L’Italia dei borghi e dei territori appenninici, dimenticata

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(di Manlio Lilli)

“Mentre percorrevo l’Italia, e scrivevo dopo ogni tappa quello che avevo appena visto, la situazione mi cambiava in parte alle spalle. Industrie si chiudevano, altre si aprivano; decadevano prefetti e sindaci; nascevano nuove province”. A scrivere queste parole è Guido Piovene nel suo celebre “Viaggio in Italia”, il libro del 1957, nato dal reportage pensato dalla Rai, alcuni anni prima. Un ritratto dell’Italia, del boom economico, dell’industrializzazione e della crescita urbana, nella sua fase di passaggio alla contemporaneità.

A distanza di oltre mezzo secolo varrebbe la pena ripetere quel viaggio. Percorrere i cambiamenti del presente. Entrare nella confusione e nell’inerzia che immobilizza quasi ogni cosa. Facendo come Pavese. Non fermandosi solo nei grandi centri ma visitando anche paesi.

Non osservando solo i cantieri dell’Expo di Milano, come quello della Nuvola a Roma, così come quello del Granatello, a Napoli. Ma spingendosi in quelle aree del Paese nelle quali le politiche nazionali e poi quelle locali, nel settore dell’agricoltura e dell’urbanistica, hanno provocato quasi una desertificazione. Parti nelle quali le caratteristiche fisiche del territorio hanno non di rado costituito la giustificazione a una colpevole inerzia che si è trasformata in immobilismoRealtà territoriali nelle quali i centri di riferimento erano piccole isole incapaci di soddisfare esigenze ormai mutate. 

Settori, lontani dalle coste e dagli agglomerati urbani più significativi, che la mancanza anche di collegamenti adeguati hanno finito per lasciare sostanzialmente esclusi dal Paese. Talvolta dimenticati. Proprio come accaduto ad aree non esigue dell’Appennino. La spina dorsale che si estende per oltre 1500 chilometri dalla Liguria alla Sicilia. Nove milioni di ettari che coprono il 31,2%del territorio italiano, abitati ormai solo dal 18% della popolazione nazionale. Un potenziale straordinario, finora mortificato. Verrebbe da dire, abbandonato.

Boschi non più “puliti”, lasciati senza controllo, e proprio per questo, soprattutto nelle zone scoscese, causa indiretta di alluvioni a seguito delle piogge invernali. Come si verifica frequentemente in alcuni settori liguri, dove la maggior parte del vasto territorio boschivo, quasi il 70%, è incolto.

Terreni nei quali da tempo non si pratica alcuna coltura. Piccoli paesi e borghi spopolati, qualche volta addirittura morti. La più alta concentrazione nel sud, soprattutto in Basilicata ma anche nelle aree più interne delle Marche e della Toscana e in alcune zone della Liguria.

Gli abitanti fuggiti nei centri più grandi, non diversamente da quanto avvenuto anche altrove. Soprattutto in Spagna ed in Irlanda.

Quel che colpisce è il loro numero, altissimo, la stima parla di 5000 centri, e generalmente la loro bellezza, la loro qualità urbanistica e architettonica.

Balestrino, in provincia di Savona, come Castelnuovo dei Sabbioni, nell’aretino. Pentedattilo, in provincia di Reggio Calabria, come Poggioreale, nel trapanese e come Roscigno Vecchio in provincia di Salerno. Intere vallate diventate una sorta di parchi archeologici della modernità. In Liguria, la Val Brevenna con i borghi di Senarega, Tonno, Piancassina e Cerviasca e la Val Pentemina con i borghi di Vallecalde, Costapianella e Serrato. Come l’Alta Val Borbera, in Piemonte, con i piccoli abitati di Ferrazza e Reneusi. Sfortunatamente ce ne sono ancora molti.

A partire dagli anni Novanta è iniziata, almeno per alcuni di essi, una nuova fase. Preceduta da un’attenzione alla loro catalogazione, all’analisi delle differenze e delle analogie.

Tra gli Enti e Associazioni che si sono distinte in questo lavoro, l’associazione “Borghi più belli d’Italia, l’Unione delle Pro Loco, con il progetto “Aperto per ferie”, l’Associazione Borghi Autentici d’Italia e il Touring club italiano. Oltre al gruppo di ricerca DPA-Politecnico di Milano che, in collaborazione con la facoltà di architettura di Ascoli Piceno e quella di Napoli, ha dato vita al progetto “L’Italia dei borghi dismessi”. Ma ci sono state anche iniziative individuali più specifiche. I risultati cominciano ad emergere. Ed hanno il nome di Castelfalfi, in provincia di Firenze, di Santo Stefano a Sessanio, nell’aquilano, dell’Ecovillaggio di Torri Superiore, vicino a Ventimiglia. Fortunatamente non sono i soli.

Quel che sembra mancare è un progetto d’insieme, la consapevolezza che la “rigenerazione” di tutte queste parti d’Italia significherebbe accrescere le potenzialità, da tempo inespresse, del Paese. Rivitalizzare centri disabitati e territori in abbandono restituirebbe al Paese settori dimenticati, costituendo per quanti lo vorranno la chance per iniziare una nuova vita.

Anche in queste aree sarebbe necessario che le politiche agricole e quelle ambientali si coniugassero con quelle urbanistiche e infrastrutturali. Solo un Progetto condiviso nel quale i singoli temi si fondano tra loro senza ostacolarsi a vicenda, potrebbe assicurare un felice esito.

Ma è più che evidente come anche in questo caso si tratti di una questione che solo politiche culturali serie e capillari potranno rendere improcrastinabile.

D’altra parte anche il recente ddl sul consumo di suolo dovrebbe indirizzare in tal senso. Da un lato osteggiando decisamente la costruzione ex novo di nuove cubature, dall’altro favorendo, con modalità da meglio definire, il ripopolamento di borghi e piccoli abitati.

È probabile che al Paese servano grandi opere che permettano quella modernizzazione tante volte promessa ma mai compiutamente realizzata. Ma è certo che ricostruire quei territori erroneamente marginalizzati fino quasi alla loro cancellazione sembra essere un’occasione. Anche per dare respiro e quindi una prospettiva ad un Paese in affanno.

L’Italia cambia da un chilometro all’altro, non solo nei paesaggi, ma nella qualità degli animi; è un miscuglio di gusti, di usanze, di abitudini, tradizioni, lingue, eredità razziali”, scriveva Piovene viaggiando per un Paese in crescita anche perché non aveva rinunciato a nessuna delle sue parti. Quel che va fatto oggi. Non rinunciare più.

http://www.ateniesi.it/litalia-dei-borghi-e-dei-territori-appenninici-dimenticata/

14 commenti

  1. E’ necessario che chi vuole abitare i vecchi borghi debba accostarsi, prima di tutto,a chi ancora li abita per comprendere come si abita un borgo antico. Per guidare un auto d’epoca non è sufficiente avere la patente, bisogna conoscerla per rispettare ogni sua parte capire il “canto” del suo motore per non offendere la sua delicatezza, rispettare la sua bellezza e l’ingegno di chi l’ha progettata. Ciò vale, a maggior ragione, per un borgo dove hanno vissuto generazioni passate che, quindi fa parte di noi, della nostra storia.

  2. Quando sento parlare di rivitalizzazione di borghi abbandonati tremo, perchè il falso è sempre in agguato, Anche modelli portati ad esempio come nell’articolo, inseriscono nell’albergo diffuso falsi annerimanti da caminetti, o i borghi rivitalizzati non possono rifiutare la piscina turistica, inutile e fuori contesto. Spesso le vecchie pietre sono ricostruite con tecniche inventate; sembra di vedere il restauro dell’800, quando i cieli a stelline si creavano ex-novo e i merli si aggiungevano alle torri, perchè come erano non erano abbastanza medioevali.
    Quando vedo un borgo abbandonato con le sue case, ancora a volte con tracce abbandonate, con le pietre prive di intonaco, mi chiedo sempre se non sia meglio lasciarli all’azione del tempo ma veri o farli rivivere rifatti e non più autentici.

  3. Mi pare che qui si stia chiedendo di “sviluppare” una delle ultime aree del nostro territorio ancora salvate dallo scempio… non vedo alcuna emergenza di trasformare anche quelle aree in un agglomerato urbanizzato “omogenizzato”. Dubbito anche fortemente che i “boschi incolti” siano causa di alluvioni – in molti paesi europei si fanno crescere boschi “selvatici” proprio per mitigare il fenomeno delle alluvioni.
    No, l’articolo mi convince per niente!

    1. Infatti! Purtroppo la storia insegna che il peggior nemico degli allevatori e dei contadini di montagna è proprio il bosco, con tutte le specie che ci vivono – sconfiggere il bosco è una specie di ossessione. Inoltre ormai chi vive in montagna vuole le comodità della città, a cominciare dall’asfalto.
      Come ho scritto, lo vedo nella nostra montagna friulana: il bosco è una specie di mostro da arginare, le strade non bastano mai e ognuno vuole la sua automobile per muoversi velocemente tra i paesi e andare in fretta in città.
      Meglio quindi imparare a vivere in questi posti a basse densità e in maniera più naturale, e se a qualcuno non piace stia in città.
      L’emergenza è rinaturalizzare la pianura e la costa, non certo re-antropizzare la montagna!

      1. Gentile Gaia, il modello di abitato al quale penso é quello di santo Stefano di Sessano, all’interno del Parco Nazionale d’Abruzzo. Lì le case sono state restaurate con le pietre locali, le strade sono rimaste così strette da non consentire il passaggio di nessuna auto. Gli abitanti hanno stretto un patto. Salvare il borgo. Progettando solo interventi che non mutino l’aspetto dell’abitato.L’albergo diffuso ideato dall’architetto Kihigren ha lasciato tutto com’era. Ma ha ridato vita ad un luogo che rischiava di diventare solo della memoria. Credo che l’abbandono non possa preferirsi ad un rispettoso e discreto utilizzo.

    2. “Dubbito anche fortemente che i “boschi incolti” siano causa di alluvioni” Concordo appieno!!!
      I servizi ecosistemici offerti dai boschi, sempre sottovalutati nelle analisi costi-benefici, sono innumerevoli tra i quali la protezione idrogeologica del territorio. Informatevi prima di scrivere certe cose negli articoli.

    3. Gentile Stefan, il tema del mio intervento non era certo il nuovo sviluppo delle aree montane. Bensì il loro “ripopolamento”. A mio parere necessario per due motivi. In primis perchè ci sono tanti piccoli abitati che rischiano di scomparire. Materialmente, intendo. Sommersi dalla vegetazione, dopo crolli causati dal prolungato abbandono. Credo invece che, quei seppur modesti coaguli insediativi, meritino di sopravvivere. Diciamo così, di essere “ripristinati”. Naturalmente nel pieno rispetto delle loro originarie forme e del contesto. Il secondo motivo invece, si ricollega ai potenziali rischi di dissesto idrogeologico. Secondo uno studio del Dipartimento per lo sviluppo e la coesione economica molte zone considerate periferiche e ultra-periferiche dal 1971 si sono letteralmente spopolate. In Emilia-Romagna -52% della popolazione, nel Molise -46,9%, in Liguria -34,3%.E’ sufficente pensare a cosa abbia comportato l’abbandono dei terrazzamenti liguri, per avere un’idea della causa effetto tra abbandono di aree montane e alluvioni/frane/smottamenti. La presenza di boschi é evidentemente un ottimo rimedio per le frane superficiali. Previene e contrasta il dissesto idrogeologico.Il problema semmai é un altro. Il fatto che i boschi possano guadagnare terreno in aree precedentemente coltivate. Alterando così anche le risorse per i locali. Secondo l’Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani in vent’anni in Italia i boschi sono aumentati del 25/30%. “Ma si tratta di boschi spontanei e invasivi, frutto dell’abbandono delle aree, che compromettono zone coltivabili”.

  4. penso che tutte le medaglie hanno due facce: lo spopolamento e l’abbandono producono degrado ma l’invasione produce degrado ugualmente.
    Quindi bisogna trovare la giusta via di mezzo: recuperare non solo materialmente i luoghi ma anche la filosofia del vivere quei luoghi!
    Non si può pensare di dare funzioni a piccoli borghi come se fossero quartieri di una grande città, ma bisogna accettare “il vivere lento” a contatto con la natura, dove pur non rinunciando “alla modernità” si possa continuare a vivere con modi e tempi “d’altri tempi!”

  5. APPUNTO, “NON RINUCIARE PIU'”E’ LA PAROLA CHIAVE PER RIDARE SPERANZA AD UN PAESE ATROFIZZATO ORMAI NEL CERVELLO MA SOPRATTUTTO NEL CUORE!NON RINUNCIARE A NESSUNA DELLE PARTI DELLA NOSTRA ITALIA, PARTI ANCHE PICCOLISSIME MA CON UNA GRANDE STORIA E CHE INSIEME FORMANO UN UNICUM MERAVIGLIOSO.
    IL PROBLEMA E’ SOSTANZIALMENTE CULTURALE !C’E’SCARSA SENSIBILITA’ ALLA BELLEZZA, UNA SORDITA’ AGLI APPELLI TESI A TUTELARLA ,A METTERLA IN RETE CON IL RESTO DEL PAESE E DEL MONDO POICHE’ ,A COMINCIARE DAI SINDACI ABBASTANZA IGNORANTI ,QUESTA BELLEZZA NON E’AFFATTO PERCEPITA O VIENE VISSUTA COME UN VECCHIO RESIDUO DEL PASSATO CHE E’ ORMAI PASSATO E BASTA!IL NUOVO E’IL CEMENTO ,IL CONSUMISMO DA INCENTIVARE ANCHE NEI PICCOLI BORGHI DOVE LE ANTICHE MELE DELLE ANTICHE VIGNE NON SI MANGIANO PIU’ PERCHE’ SI PREFERISCONO IL MANGO ,LA PAPAYA,L’AVOCADO O AL MASSIMO LA PUBBLICIZZATA MELINDA!
    L’AGRICOLTURA VIENE PERCEPITA COME UN’ATTIVITA’ INUTILE E DANNOSA O,PEGGIO ANCORA ,POCO DIGNITOSA !
    IL PASSATO VIENE RIPUDIATO O AL MASSIMO ESORCIZZATO ATTRAVERSO UNA SERIE BANALE DI SAGRE E DI PROCESSIONI PSEUDO-RELIGIOSE CHE RIEMPIONO IL BORGO DI CITTADINI ANNOIATI, PRONTI A RIFUGIARSI IMMEDIATAMENTE IN CITTA’ DOPO GLI ULTIMI SPARI DEGLI IMMANCABILI FUOCHI PIROTECNICI.
    AMARE L’ITALIA ,IN TALI CONDIZIONI, E’GIA’ UN ATTO DI EROISMO ESTREMO, TENTARE DI OPPORSI ALLA DITTATURA DEL NUOVO CEMENTO CHE E’ CEMENTO DELL’ANIMA, E’ UN DOVERE CHE PROCURA DOLORE ED ISOLAMENTO!
    PROVARE PER CREDERE: VENITE A CALVELLO ,IN PROVINCIA DI POTENZA ,PICCOLO PAESE PETROLIZZATO, IL CUI CASTELLO ,RESTAURATO ED ILLUMINATO CON POTENTI E PACCHIANE LUCI PSICHEDELICHE, DIVENTA IL SIMBOLO DELL’ARROGANZA DEL “NUOVO” CHE AVANZA!UN PAESE, RICCO DI ROYALTIES MA SEMPRE PIU’ SPOPOLATO, CHE ACCANTO ALLA CLASSICA AIUOLA DI BENVENUTO, KITSCH ABBASTANZA, PONE IL MEGA-CARTELLO, ALTRETTANTO KITSCH, DEI SUOI LUOGHI DEL CUORE DA PUBBLICIZZARE!E SE POI IL F.A.I., SOLLECITATO DALLA SENSIBILITA’ DI QUALCHE CITTADINO,CHIEDE DI ADOTTARE UNO DI QUESTI LUOGHI DEL CUORE ,IL MEGALATTICO SINDACO ED IL SUO MEGALATTICO U.T.C COMUNALE NON HANNO NEMMENO LA CAPACITA’O LA VOGLIA DI PRODURRE UNO STRALCIO DI PROGETTO DI FATTIBILITA’ PER IL RECUPERO DI UN CENOBIO DELL’ANNO MILLE, OVILE PER CAPRE SEBBENE VINCOLATO,OGGETTO DI DECENNI DI RIMPALLI DI RESPONSABILITA’,RELEGATO ORMAI AD UNA STRAZIANTE AGONIA! E NONOSTANTE FALDONI DI PETIZIONI SCRITTE PER SALVARLO!
    ITALIA ,PAESE CRUDELE!PAESE DELL’ARROGANZA, FIGLIA DI UNA SORTA DI SPIETATA IGNORANZA CHE DIVENTA DITTATURA . IN TALE CONTESTO,IL “NON RINUCIARE PIU'” E’ UN IMPERATIVO CATEGORICO MA ANCHE UNA SORTA DI MALEDETTA LETTERA SCARLATTA CHE INFAMA E CHE EMARGINA IN IN UN ESILIO FORZATO CHI NON ACCETTA DI ARRENDERSI A QUESTA VOLGARE OMOLOGAZIONE DEL GUSTO E DELL’ANIMA!
    LA VOGLIA DI FUGGIRE DA QUESTA ITALIA CHIUSA E GHETTIZZATA PER NON SUBIRLA AD OLTRANZA DIVENTA UNA TENTAZIONE SEMPRE PIU’IRRESISTIBILE, PURTROPPO, SE NON SI SI RIMETTE IN MOTO LA DEMOCRAZIA!

  6. Siamo sicuri che ripopolare questi borghi sia una buona idea? Asfaltare, aumentare parcheggi e traffico, ricominciare a lottare con il bosco e le specie selvatiche, rompere la quiete, riempirsi di visitatori che fanno su e giù… io almeno una parte di questo paese la lascerei a chi vuole vivere più possibile nella natura.
    Vedo com’è “spopolata” la spopolata montagna friulana: un via vai continuo di auto, asfalto ovunque, fiumi invasi dai turisti, gli alberi di nuovo abbattuti da chi “torna”… Forse sarebbe meglio lasciare che certe zone siano meno densamente abitate di altre, senza porsi tanti problemi. In fondo la montagna non può sostenere tanta gente quanta la pianura, è normale che abbia una densità più bassa!

    1. Gentile Gaia, non credo, come Lei, che “asfaltare, aumentare parcheggi e traffico, ricominciare a lottare con il bosco e le specie selvatiche, rompere la quiete, riempirsi di visitatori che fanno sù e giù” sia una buona idea. Non credo possa reputarsi positivo seguire il modello inseguito dai cosiddetti neorurali, i cittadini che migrano in campagna o montagna cercando l’autenticità, che tuttavia spesso scompare proprio a causa loro. Penso tuttavia che sia necessario trovare i modi per assicurare a borghi e paesi, insieme alle montagne che li ospitano, la sopravvivenza.

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