Dichiarazione del Comitato Nazionale per il ritiro di qualunque Autonomia Differenziata.
Mentre il 18 dicembre tante cittadine e tanti cittadini manifestavano in tutta Italia, in 25 città – davanti alle prefetture o alla sedi delle Regioni – per lo stralcio dalla Legge di bilancio del DDL di applicazione dell’AD, a Roma si svolgeva per quattro ore il presidio davanti al Parlamento, con diversi parlamentari che uscivano dall’Aula per discutere con i promotori della mobilitazione.
È da queste e questi parlamentari che si è appreso che il DDL sull’Autonomia differenziata è stato stralciato dalla Legge di bilancio, notizia confermata nei giorni successivi. A queste e questi parlamentari, che si sono pubblicamente dichiarati solidali con la nostra lotta, chiederemo quanto prima un incontro.
Si tratta di un primo successo importante: un pericolo è stato sventato, l’irreparabile non si è realizzato, le possibilità di fermare l’Autonomia differenziata restano intatte.
Questo risultato è prima di tutto il frutto della mobilitazione di questi anni e in particolare degli ultimi mesi, che ci ha visto ad ottobre lanciare per primi l’allarme sulla Legge di bilancio e poi, insieme alla Rete dei Numeri Pari, promuovere una Lettera Aperta ai parlamentari e la mobilitazione stessa. Una mobilitazione che ha visto i Comitati territoriali organizzare riunioni, assemblee, momenti informativi, costruendo così il successo del 18 dicembre, anticipato – il giorno prima – da una straordinaria conferenza di lancio con la Rete dei Numeri Pari, seguita da alcune migliaia di persone, con la partecipazione di costituzionalisti, economisti, giornalisti, esponenti dell’associazionismo, di partiti e sindacati.
Non c’è dubbio: un nuovo passo avanti è stato fatto per unirci dal Nord al Sud in un vero cordone di lotta e resistenza alla divisione della Repubblica, per affermare che essa non può che essere “una e indivisibile”, fondata sulla solidarietà, sui diritti sociali e sull’uguaglianza di tutti i cittadini.
D’altra parte, è innegabile che questo risultato è legato ad un altro fatto: la crisi del Covid-19 ha portato alla luce del sole il fallimento della prima regionalizzazione (“riforma” del Titolo V) e quindi ha indirizzato le voci di tanti esperti, associazioni storiche delle lotte per la democrazia, associazioni di difesa della sanità e della scuola pubblica, ambientaliste, esponenti politici e sindacali, cittadini di tutto il Paese e di ogni idea politica: tutti indignati che in un momento grave come quello che viviamo, con uno scontro istituzionale come quello in atto tra Stato e Regioni (frutto appunto di una regionalizzazione che è già andata sin troppo avanti), si potesse anche solo pensare di fare un nuovo passo nella direzione che ha già prodotto danni tanto grandi.
Ma se la mobilitazione e l’indignazione sono riuscite ad imporre per il momento uno stop, nondimeno sappiamo che il pericolo non è scomparso, anzi.
Innanzitutto perché l’Autonomia differenziata viene richiesta a gran voce da diverse Regioni (al Veneto, alla Lombardia e all’Emilia-Romagna si sono aggiunti il Piemonte e il Friuli-Venezia-Giulia); in secondo luogo perché il governo non ha abbandonato il progetto di una Legge quadro che ne permetterebbe il varo; infine, perché l’opposizione spinge per accelerare in questo senso.
Noi lo diciamo chiaramente: un solo passo in più su questa strada può avere conseguenze pericolosissime e aprire scenari inquietanti.
La “riforma” del Titolo V lo dimostra: i processi che vengono innescati attribuendo maggiori poteri politici alle Regioni possono anche rimanere più o meno sopiti per un certo tempo, ma quando esplodono hanno conseguenze gravissime. Oggi, con la crisi sanitaria, economica e sociale che stiamo vivendo, sarebbe da irresponsabili lasciare spazio a nuovi poteri alle Regioni, su 23 materie che coinvolgono la dimensione economica, legislativa e sociale del Paese e che arrivano a delineare rapporti diretti tra le Regioni stesse e l’Unione Europea.
Non è per nulla esagerato dire che un ulteriore passo in questa direzione, tanto più in un Paese nel quale la criminalità organizzata ha il ruolo che tutti conosciamo, aprirebbe davvero lo scenario di venti piccole Italie in lotta tra di loro e con lo Stato centrale, ampliando ulteriormente le diseguaglianze.
Per questo oggi, sventato il primo pericolo, è necessario mettere uno stop definitivo a questa prospettiva, innanzitutto con il ritiro di qualunque ipotesi di Legge quadro o di DDL applicativo del comma 3° dell’articolo 116 della Costituzione (*) e quindi con l’abrogazione di questo stesso comma.
Certo, siamo coscienti che ciò non esaurirebbe la discussione su come rimediare ai danni portati dalla riforma del Titolo V, né su come promuovere davvero una sanità e una scuola pubblica di qualità, uguali in tutta Italia, né su come garantire una politica nazionale che metta insieme il diritto al lavoro, i diritti del lavoro e la salvaguardia dell’ambiente, né su quali rapporti debbano esistere tra Stato centrale e amministrazioni locali per conseguire questi obiettivi.
Ma un dato è certo: queste discussioni non potranno nemmeno cominciare se nel frattempo l’Autonomia differenziata verrà varata, dando così il via ad un processo disgregativo irreversibile.
Il Covid, nella sua tragicità, sta aprendo gli occhi di tutti sul valore della sanità pubblica, dei diritti uguali per tutti, dei danni delle privatizzazioni che non avrebbero più limiti con l’Autonomia differenziata.
La nostra lotta, lanciata in ben altre condizioni all’inizio dell’estate 2019, è più attuale che mai.
Un primo risultato è stato ottenuto: ripartiamo da questo primo successo, coscienti che solo la cancellazione definitiva del pericolo dell’Autonomia differenziata potrà aprire la porta alla riparazione dei danni prodotti in questi anni e alla realizzazione dei principi contenuti nella prima parte della Costituzione.
Per questo diamo fin d’ora appuntamento – ai Comitati di scopo, alle 120 associazioni che hanno sottoscritto il primo appello, a chiunque voglia partecipare – ad una nuova assemblea generale online, venerdì 15 gennaio, ore 18, per discutere come continuare la mobilitazione.
(*) Il comma 3° dell’art. 116 della Costituzione riformato nel 2001 è quello che permette l’AD attraverso la concessione di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” alle Regioni a statuto ordinario.