regionale esclude dal conteggio delle quantità previste (in fase di prima applicazione) il suolo consumato per nuove cave, per le infrastrutture, per le attività produttive (capannoni e centri commerciali), per le opere pubbliche e di interesse generale, per la cementificazione dei suoli liberi e limitrofi dell’ Ambito Urbano Consolidato, altrimenti i 400 ettari all’anno potrebbero raddoppiare e portare il Veneto al 20% di suolo consumato.

Come non si conteggerà il suolo che verrà consumato da tutti i progetti edificatori “semplicemente portati alla luce”, avvolti nell’aura dell’intenzionalità cementificatoria e concretizzatisi con la semplice “cartina” portata in municipio prima di giugno 2017. La legge sul suolo di Zaia, con tali asservimenti alla rendita fondiaria e con questa mancanza di rigore e di visione futura se non verrà impugnata ai sensi dell’art. 117 per i suoi effetti distruttivi sull’ambiente condannerà il Veneto, oltre che a un costante degrado ambientale e paesaggistico, ad un declino economico e sociale.

In questa legge si è partiti dalla coda del problema e non dalla testa. Un’altra era la ricetta: “fermare il consumo di suolo per alcuni anni, così da “reimpiegare e recuperare i volumi esistenti che diversamente non verrebbero ripristinati se permangono continuamente occasioni più profittevoli di urbanizzazione”(Paolo Pileri), rivitalizzare il commercio nei paesi e nelle città al posto di nuovi centri commerciali, riciclare gli inerti al posto di nuove cave, elettrificare, ripristinare, aggiornare, raddoppiare tratte ferroviarie al posto di nuove strade, riutilizzare in modo distribuito in zone già urbanizzate l’insediamento di grandi opere pubbliche.

Tutto questo nella legge non c’e …

 

3 commenti

  1. Proprio vero: il Veneto ha un’orizzonte inguardabile, è pieno di case, capannoni, strade. E vogliono continuare. Povero Veneto e povera Italia, ex bel paese. Che ne rimarrà alla fine del secolo dopo millenni di bellezza?

  2. E’ interessante la precisione chirurgica nel definire gli elementi di interesse e la grossolana incapacità di cogliere aspetti fondamentali.

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