Un prato è un prato. Stop al consumo di suolo qui ed ora: non è uno slogan, è un’emergenza

A cura di Salviamo il Paesaggio Torino.

Il vero degrado e’ la speculazione …

Nei giorni scorsi, sulla stampa cittadina, è stata pubblicata la notizia di una querelle che sta coinvolgendo una società sportiva, il “Volley Parella”, il Comune di Torino, consiglieri di maggioranza e alcuni residenti. Oggetto del contendere un prato di circa 11.000 mq, che sarebbe stato individuato dalla società Volley Parella per essere destinato alla realizzazione del loro nuovo palazzetto sportivo.
Il prato in questione è di proprietà della Città che, al momento, non ha ancora deciso cosa farne. La destinazione attuale, da P.R.G., è a “Servizi”.
In passato le Amministrazioni che si sono succedute avevano pensato di destinarlo, insieme ad aree limitrofe di proprietà privata, per interventi di edilizia privata. Ma le mutate condizioni del mercato immobiliare, ed il progressivo calo della popolazione, hanno di fatto congelato questa ipotesi, per un eccesso di stock di invenduto.

Nel frattempo l’area non è stata manutenuta, complici le scarse risorse a disposizione e un’ignavia politica/amministrativa che ha fatto sì che negli anni non si provasse neanche a trovare una soluzione – seppure temporanea – all’abbandono.
Questo è il quadro di partenza, comune a molti altri casi e a molte altre periferie: non aver cura dei luoghi, dei fabbricati e dei beni di proprietà pubblica sembra quasi un “must have”, per consentire – successivamente – l’intervento salvifico del Privato, che “tutto può, tutto aggiusta, tutto migliora, tutto rende agibile, bello, soprattutto valorizza”.
Il degrado come strumento politico da parte di una classe di governo che non sa tutelare e rendere utili alla collettività i beni di tutte e tutti, che l’unica cosa che sa fare è abdicare alla propria funzione di cura, tutela, buon uso pubblico, magari mettendoci pure del metodo…

Le privatizzazioni cominciano così: con l’abbandono che genera degrado, che genera a sua volta critiche da parte di chi quel degrado subisce, senza capirne le vere ragioni, le cause che vi sottostanno. Ma, soprattutto, con la grancassa mediatica di chi da quel “degrado” vuole trarre – e purtroppo, nella maggior parte dei casi trarrà – vantaggi.
Non un vantaggio per tutte e tutti quindi, ma per chi potrà permettersi servizi “privati”: case di riposo, studentati, impianti sportivi, parchi, scuole, ambulatori e via discorrendo, tutti naturalmente con una fruizione a pagamento, magari con qualche escamotage che ammanti la dizione “Servizi” con una valenza collettiva e la declini – mistificando – in “Servizi pubblici”, ad esempio con convenzioni con le ASL, o con le Università, per posti letto a prezzi calmierati, società varie.

Il degrado come arma per ricattare mediaticamente gli Enti locali, al fine di raggiungere interessi privati – la rendita – su beni pubblici. Il vero degrado, quindi, è la speculazione. E anche la connivenza delle Amministrazioni, il loro laissez faire, che non si oppongono a questo disegno di spoliazione collettiva. A questo disegno di società che vi è sotteso, dove non si hanno più diritti se non si hanno i soldi.

IL COMPITO DEL GOVERNO DELLA COMUNITA’
Lo Stato e gli Enti locali devono preoccuparsi ed avere la priorità nel soddisfare il bisogno di casa, di salute, di istruzione; di aiuto alle fasce fragili per reddito e/o per condizioni sociali o anagrafiche. E la natura (parchi e giardini, orti e frutteti, fasce fluviali e boschi, fiumi, spiagge, montagne, laghi, etc…), non dovrebbe neanche lontanamente essere considerata oggetto da reificare per trarne rendita.
La natura è la casa dove viviamo, è di tutti, come dice la Costituzione, e tutte tutti devono poterne godere in modo libero, senza che venga mercificata.

Proprio in queste ore è arrivato un grido d’allarme – stavolta veramente drammatico – dalla comunità scientifica internazionale attraverso il Rapporto IPCC 2018 redatto dalle Nazioni Unite (http://www.ipcc.ch/report/sr15/), che ha ribadito che forse la Terra può sopportare un aumento delle temperature di 1.5° con grande dispendio di energie per tamponarne gli effetti nefasti, ma un mezzo grado in più di temperatura determinerà la fine della vita come la conosciamo: innalzamento dei mari, riscaldamento globale con conseguenze su colture, alimentazione e salute; piogge torrenziali e/o grandi siccità, esaurimento delle risorse,…. Si chiede a tutte le nazioni un grande sforzo ed un grande impegno a mitigare gli effetti del cambiamento climatico, adottando comportamenti virtuosi e pratiche di salvaguardia.

Anche il Comune di Torino, nell’attuale compagine, ha iniziato un discorso che ha posto il problema della resilienza – in una visione locale – come centrale per la nostra comunità.
La resilienza è la capacità di una comunità di sapersi adattare ai cambiamenti, facendo ricorso a tutte le proprie risorse materiali ed immateriali. Uno degli elementi, tra gli altri che possono permettere ad una comunità di resistere ed adattarsi è la tutela del suolo, del territorio e del terreno su cui vive ed opera.
Il Comune di Torino ha raggiunto nel 2017 la sbalorditiva percentuale del 65,68% di suolo consumato. Siamo il primo comune in Piemonte, ed il tredicesimo in Italia (dopo dieci comuni campani e due lombardi) per consumo di suolo, certo un ben triste primato!!! (Dati Ispra 2017)

La tutela del suolo non è un vezzo per geologi, agronomi, ambientalisti: è una necessità ineludibile per ognuno di noi, visto che fornisce cibo, regola il clima, stocca il carbonio, raccoglie l’acqua, controlla l’erosione, regola la qualità dell’acqua e dell’aria, mitiga i fenomeni metereologici estremi, conserva la biodiversità, permette la decomposizione della materia organica, è la casa di tutte le specie e lo spazio per le relazioni sociali e dove ci ritempriamo.
Se non siamo in grado di proteggerlo, condanniamo la nostra specie all’estinzione e, prima di arrivarci, ci condanniamo ad una vita grama.
La tutela del suolo sta diventando un’emergenza planetaria, e in molti Paesi, tra cui il nostro, è cominciato un dibattito che dovrà portare ad una Legge per lo stop al consumo di suolo.
Ma il tempo non è molto: se ora siamo a questa percentuale spaventosa, se non prendiamo provvedimenti seri, rigorosi e cogenti, nel 2050 (termine temporale nel quale la maggior parte delle proposte di Legge e le dichiarazioni politiche si attestano) non ci sarà più niente da consumare! Annasperemo in un habitat di cemento, di asfalto, senza più possibilità di porvi rimedio.

E’ questo il futuro che vogliamo per noi e per i nostri figli? Un mondo invivibile, un mondo artificiale, un mondo in cui il cibo non può crescere, dove non si può godere di aria e acqua pura e di paesaggio, dove le precipitazioni atmosferiche non saranno più assorbite perchè i terreni sono tutti impermeabili e quindi ci saranno alluvioni, dove non vivranno altre specie, etc….

Quello del Palazzetto Volley Parella è un caso paradigmatico: non mettiamo in discussione la necessità di un palazzetto sportivo, se dimostrata, se veramente a servizio della comunità e non di un sodalizio privato, al quale si può accedere solo tesserandosi e pagando un servizio.

Mettiamo in discussione che si chieda di farlo su suolo libero.

Mettiamo in discussione che si permetta di farlo su suolo libero.

Chiediamo che una seria politica urbanistica pretenda che il costruito non più utilizzato ed abbandonato venga riconvertito in altri manufatti necessari, o venga demolito, ed il suolo liberato.

Chiediamo che una seria politica urbanistica non consideri il suolo come risorsa da monetizzare, per sanare bilanci o per soddisfare appetiti.

Chiediamo una programmazione in base alle vere necessità decise dalle persone che abitano i territori, non dagli interessi degli speculatori; con un disegno complessivo che rifletta i valori di tutela del bene pubblico, di solidarietà e, in definitiva, nel rispetto della Costituzione.

Anche se costa. Perchè costano molto di più i danni che ne deriverebbero dal continuare questa politica stolta di costruire su suoli liberi, e non a riutilizzare aree già compromesse.

Chiediamo coraggio alle Amministrazioni, soprattutto a quelle che hanno dichiarato nel loro programma elettorale che avrebbero combattuto e fermato il consumo di suolo. Chiediamo rispetto per gli impegni assunti, senza svicolare con pavidi e/o opportunistici aggiustamenti e rimaneggiamenti delle dichiarazioni, che dallo Stop passano al “progressivo rallentamento del consumo di suolo”.

Ciurlare nel manico non è dignitoso, ed è foriero di grandi sventure.

 

3 commenti

  1. Mi sembra che il sig. Ugo abbia perso di vista quali sono i valori importanti. Ambiente significa salute, uno dei valori più importanti senza il quale tutto il resto viene meno. Quelli che chiama forestieri ben vengano, il fastidio addotto deriva solamente da egoismo e il loro apporto è positivo. Scrolliamoci di dosso la vecchia e decrepita cultura tipica del vecchio Tutin:”quello è diverso da me, quindi mi dà fastidio”.

  2. Errata corrige: “nessun concreto obiettivo ambientalista PUO’ essere perseguito” ecc.

  3. Tutto bello, tutto giusto. Manca, però, un tassello irrinunciabile: per poter perseguire la sostenibilità e qualsiasi ipotesi di conservazione delle aree ancora “biologicamente attive” (quand’anche fosse un misero prato “abbandonato” di poco più di un ettaro) è invertire il processo di crescita demografica, il che in Piemonte significa attivarsi affinché venga effettivamente e rapidamente arrestato l’arrivo di nuovi forestieri, da ovunque provengano. La spontanea tendenza al calo delle popolazioni già presenti in loco (particolarmente degli indigeni) provvederà a liberare spontaneamente spazi per la naturalizzazione che, almeno a parole, sembrate voler perseguire.

    E’ un imperativo. Non agire in quella direzione significa essere falsi ambientalisti. Magari in buona fede, per la carità, comunque falsi, nel senso nessun concreto obiettivo ambientalista non può essere perseguito al di fuori dell’implementazione di quanto ho indicato in premessa.

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