La Galleria piccolo-Borghese

Villa Borghese (Galleria Borghese) in Rome, Italy

di Teodoro De Giorgio, Storico dell’arte.

Visitare la Galleria Borghese può rivelarsi un’esperienza memorabile. A patto di non distogliere lo sguardo dai capolavori. Basta un attimo per rompere l’incanto. Sporcizia, incuria, minacce alla sicurezza e didascalie inadeguate sono in agguato per rubare la scena alle opere.

È opinione diffusa che in un museo la promozione si faccia in primis attraverso la comunicazione extra-museale, finalizzata a richiamare il maggior numero di visitatori, mentre le primissime strategie di marketing vanno attuate proprio all’interno, allo scopo di garantire le migliori condizioni di conservazione ed esposizione delle opere e di accoglienza del pubblico.

Nel corso della mia ultima visita ho riscontrato di persona – e documentato – le numerose criticità in cui si imbatte il visitatore dopo l’acquisto del biglietto intero, il cui costo ammonta a ben 20 Euro (18 + 2 di prenotazione obbligatoria). Cumuli di polvere sulle scale interne; bottiglie, fazzoletti e calcinacci abbandonati nei recessi; unità per la climatizzazione delle sale visibilmente rotte; umidificatori d’aria con depositi di polvere sulle griglie; didascalie nella sola lingua italiana, per giunta storte e sistemate alla meglio con zeppe di carta, anche colorata, per evitare la caduta dai supporti in plexiglass, e – se questo non bastasse – posizionate senza rigore scientifico e, in alcuni casi, lontano dalle opere stesse, secondo pratiche museologiche obsolete; schede didascaliche per la consultazione individuale sudicie.

Fa specie vedere la didascalia dell’Autoritratto giovanile di Gian Lorenzo Bernini fermata al supporto con una zeppa di carta fucsia che grida vendetta o i visitatori stranieri perplessi perché non riescono a comprendere quanto c’è scritto. Indecoroso e scortese: non ci sono definizioni migliori.

E questi sono solo gli antefatti. Che dire delle situazioni più gravi, che mettono a repentaglio incolumità delle opere e delle persone? Nella sala VI il seicentesco tondo marmoreo con i Tre putti dormienti, per essere meglio visibile, è sollevato da un lato per mezzo di un semplice pezzo di legno che il peso ha inclinato e che cedendo potrebbe causare, in assenza di un fermo anteriore, il fatale scivolamento a terra della scultura dal piano sul quale è esposta; nelle sale XIV e XV fili elettrici sono fermati grossolanamente col nastro isolante sulle antiche zoccolature in stucco nero; all’ingresso della sala XVII due mattoni traballanti minacciano la stabilità del visitatore; lungo il percorso sedie antiche sono collocate a ridosso delle pareti, col rischio di provocare lesioni agli stucchi quando vengono urtate.

Ma l’elemento a mio avviso più grave, che dà il polso della situazione, è sotto gli occhi di tutti nella sala XV: uno dei tre tiranti metallici che sostengono il grande dipinto di Jacopo Bassano raffigurante la Primavera, per la precisione quello centrale, ha ceduto e si è spezzato, col rischio di far schiantare a terra o, peggio ancora, sui visitatori il quadro (di alto valore storico-artistico, oltre che economico). Per non parlare, poi, di altre spinosissime questioni, come della prenotazione obbligatoria di 2 Euro, dell‘obbligo di visitare gli spazi museali in due ore soltanto o, ancora, del guardaroba situato nel seminterrato che in inverno costringe il visitatore a uscire senza cappotto per raggiungere il soprastante ingresso del museo.

Come si intuisce, si tratta di situazioni della massima gravità e che avrebbero dovuto essere risolte per tempo, tanto più in ragione dell’esiguo esborso di denaro.

E invece alla Galleria Borghese il denaro si preferisce spenderlo per iniziative collaterali, come per la mostra Picasso. La scultura (dal 24 ottobre 2018 al 3 febbraio 2019), ideata e curata dall’attuale direttrice pro-tempore e finanziata dalla casa di moda Fendi, partner istituzionale della Galleria. Basti pensare che per i soli “supporto al direttore nell’ideazione e realizzazione del progetto della mostra” e per la fornitura dei cataloghi risultano contabilizzati la bellezza di 34.746,60 Euro, senza considerare i costi inerenti alla movimentazione delle opere, all’allestimento, alla copertura assicurativa, alla comunicazione, ai diritti e alla vigilanza.

In questo caso le opere sono esposte con tutti i crismi, collocate in apposite teche con controllo dell’umidità e rilevamento della temperatura e accompagnate da ricchi apparati didascalici in italiano e inglese. Tuttavia, la scelta di esporre tra i capolavori della Galleria Borghese le sculture di Picasso si è rivelata un vero e proprio fiasco, visto e considerato che i visitatori, attratti dalla bellezza dei primi, sono – come prevedibile – poco interessati alle seconde, al punto da percepirle come elementi di disturbo visivo. E, in effetti, stridono terribilmente col contesto e chissà se ad accorgersene sono stati anche i tanti vip che hanno preso parte alla scintillante inaugurazione, che ha visto un museo pubblico fare da sfondo al solito evento mondano d’élite, come provano le numerose foto degli invitati.

Ecco, allora, che prima di allestire mostre nate dal capriccio del direttore pro-tempore (che ha obbligo e dovere di controllare periodicamente le sale!) è bene pensare a potenziare i servizi base, che sono per l’appunto essenziali e senza i quali ogni altra iniziativa non avrebbe ragion d’essere. Malgrado queste criticità, negli obiettivi del Piano di valorizzazione 2016-2019 si parla paradossalmente di fare della Galleria Borghese “Un nuovo centro di eccellenza dell’italianità“, oltre che “Il Museo di riferimento della città“.

Alla voce “Riqualificazione dei servizi di accoglienza” si parla di “Ridistribuzione degli spazi di accoglienza del foyer (biglietteria, bar, guardaroba, postazione informatiche, bookshop)“. Ma, ancora una volta, dove sono i servizi base? Alla voce “Efficacia dell’offerta e di servizi al visitatore” si parla di “migliorare la conoscenza del visitatore” e di un sito internet rinnovato: “Tra gli obiettivi del sito: prestigio, innovazione, engagement, connessione con il territorio, condivisione (social network), didattica“. Ma, per l’ennesima volta, dove sono i servizi base, come la redazione dei testi e delle didascalie in inglese, da ritenere un dovere sacrosanto nei confronti dei visitatori stranieri, che contribuiscono fortemente alle entrate della Galleria?

Agli studenti universitari che quest’anno frequenteranno le mie lezioni di Heritage Marketing (nome anglosassone della disciplina che si occupa di promozione del patrimonio culturale) mostrerò le fotografie della Galleria Borghese per spiegare loro come la vera promozione sia inscindibile dal rispetto delle opere e delle persone.

In questa prospettiva, specie in Italia dove il fine principale del patrimonio è lo “sviluppo della cultura” attraverso la ricerca (articolo 9 della Carta Costituzionale), tutela, accoglienza e conoscenza devono essere prioritarie. D’altra parte, se è vero che l’esperienza rappresenta il valore aggiunto dell’economia del futuro, all’interno di un museo tutto deve contribuire a rendere l’esperienza di visita quanto più coinvolgente e stimolante possibile, allo scopo di educare e di “costruire” ricordi memorabili, e nulla può e deve essere trascurato o affidato al caso.

Questo perché le “prestazioni” di un museo non si misurano solo in termini di ingressi e introiti, per quanto fondamentali. Troppo spesso si vuole far credere, e si finisce per credere, che un museo funziona solo se ad aumentare sono gli introiti (di questi giorni è la notizia che la Galleria Borghese ha chiuso il 2018 con un incremento degli incassi del 53,20%).

Un museo, invece, funziona quando all’aumentare degli ingressi e degli introiti corrisponde una gestione virtuosa, che significa: cura amorevole (quasi maniacale) degli ambienti e delle collezioni, tutela delle opere, amministrazione economica oculata, ricerca scientifica, accoglienza dei visitatori ispirata da vero spirito di servizio, piena fruibilità, professionalità del personale e, soprattutto, produzione e comunicazione della conoscenza.

In attesa di risposte ufficiali da parte del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, che ho informato e al quale ho trasmesso le foto, la speranza è che a indignarsi siano i cittadini italiani, in particolare i giovani, che sono i veri proprietari del patrimonio storico e artistico della Nazione.

Già pubblicato su: https://www.huffingtonpost.it/teodoro-de-giorgio/la-galleria-piccolo-borghese_a_23620092/ dove potete trovare una serie di fotografie che arricchiscono il racconto del prof. De Giorgio.