Cemento sull’ultima risaia, fermiamo lo scempio

Siamo nella Bassa bolognese, la campagna a nord del capoluogo, e più precisamente al confine tra tre Comuni: Malalbergo, San Pietro in Casale e Bentivoglio.
Due anni fa in Città Metropolitana fu approvato il Piano del Traffico. Nel piano era scritto che, in prossimità delle uscite autostradali fosse possibile realizzare poli logistici di grandi dimensioni, cioè superiori ai 10mila metri quadrati.

Non lontano dall’uscita di Altedo, nel territorio di San Pietro in Casale, nel 2019 fu approvata la realizzazione di un polo logistico sull’area dell’ex zuccherificio. Un progetto di 25 ettari di terreno, di cui una parte ottenuta dal recupero della struttura abbandonata.
A poca distanza, nel novembre del 2020 è stato approvato un altro progetto, questa volta sul territorio di Malalbergo, nella frazione di Altedo. Un’area rurale di 73 ettari dovrebbe cedere il posto ad un ulteriore polo logistico, che però andrebbe a ricoprire di cemento quella che è l’ultima risaia ancora attiva, proprietà di Sis (Società Italiana Sementi).

Per avere un quadro più completo del contesto, occorre dire che una decina di chilometri più a sud, nel territorio di Bentivoglio, insistono due grandi insediamenti industriali. Da un lato l’Interporto, un hub logistico di 300 ettari, in allargamento a 400, e il Centergross, un distretto per il commercio all’ingrosso che conta circa 100 ettari.
Entrambi gli insediamenti esistono da decenni e il primo è raggiunto anche da una linea ferroviaria, che avrebbe lo scopo di ridurre il trasporto su gomma.

La possibilità di gettare una colata di cemento sull’ultima risaia della provincia bolognese è contenuta nella contestata legge urbanistica regionale del 2017, curiosamente presentata come una legge per il “consumo di suolo zero”. Il provvedimento, in realtà, consente l’edificazione di quanto già previsto nei piani urbanistici dei diversi territori e aggiunge un ulteriore 3% di possibilità edificatoria, che rende dunque possibile costruire il polo logistico di Altedo.

Secondo le stime di chi ha elaborato i progetti, i due poli logistici quasi attigui produrranno, una volta a regime, tra i 1500 e i 1900 posti di lavoro (le stime variano molto a seconda del sito istituzionale che si consulta). Questo sembra essere l’argomento principale utilizzato da chi sostiene l’idea, forte anche di una crescita del delivery e della gig economy, il cosiddetto “modello Amazon”, che durante la pandemia ha catalizzato l’attenzione. La qualità di questa occupazione richiederebbe un’inchiesta a parte, ma quello che conta ora è che i pro potrebbero non bilanciare i contro.

Legambiente, Wwf e l’associazione “Primo Moroni” sono stati fra i primi a sollevare perplessità e critiche per il progetto, che avrebbe un forte impatto sul traffico della zona – dal momento che non sembra esserci un’alternativa seria al traffico su gomma – e conseguente aumento dell’inquinamento.
Non solo. La stessa cementificazione di terreni agricoli rischia di avere un impatto non trascurabile, di cui proprio la Bassa bolognese ha fatto esperienza per ben due volte nel solo 2019. A febbraio e novembre di due anni in fa, infatti, prima i Comuni di Argelato e Castel Maggiore poi quello di Budrio sono finiti sott’acqua per la rottura dell’argine o l’esondazione del Reno e dell’Idice. Due alluvioni che hanno molto a che fare con i cambiamenti climatici e l’azione antropica.

La relazione paesaggistica sbagliata
L’iter di approvazione del progetto del polo logistico di Altedo è durato diverse settimane ed ha attraversato tutti i livelli amministrativi: i Comuni, le Unioni di Comuni e la Città Metropolitana. I rispettivi Consigli, dunque, hanno dovuto dare il via libera al progetto prima che questo potesse ritenersi definitivamente approvato.
Negli ordini del giorno votati nei Comuni e nelle Unioni, però, è contenuta una frase sbagliata, per non dire direttamente falsa: “dalla relazione paesaggistica presentata si evince che: l’area risulta essere un terreno agricolo di ex risaia, poi orientato a seminativo ed oggi incolto”. Su quei campi ci sono ancora le stoppie del riso raccolto due mesi fa. Il punto è proprio che quei terreni non sono incolti e non sono una ex risaia, ma una risaia ancora attiva, perciò i consiglieri comunali e metropolitani che hanno dovuto esprimersi sul progetto, lo hanno fatto sulla base di informazioni sbagliate e fuorvianti.

Sul progetto del polo logistico di Altedo potrebbe non essere ancora stata scritta la parola “fine”. Quei campi al momento sono vincolati come “zona umida” e che finché non verrà rimosso quel vincolo il cemento non potrà essere versato.
Ambientalisti, attivisti, cittadini e cittadine stanno cominciando a muoversi e a fare rete.

Qui potete sottoscrivere una petizione specifica.

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